
(foto di Ubaldo Maurri)
Lorenzo Salsi – L’antipatico. “O come ? La ‘un m’aveva detto che la c’aveva un carico? Mah!”
” Sie… bonasera” , risposi .
” Ma lei che sa giocare a briscola?” disse.
” Poco ! ‘Un mi ricordo mai icchè passa ” bofonchiai.
” E lei quando ha imparato ?” cercai di allungare il discorso.
“Da ragazzo!” . Punto.
Uomo di pochissime parole, ma di vigorosissimo nervosismo.
Dai modi e dalle mani pareva stato, e tutt’ora forse lo era , un artigiano, un muratore o agricoltore.Lo trovai a Monteriggioni a un bar nella piazza. Giocava con altri, ma non capivo se gli fossero amici , non aveva e dava loro molta confidenza.
Mi interpellò solo perchè il “quarto” era dovuto andar via (la moglie si era chiusa fuori di casa) . A vederlo d’acchito mi ricordò P.P.Pasolini, quel magro non del poco alimentato ma del “un po’ bilioso”.
La maglia scura che portava lo faceva sembrare ancor più magro di quanto non fosse. Una testa da uccellino proporzionata al fisico.
Non vidi la fede nunziale , poteva essere come per me che non la porto per paura di farmi male sul lavoro, poteva averla persa oppure data come oro per la patria, a suo tempo, avendo indietro quel simulacro della “vera in acciaio” che dava il partito.
Poteva essere come si dice un “pinzo”.
Non traspariva niente, non ci capivo niente di lui, del suo presente, del suo passato, forse non era simpatico neppure agli altri giocatori.
S’alzò quasi di scatto . “Bona!” disse , che se mi avesse mandato a quel paese mi avrebbe fatto più piacere.
Uno degli avversari rimasti li seduti con me, sgranò gli occhi, mi guardò e muovendo il capo in direzione di Pasolini sibilò “Buco torto”.
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Mirella Calvelli LO ZIO DINO – Lo zio Dino è sempre stato un uomo semplice, sfilato e magrissimo. La pelle baciata dal sole, mani lunghe e affusolate, ingiallite fra l’indice e il medio per le numerose sigarette che aveva fumato negli anni.
Ha sempre amato il gioco del tre sette, il suo unico passatempo, rubato ad un lavoro duro, quello di ciabattino. Tante ore reclinato su se stesso, con le mani sporche di mastice ed anilina.
Il ciuffo dei capelli disturbava la visione, quando era intento al lavoro, ma appena finito abili colpi di mano, come in un fiacco flamenco, riportavano quei ciuffi ribelli all’indietro immobilizzati dalla consueta brillantina. Quindi, uscendo dalla bottega risultava composto e curato, come fosse stato dal barbiere e ricercava in quel gioco e in qualche chiacchiera con gli amici la possibilità di stirare quella lunga schiena per troppo tempo costretta a stare genuflessa.
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Germana Fantini – Nonno Germano. Avrei molte domande da fargli.
Lo sguardo vigile e nello stesso tempo austero, le mani si vedono poco ma sono mani modeste che mi riportano indietro nel tempo, non sono mani né dà impiegato, né dà pittore, né dà banconiere, ma rivedo le mani di uno scalpellino. Eh si era proprio bello e fiero, un uomo con una sola parola: quello era mio nonno Germano, con lo sguardo severo dal cipiglio austero, ma amante della musica e del buon vino. E quando sentiva la musica o il mio nome i suoi occhi si facevano vellutati, le sue guance si facevano del colore di pesca e le sue labbra aperte lasciavano vedere i denti scintillanti; e come si faceva a non andargli incontro con il rischio di cascare tutti e due? Questo era il mio nonno Germano.
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Aldo Bombaci – Lo scultore. A una prima occhiata, un po’ perché la stanza era in penombra, un po’ perché la mia vista da quella distanza è un poco sfuocata, mi parve di vedere Pier Paolo Pasolini.
Poi quando mi avvicinai a lui capii che con Pasolini c’era solo una vaga somiglianza, e notai le sue mani, nodose scarne, di quelle che avevano molto lavorato, ed ancora tanto avrebbero potuto lavorare.
Quando si mise a parlare iniziò col dire che stava aspettando un grande pezzo di marmo bianco e da quello ci avrebbe ricavato un cavallo ritto sulle zampe posteriori e la criniera al vento.
Era uno scultore, le due mani parlavano di lui, ed il suo volto scavato, pure.
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Carla Faggi – L’età degli uomini. Magro,arcigno, legnoso e spigoloso. Vecchio! Avrà sessant’anni! Così penso mentre corro verso il gruppo di amici per giocare a palla avvelenata.
Lo guardo di nuovo: un po’ maturo, fisico asciutto, doveva essere un bell’uomo da giovane, avrà cinquantanni! Così penso mentre vado a ballare la domenica pomeriggio di nascosto a mio padre.
Ancora uno sguardo: piacevole, sta perdendo i capelli, portamento atletico, l’uomo maturo è sempre interessante! Così penso mentre vado a passeggio dopo il lavoro e dopo aver ripreso i figli a scuola!
Lo guardo di nuovo: coetaneo, secco rifinito, un po’ uggioso come tutti i vecchiarelli, comunque un buon compagno di burraco!
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Rossella Gallori – Ti ho già visto? Forse, dico, forse…per non dire mah…boh…ti ho già visto, hai l’ età dei miei fratelli….ma anche tu qui? Perché? Per cosa?
Si, ecco ora ci sono, facevi canottaggio con Gianni, o no, ricordo meglio, giocavi al club Sportivo Firenze, con Goffredo…
Hai gli stessi colori, scuro di carnagione…non sarai mica un fratello che non conosco?
Sei muto, no muto no, silenzioso , guardi lontano, hai occhi profondi, sopracciglia folte….Tu sai chi sono io? Ti interessa?
Ti prendo una sedia!
Ti offro una penna!
Ti porgo un cioccolatino!
Penso che tu abbia uno zaino, ed anche pesante, dove lo hai lasciato? Sento che lo porti con te , ma non lo vedo , è sotto il tavolo o dietro la sedia? No è dentro di te!
Ti darò un nome sento che ti chiami Francesco, cioè ti voglio chiamare così, mi piace dare un nome alle cose …ma tu non sei una cosa sei una persona.
Ma ho capito chi sei, un allievo di mio padre, eri un ragazzino quando ti ho visto giocare a tamburello, allo sferisterio….
…….Ma vuoi sapere chi sono io…..?
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Vanna Bigazzi: Non è sapienza. Pier Paolo è un uomo interessante, un intellettuale, molto vissuto. Nei solchi del suo volto c’è tutta la sua storia, il superamento delle sofferenze, il raggiungimento di una stabilità tutta diversa dal concetto di stabilità comune: è un introverso carico di vita, di contenuti solo suoi, di vizi mai confessati. La sua storia lo ha distaccato dal mondo, tuttavia se ti degna del suo sguardo ti penetra nel profondo dell’anima. Le sue rare parole arrivano come inconfutabili verità, ma non è sapienza la sua è intuizione e cultura.
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Sandra Conticini: Un uomo antico. Finalmente è domenica, giorno di festa, me ne vado al bar a giocare a carte. Dopo aver lavorato tutta la settimana nei campi assolati o con il vento e il gelo mi concedo qualche ora di riposo e gioco a briscola o ventuno con quei tre o quattro amici rimasti.
Ormai gli altri se ne sono andati via dalla campagna tanti anni fa per lavorare nelle fabbriche delle grandi città.
Poi dopo diversi anni molti sentono la nostalgia e provano a tornare, ma non si sentono più a loro agio e così non stanno bene né dove sono nati ed hanno vissuto i primi anni della loro vita né in città.
Sì è vero io rispetto a loro mi sento un uomo delle caverne, ma cosa vuol dire, non cambierei mai la mia tranquillità con la loro insofferenza!!!!
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Laura Casati: LO SCONOSCIUTO. Alla festa dell’assaggio dell’olio nuovo all’Impruneta l’ho rivisto, era fra i tavoli dove veniva distribuita la bruschetta. Sono rimasta sorpresa non mi aspettavo di incontrarlo, era passato tanto tempo dall’ultima volta che ci eravamo incontrati, mi aveva detto che partiva per un lungo viaggio e non sapeva se sarebbe tornato. Mi sono chiesta, non mi ha avvertita, cosa l’ha costretto a rivedere i suoi piani? E’ tornato proprio ora, in questo periodo, in autunno quando ormai la natura si sta addormentando ed anche i ricordi della bella stagione si stanno assopendo. Nella primavera passata tutto sarebbe stato diverso, l’avrei accolto con un altro spirito. La natura che in quel periodo si stava risvegliando mi avrebbe dato una mano ad uscire dal torpore- Forse è successo qualcosa durante il viaggio, ha incontrato qualcuno che lo ha avvertito della nostalgia che sentivo dei nostri incontri, delle nostre chiacchierate, del suo sapere che riusciva a saziare le mie curiosità. Oppure anche lui ha avvertito la mancanza delle nostre conversazioni, anzi delle mie confidenze. Certo è invecchiato molto, la sua faccia si è fatta più incavata, più rugosa, chissà….Non sono pronta ad incontrarlo, ora, ormai la sua partenza la stavo accettando me ne ero fatta una ragione ne avevamo parlato spesso, come parlavamo di tutto il resto, della necessità di procedere da sola, del mondo nuovo che doveva venire al quale mi stava preparando ma poi da sola mi ero fermata. Ed ora era tornato per stimolarmi a riprendere il cammino?
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Patrizia Casati: L’uomo al bar. A prima vista mi ha messo un senso di tristezza: il suo volto incavato ,provato dagli anni forse anche dal lavoro,adesso è lì davanti ad un tavolo con amici e gioca a carte. Si sta rilassando dopo una giornata dura. La sua famiglia lo aspetta……
Ecco mi ha fatto venire in mente il babbo che ogni giorno dopo il lavoro andava al bar, ne frequentava due: alle Riffe e al Ponticino; giocava a carte con i suoi amici.
A volte con la mamma andavo in Piazza delle Cure e non c’era una volta che non mi fermassi a salutare il babbo: entravo nel bar e diritta rasentando il bancone e via… mi avvicinavo a lui o allo zio Ugo (anche lui era al tavolo del gioco).
Ecco anche il babbo aveva un viso con i segni degli anni ma i suoi occhi erano più espressivi, era contento di essere lì e passare alcune ore con gli amici.
La sera tornava a casa e raccontava..
Se andava a giocare dopo cena al rientro ci lasciava sul tavolo due cioccolate LUISA che al mattino ci davano il buongiorno.
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Chiara Bonechi: Amici al bar. Aspetto dalla mattina questo momento,”sono le quattro, sì mi muovo, di sicuro trovo qualcuno”.
E così l’uomo, ormai in pensione, si avviò verso la piazza del paese, là dove c’era il solito bar.
Era ormai primavera inoltrata, i tavolini erano stati posizionati all’aperto e a quei tavolini ogni giorno si sedevano i quattro amici per trascorrere le ore di quei pomeriggi che in casa sarebbero stati troppo noiosi.
Lo stavano aspettando, senza di lui nulla iniziava, nè un commento, nè un racconto, nè un gioco a carte.
“Stasera una briscola!” Disse con piglio deciso.
E così la partita iniziò.
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Maria Laura Tripodi: Ritratto. Quando è entrato tutti ci siamo chiesti chi fosse. Non si è presentato, ha detto solo un buona sera a labbra strette e si è seduto. Aveva l’aria annoiata di chi deve per forza assistere a un avvenimento.
Non so perché mi sono chiesta dove avesse lasciato soprabito e cappello.
Ogni tanto cambiava impercettibilmente posizione sulla sedia e dietro la sua espressione impassibile si intuiva un’attenzione particolare puntata su ciascuno di noi.
“Ecco, adesso comincia a cantare” ho pensato. Mi trasmetteva la tranquillità e l’armonia che solo la musica sa dare.
E l’ho visto. Camminava sul lungo Senna in una ventosa serata d’autunno, con le mani nelle tasche del soprabito mentre canticchiava a mezza voce una triste canzone d’amore.
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Patrizia Fusi: Attilio. Oggi è arrivato un signore di mezza età, quando sono arrivata lui era già seduto al tavolo, il suo aspetto mi ha incuriosito, ha i capelli pettinati come mio padre tutti all’indietro e stempiato, la pelle del viso segnata dal sole, le guance infossate, le labbra sottili, gli occhi piccoli con lo sguardo pungente, le sopracciglia folte, vestito di scuro.
Il suo nome è Attilio; mi è sembrato molto riservato, le cose che lo appassionano di più sono la letteratura e la poesia. Gli piace anche scrivere.
Ha un piccolo appezzamento di terra che coltiva ancora.
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Stefania Bonanni: Il pescatore. Settimo nato di undici maschi, stipati come acciughe nella stanza umida del Vomero, dove da secoli abitava la sua famiglia. Fu subito chiaro che per mangiare doveva darsi una mossa e fin da piccolo andò con i fratelli in barca, prima per aiutarli a gettare le reti, poi anche per tirarle su, sperando fossero pesanti.
E passarono i giorni, i mesi, gli anni. E si vedevano tutti, questi passaggi, sulla pelle sempre più scura e più lucida, sempre più arrostita e riarsa, come ad aver cambiato pelle. Come aver bisogno di una corteccia. Non fu una vita comoda, ma non fu neanche difficile. Non ci furono strade da cercare, scelte da fare. Era già tutto lì. La fidanzatina girava per casa, era la sorellina della moglie di un fratello, sposarsi fu normale. I figli vennero da sé. Tanti, quanti Dio volle. E la fatica cresceva, come gli anni che passavano, e da un certo punto in poi non più in maniera proporzionale. Sembrava avesse cent’anni, quando ne aveva la metà.
Il giorno che al mercato del pesce, un signore elegante lo fissò a lungo, ne fu molto infastidito.
Quando il signore tornò anche il giorno dopo e stavolta gli si fermò proprio davanti, lo apostrofò sgarbato. “Che hai da guardare? Mai visto un pescatore vecchio? ” Ma l’altro insistette, lo guardò in faccia, gli girò intorno, gli guardò le mani, poi chiese di vederlo camminare. Gennarino fece due passi, poi si girò con le mani a pugno, minaccioso. L’altro si mise a ridere. “Sono Pasolini”, disse, ” cerco qualcuno per un film. Un pescatore” “Si, di quello sono capace, si può fare”.
Passarono i mesi, il banco di Gennarino era chiuso. Il rione parlava di fortune che gli sarebbero capitate immense, la gente non vedeva l’ora di di sapere come sarebbe tornato arricchito. E passava il tempo.
Senza preavviso, vestito di nero come quelli che scrivevano poesie in Francia, una domenica pomeriggio riapparve al tavolo da gioco del bar in piazza. Senza una parola. Solo le solite bestemmie, quando non venivano le carte giuste, la solita cicca penzoloni al labbro, a sinistra, o a consumarsi in bilico sull’orlo del tavolino. Non un divo, era il solito Gennarino, quello che giocava la spuma, come premio della partita.
“Ma non facevi l’attore?” “Macché, non ero adatto. Ma lo sai cosa dovevo pescare? Io che credevo di conoscerli tutti, i pesci? Uomini, quello voleva pescassi: Uomini……Non sono stato capace…torno alle acciughe”.
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Monica Baldi: Il giocatore. L’uomo giocava. Con i compagni, al solito bar. Metteva nel gioco tutta la sua attenzione, come se tutta la fatica della sua vita già passata avesse avuto come unico scopo quello di portarlo lí, in quel momento e in quel luogo; nessun “poi”, nessun “dopo”.
Il volto asciutto, preciso, solcato, mostrava una fronte alta e spaziosa sotto la quale uno sguardo acuto, indagatore, sprigionava forza e autorevolezza. Condensava in pochi scarni tratti tutta l’essenza della sua vita.
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Ivana Acciaioli: Mio padre. Mio padre giocava a carte.
Era bravo e misurato nel gioco.
Accigliato e concentrato giocava e anche se comparivo al suo fianco a mala pena si accorgeva di me, piegava la bocca sottile in un sorriso appena accennato ed era tutto.
Io che ero piccola non capivo perché la sera doveva lasciarci sempre per andare al bar; non capivo e mi attaccavo a lui abbracciandogli le gambe per trattenerlo, ma non ricordo di averlo convinto nemmeno una volta.
La mattina sul comodino trovavo sempre un chicco , ma quella dolcezza seppure dono raro a quei tempi, non mi compensava.
Frequentavo la prima elementare di pomeriggio, allora usava così, non so se per carenza di aule o perché era ritenuto l’orario migliore per i piccoli .
Mi accompagnava il babbo perché la mamma lavorava nelle ore pomeridiane.
Raggiungevamo la scuola in bicicletta, lui sulla sua nera da passeggio e io sulla mia di terza mano lo seguivo ruota contro ruota.
Poi lo trovavo ad attendermi all’uscita, ed era un bel momento.
Un giorno, però lui non era come il solito ad aspettarmi, allora mi misi fiduciosa in attesa vicino al mio piccolo mezzo a due ruote.
Le custodi si affaccendavano pulendo le aule ed ogni tanto mi guardavano, ma nessuno si preoccupava più di tanto, non esistevano cellulari e nemmeno telefono fisso.
Ero rimasta l’unica bambina fuori dalla scuola, un po’ triste all’inizio poi sempre più infuriata, era evidente che il babbo si era dimenticato di me.
Ad un certo punto presi la decisione, sarei tornata da sola e il babbo mi avrebbe sentito!
Dimenticarsi di me , lasciarmi ad aspettare tanto tempo!
Infilai il manico della cartella nel manubrio e partii, nessuno mi fermò, nessuno cercò di capire il dramma nel quale il mio piccolo essere si dibatteva,la cartella mi sbilanciava, avevo dovuto trovare una soluzione, avevo realizzato che nessuno si sarebbe curato di me se non io stessa.
Mi diressi verso casa con un po’ di timore ricordandomi le parole del babbo:
-Devi sempre stare a destra .
Per mia fortuna avevo abbastanza sale in zucca da sapere quale fosse la destra e ricordare la strada di casa, ma giunta a destinazione non trovai nessuno, il mio piccole essere fremeva di collera..ero stata dimenticata..abbandonata.
Realizzai che il babbo era sicuramente al bar a giocare a carte, solo la sua grande passione poteva averlo distratto da me, infatti era seduto al tavolino con altre tre persone e , super concentrato con le carte in mano, girò appena la testa verso di me, mentre le sue dita continuarono scorrere le carte.
-Ma babbo non sei venuto a prendermi!Sono tornata in bicicletta da sola!
-Brava! Da ora in poi lo farai ogni giorno.
Odiai lui e le carte.
Perché dovevo crescere così in fretta?
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Gabriella Crisafulli: Un amico. Eccolo pronto per la partita a briscola. Quanti prosciutti e salami vinti nei tornei di carte delle varie Case del Popolo! Vi ci sfamavate, tu e la Paola. Gli occhi di un azzurro trasparente, magnetici, balenavano di un sorriso monello mentre la voce tuonava. È stato un incontro fulminante che ci ha trascinati in avventure estreme. Come quando a Saint Floran, sotto una tempesta notturna con diluvio, mentre il vento portava via la tenda, la piccola chiese “Papà, affondiamo?” Finimmo tutti insieme nella sua canadese che resisteva alle intemperie.
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Lorenza: Il poeta solitario. Quando ho visto la lontano la persona fotografata ho pensato che quell’immagine avrebbe potuto essere quella di un poeta.
Il volto dai tratti scolpiti, come tagliati con l’accetta, scavati dalla sofferta ricerca delle parole adatte ad esprimere pensieri e profonde riflessioni che riguardavano il sé o il mondo intero. I capelli radi sulla fronte come se la mano a forza di passare e ripassare li avessi tolti uno a uno lasciando i versi che cercava con ansia mai sopita.
Invece guardando meglio da vicino ho visto che tra le mani teneva delle carte da gioco. La bocca era aperta e sdegnosa, il cipiglio alzato. Allora mi è stato chiaro che era un giocatore, impegnato a vincere una partita che sembrava persa a causa delle carta giusta che non entrava o della mossa sbagliata del compagno di gioco. Ebbè certe volte è meglio non vedere da vicino le persone. E comunque a un giocatore incazzato io preferisco il poeta solitario seppure spelacchiato.
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Roberta Morandi: LUI. La vita a volte è dura, non crudele, ma dura: una vita che ti scolpisce il viso e non ti toglie più quella espressione. Quella ruga lì che scende dall’angolo destro del labbro superiore, e dice quanto la tua sofferenza passata ha inciso anche il tuo cuore.
Una ruga che ancora (help) sorride e quando lo fa riempie il cuore di aspettative…
Asciutto e severo nel tuo vestito della festa, del mio matrimonio, sembri un vero signore, elegante e austero quale sei sempre stato.
Lo stesso vestito di quel giorno radioso, con quella tua ruga che a tratti sorrideva, bagnata di una lacrima felice, quel vestito ancora nuovo lo hai indossato per l’ultima volta solo un anno dopo. Lo stesso abito, la stessa ruga, ora immobile ad abbozzare un finto sorriso, non tuo: ti hanno ricomposto togliendo la sofferenza dell’infarto.
Avevi 60 anni, solo 35 anni prima, in un altro abito, con al collo il fazzoletto rosso della brigata Sinigallia, e la tua solita espressione con quella ruga che non sapeva che direzione prendere, quando trovandoti davanti i tedeschi hai deciso di buttarti lungo i balzi del Lonchio e ti sei salvato. Poi sono nata io…poi ancora tuo nipote e te ne sei andato in silenzio, serio e composto, lasciando un mondo in sospeso: domande, attese, risposte che altri hanno elaborato per te. Tutte quelle storie che ……..prima ero troppo piccola, poi troppo presa dai giochi e poi dagli amori, dagli studi, dal lavoro…e ora è troppo tardi.
Quante domande ora farei a quella ruga lì che un po’ ride e un po’ no, che mi dice di stare attenta a salire sugli alberi, di non aver paura a prendere in mano le cavallette e le lucertole, di guardare sempre avanti, verso sud ovest dove il cielo si tinge di rosso e il vento ti fa strada.
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Tina Conti: Seduto al circolo – Mi sarebbe piaciuto tanto e ancor oggi credo di cercare il posto dove ritrovarsi senza tante formalità e strutture, parlare, ascoltare, confrontare pensieri e banalità, ritrovare spensieratezza e gioco
Appena sposata e lasciato il mio “il posto delle fragole ” (e Dio sa quanto ho cercato casa nelle vicinanze), dove io, la “contessina” (e non per alterigia ma per il mio cognome), imparavo a ricamare e da dove osservavo il mondo, crescevo e apprezzavo le persone. E avevo un tempo leggero.
Fu quella donnina piccola e gentile che in estate arrivava con la sua seggiola e con tutti quei fili colorati a insegnarmi. Il Punto Palestrina, poi gli sfilati, mi regalava i colori e l’allegria, la voglia di imparare e muovere le mani. Per le donne quello era il nostro tempo magico:
Si ritrovavano in primavera e in estate sotto i platani, vicino al pallaio dove gli uomini facevano sentire il rumore delle bocce e i commenti alle giocate, senza un appuntamento, a piacere. Oggi c’era l’Elvira, la Marisa, mancava la Clara, era dalla suocera, la mia mamma veniva poco , e io preferivo così perché ero curiosa di capire le altre donne, i loro discorsi, le loro storie e i segreti della vita.
Quasi tutte lavoravano con le mani, con il caldo estivo ci si ritrovava anche a frescheggiare. Si diceva “a veglia”, dopocena.
Dopo non ho trovato molto; ho dovuto continuare con caparbietà a cercare.
Dalla strada anonima dove sono andata ad abitare dove tutti stavano nel proprio giardino, alla casa nella nuova zona urbanizzata, dove i progettisti non avevano creato un posto che aiutasse la donne a socializzare, fino a oggi dove ho il posto delle fragole diffuso. Non è lo stesso ma quasi, e io mi ci ritrovo.
Gli uomini invece trovano più occasioni per incontrarsi.
Nella foto, Gustavo vive intensamente il suo tempo fuori casa, il circolo, le carte, ogni giorno con qualunque tempo. Gustavo esprime nel suo volto concentrazione, impegno.
Ha scolpito nei tratti la fatica della vita, ma ora il tempo è suo, gode nel giocare una carta vincente.