Orchidea tra verde e bianco

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L’orchidea rinasce ancora – di Nadia Peruzzi

Che potenza la natura che rinnova le cose in un ciclo infinito, sempre che l’uomo, con le sue scelte e i suoi comportamenti errati non riesca a alterarlo in modo irreversibile. Sarebbe terribile. Come potrei fare? Come potremmo fare senza le rinascite anno dopo anno, stagione dopo stagione. Ci penso mentre guardo la mia orchidea bianca che proprio ora mi sta regalando fiori bellissimi.

Piante difficili, le orchidee. Devi avere un posto con molta luce, stare attenta che non prendano correnti d’aria altrimenti si offendono, mettono il broncio e i bocci si seccano proprio sul più bello e appena prima di regalarci lo splendore della fioritura. Devi avere anche una bella dose di pazienza.Guardi e riguardi, giorno dopo giorno, quando sfioriscono, quei rami secchi in mezzo a foglie lucide e carnose che parlano di vita ma che non producono nulla di nuovo.

Arriva il momento dello sfinimento, quello in cui vorresti pure buttarle via. Ci ripensi perché ti dispiace e allora ne compri una fiorita per far compagnia agli stecchi senza fiori, cercando pure di ingannare lo sguardo. Se guardi quella nuova, l’altra quasi sparisce. Intanto annaffi e riannaffi, concimi e concimi di nuovo e aspetti. Oh se aspetti!

Fino a che vedi qualcosa che fa  capolino e che a forza di spinte diventa ramo e poi produce boccioli. Prima piccoli, poi sempre più grandi. Sembrano palloncini verdi in cui qualcuno insuffli aria con tutta la delicatezza necessaria, senza strafare e con tutta la costanza che ci vuole. Ora dopo ora puoi seguire i cambiamenti.

Fino a che vedi  fessure che cominciano a segnare quei boccioli. Lo scrigno verde si sta aprendo in un abbraccio e sembra dire: “guarda sono tornato e sono bello e grande e non mi accontento solo del bianco”. Quella bocca che canta a squarciagola mette in mostra, pavoneggiandosi pure un po’, una bella punteggiatura di fucsia e qualche pennellata di giallo, a impreziosire il tutto. Il solo vederli fa gioia. Li segui come si fa con i cuccioli, con delicatezza e tenerezza. È solo mia e solo in casa, mentre da sempre sogno di svegliarmi in un bosco, immersa in una apoteosi di orchidee multicolori.

Fiore prediletto. Regalo per le date importanti, quando a farmelo era mio marito. Ho ancora vivo in mente il tralcio bellissimo che ebbi in dono quando nacque nostra figlia Irene. Un vero spettacolo della natura, per festeggiarne un altro.

Il verde, il mio colore

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Il verde, il mio colore – di Chiara Bonechi

Avevo i capelli rosso rame, gli occhi verdi e la pelle chiara, con pochi colori mi vedevo bene, non mettevo mai qualcosa di rosso né di arancione e stavo attenta che i toni del marrone non andassero sul ruggine.

“A te sta bene il verde, è il tuo colore” mi dicevano. Mi convinsi che il verde mi donava davvero, quando indossavo una maglia verde la pelle del mio viso si illuminava e i capelli ramati che scendevano sulle spalle col verde della maglia stavano bene. Il verde bottiglia era il mio preferito, quello mela o il verde pisello, troppo chiari colpivano violentemente il colore della mia pelle, fra i verdi quelli li evitavo. Non è mai stato facile comprare cose verdi, tante volte ho dovuto ripiegare sul blu, sul grigio, sul beige e quando le ho trovate le ho acquistate e le ho fatte durare a lungo perché temevo che non le avrei ritrovate. La storia del cappotto verde cucito con la stoffa di pura lana di un cappotto dello zio Giorgio ritorna spesso fra i racconti della mia famiglia. Quel cappotto era tornato perfetto per me bambina, la sarta che lo aveva rimodellato aveva buon gusto e la mia mamma altrettanto, con quel cappottino mi piacevo, mi guardavo allo specchio e lo indossavo volentieri. Per la strada camminavo impettita con la mano alla mamma e mi sentivo osservata. E i complimenti non mancavano: ”che bella con quel cappottino verde!” A tutti rispondevo raccontando che la sarta me lo aveva rifatto da un vecchio cappotto dello zio e mi dilungavo in minuziose spiegazioni. Essendo molto piccola la mamma si inorgogliva per tanta precisione del mio parlare e anche ora che poco o nulla ricorda del presente, non manca di raccontare ai miei figli o anche solo a me la storia di quando rinnovai il cappottino verde.

Pennellate verdi

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I verdi di Monet – di Tina Conti

Ho visto tante opere di questo  pittore  che forse mi interessa poco la mostra di Roma. Ho pensato: ma non conosco le opere del museo Marmottan, così forse…..
Ci vado lo stesso, ho perso il  Merisi  a Milano e questa gita mi intriga, perché così mi rivedo Roma.
Tutti sul treno, quanti siamo!, quasi  quaranta.
Piove anche a Roma, ma che fascino questa città, io cammino piano, non mi interessa bagnarmi,  il Colosseo me lo voglio rivedere, e i fori  imperiali poi,quei fregi sul tempio  non me li ricordavo proprio
Ombrelli, turisti ……ma quanti asiatici.
Ecco, entriamo, hanno collocato delle riproduzioni di fiori nelle nicchie esterne dell’edificio.
Si comincia, ci sono foto, la famiglia, i tanti giardinieri, le lettere che lui scriveva loro in sua assenza.i dipinti dei bambini, mi consolo, da lontano una meraviglia, da vicino pennellate.
E poi  il giardino, il verde del salice il mattino e nelle ore in cui la luce imprime tonalità diverse. Tutti incantati a scoprire i mutamenti, la luce che si sposta, i colori che cambiano.
Me lo sono visto questo signore elegante  sempre col cappello a tese larghe, seguito da una schiera di bambini che portavano tele e attrezzi, per avere  a disposizione nelle varie  ore  la tela  da dipingere.
Facoltoso e di carattere esigente costringeva tutti familiari e amici a pranzare prima di mezzogiorno per non perdere le ore più luminose di lavoro  all’esterno.
Come lo capisco, quando sei immerso in un progetto, perdi la dimensione del tempo.
Ci spostiamo nelle sale, vediamo il giardino fotografato e poi quello dipinto.
Il verde nelle trasparenze delle foglie nel lago, le luci che cadono sulle foglie, ora più scure, ora di tonalità degradanti al verde.
Il verde e  i celesti si mescolano, appaiono i bianchi dei fiori, dei riflessi, tanti fiori.
Le grandi tele poi, immense, le scopri arretrando di qualche passo, vedi gli alberi, i glicini, il ponticello con sfondi sempre diversi a volte leggeri e nebbiosi a volte più decisi.
E la sua ultima tavolozza, nella teca con gli ultimi occhiali con una lente opaca: i colori non sono più gli stessi, una grave malattie agli occhi  impediva il riconoscimento dei colori cosi, tutto si sconvolge nelle ultime opere.
I verdi diventano rossi, bruni, gialli , sono emozionanti lo stesso, che personalità , che belle cose ci ha lasciato,  ho scoperto aspetti che non conoscevo, mi sento proprio soddisfatta, e poi, nella chiesa di San Luigi dei francesi mi sono goduto anche il Merisi con le sue tre tavole di bellezza pungente.