La casa sul lago (dal Domino delle parole)

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La casa sul lago e non è ancora notte – di Rossella Gallori

 Trovarsi in un sogno già vissuto forse non era stata una buona idea,  non ne aveva più da tempo….arrivare poi con il buio era stato ancor peggio, il lago era immobile e lontano, uno specchio scheggiato nel verde cupo del prato, anche le galline erano andate a dormire prima del previsto.

Lei lo vide arrivare, aveva d’altronde  riconosciuta  la sua macchina, seminascosta tra gli alberi, i finestrini abbassati, le chiavi nel cruscotto, la vecchia borsa di pelle sdrucita e gonfia….troppa roba per un giorno, poca per tre, quattro.

Anna rimase nell’ombra protetta dalle tende di sanderson, poco era rimasto di lui, del suo viso, che  quasi non riconosceva, così nascosto dalla lunga sciarpa color polvere, le sembrava quasi più basso ora che si avvicinava, i rayban sul naso, il solito golf di cachemire, il cappotto bello ma datato, sì lo aveva amato anche troppo, non poteva mentire a se stessa.

Nel frattempo qualcuno preparava la cena, c’ erano altri ospiti al “Castello Visconti”, non si aspettava di trovar  tanta gente. Una volta riuscivano appena a riempir due, tre camere….ora dopo la ristrutturazione….non era più  un piccolo rifugio per innamorati clandestini. Lo ricordava bene…lo avevano scoperto insieme, lei e Franco.

Perché questa gente non era andata al ”Gallo d’oro”? pensò. Più economico, ma centrale, in paese non mancava niente, la chiesa, il museo, i negozietti, un buon bar.

Lei non era lì per caso, voleva rivederlo, sapeva che lui sarebbe prima o poi tornato.

Un brusio insistente la risvegliò dai suoi pensieri…..aprì la porta  e se lo trovò davanti, grigio in volto, maleodorante, il fantasma dell’uomo che aveva amato, sembrava avesse dormito in macchina per giorni. Lui la guardava ancora con gli occhi dell’amore, sembrava  un bimbo davanti alla vetrina di una pasticceria ….lei era la sua torta con la panna.

Lo sorresse mentre salivano le scale, nel lungo corridoio, si  sentivano voci sommesse, acqua che scorreva, piccole risate….incrociarono la solita governante impicciona che manco li degnò di uno sguardo, sorpresa ad origliare……

Un giovane esemplare di maschio urtò Anna, distratto e profumato  non nascondeva la sua fretta. Non era un incontro il loro, ma un pellegrinaggio, una processione di sentimenti  usurati. Si fermarono, Franco  tentò di accarezzarla….Anna  si allontanò …..da lui e non solo….Volse lo sguardo verso la piccola finestra incorniciata da tende di voile, in lontananza piccole luci annunciavano la notte, una spicchio di luna sembrava sorriderle, era il momento di sciogliere i capelli, di allontanare le cose del passato….di togliere dallo stomaco quel legno nodoso che le toglieva il respiro.

La camera  211 li accolse, era grande, ben arredata, per una volta soldi  e buon  gusto  erano  andati a braccetto. Franco quasi si buttò sulla poltrona antica di velluto azzurro, nel gelo del silenzio Anna, tacque, per farlo riposare.

Uno stupido orologio a cucù annunciò con un po’ di anticipo l’ora di cena.

Anna con una scusa banale si allontanò …….per non tornare.

 

 

La casa sul lago (dal Dòmino delle storie)

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La casa sul lago – di Tina Conti

Sarebbe andata all’asta quella bella casa un po’ cadente sul lago.
Tutti vi avevano trascorso le vacanze.
I nonni aiutati da Carolina la governante fino a poco tempo fa si erano sempre
offerti di ospitarli.
Da bambini prima, poi, da adulti, quando erano in crisi di coppia, o dopo periodi faticosi di lavoro si rifugiavano là.
Pian piano, la casa si era inselvatichita, la vegetazione la stava sommergendo.
Non aveva perso però fascino e mistero.
Marco, da ragazzo prendeva la bicicletta e andava in paese per le sigarette e un po’ di provviste. A volte portava  in canna anche Carolina che brontolava per le buche.
Carolina era diventata sorda ma non aveva dimenticato le sue ricette: in cucina era un portento.
Si erano dati appuntamento alla casa, erano passati tanti anni, qualcuno non si vedeva da tanto, i nonni non c’erano più.
La casa era  rimasta tranquilla per tutto il giorno  poi a buio  qualcosa si  era animato
Nella camera sul sambuco, Gloria si era appena alzata, aveva fatto un viaggio faticoso per ritardi di treni e autobus e su quello che era il letto di ragazzina aveva dormito.
Ora, con la scialle della nonna sulle spalle, si scaldava, guardava le bambole polverose sull’armadio, le foto sul cassettone, si era fatto buio.
Era arrivato qualcuno?
Si vedeva filtrare la luce nell’ingresso.
Una valigia era posata nell’angolo.
Qualcuno saliva le scale.
La casa si animò, si accesero tante  piccole luci
Fremeva aria di mistero, chi doveva ancora arrivare?
La piccola Francesca con la sua  coda di cavallo sulla testa sali’ dalla cantina, leggera, eterea, silenziosa.
Dalla cucina provenivano rumori conosciuti, profumi antichi.
Suonò il campanello della biblioteca del nonno.
Era il segno della chiamata per il pranzo.
Scesero e salirono tutti.
Quanti sguardi, sospiri, abbracci.
Si trovò un accordo, la casa sarebbe andata alla governante, se la meritava.
Si era offerta di continuare ad ospitarli  finché le forze glielo avessero consentito.
Sì festeggiò’ con cibi semplici ma familiari, e poi la torta.
Una musica sorprese tutti, fuori videro gli strumenti scintillanti della banda del paese.
Erano venuti a onorare la famiglia del nonno ritornata alla villa.

La casa sul lago (ancora dal gioco del Dòmino)

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La casa sul lago – di Mimma Caravaggi

Arrivò, posteggiò la macchina, lasciando il borsone sul retro. Non voleva prenderlo ora, lo avrebbe fatto più tardi, per ora era abbastanza agitato di presentarsi alla porta. Si accostò meglio la sciarpa al collo e finalmente bussò. La governante, che lo aveva già visto dal finestra scostando solo leggermente la tendina, era già in attesa di sentir suonare il campanello. Lo fece entrare e lui si ritrovò in questa casa rivedendola come sempre era stata, nessun cambiamento negli anni l’aveva sconvolta. Era identica a come l’aveva lasciata, persino la poltrona, di stampo vissuto, era sempre lì al suo posto. Mentre guardava con ansia e avidità girando testa ed occhi in ogni dove, ecco scendere Eva, leggera con la sua lunga coda di cavallo che, ad ogni scalino, sembrava danzare. I loro occhi s’incontrarono finalmente e si fissarono impari, ansiosi e una massa di ricordi affollò le loro menti. La governante intervenne per aiutarlo a levarsi il pesante cappotto e se ne andò in cucina  a preparare un the caldo per tutti; avrebbe sicuramente fatto bene. Lui si tenne la sciarpa  come coperta di Linus per avere qualcosa tra le mani che lo facesse sentire meno in imbarazzo. Eva è la prima a parlare: “Alfredo come mai sei tornato? Andasti via dicendo che non avresti più messo piede in questa casa. Cosa ti ha fatto tornare?” Alfredo abbassò gli occhi e con un filo di voce disse: ”I soldi”. Fuori intanto si sentiva cigolare la porta del pollaio e il suono di  passi attutiti sembravano venire dal piano di sopra. Le due donne non erano sole anche se tutto lo faceva pensare. “Come un lupo affamato ti affacci nuovamente a questa casa dopo anni di silenzio e senza alcuna vergogna chiedi dei soldi. Chi ti ha detto che il babbo è morto? E sei sicuro ti abbia lasciato qualcosa? O addirittura pensi che ti spetti qualcosa dell’eredità?” “ Eva credimi, non sono qui per me ma per la mia famiglia. Ho due figli e la piccola è malata e deve essere curata al più presto e questa è la sola ragione per cui sono qui a pregare per ottenere qualcosa”. L’istinto femminile di Eva iniziò subito ad ammorbidirsi e cercò di farlo parlare e spiegarsi. Non poteva e non voleva cacciarlo nuovamente di casa, non in questo momento. Ci sarebbero stati altri giorni per  chiarirsi e magari perdonarsi. La governante portò il tè che tutti e due in piedi sorseggiarono lentamente, guardando fuori dalla finestra. Eva per non perdere le bellezze del giardino e del paesaggio per lei sempre uguale ma pur sempre emozionante e Alfredo, con i suoi tanti ricordi che  affollavano la mente, si beava di queste meraviglie che pensava non avrebbe mai più avuto occasione di vedere.

La casa sul lago (dal Domino delle parole)

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La casa sul lago – di Stefania Bonanni

Avevano bussato alla porta della villa sul lago qualche sera prima. La governante, unica rimasta ad abitare le stanze antiche, aveva aperto con timore sporgendosi con il lume nella nebbia. Non li vedeva bene, non riconosceva i volti degli uomini davanti alla porta, ma capì bene il senso del tono perentorio con il quale le si rivolsero: non era possibile dire di no. La sera seguente avrebbe dovuto essere pronta ad ospitare una persona importante e scomoda. E che nessuno lo avrebbe dovuto sapere, nessuno. E basta. Se ne andarono strascicando gli scarponi fangosi, e portandosi dietro echi di metalli sbatacchiati.

Cominciò subito a pensare a chi potesse essere l’ospite da ricevere, ma qualunque congettura la inquietava. Lei era là, distante dal paese, da sola, a custodire una casa antica e misteriosa di per sé, non aveva possibilità né di andarsene, per non abbandonare tutto, né di chiedere che qualcuno le facesse compagnia. Fu un istinto, forse. Per prima cosa puli’. Puli’ per terra, spolvero’ la vecchia poltrona davanti al camino, sistemò la frutta in un bel cesto, tirò fuori le tazzine di ceramica inglese, perché fosse tutto pronto nel caso qualcuno volesse un the. La notte dormi’ poco. In compenso non poté farà meno di sorridere, al pensiero che si era messa a pulire. Da non credere: non si smette mai davvero di fare la serva.

Arrivò pian piano il giorno, lei resto’ sempre alla finestra, spiando ansiosa nella nebbia. Venne il tramonto, servì il lume acceso per guardare fuori. La tensione la faceva stare con tutti i sensi all’erta e fu per rinfrancarsi che si fece un the bollente e profumato. Proprio mentre lo sorseggiava, si accorse della figura massiccia di un uomo non tanto alto, avvolto da un cappottone  scuro, con la testa bassa ed una sciarpa scura a coprire quello che della faccia poteva emergere dal bavero del cappotto rialzato.

La governante strizzò gli occhi. Nulla, non lo riconosceva.

Dietro di lui, un’altra figura usciva dalla nebbia e veniva avanti nel vialetto. Sicuramente era una donna. Forse giovane, probabilmente magra, con i capelli rialzati sulla nuca. Nulla, neanche questo servì a farle venire in mente chi potessero essere. Ma non era tutto. Dietro di loro, distanti ma capaci di tenerli d’occhio, gli uomini del giorno prima. Si accorse allora, dell’auto scura nascosta dietro la siepe. Sicuramente l’avevano spinta a mano, perché non c’erano stati rumori.

L’uomo col cappotto, il primo della fila, bussò. Un solo colpo, secco, ma imperioso. La governante aprì, ed entrarono lui e un gran gelo. Non sembrava neanche più primavera. Non era il freddo: era paura, o, se fosse possibile, qualcosa di peggio della paura.

Non parlo’ nessuno, entrarono tutti ma non fecero caso alla pulizia, né alla frutta nel cesto, né alla poltrona davanti al fuoco.

L’uomo col cappotto rimase  in piedi, al centro della stanza, e si capì che aspettava una risposta che poteva essere la vita, nonostante sembrasse già morto.

La governante ora li vedeva bene, alla luce delle fiamme del camino. Vedeva che era sporco e fangoso, che non si cambiava, e lavava, e radeva, sicuramente da tempo. Era intirizzito e legnoso come un pezzo di quercia marcio, dava l’impressione di potersi sbriciolare da un momento all’altro.

L’aveva riconosciuto, adesso. Con terrore, l’aveva riconosciuto.

E anche la donna con lui, che si era sciolta i capelli e seduta nella poltrona davanti al fuoco.

“Posso pagare. Vedrai, con i soldi si compra tutto, quelli nella borsa in macchina basteranno. “Bisbigliò l’uomo col cappotto vicino alla poltrona. Lei disse, ancora più piano: “ho gioielli e diamanti, addosso” “Non voglio ti tocchino, nascondili” Con un gesto minimo e velocissimo, come se si rassettasse la gonna, tirò fuori un sacchettino che sparì rapido sotto al cuscino della vecchia poltrona.

Fu in quel momento che si fece vicino a loro uno dei ragazzi con gli stivali fangosi ed il fazzoletto rosso con le cocche annodato intorno al collo. “Non c’è più tempo…dovete uscire”

“Ho molti soldi, vi cambieranno la vita. Lasciateci andare. Spariremo, nessuno saprà più nulla di noi”

“Non è questo che abbiamo deciso. Uscite”

La governante aveva visto e sentito, dal pianerottolo del primo piano da cui poteva vedere senza essere vista. Aveva capito che la storia si faceva in quella casa, ma che la storia ha bisogno di sangue, e non avrebbe voluto essere lì.

Portarono l’uomo col cappotto e la sua donna in giardino.

La governante non li vide più.

Quando si decise ad uscire, molto tempo dopo che fu sparito l’eco delle fucilate, tutto le sembrò a posto. Come non fosse successo.

Poi, con uno strano pensiero di faccende quotidiane, pensò di rimettere in casa la torta che aveva messo a raffreddare sul davanzale. La lasciò cadere con un urlo, quando si rese conto che quegli schizzi rossi, non venivano dai suoi mirtilli.