Le paure streghe di Gabriella

Aggrapparsi – di Gabriella Crisafulli

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Dopo il dolore arrivano le rabbie.

Si schierano sulla scacchiera e si muovono incuranti delle paure bambine che rimangono nude, rintanate in nascondigli misteriosi.

Per fare scacco al re vanno abbracciate, cullate, ninnate e poi esibite come meduse che pietrificano.

Le paure narrano chi eri e come sei diventata.

Le paure sono la forza per aggrapparsi al niente che rimane.

Le paure sono le streghe che danzano nel bosco: evocano il mistero di un futuro in attesa.

I nascondigli segreti della paura di Carmela

Catene di seta – di Carmela De Pilla

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Non voleva guardarsi dentro, sapeva che troppe strade tortuose lo attraversavano, catene di seta invisibili avvolgevano le sue paure che  lui custodiva con cura, sapeva che nascondigli misteriosi celavano verità sconosciute.

Quelle catene di seta stringevano fino a soffocarlo, voleva urlare la sua rabbia, ma rimaneva muto e l’inquietudine lo avvolgeva sempre di più.

Non voleva guardarsi dentro, togliere il velo poteva essere pericoloso, cosa avrebbe trovato sotto?

Silenzio, troppo silenzio.

Voleva aggrapparsi ai sogni, ma erano fragili per sostenerlo e cadeva ingoiato da paure misteriose.

Non voleva guardarsi dentro, troppa paura di verità ignote eppure quelle stesse paure gli tenevano compagnia, lo cullavano e in attesa che il sole sorgesse ancora guardava la luna.

La paura domata dal coraggio di Daniele

Il dolore si piange, la rabbia si urla, la paura si aggrappa.

Il coraggio di avere paura – di Daniele Violi

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Il coraggio che mi perseguita, aggrappandosi con il desiderio di riuscire a domare la paura, può anche talvolta piangere per il dolore che avverto salire dalla realtà impregnata di rabbia; la mia di rabbia, che trasformo in pensieri, poi in parole, concetti, frasi e dolcezza di armonia con la realtà stessa. Allora capisco che ho anche il coraggio di non aver paura. La mia méta auspicata è raggiunta.

Paura del futuro di Elisabetta

ELVIRA PENSA AL DOMANI – di Elisabetta Brunelleschi

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L’appuntamento era alle 11.30 in via dei Broccanti 25, terzo piano, studio Cartini. Elvira era stata categorica, non potevano ritardare. Uscì con passo incerto, alle dieci in punto, e insieme a lei c’era Fioretta che le porgeva il bastone e la sorreggeva quando doveva alzarsi e muoversi.

  • Non puoi star sola, se cadi?-
  • Se non vuoi andare in una RSA , pensaci…-
  • Signora lei deve iniziare a proteggersi, quella casa cosi’ grande. –
  • Noi potremmo aiutarla, cercarle qualcuno di fiducia.-
    Da quando aveva festeggiato i 92 anni era questo il ritornello, quasi giornaliero, ripetuto da pronipoti, consulenti, amici della parrocchia, volontari della Caritas che salivano a portarle i pasti. Tutti volevano convincerla ad accettare una badante.
    Si decise una mattina di estate, con il caldo opprimente che le toglieva respiro e forze. Si era alzata con l’intenzione di andare il bagno ma non ce la fece, le gambe non la reggevano e per non cadere si dovette appoggiare al bordo del materasso.
    E rimase lì, immobile per dieci, venti, trenta minuti, finché molto lentamente riuscì a rimettersi in piedi e muovere i piedi.
    Si allora spostò tra il bagno e la cucina, poi sfinita e ansante andò a sedersi, anzi sprofondarsi, in una delle poltrone del salotto. Il petto le tremava, la fronte stillava di sudore mentre intorno a lei girava la sua grande casa, ricca, sontuosa ma completamente sola.
    Fu allora, che di scatto, allungò la mano verso il tavolino, prese il telefono e digitò il numero della Caritas. Rispose Vilfredo, uno dei volontari di turno, che subito la riconobbe e capì.
    Fu così che dopo pochi giorni nella grande casa entrò Fioretta, una giovane rumena, dal corpo robusto e il volto chiaro e sorridente. Elvira l’accolse con freddezza, dentro di sé si era già pentita di quella telefonata. Ma in cuor suo sapeva che la badante era l’unica scelta che poteva salvarla dal ricovero in una RSA, doveva rassegnarsi. E poi avrebbe saputo lei come come tener d’occhio quella donna!
    Iniziò così un periodo di convivenza fatto di osservazioni, spiegazioni, domande, pretese, richieste. Fioretta, esperta del mestiere, che svolgeva da più di dieci anni, la lasciava fare, si dimostrava obbediente, e andava avanti per la sua strada convinta che anche Elvira, come tutte le altre, l’avrebbe alla fine accettata.
    Ma Elvira non dava cenni di aperture, la sua libertà finiva; i suoi gesti, le sue azioni dipendevano sempre più dai servizi di quella straniera.
    Ogni sera al ritorno dalla passeggiata nel parco sentiva che l’ombra stava per calare su tutti i suoi averi: nulla si porta dietro, tutto resta. Da tempo si era chiesta chi dopo di lei sarebbe penetrato in quelle stanze ormai polverose, immaginando persone intente osservare i quadri, rovistare tra i cassetti in cerca dei suoi tesori ma alla fine ad ognuna aveva dato un volto.
    Mancava solo l’ultimo atto.
    Il taxi

La paura uragano di Anna

Paura che si aggrappa – di Anna Meli

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Il dolore si piange, la rabbia si urla, la paura si aggrappa.

            In vita sua non aveva mai provato grandi paure, semmai erano legate a manifestazioni improvvise che, una volta scoperte si risolvevano spesso in una risata, trattandosi solo di impressioni.

            Arrivò purtroppo, un bruttissimo giorno in cui la paura si aggiunse a rabbia e dolore, in un’esplosione tremenda.

            Mezzanotte circa: nella casa il silenzio accompagna un sonno tranquillo, quando all’improvviso lo squillo del telefono interrompe il tutto. Timore, angoscia, paura? E’ tardi, forse qualcuno ha sbagliato, succede!

            Corre al telefono, alza la cornetta e la tremenda notizia la colpisce con la violenza di un uragano. L’incredulità iniziale si trasforma in un urlo prolungato, disumano come l’ululato di un lupo e il dolore, la rabbia, la paura si fondono insieme lasciandola senza fiato. Respira profondamente anche perché non sa come comunicare la cosa agli altri che si sono svegliati. Paura, paura, di non sapere a chi aggrapparsi per trovare la forza di dare conforto e forza a chi ne avrebbe avuto più bisogno di lei.

La paura che si aggrappa di Stefania

L’ uomo porta dentro di sé le sue paure – di Stefania Bonanni

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Ho nascondigli introvabili. Mi sento al sicuro se penso di averle nascoste così bene, le mie paure. E così e’ sempre stato, fin da bambina. Ho sempre avuto la percezione e la presunzione di riuscire in un esercizio possibile, anche se difficile e doloroso. Si, perché quando pensi di schiacciare la paura dietro al vivere quotidiano, non ti rendi conto, o forse ti rendi conto perfettamente ma non riesci a fare in altro modo, che non solo hai infilato la paura in fondo ai tuoi canali, in luoghi dai quali non uscirà, ma hai anche costretto tranquillo quotidiano ad assumere un ruolo che diventa fasullo, forzato, invivibile.

Poi, nella vita, capita di piangere dal dolore, di urlare dalla rabbia, capita di vivere realtà così terribili che nessuna paura immaginata arrivava a tanto. Capita anche che pensieri scuri e solitari si trasformino in realtà terribili.

Ci sono anche superstizioni, piccole magie, che sortono l’ unico risultato di vivere le paure in silenzio e solitudine. Per esempio, per l’ appunto, la convinzione che è bene non parlarne, caso mai diventassero reali.

Adesso ho paura del futuro, del peso che potrei essere per la mia famiglia, ed è una contraddizione in termini, perché voglio ostinatamente diventare vecchissima, AGGRAPPATA..

Le paure giovani di Stefano

Le paure giovani – di Stefano Maurri

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  L’amore dei giovani riempiva la città sulle strade, dentro gli androni, su per le scale umide, dentro gli appartamenti pieni di libri con le lenzuola stazzonate. Le loro paure ansimavano dentro i cuori: sarebbero riusciti a dare gli esami dell’anno in corso, sarebbero riusciti a dare un senso ai loro sacrifici, a questo essere precari? L’amore e le paure si scioglievano nei ristoranti economici, dove era quasi impossibile mangiare da soli, nelle corse  per le strade per vedere l’ultimo spettacolo al Cinema Astro. Proiettavano per l’ennesima volta Zabriskie Point e Fragole e sangue, con la sala che applaudiva o fischiava le scene clou. Queste paure e ansie non più bambine ma sempre più forti venivano taciute, ma ritornavano a farsi largo sempre più spesso, con il passare del tempo.

E qualcuno ci ha lasciato, gli altri si stanno sciogliendo.

Paure bambine di Rossella G.

Paure che crescono – di Rossella Gallori

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Era una bimba buona, ci vedeva il giusto, guardava poco, non si faceva pettinare, quasi mai e da chi poi?

Mangiava quello che le davano, anche se non era abbastanza.

Giocava a nulla con nessuno, accarezzava immense giraffe di finta pelliccia,  piccoli criceti di cencio infeltrito, diceva bugie, inventava storie, raccontava di parenti altissimi, ricchissimi preferibilmente atei ed inesistenti.

Crebbe, ma si dice crebbe?

Bene: diventò  grande, a volte troppo a volte poco…e fu nella sua adolescenza  che si fecero avanti le sue paure, le fisime, le ubbie grigie, i silenzi che gridavano di rabbia, il dolore di sale, le ansie di fiele.

Odiava il giallo

I ponti sui fiumi larghi

I pesci con gli occhi

Ma amava, si sapeva amare in un modo complicato, tutto suo, cercava conforto in chi le sorrideva senza miele, chi la accarezzava senza mani, chi le portava la marmellata di arance amare, chi le dava mare senza tempesta, neve senza freddo.

Poi l’amore si interrompeva, veniva accantonato, la matassa presentava nuovi nodi: detestava i silenzi troppo lunghi

L’istruzione sul piedistallo

I viaggi senza souvenir belli da leccare.

Paure tante, le mie, ancore sicure, quelle che han fatto di me qualcosa di poco definito, forse, una me che sceglie, scarta, resta sola, senza ponti sospesi, senza abiti gialli, senza pesci…o erano piccioni sempre con gli occhi, occhi nascosti piccoli e pungenti, nascosti da una porta  aperta…segreta…

La paura bambina di Rossella B.

Le paure semplici – di Rossella Bonechi

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“L’ UOMO PORTA DENTRO DI SÉ LE SUE PAURE BAMBINE PER TUTTA LA VITA….”

Le mie paure bambine erano semplici viste oggi, ma solo perché abitavano una piccola testolina. Alcune di sicuro sono cresciute con me, si sono trasformate rimandandomi però le stesse emozioni: c’è differenza tra la paura bambina che nessuno ti venga a prendere a scuola e la paura adulta dell’abbandono di chi ami? La paura che la Befana ti abbia portato solo carbone perché sei stata cattiva è la stessa di non credersi all’altezza di quello che si chiede a me adulta.

Ce ne sono sicuramente altre che il passare degli anni non è riuscito ad esorcizzare ed è vero che hanno misteriosi nascondigli da cui saltare fuori all’improvviso come quei pagliacci a molla che escono dalle scatoline, basta poco per ritrovartele davanti.  Magari è una paura sola che ha tanti travestimenti da usare alla bisogna: la  Paura di non essere all’altezza di questa vita che mi ritrovo a percorrete.

“Il dolore si piange” di Lucia

Pianto senza lacrime – di Lucia Bettoni

foto di Lucia Bettoni

Non riuscivo a piangere
Nemmeno una lacrima scendeva dai miei occhi
Io che piangevo sempre
Io che piangevo per niente
Non riuscivo a piangere
Come può una bambina non piangere la morte della mamma?
Cosa penseranno tutte queste persone che entrano ed escono dalla mia casa?
Non ho mai visto tante persone
Di solito non c’è mai nessuno in questa casa ai margini del bosco
Di solito sono sempre sola, ma oggi sembra che tutti siano qui
Una giovane donna se n’è andata
Una giovane donna se n’è andata e ha lasciato qui una bambina,
ma la bambina non piange
Nascosta in un angolo pensavo:
devo far scendere le lacrime
Come fare?
Proverò a pensare a quello che non avrò più:
Chi mi farà le trecce?
Chi mi cucirà i vestitini?
Chi mi preparerà per andare a scuola?
Chi mi cucinerà le cose buone?
Nessuno
Non ci sarà più nessuno per me
Ma neppure una lacrima scendeva dai miei occhi
Neppure una!
Lei mi aveva fatto soffrire
Lei da viva mi era mancata ogni attimo
Lei era sempre lontana in un mondo suo e irraggiungibile
Adesso ero libera
Di libertà non si piange
Per tutta la vita ho pensato a quelle lacrime non versate

Un pianto senza lacrime mi accompagna da sempre



La paura che diventa piuma di Nadia

Grovigli di paure – di Nadia Peruzzi

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Era sempre in lotta con sé stessa. Si sentiva insicura. Non all’altezza. Per questo era una sgobbona da sabati e domeniche comprese.  La ricerca del perfezionismo, a volte, una prigione e senza fili dorati . Nel confronto con gli altri perdeva sempre punti, o così almeno le sembrava.  Aggrappata alle sue paure, cercava con artigli invisibili di lacerarle una ad una. A volte ce la faceva, più spesso no.  Ci è voluto tempo per far pace con sé stessa.  Era stata una arrampicata su una parete verticale. A mani nude, ma con cuore pieno di passione e di tenacia.  Uno scalino alla volta.  Durante la militanza politica piano piano aveva imparato a parlare “a braccio” e a non scrivere interventi che in lettura diventavano difficili da seguire e pure noiosi per chi ascoltava.  I compitini a casa, aveva capito poi,   limitavano pure l’ascolto degli altri, e questo non era mai un bene.  Uno scalino alla volta anche nella vita normale, nel lavoro dopo lo studio.  A volte affrontato con passo deciso a volte più affaticato e stanco o con quintali di dolore sulla schiena .  Ci erano voluti quasi 60 anni per accorgersi che accettarsi come era non era affatto una cattiva soluzione.  I punti che pensava di aver perso, riconquistati tutti.  Saldo zero. Pacchetto completo di pregi e difetti e chi se ne importa delle indulgenze altrui.  La partita a carte con la vita, non sempre facile, l’aveva fortificata. Era un dato di fatto. Dolori taglienti arrivavano a togliere il fiato quando meno se lo aspettava.  Il pacchetto completo, anche se avvolto in carta luminescente, prevedeva anche quelli.  Anche per questo, il confronto con gli altri e la misura con gli altri, la ricerca della perfezione li aveva ricollocati al posto giusto. Il cassetto delle chiavi di riserva, dei biglietti che sembrano importanti in un momento per scoprirli banali in un altro, dei nastri dei regali di natale che non si buttano via pensando di poterli usare di nuovo, ma poi lì restano come variopinti intrichi di futilità.  Da quel punto di osservazione quello che provava,  si accorse, che non pesava più come un macigno, ma era diventato leggero, non come una piuma, ma ci si avvicinava.  Era quel che era. E andava bene così!

Un passo di libertà dalla paura di Luca

Libertà – di Luca Miraglia

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Il dolore si piange, la rabbia si urla, la paura si aggrappa.

….arrivare a non avere più paura, questa è la meta ultima dell’uomo.  (Italo Calvino)

Perché dovrebbe esistere una meta ultima?

E perché la sua direzione dovrebbe essere costellata di paure?

Chi non combatte con la propria memoria dolente che sia bambina, adolescente o adulta?

Mi batto volentieri per un presente affrancato dal pianto, dalle urla e dalle paure mie e di chi amo, senza nasconderle ma cercando di farne scrigni di comprensione.

Forse, ma solo forse, sta qui un passo di vera libertà.

La paura che si aggrappa di Carla

“Il dolore si piange. La rabbia si urla. La paura si aggrappa” (Anonimo)

Aggrapparsi – di Carla Faggi

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Aggrapparsi: grattarsi, toccarsi, intrecciarsi, avvilupparsi, in poche parole amarsi con carattere.

Ci sto provando ma non riesco a pensare alla parola aggrapparsi associandola alla paura o al possesso.

Ho provato a pensare all’edera che aggrappandosi all’albero finisce per strozzarlo e farlo seccare; ma anche all’edera che aggrappandosi ad una rete di recinzione la trasforma in una splendida siepe.

Mi viene meglio associare aggrapparsi alla vita, aggrapparsi al sole, a qualcuno che ti ami, ad un ricordo piacevole.

Penso quindi alla prima parola che ho scritto: “Grattarsi”.

“Grattami la schiena, si costì…proprio costì…oh che bello, ora un po’ più in là…ancora un po’, non smettere!”. Non c’è cosa più bella che aggrapparsi al piacere, allo stare bene. Non pensare al dolore, alla paura. Noi nasciamo con il dolore e la paura. Il primo respiro è dolore. Quando la madre ti stacca dal seno è paura. Quando ti svegli e sei solo è abbandono.

Ma poi ti aggrappi alla vita ed i respiri diventano tanti e gioiosi. Ti allontani dalla poppa perché sei sazio. Ti svegli, sei solo, ma poi qualcuno arriva sempre.

Quindi aggrappiamoci ai nostri piaceri, a quello che c’è ora, conta solo quello.

Rumore di passi per Patrizia

Rumore di tacchi – di Patrizia Fusi

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Il ticchettio dei tacchi  sul pavimento per me è un suono di gioventù, ricordo quando anche io  camminavo così.

Questo rumore l’ho rivissuto un pomeriggio in una struttura dove ero  ricoverata in convalescenza.

Ero nella sala della TV con una mia amica, era una giornata luminosa, il sole entrava dalle grandi vetrate e illuminava tutto, ad un tratto abbiamo sentito in lontananza rumore di tacchi nel corridoio  a lato della sala e è apparsa una bella ragazza, alta con dei capelli mori lunghi ,vestita alla moda con scarpe con i tacchi spessi ma alti, è passata con atteggiamento fiero conscia della sua bellezza e  femminilità.

Rumori di passi di Gabriella

Nessuna via di uscita – di Gabriella Crisafulli

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Era senza vie d’uscita ma non aveva nessuna voglia di rimanere prigioniera.

Aprì la finestra, scavalcò il muretto: si ritrovò sulle scale di sicurezza. Cominciò a scendere. Si sentivano risuonare i suoi passi determinati sugli scalini di metallo. Si sentiva il respiro un po’ affannato e il soffio di un vento di libertà. Aveva lasciato lassù la folla dei personaggi vaganti e le loro guerre intestine.

Saliva e scale e le veniva incontro un uomo con un piccolo mazzo di fiori.

Le disse “Auguri” “Buona vita” mentre glielo porgeva gentile.

Sorrise e rispose “Grazie”.

Arrivata sul marciapiede si diresse verso il lungomare: c’era la battigia che l’aspettava.

Rumore di passi di Daniele

Passi a scuola – di Daniele Violi

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Passi di un paio di scarpe con tacchi bassi e larghi; scarpe che sono calzate da una Donna mentre percorre un corridoio.

Una bidella, che chiamo Gigliola, che in un corridoio ampio con finestre al primo piano di una scuola elementare, lungo il corridoio, cammina soffermandosi a raccogliere cappelli e cappellini caduti sul pavimento dagli attaccapanni disposti alla parete del corridoio prospiciente le varie aule. Il passo di una persona matura e gentile che dedica il tempo del e nel suo lavoro alla accortezza di voler accudire, con questo gesto materno di grande piacere e dare un contributo alla vita delle altre e degli altri. Rumore positivo.

Rumore di passi di Sandra

Passi nel corridoio – di Sandra Conticini

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Camminava in quel corridoio con in mano delle cartelline tutte uguali, dove c’era scritto il futuro di tutti loro. Purtroppo non era sempre troppo roseo.

La sera  tardi si metteva alla  scrivania per aggiornare le schede. L’ambiente a quell’ora era silenzioso, solo ogni tanto suonava qualche campanello e lei subito si alzava per andare a dare un aiuto a chi aveva bisogno. In quel silenzio si sentiva solo il rumore dei suoi  passi svelti che, nonostante quei tacchi bassi, rimbombavano in quell’ambiente troppo grande. A qualcuno facevano compagnia, ad altri davano un bel fastidio, ma ad ognuno di loro, in quello stato di fragilità e solitudine, vederla era un sollievo. Aveva sempre una parola gentile o una frase scherzosa che riusciva a far allontanare paura e tristezza.

Rumore di passi di Carmela

Canzone stonata – di Carmela De Pilla

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Era seduto in mezzo alla stanza buia, la sedia gelida e troppo rigida

lo obbligava ad assumere posizioni scomode che nutrivano ancora di più il suo malessere, fissava la porta, troppo grande per quella stanza così piccola, ormai vecchia e scortecciata come il suo corpo che da qualche tempo non gli apparteneva più.

Oltre quel silenzio si sentivano rumori indecifrabili che si rincorrevano lungo il corridoio, picchiettavano sul marmo gelido a ritmo disordinato e scandivano il tempo.

Un tempo lontano o presente? Chissà, sentiva però che era un tempo impietoso che l’aveva costretto ad assistere a una vita senza vita e ora ancora troppo giovane per ritenersi vecchio ascoltava  i battiti del cuore che si rincorrevano affannosamente come  note stonate.

I capelli come fili di zucchero avvolgevano e proteggevano i suoi pensieri, pensieri confusi, sconclusionati a cui nemmeno lui sapeva dare un senso.

Aveva tappezzato le pareti di specchi nella speranza di poterli vedere quei pensieri, di poterli toccare per capirne l’essenza invece ne rimaneva turbato, minacciato eppure li cercava quei pensieri appuntiti che rimbombavano in testa come sassi vaganti.

Era ancora un ragazzo e già percepiva di vivere in un tempo e in un luogo sbagliato, si sentiva parte di uno spazio immenso dove tutto può accadere senza un come e un perché e ciò che per lui era normale creava sconcerto negli altri.

Era considerato da tutti il più intelligente dei tre figli, mostrava ingegno e attitudine in tutto ciò che faceva eppure non trovava mai la strada giusta da percorrere, si perdeva continuamente nell’immenso mare dei suoi pensieri.

I contrasti con il padre che lo avrebbe  voluto un ragazzo come tutti gli altri diventavano sempre più insostenibili e fra i due si creò un muro invalicabile.

-Sei un buono a nulla! Che te ne fai della tua intelligenza se poi non sai metterla a frutto? Non combinerai mai nulla nella vita!

Per lunghi anni si sentì dire queste parole ed era così sconfortato che incominciò a crederci anche lui, sembrava che facesse di tutto per dargli ragione e ogni volta erano litigi furiosi.

Chi aveva ragione? Il padre che pretendeva di più o lui che non poteva dare di più?

Quei rumori che si rincorrevano e picchiettavano sul marmo gelido lo accompagnavano per tutto il giorno e ogni tanto si sedeva in mezzo alla stanza buia per ascoltare la canzone stonata del suo cuore.