I tre Personaggi si incontrano: la bambina roccia di Lucia

Attesa sulla panchina – di Lucia Bettoni

foto e disegno di Lucia Bettoni

Non era Place Vendome
Era Place de Vosges
le panchine erano proprio quelle e proprio su una di quelle panchine lei attese
Attese tutte le stagioni e poi ancora e ancora
Lei era forte come la roccia
determinata e inamovibile
Si era fortificata piano piano
Piano piano da bambina lupa, da bambina albero, da bambina invisibile era sopravvissuta ed era  diventata roccia
Era diventata così forte che seppe attendere sotto la pioggia, il sole e il vento
Ferma ,immobile, quasi congelata
Gli uccelli si posavano sulla sua testa e le sue spalle, beccavano sopra i suoi piedi e le arruffavano i capelli
Lei rimase ferma, neppure un piccolo gesto
Sembrava una statua
Era chiaro però che fosse una donna in attesa
Un giorno un rumore inconsueto interruppe la normale scansione del tempo
Un uomo con un sacco lungo e stretto stava passando sotto i portici della piazza
Dentro il sacco qualcosa di metallico batteva sulle pietre della strada, batteva sulle colonne, contro i tavoli e le sedie dei caffè
Il sacco batteva ovunque scandendo la sua presenza ma soprattutto la presenza di chi lo trascinava
Lui conservava tutto e tutto trascinava dietro di sé
Lei fece il suo primo movimento dopo tutte le stagioni, tutte le piogge e tutti i soli
Giro’ la testa come una marionetta, solo un piccolo movimento mentre tutto il corpo rimaneva immobile
Era lui che aspettava?
Fu sufficiente un attimo e lei tornò di pietra, immobile, ferma
congelata
Perché l’attesa congela e fortifica
Non era lui
Passarono ancora i giorni e le notti e ancora giorni e ancora le  notti fino a quando un vento che profumava di terra avvolse la piazza, alzo’ le foglie e le vesti
mescolo’ in un vortice tutto ciò che incontrava
Lei apri’ le braccia
annuso’ bene l’aria
Era lui con le mani solcate di terra

Incontro del 27 novembre 2025: I personaggi creati una volta ritornano in nuove storie

Personaggio 1

Aveva la mania di conservare tutto Luigi, non era bello, il naso largo e un po’ schiacciato stonava con il viso lungo e spigoloso e gli occhi neri si perdevano quasi da quanto erano piccoli.

L’unica nota piacente era il sorriso sincero, dolce e un po’ malinconico che lo portava a diventare amico di tutti, sapeva di essere brutto e questo difetto aveva accentuato in lui una simpatia che tutti apprezzavano. (Carmela)

Personaggio 2

E’ nata in un paese del Sud, uno di quelli in cui tutti conoscono tutti. La più piccola di 5 fratelli, tutti molto più grandi di lei.

Ha dovuto fare a pugni con la vita, fino da piccola, per farsi considerare. Si sentiva, ed era, invisibile. Né bella, né brutta. Né grassa, né magra, era di un normale che tendeva all’insignificante.

Capelli ricci, grossi e castani, di quelli che non si domano nemmeno a cannonate. Doveva inventarsi ogni giorno nuovi sistemi per tenerli a bada. Di tagliarli non se ne parlava. L’unica volta che l’aveva fatto, per insistenza di sua madre, si era ritrovata con un palloncino setoso in testa, una via di mezzo fra il casco di un palombaro e quello di un astronauta. (Nadia)

Personaggio 3

Alto quel tanto che non è troppo

Un viso ossuto dalla carnagione di un oro bronzeo, frutto di un sole buono…quasi lontano.

Le labbra imbronciate, semichiuse.

Un filo di barba un po’ voluta, un po’ cialtrona.

Mani grandi, segnate qua e la da graffi vecchi, piccoli segni bluastri sulle falangi, le unghie, solo anonime falci mangiate dalla terra.

Sorrideva!! Sorrideva?…  al suo arrivo il sole per primo abbassò la guardia,  su una sensazione….di freddo…(Rossella G.)

Lettera a Cecilia di Carmela: vado a Napoli

Lettera a Cecilia – di Carmela De Pilla

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Carissima Cecilia,

sono sul treno che mi porta a una delle città che amo di più, mi sarebbe piaciuto andarci con te, ma ti racconterò tutto al mio ritorno, magari mentre si sorseggia una buona tisana.

Non so di preciso cosa mi attrae, di sicuro sento un forte legame e quando penso a una città penso a lei, i  colori, l’antico sfarzo, il caos, il vociare delle donne, gli abbracci, la pizza, tutto mi attrae e mi lascio incantare.

Qualche giorno fa  passando nei pressi della stazione di S. Maria Novella ho sentito quel richiamo e senza pensarci troppo ho comprato il biglietto ed eccomi qui su un treno un po’ anonimo a dire il vero, uno di quei treni moderni con un unico scompartimento che non invita certamente alla conversazione, tutti con gli occhi bassi rivolti verso il computer, il tablet o il cellulare, soli con i propri pensieri.

Come rimpiango, cara Cecilia, gli scompartimenti di quei treni forse un po’ troppo vecchi e a volte maleodoranti, ma tanto accoglienti che ci portavano a raccontarci, si chiudeva la porta scorrevole e in un attimo tutto diventava più intimo , come vecchi amici ognuno raccontava un pezzetto della propria storia.

Manca forse mezz’ora all’arrivo e mi sento già piena delle tante bellezze che andrò a vedere, ci sono stata più di una volta, ma il desiderio di rivederla mi rende sempre felice.

Assaporo già il piacere di essere lì, un piacere che a volte stordisce per le forti contraddizioni insite nella sua stessa natura e tutto accade tra il bello e il fatiscente, tra la commedia e la tragedia, tra il forte senso di appartenenza e l’abbandono.

E che dire della bella signora incontrata l’ultima volta?

Ero entrata nel negozietto per comprare un paio di orecchini e in breve tempo ci siamo ritrovate tra una chiacchiera e l’altra a sorseggiare un caffè appena uscito dalla moka.

Ecco, intravedo il cartello, NAPOLI, tra poco affonderò le mie radici nelle sue e mi lascerò incantare dal mistero del Cristo velato, il velo trasparente e leggero appena appoggiato sul corpo lascia intravedere la sua profonda sofferenza e ti senti coinvolto, mi lascerò incantare dalla magnificenza del teatro S. Carlo, dalla geometria impeccabile di Piazza Plebiscito, dalle infinite scalinate affollate di donne, di bambini, di panni tesi e verrò rapita dalle voci, dai sorrisi, dalle canzoni, dalle  statuine, dai presepi che  Spaccanapoli mette in bella mostra, orgogliosa di esibire i suoi tesori.

Sono sicura, Cecilia che piacerebbe anche a te immergerti in questa armonia caotica, nella speranza di fare il prossimo viaggio con te ti mando un bacio.

Lettera a Cecilia di Gabriella: vado a Salerno

Evasione – di Gabriella Crisafulli

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Cara Cecilia

Ti scrivo mentre sono in viaggio: sto andando a Salerno.

Mi ha intrigato un progetto di soggiorno all’Hotel “Il Faro” per partecipare ad una settimana di incontri in cui il tema centrale è il gioco.

La proposta era quella di prendere parte a tornei di bolle di sapone, di lancio di desideri, di sfide all’ultimo tarallo, di fuga dalle ragnatele di corde, di partite a tappi, di balli con ombrelli colorati, di chiacchiere d’uccelli, di risate fino alle lacrime, di sfilate di armi improbabili, di concerti di pentole e coperchi, …

Il progetto è stato per me davvero attraente: abbinare l’aspetto ludico al poter rivedere ancora una volta il castello Arechi che regala indimenticabili scorci marini, la Cattedrale, il giardino terrazzato della Minerva con le sue piante medicinali.

Mi affascinava pure l’idea di ripercorrere la storia della città lungo le sue strade, dalla dominazione longobarda al Principato di Salerno che arrivò a inglobare gran parte dell’Italia meridionale fino al periodo normanno in cui Salerno era capitale del Ducato di Puglia e Calabria.

E poi c’era l’aspetto della cucina così legata all’influenza dell’antica comunità ebraica.

Ancora una volta, però, mi sono trovata decidere di andare senza sapere se lo volevo davvero.

Anzi ho scoperto, quasi all’improvviso, che non lo volevo proprio.

E dopo aver stabilito, organizzato, fissato, prenotato, pagato, dopo mail, telefonate, contatti, … mi sono trovata prigioniera di una nebbia paralizzante che faceva muro intorno a me e impediva qualunque movimento. 

La valigia restava aperta in attesa di ciò che volevo mettere dentro ma non non sapevo cosa e stavo ferma a guardarla immobile.

Più si avvicinava il momento in cui dovevo uscire di casa meno energie mi ritrovavo mentre di pari passo aumentava la confusione e l’incertezza.

Era forte in me il desiderio di stare insieme a persone con le quali entrare in contatto, di ridere, di scherzare con loro sulle situazioni buffe che si sarebbero venute a creare all’Hotel “Il Faro”.

Ma molti anni prima ero salita sul carro di Zampanò e non volevo ripetere l’esperienza.

“Vedrai” mi dicevano “andiamo al “Norde”, nel grande mondo”

Balla ragazza, balla.

“Sei contenta?”

“Sì, sono contenta”

Pappagallo mi chiamavano perché sapevo rispondere a tono, battevo le mani e ridevo.

Quando non ho riso più sono stata rimproverata: “Bambina cattiva” mi dicevano.

Il mio piccolo mondo antico si è perduto per sempre.

Il pappagallo si è rotto ma viaggia ancora. 

Lettera a Cecilia di Tina: vado a Trieste

Lettera a Cecilia – di Tina Conti

Cara Cecilia, ormai scrivere è diventato per me una  bella maniera  per passare il tempo. E tu ne sei in parte responsabile.

Oggi, sono in treno, sto andando per la seconda volta a Trieste.

Ho pensato così di  scrivere delle lettere   da mandare alle persone  che mi sono nel cuore

E tu sei una di queste, da quando ti conosco ho dato molta più importanza alle parole.

Quando riordino i cassetti e trovo vecchie lettere, provo tanto piacere e le conservo  con gratitudine perché, rispolverano  emozioni e esperienze che avevo dimenticato.

Penso che comincero’ a scrivere  nel librino delle frasi buffe dei miei nipoti anche delle lettere dedicate per non perdere quei pezzi di cuore che loro   per la fretta non percepiscono.

Nelle mie mattinate  di perdigiorno, rileggo , modifico, aggiusto  vecchie cose scritte, e  nuovi pensieri. Ma ritorniamo  a te, la prima volta che venni a Trieste con un gruppo di amiche ero molto contenta e coraggiosa.

Uscivo da un periodo nel quale episodi di vertigini e malessere mi avevano azzoppato.

Partire con le amiche care mi dava coraggio e forza.

Anche oggi mi sfido, parto da sola, mi devo mettere  nuovamente alla prova.

Ieri,  ho compiuto 89 anni, sono stata festeggiata  con affetto dalla mia famiglia, hanno cucinato loro per fortuna. Mio marito è stato ben contento che partissi da sola, lui gioca a carte tutto il giorno e  metodicamente  va a passeggiare a Fontesanta.

Sono stata prudente  nel preparare  le valige, vestiti  caldi e comodi, scarpe basse e una scatola con tante  medicine per gli acciacchi.

Spero di divertirmi anche questa volta, ho anche un appuntamento  con Gina per martedì.

Vicino a me nello scompartimento, c’e un signore  distinto, un po’ piu’ giovane di me mi sembra: porta un completo grigio di ottima fattura, ha baffi e capelli bianco|brizzolati.

Parla volentieri, non spippola sul cellulare , ha risposto a una chiamata con un vecchio modello uguale al mio . Ha proposto di portarmi in giro per la città, lui è triestino autentico.

Quando scenderemo  , mi accompagnerà all’hotel  e mi indicherà dove  ci troveremo  domani pomeriggio, per poi cenare al suo locale  storico situato  nella  bella piazza grande .

Che emozione rivedere questa citta  con la bella luce e il riverbero del mare vicino.

Per fortuna non c’è vento, la volta precedente abbiamo passato  l’ultimo giorno  con ventate tremende che  ci facevano volare, ma ci siamo divertite tanto, sembravamo  delle  ragazzine  a rincorrere sciarpe e cappelli.

Quante scemenze ci siamo raccontate, eravamo molto giovani, ridevamo anche dopo aver perso  la Marcella   che non si è certo persa d’animo   ed è andata ad aspettarci alla stazione dopo aver laciato un messaggio in hotel.

Non la trovo molto cambiata questa città, le  persone mi incantano quando parlano in dialetto.

Non riesco a capire niente.

Ho voglia di rivedere  Gina e stare  un po’ con lei, ci conosciamo da tanto tempo e apprezzo molto le sue opere, in metallo e legno. Venerdì, nella piazza Carlo Magno  ci sarà una grande festa per l’inaugurazione di una sua Installazione vicino alla  fontana.

Chissà come si presenterà, lei veste molto   fantasioso e con tanti colori, quanto parla! io capisco la metà dei suoi discorsi, faccio però un viso interessato e partecipe. Al telefono poi, mi servirebbe un traduttore  specialmente quando mi risponde che si trova “in Barcola a ciappà il sol”

Lettera a Cecilia di Daniele: vado a Sorrento

Torna a Surriento – di Daniele Violi

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Con i biglietti gratuiti in treno, perché figlio di ferroviere, mi sono potuto permettere viaggi meravigliosi fino alla età di 25 anni.

Ti pare che con tremila chilometri a ufo me ne sarei stato appena diciottenne senza assaporare la libertà di vedere questo mondo e toccarlo con mano. Si, allora appena potevo, viaggiavo e tentavo anche di valicare i confini del dolce nostro paese, dove allo stesso modo potevo usufruire con una riduzione sul biglietto e scatenarsi a visitare e insieme assaporare storia e geografia che ho sempre amato e che mi appassionano ora più di prima con tutti gli aspetti sociali che ne sono coinvolti. Il concetto di condivisione modello Erasmus, avevo capito di tenerlo a battesimo e quindi via!

Si Carissima, questa opportunità mi faceva sentire abitante ancora di più di un insieme di culture che non erano lontane da me, che non mi impaurivano pur essendo giovane, ma incuriosivano e stimolavano la grande voglia di volare sul mare aperto della vita che si gusta quando si sogna, si vuole conoscere e si ama la libertà. Ebbene si’, il dolce paese lo ho attraversato tante volte. Anche in autostop. Ritenersi fortunato è dire poco. Poter raggiungere perle di mare, posti stupendi, di una bellezza naturale anche con il contributo umano, che da tempi antichi ha condiviso con la fatica, il piacere per il profumo e l’armonia della poesia che circonda il contatto con il mare e la terra dove i suoi frutti sono come sirene, per la bontà che esprimono. Vuoi mettere trovarsi sulla riva del mare e scorgere piante di limoni, di fichi, pergole d’uva, orti con pomodori e peperoni, delizia nella delizia.

Dovevo tornare ma arrivare in un luogo allegro, un luogo conosciuto, di cui addirittura anche le melodie e l’arte della musica, ne hanno reso una celebrità. Torna a Sorrento. Si’, sai sono tornato e sono felice. 

Lettera di Cecilia alle Matite: vado a Trieste

Città laterale – di Cecilia Trinci

Trieste mi mancava. Non sapevo immaginarla, così esterna all’Italia, troppo spinta sulla destra delle carte geografiche, così zigzagata nei margini, su quel mare adriatico considerato da noi toscani marittimi, così poco salato, poco profondo, poco azzurro, col sole che tramonta e sorge al contrario.

Non mi era capitato di andarci e ho chiesto di assolvere questa mancanza per il mio matrimonio tardivo. Scomodo salire in autostrada oltre Bologna in giorno di lavoro, un traffico scoraggiante per una coppia attempata e una macchina timida, ma la curiosità spingeva come dopo mai più è successo. Dopo una serie indefinibile di tunnel eccola, Trieste, adagiata su un mare piatto , celestino, quasi invisibile nel contrasto del cielo appena appena disegnato, controluce di mattina presto, sdraiata proprio con il profilo zigzagato imparato nelle carte geografiche. Incredibile fu questo primo incontro con una terra che davvero era come l’avevo vista disegnata. Improbabile come il ghirigoro di un fantasista.

Era luglio quando entrammo in città, calda, nonostante la lieve brezza di mare che si spinge indifferente fino dentro alle vie. Le persone camminano sui muretti lungomare, si siedono al sole appena al di là dei parcheggi, fanno il bagno in pausa pranzo affollandosi su spiagge di pietre, senza un solo chicco di sabbia. Le ragazze, giovani e  anziane camminano spavalde, a testa alta, poco vestite, accese, sicure, altissime e flessibili. Le signore anziane non esistono a Trieste, ci sono solo ragazze di età variabile, dallo zero ai cento anni, sedute sui muretti con la faccia al mare, come sirene silenziose e colorate o che camminano fresche, a lunghi passi. Non esistono pause, brevi o lunghe che non si spiaggino al mare, nei bagni che si alternano ai negozi e alle fermate dei tram, o sui sassi liberi. Profumo di caffè e di nafta, odore di pesce e di lavanda, di grappa e biscottini, gamberetti e maionese. Gente libera, abituata al vento, a resistere al vento forte, al grecale di mare, ai monti carsici, alle guerre e ai popoli diversi.

Vorrei tornare in inverno, quando le città del nord sono più vere.

Lettera a Cecilia di Stefano: torno da Trieste

La terza volta a Trieste- di Stefano Maurri

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Ritornare a Trieste per la terza volta: ormai quella città mi è entrata nel cuore. Una volta sicuramente perché è stata la prima tappa del viaggio di nozze e  non mi dilungo a raccontare i posti più noti dove siamo stati e alcuni aspetti più specifici. Come la particolare Duino con il suo castello, che ancora appartiene  a un ramo dei principi di Sassonia e  le sale romantiche ancora più di quelle del Miramare. La cosa più inquietante è che fu anche la  sede del comando dei sommergibili nazisti. Attraverso un  dedalo di  cunicoli si arriva al  porticciolo sottostante a cui attraccavano i tedeschi.  “La multinazionalità di Trieste si legge in tutti i suoi angoli” mi fu ricordato quando andai per un convegno sui servizi sociali da un dirigente della regione. Qui si parlano l’italiano, il tedesco, lo slavo, il friulano; la madre di lui era nata prima del 1918 e aveva avuto documenti  austriaci, del Regno italiano, del Terzo Reich, della Repubblica jugoslava, degli alleati, della Repubblica italiana. Ormai si sono in parte sopite le contrapposizioni linguistiche ma quando sotto la statua di Oberdan appare la scritta  “fora italian” ne appare subito un’altra “fora slavi “. Trieste è una città dove ancora resistono i caffè, i negozi piccoli riservati dove puoi trovare un vetro di Murano a prezzi decisamente inferiori a quelli di Venezia o un libro antico. Come tutti i ritorni non sempre questo mio  è fortunato; non parlo del viaggio di nozze ma di quello fatto per motivi di lavoro, quando, alla cena qualcosa di avariato mi perseguitò per tutto il viaggio di ritorno,  senza concedere una guarigione definitiva. Trieste mi è rimasta nel cuore e…. nell’intestino

Lettera a Cecilia di Rossella B.: vado a Parigi

Scrivere per aspettarti – di Rossella Bonechi

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“scrivere a qualcuno è l’unico modo di aspettarlo senza farsi male”                                            …io che vado e due signore che tornano…

Cara Cecilia,

ti scrivo per scusarmi ancora se nelle prossime settimane diserterò i nostri giovedì ma un’occasione come questa non potevo proprio perderla! Ho pensato che mentre il paesaggio mi scorre accanto veloce dal finestrino, scriverti fosse la cosa più vicina a quello che mi hai insegnato a fare, e ad essere sincera è anche un modo per precludermi agli sconosciuti compagni di viaggio che hanno come me un biglietto in tasca per Parigi. Non voglio conversare per forza, sorridere per garbo, scovare domande improbabili per evitare quelle banali, voglio solo godermi il viaggio, pregustare la meta, ripassare il mio zoppicante francese e…. Perchè si ferma ??? Dove siamo? Sfuggo lo sguardo interrogativo del mio vicino e leggo il cartello rimettendomi gli occhiali: ah, sì, Torino. Tappa prevista ma non mi aspettavo una sosta così lunga. Per ingannare un po’ il tempo altro non posso fare che parlarti di quel che vedo: i passeggeri del treno fermo a fianco sono tutti scesi, una folla che alla spicciolata, sgocciolando dalle portiere, intasa pian piano il binario. Parlano tra loro, un po’ si agitano, qualcuno gesticola con il capo treno. Solo una bella signora bionda, vestita elegantemente ma con brio, guarda verso di noi e per un attimo incrocia il mio sguardo e mi sorride, poi allarga le braccia come a dire “pazienza!”. Mi ha spiazzato il suo sorridermi e mi dispiace non aver fatto altrettanto. Ecco, stanno rimontando tutti sul loro treno e …. ” fermi ! fermi ! ” mi verrebbe da gridare “c’è una persona rimasta indietro che deve ancora salire !” ma posso continuare a scriverti tranquilla: con le falcate delle sue belle gambe da fenicottero ce la farà ! Sento qualcuno che dalla porta aperta le grida ” Dai, Lucia, accelera che sennò ti lascian lì !” Tutto a posto, il treno è partito e vedo scorrere i cartelli sulla fiancata : è il treno Parigi-Roma; pensa te, Cecilia, io vado e loro tornano !    

Lettera a Cecilia di Carla: torno da Parigi

Ricordare e dimenticare Parigi – di Carla Faggi

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Cecilia cara, non ci crederai ma sono tornata di nuovo a Parigi. Si lo so, sono un po’ monotona, ti ho scritto tante volte di questa città, di come ha condizionato la mia vita, di come l’ho amata e poi dimenticata.

Pagine e pagine di racconti ti ho fatto, un diario dei miei primi quarant’anni. I miei studi, i miei amanti, il mio primo marito, tutti legati a questa città. La mia sofferenza quando una parte della mia Notre Dame se ne andò in fumo. Ti scrissi anche allora, ti ricordi?

Poi ,come ti dicevo, l’ho dimenticata, tutta presa dalla mia vita alla periferia di Firenze, sulle colline di Antella.

Ed ora ci sono voluta ritornare, chissà perché?

Non ho trovato niente di quello che avevo lasciato, non la mia irrequietezza, la voglia di continui cambiamenti, il mio sentirmi francese, lo svegliarmi la mattina e voler fare cose importanti per sentirmi importante e fare cose libere dalle regole per sentirmi libera, niente di tutto questo ho ritrovato.

Lascio Parigi con la voglia di ritornare a casa.

Cecilia cara, ora sono ferma a Torino, il palatino si è dovuto fermare.

Mi guardo attorno e vedo una città accogliente, spaziosa, posso sentirmi bene, senza irrequietezza e frenesia, e…Cecilia non ci crederai ma ci sono pure Lucia e Rossella…ecco ora mi sento a casa! vado loro incontro e poi ti racconto, chissà cosa ci faranno…baciiii!

Lettera a Cecilia di Patrizia: torno da Livorno

Una giornata di mare – di Patrizia Fusi

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Cara Cecilia

sono in treno, sto tornando a Firenze.

Sono in un scompartimento quasi vuoto, ci sono solo coppie che parlano fra di loro, dall’aspetto hanno circa la mia età.

Mentre il treno corre e il paesaggio cambia velocemente mi è venuta voglia di scriverti e raccontarti perché avevo deciso di venire a Livorno e come ho trascorso la giornata.

L’atra  sera dopo che sono tornata dal lavoro mi sentivo stanca e depressa per le difficoltà che passo in questo momento, ma non volevo arrendermi a questo malessere. Avrei voluto andare in una città vicina e scelsi Livorno, il giorno dopo ero libera, il tempo metteva bello e io avevo voglia di sole e profumo di mare.

Sono arrivata presto e ho deciso di andare subito al santuario di Montenero, quando sono arrivata su,  quello che mi circondava mi ha levato il fiato dalla bellezza, il paesaggio e il complesso del santuario.

La chiesa era di una bellezza splendente, mi sentii avvolgere dalla serenità che quel luogo mi infondeva, non percepivo neppure i tanti pellegrini che mi circondavano

C’erano esposti tanti quadri per devozione o per una grazia ricevuta.

Nel tragitto di ritorno mi si riempivano gli occhi del paesaggio che mutava ,mentre la funivia scendeva veloce.

Sono andata alla terrazza Mascagni , il sole si spandeva su tutto, il mare era leggermente increspato, le onde con una leggera schiuma bianca si infrangevano  sugli scogli e accarezzavano un piccolo tratto di sabbia.

La piazza era bella con quel pavimento a scacchiera , la facciata del   grande Hotel rendeva tutto maestoso .

Affacciandosi alla balausta, anche quella particolare, davanti ai miei occhi c’era l’infinito.

Ho preso un caffè al bar nella piazza ,un giocoliere intratteneva grandi e piccini con le sue magie.

Ho passeggiato lungo mare, tanti bagni, piccoli o grandi uno con piscina.

All’ora di pranzo ho preso un panino a un furgoncino.

Ho scelto una panchina all’ombra per mangiare, ho continuato ad osservare chi passava, mi ha colpito l’allegria e la gioventù di due ragazzine che sfrecciavano con i pattini creando un po’ di disagio alle persone.

 Una giovane mamma con  due bambini , uno sul carrettino e l’altro  per mano: da come erano vestiti si vedeva che erano benestanti, in lontananza è apparsa un giovane rom che chiedeva l’elemosina,la giovane mamma si e soffermata ha aperto la borsa e poi ha continuato il cammino, ho visto che ha messo qualcosa nella mano tesa, questo atto di umanità mi ha rallegrato.

E l’ora di andare a prendere il treno. Cecilia sono quasi arrivata alla stazione di Firenze, grazie della compagnia che mi hai fatto

Lettera a Cecilia di Sandra: torno da Livorno

Spero non sia cambiata – di Sandra Conticini

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Ciao Cecilia,

sto tornando da Livorno, perchè ricordavo di esserci stata da piccola e volevo vedere se la città era cambiata.

In quell’occasione l’acquario mi sembrò grande, ora mi è parso piccolo e un po’ malmesso, ma credo di tornarci quando avranno finito il restauro, così avrò le idee più chiare.

Sono andata a fare un giro sulla terrazza Mascagni, ristrutturata è bellissima, ma sono dovuta scappare dal vento che tirava, mi sentivo  un appiccicaticcio addosso, gli occhiali  appannati dal salmastro ed ero a disagio. Peccato, mi sarebbe piaciuto stare lì a scaldarmi al sole e a godermi la vista sul mare con quelle belle onde alte che non sai se riescono a bagnarti o se ce la fai a scappare. Da ragazzi il mare mosso era un bel divertimento, non dava noia niente.

Ho fatto una passeggiata lungomare,  sono passata dai bagni Pancaldi, anche quelli un tantino fatiscenti,  sinceramente non capisco come fanno a stare su quei lastroni di cemento a prendere il sole in piena estate. Da lì ci sono passati principi, principesse, scrittori importanti, diciamo un turismo aristocratico, ma ora i tempi e le persone sono cambiate e bisognerebbe dargli una bella rinfrescata. 

Quello che mi affascinò anche da piccola fu il palazzo dell’Accademia Navale, tutti quei marinai in giro per la città e, ricordo ancora oggi l’entusiasmo del babbo che finalmente ebbe la soddisfazione di visitare la nave “Amerigo Vespucci”, per lui un mito.

Un’altra tappa, visto l’ora, è stata andare a mangiare un po’ di pesce da  “Melafumo”. Un’osteria tipica di Livorno senza nessunissima pretesa, ma caratteristica già da fuori. Pieno di bandiere portate da tutto il mondo, ogni tanto c’è qualche maglietta, fotografia del Che Guevara,  sciarpe e cappelli della squadre del Livorno, tavoli, sedie, piatti, bicchieri tutti diversi l’uno dall’altro. Ogni tanto qualcuno inizia a cantare e altri gli vanno dietro. Insomma un ambiente allegro, ma tranquillo, tanto che il tempo si è fermato. Ho dovuto una corsa per prendere il treno.

Sto arrivando a Firenze, ti saluto sperando di non averti annoiato.

Un abbraccio

Sandra

La lettera a Cecilia di Vittorio: torno da Livorno

20.11.2025

Lettera dal treno – di Vittorio Zappelli

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Buongiorno Cecilia

ti scrivo in questa mattina di tiepido sole  autunnale .Ho preso un treno per Livorno che invero pare troppo lento per i miei desideri. Voglio arrivare presto: una Lei mi aspetta alla stazione o almeno cosi’ me lo sento. Con questa premura il paesaggio che scorre dal finestrino mi fa solo da fondale per un volto che ogni poco si sovrappone agli alberi ed alle case che sfilano davanti. Alle 10 spero di incontrarla, appena sceso dal treno.

 Ore 10 e 10 il convoglio ha recuperato il tempo e sta arrivando .Ti lascio in sospeso con lo scritto che riprendero’ piu’ tardi …..

Ore 17 circa 

Eccomi di nuovo con la penna in mano …

la giornata  non è andata come avevo immaginato .

Innanzitutto Lei non si è vista il che mi ha reso inquieto all’inizio e poi anche addolorato . Cosi’  per sfogo ho deciso di sfiancarmi il fisico camminando ed andando a piedi a Montenero a rivedere la città labronica dall’alto. La vista di lassu’ con il mare a perimetrarla e le nebbie mattutine ancora da sciogliersi al sole , mi è apparsa bellissisma e fascinosa . Perfetta cornice per il mio appuntamento,  che pero’ non c’è stato .

Non mancavano turisti al santuario ; io ,con pensiero impertinente ed un po’ blasfemo , ho chiesto   la grazia di farmi trovare la Lei aspettata invano stamattina. 

Poi mi sono fermato li sulla piazza ad un bar per un panino prima di ritornare a valle ;quando una ragazza al tavolo vicino ha iniziato a tossire soffocando per un boccone di traverso, d’istinto Le ho affibbiato dietro la schiena un bel colpo che ha avuto pieno effetto ,liberandola dall’inghippo. Per questo mi ringrazia sorridendo  ,parliamo e dopo un po’ ritorniamo insieme in città con la funicolare e dopo proseguiamo a piedi fino al centro in sintonia chiacchericcia.

La grazia chiesta non si è avverata ma ,forse ,ne ho ricevuta un’altra.

Ecco ora chiudo lo scritto perchè sono di nuovo alla stazione

Ti lascio ,in omaggio a questa città sportiva ,chiassosa ed impertinente, con un:

Viva il cacciucco de’!

Ps mi accorgo che sul treno del ritorno sta salendo la Patrizia anche lei a Livorno

Chissà che ha fatto ? Ne riparleremo giovedi prossimo. 

Vittorio

Lettera a Cecilia di Stefania: torno da Napoli

Il non viaggio a Napoli – di Stefania Bonanni

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Firenze, novembre 1985

Gentile signora,

Scrivo questa lettera perché così era detto nelle istruzioni, ma in realtà il mio viaggio a Napoli e’ stato solo un viaggio. Non ho visto Napoli, non ho incontrato chi mi aspettava, ho passato ore a pensare, e poco più.

Non sono mai stata a Napoli, perlomeno fisicamente, ma in realtà e’ un posto che conosco, amo molto, e mi e’ affine. Lo so, non sembra possibile, invece e’ una sensazione così profonda che il riscontro con la realtà mi sembra un rischio troppo grande. Viaggio tra i sentimenti.

Questa volta ho corso il rischio. Andando, in treno, pensavo potesse essere lo sfondo di un incontro che avrei voluto romantico, magico, colorato di voci e colori del mare, dei vicoli, della gente, di tutto quello che penso sia Napoli.

Arrivai alla stazione, scesi, e subito mi accertai  di avere la borsa chiusa ed il portafoglio a posto. Siccome e’ un atteggiamento che non mi appartiene assolutamente, pensai di essere preda dei luoghi comuni.  Se era così, luogo comune per luogo comune, cercai il Vesuvio con lo sguardo e la sua presenza solida e massiccia, mi rassicuro’.

Avrei avuto bisogno di compagnia, o di essere completamente sola, nel deserto. I passanti, chiassosi e strombazzanti, mi distraevano, e mi provocava dolore accantonare il mio pensiero fisso, come fosse l’ unica certezza in quella tempesta.

Che poi, il mio non era certo un pensiero straordinario.

Andavo a Napoli per un appuntamento “galante”. Penso sia la prima volta che uso questa parola un  po’ sdolcinata e ridicola, che sa di porte aperte e baciamani. Nulla di galante. Sapevamo benissimo perché ci si incontrava così lontano da casa. Sarebbe stato sesso. Solo sesso. Ed io non ero neanche tanto interessata. A Napoli, sul lungomare, con la luna che c’era, avrei voluto una musica in sottofondo e dolci parole da portare via. Però sapevo, era stato tutto molto chiaro, sapevo come sarebbe andata.

Ed allora, perché Napoli restasse un pensiero da sognatori, a quell’ appuntamento non ci sono andata.

Tornai in stazione e ripresi il treno, stavolta in direzione ostinata e contraria.

Sognero’ sul Ponte Vecchio.

Saluti cari. A giovedì, Cecilia.

La lettera a Cecilia di Rossella G.: vado a Livorno

Cara amica ti scrivo…. – di Rossella Gallori

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Vado vicino, per andare lontano

Carissima

…scriverti, originale, l’idea un po’ mi spiazza, ma ce la devo fare, deluderti? No non sarebbe il caso.

Sono su questo treno del cavolo che dondola un po’ troppo per i miei gusti, detesto viaggiare, non ho senso dell’orientamento, mi stanca solo il pensiero e e e…non voglio annoiarti sai già tanto di me, qualcosa ti risparmio!!

Quindi ti dicevo: il treno è affollato, ma era l’ unico modo per raggiungere Livorno, a piedi? non potevo,  troppo lontano, in macchina? non ho patente, a nuoto, ma da dove mi butto dal ponte Vecchio? Dal Girone? In bici?  Sieeeee non ci so andare. Quindi treno sgangherato e via.

Devo ritrovare parenti quasi sconosciuti, ti dirò ho cercato di raccontarlo al signore accanto a me, annuiva, sorrideva, poi ho capito che era sordomuto, la conversazione silenziosa con la sua compagna me lo ha confermato.

Cerco gente che mi somigli, so dove andare, cerco cognomi che non sono il mio, che conosco bene.

Ma ci sarà ancora il ghetto? Il mercato americano, i quattro mori?

Il viaggio è breve Ceci, ma per me è tutto lontano, lontanissimo, poi oggi ho caldo, mi sono vestita troppo, le mie solite seghe mentali: …..e se tira vento? Se il mare è mosso? Se i gabbiani avessero la diarrea? Con il terrore del puzzo di pesce, dove andrò a mangiare? Ricordo però un posto unto anche nell’insegna con la cecìna che sembra la luna, con il proprietario con la faccia a luna, con camerieri con la luna storta, vicino all’ acquario, credo.

UNA voce un po’ metallica annuncia la fermata prima di Livorno, Cast…che ne so. Spero di non avere difficoltà a scendere, mi ci mancherebbe un gradino troppo alto, così invece che “ ai mercatino amerhano” vo a finire all’ ospedale” de ginocchi sfatti”

Ma tu come stai Ceci? Sei contenta che prenda un giorno per me? Magari diventan due, tre,  se trovo un chicchessia che mi ospiti, scrivo ai mi omo: un torno, per ora! Sarebbe carino, a proposito il tuo di omo icchefa?? Mi perdoni la mia fiorentinità vero!

Ora concludo, devo scendere, i deh, i bimbo, mi rimbalzano già in testa, famigliari a tratti. Te l’ho già detto che ho un foglio con dei cognomi e gli indirizzi? Tutto in borsa che pesa di ansie e cose.

Poi quando torno ti farò sapere, forse son tutti già morti e sepolti, prima del mio arrivo  e questo pellegrinaggio è stato inutile, o forse mi riconosceranno, ho ascoltato tanto la loro lingua.

Scendoooo Ceci scendo, vo per leVenezie!!!

Ps: alla stazione  sul treno Livorno/ Firenze dal finestrino  ho visto una nuvola rossa, forse era fuoco, una testa in fiamme!  Anche stavolta la Madonna di Montenero, unnà fatto grazie!!!!

Lettera a Cecilia di Anna: vado a Genova, anzi no a Pisa

IN TRENO VERSO PISA – di Anna Meli

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Cara Cecilia,

ti scrivo per metterti al corrente che oggi, in questa bella giornata di sole, ho deciso di godermela e andare a Pisa: un po’ d’arte, un po’ di mare condite di spensieratezza.

            Avevo proposto a Nadia di accompagnarmi, ma non ho avuto risposta. Forse avrà avuto qualche altro impegno. Ho deciso che la richiamerò una volta salita in treno.

            Sono in stazione e salgo con un po’ di fatica lo scalino della carrozza; c’è abbastanza gente ma, strusciandomi un po’, sono riuscita a sedermi vicino ad un anziano signore dall’aria importante con tanto di baffi e occhiali, assorto nella lettura di un giornale. Mi guarda un po’ di traverso, poiché è costretto a spostarsi per farmi posto vicino al finestrino. Riesco comunque ad accomodarmi.

            Il treno è in partenza, esce lentamente dalla stazione; osservo i binari che si incrociano in basso e cavi elettrici in alto che formano una gigantesca rete nella quale mi sento quasi prigioniera.   Solo pochi momenti e la locomotiva corre veloce vero la meta.

Mi squilla il telefono; rispondo. E’ Nadia che si scusa di non aver risposto al mio invito. Aveva dovuto recarsi a Genova per questioni familiari ed ora stava tornando e viaggiava in senso contrario al mio.

            E’ molto tempo che non ci vediamo e, nell’occasione, dopo lo scambio dei saluti e notizie varie, decidiamo di incontrarsi in una stazione lungo il percorso comune. Propongo Pisa e sento che lei mi sta rispondendo, ma la linea viene e va, Riesco a capire “Genova…poi dopo un breve intervallo…for La Spzi…altro intervallo.’’ La linea è molto disturbata. Ripeto lentamente e nel modo più chiaro possibile “ Pisa, scendi a Pisa!’’ e chiudo.

            Il viaggio continua, attraversa campagne incolte e abbandonate, si nasconde in buie gallerie, poi riemerge e respira alla visione dell’azzurro di qualche tratto di mare.

            Mi sento sospesa, forse dormicchio un po’, riesco solo a vedere al di là del finestrino una striscia azzurro-grigiastra che delimita l’orizzonte. Il treno sta rallentando, passano pochi minuti ed ecco ci siamo. Mi alzo, mi stiracchio, do una sbirciata fuori per vedere se Nadia è arrivata. Forse meglio scendere.

            La cerco prima con lo sguardo, poi mi incammino con fare incerto in varie direzioni ma niente, non c’è. Mi informo dell’arrivo del suo treno. Mi dicono che dopo una breve sosta è ripartito.

            Cerco ancora fra la gente, al bar della stazione, ma niente, niente da nessuna parte. Ho capito, forse non ci siamo intese. Dalla borsa prendo il telefonino e le scrivo un messaggio “ Mi dispiace non esserci incontrate, ma se sei qui da qualche parte ti invito a venire in Piazza dei Miracoli, io vado là.’’

Lettera a Cecilia di Nadia: torno da Genova

LETTERA DAL TRENO – di Nadia Peruzzi

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Cara Cecilia,scrivo circondata da ragazzi vocianti che mi stanno rompendo i timpani e non solo quelli. Per cercare di sopravvivere al gran bordello,attorno e dentro la mia testa,ho tirato fuori dalla borsa carta e penna per vedere se scrivendoti riesco ad estraniarmi dal caos. Sto tornando da Genova. Come sai ho ancora dei parenti lì e ogni tanto li vado a trovare. Genova per me è terra di legami indissolubili e di affetti e ricordi che oltrepassano la linea fra l’esserci e il non esserci più. Sento più di un pizzico di nostalgia quando salgo sul treno che mi riporta a casa .I ricordi sono quelli di me bambina ,e di varie fasi della mia vita. È una città che è dentro di me,parte del mio patrimonio genetico,molto più di quella in cui sono nata.Ci sono stata così poco in quella,che vale solo come città in cui tornare da turista. Per questa invece è tutta un’altra storia.Ogni partenza è un pezzo di cuore che resta.Tanto più ora che ci sono solo nuove generazioni.Quelli con cui sono cresciuta ,andati,piano piano,tutti. Pioveva a dirotto,quando sono partita,e la pioggia sta accompagnando il viaggio. I disturbatori maleducati,si stanno tirando addosso di tutto,dal pop corn alle noccioline.Fanno venire gli istinti peggiori.Da “Wilma dammi la clava”,al pensiero di una penna di granito da tirare in testa al capo brigata,per vedere se placato lui si placano anche gli altri. Ci stiamo fermando a La Spezia.La fermata si fa più lunga del solito.Un calo di tensione elettrica,dicono. Potessero spegnersi anche le pile di questo gruppo di imbecilli starei meglio. Nemmeno la minaccia di una multa salata da parte del controllore sembra cosa che li preoccupi. Mi affaccio al finestrino che è tutto appannato .Sull’altro binario un treno che va in direzione opposta alla mia.Anche questo treno è fermo da un po’.Vedo attraverso il finestrino opacizzato dal vapore ,Anna con la sua espressione sempre tranquilla e serena. La saluto con un cenno del capo e un sorriso,mentre penso che nel suo vagone ci deve essere un silenzio che pagherei a peso d’oro. Vabbè, sopporterò ancora.Per fortuna lentamente i due treni si muovono. Che strano penso che Anna non abbia risposto al mio saluto. Forse non mi avrà visto. Nel dubbio ricomincio a scriverti ,perché mentre scrivo mi calmo e mentre penso riesco a distrarmi da quello che mi circonda. Mi sembra di essere entrata in una bolla di sapone,che mi fa da scudo protettivo.I rumori arrivano attutiti,la mente vola lontano. Non mi sono nemmeno accorta di aver passato Pisa. Mi torna in mente all’improvviso che prima di partire con Anna ci eravamo scambiate un messaggio,dandoci appuntamento a Pisa.Era da tanto che avevamo programmato una visita al Campo dei Miracoli,e l’occasione del mio rientro da Genova ci era sembrata provvidenziale. Ripenso alla signora cui ho mandato un saluto .Ecco perché non mi ha risposto.Ho preso una bella cantonata,Cecilia. E ora? Cecilia che faccio? Che figura! Sarà il caso di scusarmi subito con lei per averle dato buca,vero?Le scrivo un messaggio per spiegarle quello che mi è successo a causa della mia totale distrazione,sperando che nel frattempo Anna non si sia fatta prendere troppo dal nervoso.Non me la immagino arrabbiata,è sempre così calma e misurata , e spero che non si sia offesa troppo per questo disguido. Le proporrò ,se non se l’è presa troppo, di andarci in un altro momento. In macchina,questa volta. Saluti.Cecilia,incrocia con me le dita e speriamo che Anna l’abbia presa bene.

Lettera a Cecilia di Lucia: Vado a Parigi

foto di Lucia Bettoni

Cosa sarebbe la vita senza sogni?
Io ho un sogno e te lo voglio raccontare
Quando ero una giovane donna mi ero innamorata di un ragazzo del quale sapevo ben poco
Sapevo che abitava in una grande città e un giorno decisi di andarlo a cercare
Lo cercai e lo trovai
Ti sembra impossibile?
Credi che stia mentendo?
No, amica mia, è successo davvero e questa non sarà l’unica volta in cui un’evento così poco probabile succederà veramente nella mia vita
Tutto dipende da quanto un sogno è grande
Ti sto raccontando questo perché mentre ti sto scrivendo sono in viaggio per Parigi
Un altro viaggio, non più di una adolescente ma un nuovo viaggio di donna molto donna, perché è vero, non ho mai smesso di sognare
Ho sempre un sogno
Ho sempre quella forza che si chiama desiderio
Andrò a Place des Vosges, quella piazza in pieno centro nel quartiere Le Marais, uno dei luoghi che amo di più di questa bella città
Camminerò intorno alla piazza sotto i portici
Guarderò dentro ogni bar, dentro ogni negozio d’arte
Annuserò l’aria
Respirerò ogni profumo
Ascolterò il rumore di ogni passo
Scruterò ogni volto alla ricerca del suo
Mi siederò su una panchina, la piazza ne è piena
Aspetterò l’estate, l’autunno e tutte le stagioni
Aspetterò finché non lo vedrò arrivare
Sì, perché lui arriverà, ne sono sicura
Sentirò lo scricchiolio delle foglie sotto i suoi passi, poi la sua mano si poggerà sulla mia spalla
Mi volterò e riconoscerò i suoi occhi e non ci sarà bisogno di parole
Nessuna parola quando i sogni si avverano
Basta un attimo
Un solo attimo per un sogno
Poi ripartirò
Un treno mi aspetta
La mia vita mi aspetta
Mi fermerò a Torino
Andrò al Parco del Valentino
Andrò lì solo per passeggiare e chissà…
Sicuramente due amiche mi stanno aspettando

Lettera a Cecilia di Luca: Vado a Milano

Lettera dal treno – di Luca Miraglia

foto di Luca Miraglia

Carissima,

si é appena mossa la mia freccia per Milano e ho deciso di scriverti. Seduto al mio posto smart, coi bimbetti che fanno la loro colazione urlante, mi sono già scocciato di questo viaggio obbligato.

Non é la prima volta, e forse non sarà neanche l’ultima, di questo mio pendolare tra casa e Milano, e tu sai il perché.

Mi affatica più che altro il pensiero dello sbattimento urbano che mi attende: treno, metro, bus e una lunga camminata verso quell’ambulatorio di periferia tutt’altro che accogliente.

Le prime volte riuscivo anche a godermi un po’ la scoperta dei luoghi che attraversavo, cercando di intuire il gusto, lo spirito, il senso del vivere in una metropoli come quella. Oggi invece assaggerò solo la convulsa arroganza di un città difficile e spesso respingente.

Certo, il suo centro colto e progressivo, la sua anima propulsiva ed accattivante, ma quanto è scolorito e anonimo tutto il resto.

Non nego di esserne stato affascinato le prime volte che ho approfittato di questi miei viaggi di poco più di mezza giornata per inoltrarmi nelle sue pieghe storiche e nei suoi slanci futuribili, ma oggi, forse per il mio spirito mal disposto, non ho alcuna attrattiva verso di lei.

E intanto i bimbetti hanno cosparso di nutella e briciole il sedile accanto mentre mamma chiacchiera al cellulare… il buongiorno si vede dal mattino…

A presto.

Luca