Alla luce delle candeline

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Chiara Bonechi: Candeline e immagini

Vedo…vedo tante tante candeline… Auguri!

Barbara ha disegnato una veggente che carezza e scruta una palla di vetro.

E’ un bellissimo disegno su cartoncino nero…

Era così quel biglietto per i miei 50 anni, ed erano tutte in quella palla di vetro le cinquanta candeline che dovevano ricordarmi quei tanti anni che allora non avrei voluto e che ora, che li ho passati da un bel po’, vorrei tanto.

Guardo ancora le candele allineate sul vassoio verde smeraldo, sono tutte accese e la memoria continua ad inviarmi immagini che rivedo con nostalgia.

Sono i lumini che la zia metteva nella serra dei limoni, sono le candele in chiesa, sono il gesto con cui si accende lo stoppino mentre dentro  nasce una preghiera…

e poi sono una strada o una pista di atterraggio dove la luce guida gli aerei di notte.

La luce…

Vorrei che la luce guidasse i genitori nelle scelte per i loro figli, i figli nelle scelte della loro vita.

 

Il calore della stufa

 

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Maria Laura Tripodi: Calore

Ho ancora ben presente il profumo tipico che rilasciava la cucina economica. La mamma stendeva  i panni umidi di piccole dimensioni su un aggeggio che stava attaccato al tubo della stufa e che si apriva a raggiera. E poi a volte c’era il profumo del pane, messo a biscottare al calore che piano piano si affievoliva e infine si estingueva.

Quella era l’unica fonte di calore per tutta la casa con il risultato che nessuno di noi bambini si sarebbe voluto allontanare dalla cucina. Anzi no: il letto gelido, nelle stanze gelide  veniva stemperato con un mattone scaldato dentro la stufa e poi avvolto in un panno.

Quando ho imparato a scrivere,  qualche volta, quatta quatta e incurante del freddo, mi costringevo a uscire dal calduccio del letto. Per non svegliare gli altri non accendevo la luce: al barlume incerto di una piccola candela affidavo i miei pensieri a un quadernino che  mi avrebbe accompagnata per tutta la vita.

Le candele dappertutto

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Rossella Gallori: Potevi aspettare mamma!

…Menomale…ha smesso di soffrire…forse ora sta meglio….tu non ce la facevi più,  vero?

Corro lungo via De Pucci, è la fine di ottobre,  fa freddo , ho poco addosso  ed ho dimenticato l’impermeabile a negozio…

Ho la divisa, sono mezza, zuppa,  dentro e fuori…arrivo:  è già “incartata “…MI POTEVI ASPETTARE, NO MAMMA????Potevi soffrire un altro po’ , tanto ci eri abituata!”.

Il lenzuolo bianco era pronto da sempre, loro lo hanno usato e nuda ti ci hanno posata, piegata  da un lato…..

Entro, le candele sono per terra, c è un profumo nell’aria  che a confronto la marijuana  è una caramella di menta….candele per terra ….tante, la fiamma si riflette sulle pareti . Dicono che tra poco viene il rabbino, io francamente me ne infischio,  piango ….eppure lo sapevo”…. ma se anche si sa si soffre forse meno? Raoul mi porge un asciugamano,  ….ma sono bagnata dentro

“Avevi detto che morivi , quando non ero a lavoro!”

Arrivano le vecchiette, una ad una , “era tanto  giovane!” ma a 86 anni siamo ancora giovani?

Ho fame, ho sempre fame quando ho paura, lo stomaco mi si è chiuso solo per i grandi amori, ma  solo all’inizio, poi ho ripreso sempre  a mangiare …e non c’è più  cibo nella stanza di mia madre, ed è venerdì  e le macchiette del caffè,  sono ebraicamente spente.

Il profumo diventa odore, odore di fumo, perché  quando si è  soli dentro, si percepisce di più…..Brucia il mio silenzio, brucia il mio non capire le preghiere e brucio io, con le candele accese …che in silenzio mi dicono che  la mamma è morta.

Luce tremula

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Roberta Morandi: Candele alle terme
Marmo rosa, fiammato, come le candele accese sparse un po’ dovunque: sono tante, 20, 30 o forse di più, alte, basse, tonde, quadrate, ce n’è una a forma di piramide più alta delle altre che riflette la sua luce tremula oltre le pareti, sono sulla vasca idromassaggio,  sulla panca in legno di faggio di fianco alla sauna, sul lavandino, e poi per terra, sul parquet in noce…  E nell’aria un vago profumo di lavanda, ma non forte, tenue, discreto come la luce tremula delle candele.
Solo candele a dichiarare il bagno e a lanciare ombre sulle pareti: Laura e Alberto nudi nell’idromassaggio, brindano con un calice di vino rosso, non bollicine, banali e anche un po’ volgari, si perché il vino rosso si addice meglio allo sfavillare delle candele e a loro due.
La luce un po’ soffusa e tremante scolpisce i loro corpi di ottantenni innamorati e lievi, li proietta come ombre cinesi, sulle pareti e ondeggiano come le candele.
Lui osa una timida carezza su quel corpo che conosce così bene: ogni piega e ruga, e ogni piccola imperfezione lui l’ha accompagnata nel suo percorso: ogni volta è piacevole sentire sotto le dita che è sempre lì al suo posto, sempre uguale e pur sempre diversa e ancor ora sussulta …

I lumini

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Stefania Bonanni: Le lucine accese

Se c’è una candela accesa, significa che c’è qualcuno che vuole accesa una lucina, vicino a sé. Che si può anche vedere dal bosco fitto, dietro la tendina della cucina della Nonna di Cappuccetto Rosso, e si sa subito che lei è lì, per te che arrivi.

O si può accendere in una chiesa, ai piedi di una statua che non risponde, ma magari è come te, sarà contenta di una fiammella vicina.

Una candelina per guardare la cera che si disfa’, che cambia forma mentre scivola giù dal candelabro, ma non sparisce. Cambia forma, non è più liscia e profumata, ma arricciata è bellissima, conserva memoria di candela gioiosa.

Una fiammella accanto ad un mazzo di fiori finti, sola cosa viva in un mondo di morti, a dire che l’ho accesa, per farci compagnia.

Una fiammella che si conserva negli occhi. Non soffiamo.

Alla luce delle candele

 

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Ivana Acciaioli: Nel canto del fuoco

La nonna amava sedere nel canto del fuoco, sembrava un po’ strega ed un po’ regina.
Mi chiedevo come non si bruciasse su quella piccola sedia impagliata così vicina ai ceppi ardenti e alle linguacciute fiamme. Ogni sera era lì a rammendare,  a lavorare a maglia, a sbucciare mele, a schiacciare noci, a pisolare.
Ma la sera della Befana la sua postazione si animava per la nostra attesa; all’improvviso calava dal camino una caramella, si affacciava appena poi spariva; noi bambine con gli occhi lucidi e le mani coraggiose cercavamo di catturare nell’attimo migliore, senza bruciarci, quel piccolo regalo che la Befana  “cacava” come diceva la nonna.
Quando arrivavamo vicine, l’ambita preda scompariva in alto nel buco nero del camino; il gioco durava a lungo e la Befana ci appariva crudele.
È stato difficile capire come facesse la nonna a manovrale il magico filo.

Ivana Acciaioli: Melania e le sue candele 

L’odore dei miei figli è la cosa più preziosa che ho smarrito in casa mia. Per un po’ è rimasto nelle loro stanze, poi, con mio grande dispiacere, si è affievolito fino a scomparire.
Quando li abbraccio, li annuso intensamente per trattenere il loro aroma personale.
Se entro in casa di mia figlia mi accoglie il suo odore; aspetto per tutto il viaggio in treno quel momento in cui il suo inconfondibile profumo mi arriva dritto dalle narici al cuore.
Poi lei arriva dal lavoro e accende le sue amate candele profumate, io respiro a  malincuore perché la mia candela profumata è lei, con  una fiamma intensa che in me non si spengerà mai.

Ancora a proposito di limoni

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di Cecilia Trinci:

“Se puoi …ricordati……magari solo una bagnatina ai limoni”

E come no?

Che sarà mai una bagnatina? e come negarla ai quei limoni in conca, sotto il solleone maremmano e poi come negare un piccolo favore a un babbo rimasto forzatamente lontano dalla sua terra?

Solo che le conche in questione non sono proprio vicinissime al cancello. Si deve attraversare tutta l’aia per raggiungerle, e fa caldo…e la terra è secca in quei vasi solitari. Non ci abita nessuno in quel che  resta della casa ma il giardino davanti deve essere accogliente, curato, come se aspettasse sempre qualcuno. E i gerani manifestano chiaramente disagio, mi guardano attraversare l’aia con quei secchi colmi, che gocciolano acqua dondolando……I fiori, ancora coraggiosamente rossi, mi guardano, muti, ma con un innegabile senso di rimprovero. Ho sete, stanno dicendo! Sì lo so…..allora darò da bere anche a voi! E così i secchi si riempiono, uno dopo l’altro e si svuotano, uno dopo l’altro.

Quella “bagnatina” diventa una performance agricola, una sfacchinata serale, un “ho quasi finito, mi ci vogliono solo altri tre….quattro….facciamo dieci….secchi e poi andiamo” . Ma la sete delle piante nei vasi d’estate è un ricatto, una spina nel cuore. Non smetteresti più, ti immedesimi in quei cocci roventi, in quelle radici attorcigliate nella terra bollente e annaffi. Alla fine ti prende la gioia della buona azione, della crocerossina da giardino che arriva con la flebo a mettere in salvo i moribondi fioriti.

Così si fa quasi buio, aggiungendo dolori misti all’artrosi incombente.

Alla fine si sale in macchina, con le avanguardie dell’esercito di zanzare che avanza, svegliate dall’umido ricostruito in zona. Si chiudono i finestrini e si parte proprio quando sarebbe bello restare. I limoni in conca hanno bevuto.

La gioia è sapere che gli potrò rispondere: “Sì sì, babbo, tutto ok!”

Quanto mi piacerebbe poterlo ancora sentire, la domenica sera: “Ce l’hai fatta a dare una bagnatina ai limoni?”

E poi il cavallo c’era davvero….. ovvero I percorsi della memoria – di Rossella Gallori

Martedì,  l’ultimo di novembre,  fa freddo….ma non tanto, il tempo non ci ferma….e chi non  c’è …ha sicuramente un buon motivo per non esserci.

La nostra stanza è calda, accogliente nella sua semplicità …trionfa il rosso, la cioccolata, la carta scritta e quella da scrivere…..appare un cestino di limoni, un pareo coloratissimo lo segue…sensazioni,  le nostre, le mie….poi,  per una strana magia appare “un caffè dal profumo prorompente……una radio…”

Ed io non ascolto più  niente e nessuno,  parto per un viaggio, solo mio….non sono all’Antella, sono lì dove sono nata, dove son stata spesso all’ombra del nulla…non era un palazzo popolare ed anche casa mia era un bella casa ….non un appartamento che no, non mi piace,  la parola “casa” fa famiglia….ed appaiono per incanto i miei vicini  …venuti dal sud con un buon lavoro,  due lire in tasca, e la voglia di dar da bere,  da mangiare,  in questa città senza mare. Mi  rivedo per le scale scalza, sempre un po’ in fuga, soprattutto da me, il croccante da Vincenza, le fave secche da sgranocchiare, sconosciute a noi fiorentini,  il marzapane dei Basiricò  ed il perenne odore di limone di casa loro…….

Mi fermo, la matita sospesa in aria, qualcuno ha già  scritto,  io……non posso e non voglio fermarmi, perché lei è li alle mie spalle, come sempre mi domanda “ E IO ?”  sento un profumo di caffe,  così forte da sentirne gli spruzzi uscire dalla caffettiera….Si mia madre è li ….viva e presente con i capelli crespi, la carnagione olivastra,  le calze trasparenti, le scarpe più vecchie per casa  “OH CHE SI PORTA LE CIABATTE IN CASA?!?….” Sta stirando sul tavolo  di cucina, una scodella di acqua e caffè per rinfrescare il  pantaloni, voglio pensare del babbo …ma non so se è probabile, forse era già  da un’ altra parte….. stira,  il lenzuolo bianco un po’ strappucchiato,  ma pulito sotto la COPERTA…..una grossa coperta di feltro…blu? No non solo blu,  ora me lo ricordo blu e grigia a righe….La sento ancora dire ridendo …”LA COPERTA DEL CAVALLO,  SIEH I’ CAVALLO”

E a questo punto mi arriva il tarlo, un tarlo grosso e grasso….che cavallo ??? Mi vorrei arrendere, ma arranco nei ricordi, quelli veri, quelli presunti  tra verità e bugie ….mia madre aveva una fantasia nel raccontare le cose  che sicuramente sarebbe piaciuta al più bravo degli scrittori.

Stirava,  con una forza da scaricatore di porto e la delicatezza di una liutaia …sorrideva nel nulla mentre la nonna incalzava “LA COPERTA DEL CAVALLLLOOOOOO”

Negava mia madre, l’esistenza di quel cavallo adducendo alla famiglia del marito anche il fatto di  averlo mangiato…se mai fosse esistito.

Lascio l’ Antella….è tardi …scendo le scale, no prendo l’ascensore, sono sola, sento uno strano odore,  direi un po’ di stalla, odo un nitrito….questo mio scrivere mi spappola il cervello, che già  non  è un granché .

Torno a casa con quel cavallo che non si sa se sia mai esistito…

Il mio peggior difetto è quello di non voler mai fare progetti….è una parola che non mi piace….eppure svegliandomi mercoledì,  ripenso al mio scritto del giorno prima…..e a lui !!!!! Ma c’era o non c’era questo benedetto cavallo?????

Chiamo mio fratello, lo sento poco, siamo stati tre figli unici noi tre….è andata così inutile ripensare,  rimuginare…..gli dico che mentre scrivevo una piccola storia,  mi è apparso un animale, un cavallo……e “CHI CIRILLO O JACK?” mi dice lui.

Ho voglia di riattaccare, mi prende per il culo,  lo fa sempre …..poi aggiunge fatti alle parole: Cirillo era un morellino nero,  da sella, il cavallo del babbo, fu quello che ci riportò da S. Casciano a Firenze alla  fine della guerra, cadde, poverino, eravamo in sei su quel calesse,  cadde poverino …Jack era rimasto in campagna lo avevamo regalato….a chi ci aveva nascosti dai nazisti per tanti anni durante la guerra, alla balia di Gerardo che fu allattato per pochi mesi prima di morire, la mamma non aveva latte …..ma lo sai Rosy ….forse ci son anche delle foto…….

C’è una scatola sull’armadio, non l’apro mai …foto buttate lì senza data, residui di retate fisiche e morali….gente che non conosco,  che non riconosco. Poco di prima di me, niente di me, qualcosa di qualcun altro …. Ed ecco che appare Cirillo,  si è lui lo so,  voglio che sia così, mio padre è in sella, sarà il ‘38 …il ‘40???

Non lo so, ..sono confusa,  un po’ contenta ed un po’ triste, l’ho appena conosciuto e devo già seppellirlo lasciarlo…era un mio antenato,  uno di famiglia uno che ha aiutato i miei…..ed io come sempre …ancora non c’ero…….come sempre sembra che tutto sia accaduto prima di me, il peggio ma spesso anche il meglio…..come Cirillo,  come Jack, come un fratello sconosciuto, come un padre forte e sano e perduto presto…come come…come.

Oggi scrivo abbastanza tranquilla, ho acceso una candela per Cirillo….sono piena di dubbi…la mamma sapeva di questo cavallo e della sua coperta, perché negarne l’ esistenza, perché  non parlarmene….e la nonna,  poteva farmi vedere quella foto….Ma in casa mia  è sempre stato cosi,  fantasmi, silenzi, bugie per amore,  cattiverie per bugie…una mamma stanca,  un cavallo, forse due …dei fratelli troppo grandi …che son stati nascosti alla vita  per troppo tempo, senza colpe, marchiati  dal caso..dalla cattiveria…..poi arrivo io….e forse è troppo dopo….

 

 

 

 

I limoni e le storie

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Carla Faggi – L’isola dei limoni

L’isola era come una prigione, bellissima ma sempre una prigione.

Armandino, un giovane di undici anni, così pensava, mentre, seduto sul muretto di fianco alle mura del parco della grande villa, guardava assorto i traghetti che portavano nel continente.

Amava quel posto, quel muretto di pietra che giornalmente lo accoglieva, le foglie del limone che si affacciava dal muro. Quel profumo intenso dei frutti maturi. La brezza marina che lo rinfrescava.

Ma principalmente amava guardare i traghetti che partivano ogni giorno verso chissà quali avventure, e quante storie e sogni si portavano con sé.

Armandino amava fantasticare e inventare storie sui passeggeri che ogni giorno salivano sul traghetto.

Come quella signora che trascinava una valigia enorme. Forse quella valigia conteneva un tesoro, monili ed abiti di qualche vecchia contessa dell’isola.

E quella bella signora tutta vestita di nero con quel buffo cappellino a sghimbescio. Forse se ne va e lascerà per sempre nell’isola il ricordo di quell’uomo che non aveva mai corrisposto il suo amore.

Eppure era bellissima, come può un uomo non amarla, pensò. Forse le era solo amico, come io sono amico di Emma. Ma di Emma si può solo essere amici, non la si può amare, è grassa e veste come un maschio, e poi è più brava di me a catturare lucertole. Non si può amare una bambina così. Invece, pensò Armandino quella signora vestita di nero con i tacchi alti alti è meravigliosa. Si sta guardando attorno come a cercare qualcuno. Forse aspetta che il suo amato ci ripensi e la raggiunga e parta con lei. Oppure la preghi di non lasciarlo da solo ora che ha capito di amarla.

Armandino chiude gli occhi e sogna di essere lui l’uomo così fortemente amato, lui sì che l’avrebbe raggiunta e portata con sé. Il suono del traghetto in partenza lo scuote. Verso il mare e verso il continente partono i sogni e le storie.

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Roberta Morandi – Dalla Sicilia alla Norvegia e … ritorno

Sicilia, primi anni del ‘900, in un agosto assolato, come deve essere, una strada di campagna, o meglio un viottolo delimitato da muretti a secco, interrotti a tratti da alberi di fico a fare poca ombra, una bambina col vestitino a quadri dai colori sgargianti è  seduta su un sasso ai margini con un cestino di limoni gialli, profumatissimi, in grembo.
L’afa dell’aria attutisce ogni rumore, solo imperterrito e inquietante il frinire delle cicale…
Quel ricordo me lo sono portato dentro da sempre: la tua terra, la tua isola, i limoni, i profumi, il caldo e te piccina ad aspettare chissà cosa in quella strada polverosa e arida.
Oggi vorrei ancora essere allora e non ora, qui al freddo, anzi al gelo del fiordo.
Siamo stati catapultati fuori dai nostri luoghi, la vita ci ha riservato stranezze come questa, in questo paese così inospitale per noi. Io ricercatore nucleare e tu insegnante di lingue…mi hai voluto seguire…allora…e poi? Poi tutto si è congelato come può succedere solo in questi fiordi lunghi e stretti e ghiacciati…come il nostro amore. Te ne sei andata una mattina che non era ancora giorno, o meglio in quella parte dell’anno  che è sempre un po’ giorno e un po’ no.
Sei andata con tutte le speranze, le mie speranze, ora lo so, che erano solo mie, non ho mai fatto molta attenzione ai tuoi perché,  ai tuoi silenzi, ai tuoi sorrisi così poco sorrisi.
Ecco, ora sono qui nel ghiaccio anche del mio cuore a ricordare quella bambina solare e calda che ormai ho perduto molti anni fa.

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Chiara Bonechi – I limoni di Maciarello

Isola d’Elba: la casa di Renza e Carlo è a Maciarello, un piccolo agglomerato di casette che un tempo appartennero a contadini.
Quelle casette, ora in buona parte ristrutturate, sono di chi, venendo da fuori, ha scelto quel luogo per le vacanze.
Là, dietro la casa di Maciarello, c’è un prato con piante grasse, palme e lantane e in fondo, verso il mare, davanti al grande fico troneggia un albero di limoni che offre i suoi frutti gialli succosi e dolci.
Renza regala volentieri limoni adagiati nel cestino comprato sul mare dove ogni giorno, nel luglio assolato, ci incontriamo.

Nell’isola, un tempo non era così.
Chi viveva a Maciarello era lontano da tutto e da tutti, lontano dal mare, lontano dai paesi più abitati dell’isola, lontano dalla gente…i momenti del giorno erano scanditi dalla luce del sole e quelli della notte dai rumori del vento, del mare in lontananza, dei cinghiali e dei mufloni che si avvicinavano alle case.
Questo raccontava a Renza la vicina ormai anziana, le raccontava di quanto avrebbe voluto trascorrere alcuni momenti delle sue giornate in compagnia, in quel luogo dove invece si cerca adesso la bellezza della solitudine.
Racconta ancora dello spavento che provò quando, dal chiuso della sua cucina, udì dei passi, insoliti, inaspettati… Il cuore cominciò a batterle forte, le tempie a pulsare, la paura la rese immobile.
Una presenza… Il pensiero di incontrare qualcuno la imbarazzava: cosa avrebbe potuto dire lei che conosceva solo il mare, il bosco, i campi?
Si affacciò ma non vide nessuno. Si fece coraggio e uscì.
Sotto il capanno la sagoma di un uomo si mosse e tutto fu facile…
Da quel momento non fu più sola.

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Mirella Calvelli: I limoni e la coperta

Una lingua di sabbia rossastra , onde lente la lambiscono, i rumori sono quasi impercettibli.

E’ da poco spuntato il sole che tinge quello specchio del golfo , striando l’acqua di tonalità che vanno dall’ocra al rosato.

Più avanti in una piazzetta piastrellata di maioliche, un vecchio venditore canuto sta distendendo un telo, ancor più colorato delle mattonelle stesse.

Colori vivaci che vanno dal fucsia al blù elettrico, passando da una sfilatura dorata…Di lì a poco dai sui cestini di vimini prenderà dei limoni succosi, pronti per creare delle ottime spremute.

In fondo possiede solo quelli. Alcune piante di limoni, che con molta cura annaffia, di altro non hanno bisogno in quella terra sempre scaldata dal sole, rinfrescata soltanto la sera da un leggero vento, che si alza giusto per togliere dalle foglie smeraldo i residui dei granelli di sabbia rossastra che arrivano dal mare.

E lui accovacciato su quella bella coperta brillante, aspetta fissando l’infinito……

Dal gruppetto di pescatori vicini al molo, si stacca un giovane uomo ed inizia a percorrere il lungo mare, sembra assorto nei suoi pensieri.

I piedi nudi vengono ripetutamente bagnati dalla spuma del mare. Affonda prima a destra e poi a sinistra a seconda della presione delle gambe. Le braccia abbandonate lungo il corpo, i ricci mori scompigliati dal vento…si piega in avanti, si inchina, osserva e si rialza, nelle mani qualcosa di particolarmente brillante..poi di nuovo si genoflette e si riallunga.

In lontananza un’altra figura gli viene lentamente incontro, più piccola, lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle…ma stesse movenze…in avanti…in basso e in mano sembra lo stesso bottino.

Da quassù, dalla piazzetta di maioliche sembra la danza di due flamenco.

Abbandono la balaustra e mi siedo ad un tavolino di un  bar in angolo. Mi verso il caffè dall’aroma prorompente e inebriante che allevia subito la mia gola arsa. Un piacere enorme!!!
La radio continua il chiacchericcio  imperterrito e il giovane barman cerca disperatamente un po’ di musica decente.

Impaziente, si sfrega le mani al grembiule consunto…….intanto volgo lo sguardo altrove, lascio i raccoglitori di conchiglie lungo il bagno a sciuga, il venditore di limoni sulla sua coperta scintillante e il giovane amante della musica.

Anellano lo scenario aspre montagne innevate che si stagliano contro l’azzurro del cielo.

E così, fra mare e cielo il cerchio si chiude e un benessere mi pervade………..

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Tina Conti: I limoni e il rimpianto

Una  casetta bianca fatta di sassi che si affaccia sul mare, un orto con alberi di melograno, mandorli, aranci e limoni.
La bambina con il piccolo cestino raccoglie contenta i limoni dall’albero che ha piantato con la nonna.
La mamma, seduta sulla panca di pietra davanti casa si avvolge pensosa nella sciarpa che ha ricevuto in dono dall’amica di Lima. E’ bella e morbida.
Ripensa a quei giorni trascorsi in leggerezza, l’incarico per la ricerca che le ha fatto scoprire abitudini e tradizioni così diverse da quelle europee.
Risente nell’aria  i profumi,i colori, le musiche che tanto l’hanno emozionata.
Ricorda l’amore  spensierato per quel collega arrivato negli ultimi giorni del suo soggiorno  di lavoro.
Si sente invadere da una nostalgia  morbida, una tristezza lieve pensando che ormai è tutto finito.
Ritorna alla realtà quando sente nell’aria odore di zucchero bruciato.
Doveva preparare i canditi  al limone per la festa del patrono, la bambina rincasata la guarda dubbiosa è abituata a questo sguardo sognante  e perso.
Mamma? Stai sognando? Cosa porterò al paese se continui a bruciare tutto?
La mamma si alza con energia,,ha deciso che non è tempo di rimpianti, vuole riprendere la sua vita, dare nuove possibilità  alla sua esistenza.
Mette nell’acqua il pentolino bruciato e ricomincia con una nuova preparazione.
Nella tasca del suo lungo abito pesa quella lettera stropicciata che ha riletto infinite volte e che conosce a memoria.
La nostalgia la riprende mentre mescola lo zucchero e le scorze profumate dei limoni.
Ormai terminato il lavoro versa il contenuto del pentolino su carta oleata  e poi lo mette ad asciugare sulla mensola sotto la finestra .
I suoi occhi si perdono   Di nuovo in quel mare ora calmo ora mosso dal vento per  l’arrivo di un inatteso temporale.
Aveva detto che non si sarebbe dimenticato di noi,! gli uomini sono inaffidabili e infingardi, hanno paura degli impegni .
L’acqua  martella sui vetri, si infila sotto la portafinestra.
Nella stanza accanto suona il telefono ma non si sente la voce di chi chiama solo un ronzio indistinto con parole in inglese.
Alla porta la vicina bussa con urgenza, chiede ospitalità e riparo fino a quando il marito non tornerà a casa, ha subito un furto e non ha più le chiavi di casa rimaste nella borsetta che lo scippatore le ha sottratto alla stazione dei treni.
Le due donne che condividono spesso momenti di confidenza e svago si siedono in cucina, per riflettere sul da farsi.
Dovrà essere sostituita la serratura e fatta una denuncia.

***

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Ivana Acciaioli: I limoni e le scarpe col tacco

Il piccolo paniere dondolava nelle sue mani mentre saliva su per la collina. Non era partita con uno scopo preciso, non era la stagione delle fragole e neppure quella dei funghi quindi non sapeva con cosa avrebbe riempito il cestino; lo aveva portato forse per abitudine, forse per compagnia, ma il vero scopo era arrivare sulla sommità, per godere della vista e del piccolo paese che bianco e silenzioso si stendeva ai piedi della sua solitudine.
Alcune piante di limoni abbandonate con i loro ciondoli biondi e lucidi la invitarono a fermarsi.
Il cestino adesso accoglieva colore e profumo ed era meno malinconico.
Sulla cima trovò, inaspettata, una coperta stesa sul prato, si sedé ed attese.
Chi poteva aveva desiderato sdraiarsi su quella coperta dai colori vivaci proprio lassù? E  perché l’aveva abbandonata definitivamente o solo momentaneamente?
Pensò che non poteva portarla via, di sicuro qualcuno la pensava distesa con garbo sull’erba lì al culmine dove certo non si capita per caso.
La curiosità mista a qualche timore la prese. Il profumo intenso dei limoni, la leggerezza del vento ed il mistero la avvolsero. Si addormentò.
Sognava?
A piedi scalzi, con   assurde scarpe con il tacco in mano e l’altra a reggere il cappello nero a sghimbescio, stretta nel suo abito nero, la ragazza  spuntava dalla salita sbuffando per la fatica. Si lasciò cadere affranta sulla coperta.
Percepì il calore del suo corpo scoprendola reale.
Poi la sua voce: -Perché non è qui! Lo sapevo!
Intanto accarezzava la coperta intrisa del ricordo di baci e amplessi giovanili.
Forse fu l’aroma dei limoni a guidare la sua mano verso il cestino, qualcosa di bianco sbucava da sotto,un biglietto sgualcito, sofferto.
– Mi dispiace ma non scappo con te. Ho paura, è troppo presto, non sono pronto.
In silenzio piegammo la coperta che adesso accoglieva anche le sue lacrime silenziose, spaventate.
Moriva un amore che non era abbastanza grande ma nasceva un’amicizia che sarebbe diventata immensa. L’aiutò a crescere il suo bambino.

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Gabriella Crisafulli: I limoni e il mercato

Il mercato era affollato. Sulle bancarelle la merce veniva esposta in quantità: montagne di terraglie, cumuli di verdure, cassette di legumi e cereali, mazzi di fiori, cesti di frutta, … Le voci dei venditori si rincorrevano fra loro per attirare le persone.

Lei si fermò davanti al banco della frutta. Avvolta nello scialle colorato, allungava la mano quasi ad accarezzare i prodotti della terra, rimestò le noci, si mise in bocca un acino d’uva, prese un limone.

Dalla parte opposta lui la osservava tra infastidito e incuriosito. Professore universitario intorno alla cinquantina, dai capelli brizzolati che impreziosivano il bel volto abbronzato, non era abituato a passare inosservato. Le studentesse del suo corso sgomitavano per attirare la sua attenzione. Carla non lo aveva degnato di uno sguardo finché, mentre mordeva una susina, lo vide e lo riconobbe: un vicino. Era apparso proprio quella mattina nel rifugio vicino a casa sua che lei finora aveva visto sempre chiuso. Era con diverse persone ma si contraddistingueva oltre che per la bellezza anche per il suo atteggiamento algido e distaccato. Gli altri si muovevano scherzando, ridendo, parlando a voce alta, chiamandosi fra loro, in una sorta di festa fatta dal ritrovarsi insieme.

Carla avrebbe voluto conoscerli ma non sapeva come fare.

 

 

I limoni

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Simone Bellini: I limoni e la neve

Era il silenzio ovattato nel freddo delle montagne che strideva col ricordo del frinire delle cicale.

Era quell’ambiente dal legno cupo ma accogliente e quell’ipnotico calore della danza del fuoco che si opponeva alla accecante luce del sole aperta su tutto l’agrumeto e fu proprio il calore del tè con il profumo del limone, che le fece apprezzare  il forzato cambio, che unì ancor più la loro passione.

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Rossella Gallori: I limoni e il caffè

Una dignitosa povertà,  un giallo assordante, un bianco che fa sole, che fa sale…..Quante volte ho bussato, alla porta di Lino e Carmela , senza scarpe su per le scale, fughe brevi , che sapevano di zucchero e limone, di pane e panelle, di fave secche da sgranocchiare …..Casa Basiricò era così , tutto sapeva di limone, anche il bucato…e la porta sempre aperta per me, che cercavo di scappare dai caffè della mamma , che non eran tazze, ma flebo. Tutto sapeva di caffè  in casa Gallori, anche i pantaloni del babbo che la mamma smacchiava con quell’acquetta marroncina, sul tavolo di cucina , con quella  copertona  di feltro……”la coperta del cavallo”, come diceva  la solita carogna della nonna …..”un cavallo???”  ma chi lo aveva mai avuto un cavallo…..se ci fosse stato se lo sarebbero mangiato…..per fame, non per cattiveria…..

Quindi a pian terreno odore di caffè, al secondo di limoni …..e più in su la musica….quella della vita…che non sempre era ben sintonizzata….

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Aldo Bombaci – I limoni e la casina bianca

Un campo di limoni ben tenuti, coltivati, ricchi di frutti.

Al margine dell’orto una casa non grande come superficie e altezza, i muri bianchi sia esterni che interni, una cucina, un tavolo con attorno quattro sedie, un cestino vuoto.

Dentro al frigo una brocca di vetro contiene la spremuta di limone, bevanda fresca in usanza del luogo, caldo secco.

Una donna dai capelli grigi è ricurva sul telaio, sta tessendo una stoffa dai colori variegati, il rosa prevale e poi altri a decorare il futuro scialle con filamenti dorati.

Una dignitosa povertà si avverte dentro quella casa pulita.

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Maria Laura Tripodi – I limoni e il telaio

Non fu il rumore a svegliarmi. Piuttosto la sensazione che il silenzio non fosse più così totale. Mi buttai di sotto al letto alla svelta, mi infilai le ciabatte e corsi davanti alla finestra che dava sulla terrazza……………..

Ma il giardino dei limoni sembrava immobile e silenzioso come sempre. Un gatto sonnecchiava al sole del primo mattino con posa impertinente.

Però dabbasso qualcosa era mutato. Dal silenzio assoluto si percepiva appena il battere ritmico  sul pedale del telaio. La nonna doveva essersi alzata di buonora e stava tessendo la stoffa per il mio abito da sposa.

A entrare lieve nel mio sonno era stato  un sentimento profondo di commozione e tenerezza.

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Stefania Bonanni – Limoni e realtà

Comincio le giornate con un bicchiere di succo di limone, in un po’ d’acqua calda.

Così, la scossa sveglia e caso mai fosse rimasta in circolo qualche notturna dolcezza, magari sognata, sarebbe tutto riportato alla realtà. Perché la realtà è acida. Aspra ed acida.

Il limone: una bella metafora. Si strizza finché ce n’è, si usa anche la buccia, e mai per farne il protagonista di qualcosa, quasi sempre per profumare, per correggere, per dare sapore ad altro.

Cuoce senza fuoco, per magia. Si arrangia, è multitasking, come le donne. Può servire per le pulizie, per fare brillare i capelli, per pulire la pelle, per schiarire le macchie sulle mani, per disinfettare, per sfiammare, per digerire, per vomitare.

Si fanno torte insipide, senza una grattatina di buccia. Fa rimanere bianche le mele sbucciate, verdi i carciofi tagliati. Diventerebbe tutto marroncino, senza limone.

A volte ne basta mezzo, ed allora succede che la mèta che non serve, sia riposta in frigo e dimenticata. E le gocce, le lacrime, piano piano si seccano, dal dolore dell’abbandono.

Resta mezzo limone, a volte non ha più neanche l’alibi della buccia brillante, resta quella pellolina ruvida che diventa sempre più grigia, e rinseccolisce, si ritrae, il frutto diventa secco così solitario. Così duro che non si potrà più strizzare, così risecchito, che si può solo buttare.

Era stato conservato perché poteva ancora essere utile.

Sarebbe finito con l’ultima, violenta stretta, forse un goccio in un the

Invece, si sono scordati. Proprio non l’hanno più visto, quando hanno aperto il frigo.

Era lì, come sempre, in quel suo solito posto, ma nessuno l’ha più guardato.

Ecco, alla fine non è complicato. È questa la dimensione, la lotta giornaliera, il progetto per il futuro. Non diventare quel mezzo limone inutile, secco e ammuffito. E dimenticato, ignorato, per la consapevolezza di tenerlo al posto giusto, lì dove è giusto che stia, lì dove ha un posto.

Lì dove può ancora scegliere: se essere strizzato fino in fondo, o ammuffire per dimenticanza.

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Emilia Caravaggi: I limoni e la 500

Filavo con Licia nella 500 filavano a tutta birra, come solo una 500 può andare. La campagna scorreva via mentre, da lontano, la casa di campagna dalle mura tutte bianche, si avvicinava sempre di più. Finalmente ci fermiamo accaldate e assetate mentre la vecchia signora stava portando fuori una bella limonata profumata. Ce la offre e mentre ce la gustiamo ci guardiamo intorno ammirando il giardino pieno di limoni, dal giallo intenso e ben succosi. In un angolo un telaio con una bellissima coperta colorata in procinto di essere finita. Chissà quante ore avrà passato la signora, china sul quel telaio pensando a chissà cosa. E’ arrivata l’ora di ripartire Licia ed io risaliamo in macchina e dopo qualche bizza parte scoppiettando. Dovrà affrontare una brutta salita e tutte e due abbiamo paura era che non ce la faccia. Infatti si ferma, tossisce un’ultima volta e non riparte. Con calma e allegria scendo, apro il cofano e guardo smarrita il motore. Poi l’idea : prendo una candela la ripulisco e la rimetto a posto. Miracolo! la 500 riparte alla volta di Firenze, a casa. L’avevo visto fare da un meccanico e così avevo provato a farlo. Per questa volta è andata bene!!!

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 Simone Bellini – Limoni limoni limoni…….

Limoni, limoni, limoni, il frigorifero pieno di limoni! Come mai?

La salute signori, la salute; le mie donne  salutiste sono convinte che, appena alzati dal letto, una bella spremuta di limone con acqua sia miracolosa. Brucia i grassi, fa bene alla pelle, dona energia per tutta la giornata. Chiaramente senza zucchero, bella, aspra da strizzar gli occhi. Vogliamo prendere un tè? Bene a casa mia si può dire che si prende una limonata col tè!

Ma che vuoi mettere una bella granita siciliana!!

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Monica Baldi – Il giardino dei limoni e lo scialle

I limoni mi avevano incantato. Il mio occhio non riusciva assolutamente  a staccarsi dal colore che emanava da quei frutti, un giallo luminosissimo che sembrava irraggiare, intorno a sé, tutto il sole e il calore che avevano catturato durante quell’estate chiara e radiosa. Mi trovavo nella serra del giardino, a pochi metri dalla fontana. Era umida e c’era un’atmosfera silenziosa, ovattata. Il colore dei limoni vibrava così intensamente che sembrava quasi che emettessero dei suoni, un che di argentino, in quell’aria opprimente, da serra.

La vidi all’improvviso.

Stava chinata davanti ad un vaso. Riccioli morbidi, ramati e ribelli, scendevano giù, sulla terra della grande pianta cui stava dedicando le sue cure. Non si era accorta della mia presenza. Lavorava alla terra, con dita forti, magre, un po’ nodose, come radici. Continuai ad osservarla, cercando di intuirne il volto, il tono della voce.

Non si accorse di me fino a che non le fui vicinissimo. Ero stato molto silenzioso; immaginai che avesse percepito la mia presenza per un lieve spostamento d’aria, oppure per un qualche odore che il profumo inebriante dei limoni non era riuscito a mitigare. Si voltò di scatto e feci appena in tempo a scorgere i suoi occhi. Si alzò e sparì in un tempo infinitesimale. Non avrei saputo dire né come, né dove fosse andata. Si era mossa con una leggerezza inaspettata, sorprendente. In basso, accanto alla pianta, uno scialle rosa con dei motivi colorati, che richiamava paesi esotici, (America del Sud?), testimoniava che non avevo avuto una visione.

Tesseva, insieme ai fili di cotone, i suoi pensieri. Immagini che si sovrapponevano ai colori del tessuto ed entravano a farne parte, tesseva la sua vita. Romina da piccola, scalza, i capelli stopposi, mentre la guardava facendo ciondolare le sue gambette sporche lungo il tronco dell’albero su cui si era arrampicata. Uno sguardo attento, severo, distaccato.

Romina quindicenne, con la fionda del fratello, che tirava sassate a tutti quelli che si avvicinavano, dal tetto del fienile.

Ennio…Ennio e Romina, le grida, le botte, la fuga da casa…l’odio che aveva provato per suo marito, la disperazione per la perdita di quella figlia che non voleva intrecciarsi nel tessuto della loro atona normalità, filo ribelle, filo ritorto, filo raro, filo d’oro della sua vita…giorni bui, occhi spenti, gli stessi che aveva visto, poi, in seguito, nel volto del marito di Romina, perdutamente innamorato e senza alcuna speranza di poter condividere alcunché con lei.

Filo spezzato.

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Lorenzo Salsi: I limoni e la fantasia

Quella mattina mi svegliò un rumore sordo, un tonfo. Rumore come di qualcosa di pesante che cadeva però sul morbido, su della terra smossa, lavorata. Mi alzai e lì per lì non vidi niente, solo affacciandomi vidi l’albero di limone, stracarico come sempre di frutti.

Mi accorsi però che il tonfo, botto, rumore era stato generato dalla caduta della mia fantasia; sì, lei era lì quasi esangue proprio sotto l’albero di limone, con un fil di fiato che le usciva da un racconto non finito.

“Sogno o son desto?” mi chiese il limone ” Sbaglio o questa è la tua fantasia?” continuò ” ma sei pazzo a lasciarla andare così ….. mica sei Montale?”.

“E ora che c’entra Montale?” chiesi all’albero, un po’ imbarazzato, mai avevo avuto un colloquio con un vegetale, casomai un soliloquio perché non avevo avuto mai risposte .

“Eh dici bene che c’entra Montale….ignorante. Lui con la sua fantasia ha incensato ed eternato la mia esistenza”, disse con aria bon-aria il limone .

“Ma se Montale era un razionale, un pratico mica un sognatore, un fantasioso, si rifaceva alla normale vita quotidiana nella sua opera.

A fatica la fantasia, che si era stufata di questi discorsi, si rialzò appoggiandosi al tronco dell’agrume. Stanca, afflitta, abbandonata , mi guardò con un’espressione fra il grato e l’ingrato e poi disse  “…e il gelo del cuore si sfa …”.

Il limone tutto contento mi sibilò “Hai visto anche la tua fantasia si rifà a Montale?”.

Guardai l’albero con sufficienza e feci cenno alla fantasia di rientrare in casa.

Non si vola sempre sulle ali della fantasia, a volte basta un limone… forse un cestino.

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Laura Casati: I limoni e le luci di Amalfi

Sul quel pulmino che da Castellare di Stabia ci avrebbe portato ad Amalfi,  attraverso i monti,  eravamo in diversi. La strada era in salita, stretta con curve e ricurve  a strapiombo sui burroni sottostanti. Sopra a noi i monti Lattari e il monte Faito. Era la fine di novembre e il sole calava presto, ormai stava facendo notte. L’autista era del posto e conosceva come le sue tasche quei luoghi, ma tutti noi eravamo in po’ in ansia per la pericolosità della strada. Scollinato era già buio, fu allora che ripresi fiato e sollevai lo sguardo tutt’intorno, mi apparve un paesaggio fiabesco, piccole case in cima alle colline e chiese arroccate qua e là sui dirupi con campanili che si scagliavano verso il cielo, illuminati da flebili luci artificiali. Un presepe  naturale si presentò ai miei occhi. Ora che la strada si stava allargando sperai che l’autista rallentasse o che la strada non finisse per poter godere di quel panorama. Ad Amalfi fu uno splendore di  luce le stradine illuminate dai neon  dei negozi. In  fondo una piazzetta   con al centro un camioncino e banchi di agrumi fra i  quali i famosi limoni di Sorrento che emanavano un profumo inconfondibile. A fianco la scalinata che conduce alla Chiesa, fu allora che quell’atmosfera  mi fece tornare in mente il Sinai  con suoi i  venditori di tappeti,  di tessuti locali e di datteri ed  in fondo alla strada il Monastero di Santa Cristina.

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Sandra Conticini: I limoni e la donna colorata

Un’isola assolata in piena estate con un mare cristallino ed invitante. Sparse qua e  là qualche palma con sotto alcune sdraie per dare refrigerio ai turisti  in questo paradiso incontaminato. Sulla spiaggia c’è anche una donna di colore, con indosso un bel vestito di stoffa fatta a telaio, dai colori accesi: rosa fucsia con una riga sottile azzurra ed un filo argentato,  vende limoni profumati che tiene in un bel cestino di colore verde e marrone, dalla forma armoniosa e particolare…che direi di altri tempi.

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Patrizia Casati: I limoni e il treno

Il treno va, dai finestrini il paesaggio sfugge:  alberi, case ….e via …..si allontanano.

Vedi un’immagine e subito un’altra, non riesci a fermarle.

All’interno del treno una bambina  guarda con sempre maggiore  curiosità il paesaggio.

E’ colpita dalla velocità e  i colori l’attraggono più di ogni cosa.

Ma …alzando gli occhi vede che  nel vano portabagagli, in alto, sopra la sua testa, si  nasconde un cestino dentro una coperta a quadri.

Prende la tovaglia coloratissima e il cestino (sente che è pesante e manda un profumo di …limoni, sì sono limoni!) e immagina di ritrovarsi in un bel prato. Che delizia! Lei va matta per il limone, se lo mangia sempre con lo zucchero.
Il cestino la riporta alla fiaba di Cappuccetto Rosso che va dalla nonna e ….pensa che anche lei potrebbe portare alla sua nonna qualcosa.

Immagina di apparecchiare sul prato e si mette ad aspettare….

Aspetta che sua nonna arrivi.

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Elisabetta Brunelleschi: I limoni e U’ Petraru

(racconto tra fantasia e realtà)

Non era vera vacanza se ad ogni agosto non scendevano una o due volte al Petraru.

Si incamminavano al mattino o nel primo pomeriggio per il sentiero dei Pantani, un antico tracciato abbandonato con l’avvento dei motori che Sarina e Salvo ripercorrevano divertendosi a scoprire tracce di volpi o nidi di uccelli.

Nel tratto iniziale il sentiero scendeva ripido tra spini, peri selvatici e balzi profumati di origano. Venivano poi terrazzamenti irregolari irti di paglia stecchita. E via via che la montagna si allontanava, comparivano enormi pale di fichi d’India con i frutti già gonfi, sino alla valle dove vi erano oliveti, alberi da frutto e campi destinati al frumento. Da qui il sentiero continuava verso il mare.

Quell’anno, Sarina e Salvo uscirono subito dopo pranzo, con passo veloce percorsero lo stradone fino alla curva dei gelsi e da lì, a sinistra, entrarono nel sentiero che lassù attraversava una campagna selvaggia e incolta. Nell’andare chiacchieravano, scrutavano l’orizzonte e si tenevano per mano.

Camminarono senza fermarsi, un’ora di strada li separava dal Petraru. Sarina si limitò a raccogliere pochi rametti di origano, una manciata di semi di finocchio e già alle due del pomeriggio avevano raggiunto la valle ampia e riccamente coltivata.

Attraversarono l’oliveto e sotto la loggia del Petraru scorsero da lontano Peppino, Maria e la zia Venera. Li stavano aspettando.

Si sedettero in circolo e con gioia si raccontarono le giornate trascorse tra il mare e la campagna. Al Petraru c’era un grande stalla e Sarina ogni volta amava fermarsi ad osservare le bestie. Quell’anno la vacca aveva un vitellino. Sarina corse a vederlo: la mucca lo stava allattando. Fuori le galline razzolavano la terra alla ricerca di appetitosi vermi e da una parte l’asino se stava tranquillo legato ad un palo.

Dalle stanze dell’umile casetta comparvero come una sorpresa le tre figlie di Peppino e Maria: Giovanna, Esterina e Severina. Sarina fu felicissima e subito tutte e quattro si raggrupparono in chiacchierare e confidenze. Stavano al Petraru da due giorni, dovevano raccogliere le mandorle e il ricavato della vendita sarebbe stato tutto per loro.

Le tre sorelle, nate fitte fitte una dopo l’altra, avevano ormai l’età in cui si comincia a pensare all’amore e alla preparazione del corredo nuziale che laggiù era fatto di lenzuola di lino ricamate, di coperte con tralci di rose a punto in croce e di elaborate trine che Maria col suo uncinetto instancabilmente preparava.

La vecchia zia Venera grossa e ridente sedeva immobile su una bassa sedia e non sapeva esprimersi che in dialetto. Maria raccontava di quando le aveva acquistato le prime mutande e non si sa quanto lei ne fosse rimasta contenta perché nella sua lontana giovinezza le donne non avevano indumenti intimi, stavano senza, oppure avevano larghi mutandoni completamente aperti. Venera si era abituata così e quelle mutandine di cotone tutte chiuse e ristrette quasi quasi le davano fastidio!

Peppino accompagnò Salvo nella proprietà e via via gli mostrava i frutti, la vasca con l’acqua, i campi ormai mietuti, lamentando le fatiche, rallegrandosi per le abbondanze. Giunsero all’arancio vaniglia e Peppino ne staccò due frutti.

Erano arance bianche dolcissime, dal gusto stucchevole, quasi impossibile per un agrume.

Bevvero acqua fresca e fine versata da eleganti brocche di terracotta, sotto la loggia del Petraru seduti tutti insieme.

Poi Maria prese i limoni e iniziò a sbucciarli. Dissero che sulla buccia c’era stato dato qualcosa, che forse poteva far male e quindi era meglio sbucciarli. Con un coltellino Maria tolse con delicatezza un finissimo strato, quello giallo.

I frutti che venivano offerti erano i verdelli, i limoni che si raccolgono in estate, ed erano grossi, belli, non come quelli che arrivano nelle città del continente, piccoli, striminziti, loro quelli lì non li raccoglievano, lasciavano che cadessero a terra. Nemmeno per i porci erano buoni.

Peppino vantava i limoni raccolti nel loro giardino che non era lì al Petraru, ma in paese, a Scifì, vicino alla loro casa.

Intanto Maria tagliava i limoni già privi della buccia e ne distribuiva le spesse fette dicendo che si potevano gustare così com’erano, non avevano bisogno di zucchero.

Sarina li assaggiò e non le parvero così tanto dolci, ma per rispetto dei presenti tacque e mangiò come loro ed insieme a loro.

Poi alla fine arrivò l’ora del ritorno, tutti insieme andarono a piedi a Scifì e da lì Sarina e Salvo dopo i saluti, gli abbracci, gli appuntamenti tra una settimana, un mese, un anno, risalirono verso la montagna con la corriera.

 

 

 

 

Burrasca in Maremma – di Gabriella Crisafulli

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Ti ricordi? È stato complicato ma ce l’abbiamo fatta. Sembrava la nostra nuova vita. Io andavo in bicicletta e tu facevi il tragitto in auto. Lungo la strada per il mare si sentiva l’eco del disastro di qualche giorno prima nel rombo dei cavalloni e nel sibilo del vento. Ma il sole splendeva nell’aria tersa e frizzante. Io mi sentivo euforica. Una nuova vita. Mi andava bene anche così. Pensiero  positivo sebbene nell’abbaiare nervoso dei cani si sarebbe potuto avvertire un presentimento.

La burrasca aveva fatto mille danni e sulla spiaggia erano ammassati cumuli di canne, tronchi, rami. Un disastro. Ma era passata. Ci si faceva strada a stento. Ma tutto brillava.

Siamo rimasti seduti nel sole a scrivere poesie. Una delle tue è rimasta incompleta. Ho perduto la brutta.

Forse siamo rimasti lì.

Urlo feroce – di Roberta Morandi

Ancora una rosa fiorisce per te a novembre,
profumo e colori sono ancora racchiusi nella forma,
sullo sfondo tu: lo sguardo fisso sul mio viso,
una smorfia , un pensiero, o forse il nulla.
Le mani contratte ad abbracciare un cuscino,
ombra di un affetto sfumato nel tempo.
Le parole che dico sono lontane, suoni senza profilo
A cui neppure sorridi più.
Accarezzo il tuo corpo rigido e duro
che non ricorda come aprirsi e accogliere
ma prosegue il cammino anche help senza la mente.
Ti guardo e vorrei non vederti così.
Basta. Il mio urlo feroce, ora è tempo di lasciarci andare…
Mi manchi già…

Attesa – di Elisabetta Brunelleschi

Quella sera stavamo aspettando il babbo. Non tornava, era in ritardo.

Con le orecchie tese siamo sedute in cucina pronte a percepire da lontano il ronzio del motore che non arrivava.

Oppure sì, da lontano giunge uno scoppiettio.

No, non è il suo!

Dal rumore del motore si poteva riconoscere il proprietario.

<< Questa è la lambretta di Antonio, senti come va!>>

<< Si è fermato laggiù, è la giardinetta del Tucci>>

<< Sale ancora, sarà quello del Cerrini. Eh, torna anche lui tardi!!>>

E poi tra un motore e l’altro il silenzio, solo silenzio profondo, denso, un silenzio da sprofondare.

Chissà forse la mamma era in ansia. Ma non lo dava a vedere.

Intanto noi continuiamo ad aspettare. La tavola è apparecchiata e le nostre mani si allungano verso la cucina economica accesa dove sono appoggiati i tegami con la cena.

Ecco un suono lontano come un friggere che sempre più distinto si avvicina: è lui, è il suo motorino: il Mival.

Chissà quali ritardi: il magazzino, il camionista, la strada, …

Il motore si spegne, la porta si apre e il silenzio finisce con il nostro parlare.

Rumori al buio

Rossella Gallori – Rumori al buio…e non è notte

Non era stata una vacanza,  speciale niente era più  da tanto tempo,  se non fosse stato per quel cane,  che ogni tanto abbaiava, ed il mare che sbatteva il suo io sulla roccia,  non mi sarei svegliata. ….ed avrei continuato a dormire forse per giorni,  senza cibo per il corpo,  senza luce per l’anima. Quella casa vicina al mare,  mi era stata forzatamente consigliata,  tipo : vai ti farà bene devi staccare!!!!

Più  che staccato,  avevo steccato,  come un vecchio giocatore di biliardo,  che non prende più un colpo,  perché le buche si chiudono dispettose,  ed il panno verde è solo uno stupido cencio.

Ma ormai ero li,  con due gatte grasse e rosse, con una coperta patch work sbiadita e scucita …toppe solo toppe.

Misi qualcosa addosso,  una vestaglia grigia trovata in bagno,  un bagno freddo e segnato dal tempo,  dove l’acqua scendeva a gocce dal rubinetto chiuso,  battendo un ritmo snervante; sgualcita ma pulita mi scaldò,  un’amica  di stoffa…..

Trovai la forza di farmi un caffè,  scottandomi…

I croccantini per le belve,  il pane per me,    fuori pioveva…..io sola…sola …

Fuori….fuori qualcuno cantava.

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Lorenzo Salsi – Temporale 

Lasciammo che l’acqua ci bagnasse. I tuoni ti facevano trasalire ed io cercavo di proteggerti con un abbraccio serrato ma non potente.

Fu piacevole essersi fatti sorprendere dal temporale, un po’ pericoloso per i fulmini ma la giovinezza non prevedeva il pericolo, anzi, come figli di Odino, rimanemmo lì fermi, contenti.

Poi superato il culmine delle dune, lasciammo il temporale  a sbizzarrirsi in mare. Dietro le spalle.

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Chiara Bonechi – La carrozza

Al buio ho ascoltato…
All’inizio sembrava il rumore del vento, subito dopo no, ho sentito il rumore delle ruote di un carro che procedeva, non troppo veloce, verso la destinazione e mi sono immaginata un carro, poi una carrozza trainata da cavalli lungo un percorso su strada sterrata che si apriva fra campi e boschi. Mi sembrava di scorgere una gentil signora nella carrozza.
Il cocchiere spingeva i cavalli verso la villa di lei, lei che si poteva permettere, verso la metà dell’800, questo lusso; era davvero una signora.
Il suono di un campanello ha annunciato l’arrivo.
Vedo il cocchiere che scende e che fa scendere lei.
Finalmente si svela il suo volto, il suo corpo con abiti da viaggio, il suo cappello e con fare elegante si muove, sorride e si avvia verso casa.

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 Aldo Bombaci – Il vento

Sono dentro un canyon, il vento soffia, a momenti è troppo forte, mi spinge, mi butta giù per terra; poi si placa, diventa dolce e dalle rocce sento il cader delle gocce d’acqua che non hanno avuto il tempo di ghiacciare.

Fa freddo!

Sono solo in mezzo al nulla, soltanto il cielo sopra me mi accompagna e guida verso la meta sperata.

Odo lontano il latrare dei cani, là è la civiltà, chissà se potrò raggiungerla, chissà se potrò salvarmi, sono loro a condurmi; ma posso fidarmi o è solo una eco ingannatrice che rimbalza sopra queste antiche rocce?

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 Carla Faggi – Passeggiata

Questa mattina sono stata a passeggio sulle colline sopra casa mia.

Volevo fare una passeggiata meditativa, quindi mi sono concentrata sui rumori attorno.

Il fruscio del vento, voci lontane, il pesticcio dei miei scarponi, poi lontano lontano l’eco dell’autostrada.

Dal silenzio iniziale interrotto solo dai suoni della natura sono passata a sentire principalmente i rumori lontani della città.

Volevo staccarmene ma non era facile.

Mi arrivavano pure pensieri su cose e persone e non riuscivo a liberarmene.

Provavo a concentrarmi sul respiro, sui miei passi. Niente da fare.

Allora mi sono detta “va beh, lascia che sia!” quindi libera dalla concentrazione e dalla ricerca di mente libera mi sono dedicata con leggerezza e tranquillità a pensare cosa preparare a pranzo!

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Mirella Calvelli:  Suoni e rumori nel buio…………

Era l’estate del 1970, avevo compiuto 8 anni e i nonni avevano preso in affitto una casa nel Senese.

Arrivammo eccitati, io e i miei 5 cugini, di cui io ero la più piccola e l’unica femmina.

Felici senza i genitori, pieni di progetti per quei 15 gg all’insegna della libertà.

Disponemmo i nostri bagagli nelle stanze che la nonna ci aveva assegnato e cominciammo a progettare con chi e soprattutto a che ora saremmo andati a dormire.

Arrivarono in un lampo le dieci e la nonna ci intimò di andare a dormire, non prima di essersi lavati i denti…

“Nonna non c’è acqua!!! Nonna qui puzza ed esce marrone….”

Ci portò sopra una bottiglia di acqua minerale e quella sera ottemperammo così a quella funzione.

Che bello quel letto fresco, lenzuola pesanti, ma bianche e un po’ ruvide.

Non riuscivo a prendere sonno e dopo aver provato a comunicare con gli altri, la figura della nonna apparve sulla porta per spegnere la luce…..”Nonna non è giusto io sono da sola!!”

“Ma tu sei una femmina, non puoi stare con gli altri!! Ora dormi e domani vedremo”

Sarà trascorso poco più di un’ora, che il letto era diventato un groviglio a forza di rivoltarmi in giù e in su…il cuscino piegato, poi sotto l’avambraccio destra…”Uffa, non si dorme” “Conterò le pecore…1, 2, 3…ma cos’è questo rumore? Nacchere?…no una vecchia radio transistor che gracchia rumorosamente….Ma qui non ci sono né spagnoli, né dj…allora saranno gli Ufo che cercano di mettersi in contatto….”
Lo strascichio della rete ora si sente bene, sembra vento e poi due bip…..”E se fossero i fantasmi?, questa casa è così vecchia che saranno su nel solaio…..Lì ho visto, durante la perlustrazione, due grossi bauli, di chi saranno stati? Sento il suono delle campane in lontanaza che mi riporta alla mia camera…e la voce del nonno imprecante che stava cercando di far tornare l’acqua…

Meno male è solo una questione di idraulica!!!
Dai Mirella, ora puoi dormire…

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Maria Laura Tripodi: Rain Man

Gastone era bagnato fradicio. Il cappotto inzuppato gli pesava addosso e il temporale non accennava a diminuire di intensità.

La boscaglia era fitta e a tratti inciampava, ma in lontananza, nel buio della notte, gli parve di intravedere una luce. Nello stesso momento udì il latrare di un cane e fu certo di essere quasi arrivato a un rifugio sicuro.

Camminò ancora per un po’, ma gli sembrava che la luce invece di avvicinarsi si allontanasse.

Alla fine arrivò. Il cane lo accolse abbaiando come un forsennato e tirando la catena con violenza. Poco lontano si udiva lo sferragliare   di un treno che con malavoglia affrontava il suo cammino nella pioggia.

Bussò.

Venne ad aprirgli un’anziana donna. Lo guardò senza sospetto e accennando al suo cappotto zuppo lo invitò a entrare.

All’interno c’era un bel calduccio e tre bambini stavano ascoltando una favola seduti intorno al camino acceso.

Si sedette insieme a loro e gli sembrò di essere arrivato a casa.

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Elisabetta Brunelleschi: ATTESA

Una sera, in casa, tanti anni fa.

Io e la mamma siamo in cucina e tutto è silenzio.

Nella campagna notturna della mia infanzia i rumori sono rari.

Nella strada, dalle sette in poi, transitavano uno o due mezzi e niente più.

Quella sera stavamo aspettando il babbo. Non tornava, era in ritardo.

Con le orecchie tese siamo sedute in cucina pronte a percepire da lontano il ronzio del motore che non arrivava.

Oppure sì, da lontano giunge uno scoppiettio.

No, non è il suo!

Dal rumore del motore si poteva riconoscere il proprietario.

<< Questa è la lambretta di Antonio, senti come va!>>

<< Si è fermato laggiù, è la giardinetta del Tucci>>

<< Sale ancora, sarà quello della Cerrini. Eh, torna anche lui tardi!!>>

E poi tra un motore e l’altro il silenzio, solo silenzio profondo, denso, un silenzio da sprofondare.

Chissà forse la mamma era in ansia. Ma non lo dava a vedere.

Intanto noi continuiamo ad aspettare. La tavola è apparecchiata e le nostre mani si allungano verso la cucina economica accesa dove sono appoggiati i tegami con la cena.

Ecco un suono lontano come un friggere che sempre più distinto si avvicina: è lui, è il suo motorino: il Mival.

Chissà quali ritardi il magazzino, il camionista, la strada, …

Il motore si spegne, la porta si apre e il silenzio finisce con il nostro parlare.

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Lorenza – L’importante è andare.

Un attimo prima che arrivi il buio sento la sirena dell’ambulanza, poi con l’oscurità arriva il rumore dell’acqua, un cane che abbaia, e poi mi sembra di udire un treno che passa.

Fra questi suoni e rumori scelgo il treno che rappresenta per me “l’andare”. Dove non importa, quando non si sa, il bello è andare, vedere, conoscere, sperimentare, gustare cibi, odorare profumi, ascoltare suoni e sentire sensazioni. Ogni volta che  ho viaggiato è come se avessi vissuto altre vite. Non ero più io, ma un’altra persona, in un altro mondo, con altre persone. Io stessa cambiavo il mio modo di essere e sentire. Nel buio ho viaggiato e ricordato.

Mi ha riportato qui il suono delle voci dei bambini, entusiasti e allegri, le stesse che hanno quando escono da scuola; un luogo che li ha trattenuti contro la loro volontà, che forse era quella di andare via, dove non si sa. L’importante è andare.

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Stefania Bonanni: L’albero di Natale

Non fu il rumore, a svegliarmi. Piuttosto la sensazione che il silenzio non fosse più così totale. Mi buttai di sotto al letto alla svelta, mi infilai le ciabatte, e corsi davanti alla finestra che dava sulla terrazza. Nonni chiudevano più le imposte di quella finestra, da quando si era fatto un albero di Natale grandioso, in terrazza.

Oddio! L’albero di Natale!! Non c’era più!

Restavano due tremule lucine, a nuotare nella notte, una rossa ed una verde, in alto, come lucciole.Come poveri resti di uno spettacolare filo di luci, di addobbo rosso e verde. Nulla, non c’era più nulla. Continuava nella notte un gentile, piccolo crepitio, a non infastidire. Sarà stato un corto circuito, sarà stato l’umido. Sarà stato un sovraccarico di corrente. Non era il caso di lasciarlo acceso tutta la notte, in terrazza. Ma era così bello!! Si vedeva da lontano. Un peccato, spengere la meraviglia.

Ho raccontato che è stato un incidente aereo. Che babbo Natale, con la slitta, non ha resistito, ha provato ad atterrare in terrazza, e le corna delle renne hanno provocato un disastro impigliandosi nei fili elettrici.

Nessun animale si è fatto male in questo racconto, solo un’abbruciacchiatina alle corna.

In lontananza si sentivano ancori piccoli latrati. Non erano cani, erano le renne che si lamentavano riprendendo il volo.

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Roberta Morandi: All’improvviso il buio
La luce va via insieme a quel senso che primo fra tutti ci fa percepire la realtà intorno, lasciando campo libero all’udito e all’olfatto.  Ecco, appunto, il pane di Mirella ha invaso tutti i miei sensi e al buio è  subito esploso, poi, lentamente sono arrivati suoni e rumori che mi hanno catapultata nei cantieri dell’autostrada, invasivi e padroneggianti  le nostre esistenze, sia di giorno che, talvolta anche di notte. Sensazione sgradevole,  per cacciarla  lontano da me ho dovuto concentrarmi sull’altro “rumore”…
Piove, in riva al mare, le onde hanno la solita ritmicita` di sempre: quel loro ritirarsi dopo aver spumeggiato  sui miei piedi mi fa sentire bene, in  armonia. Chissà perché il mare mi da pace, e, per parafrasare Edoardo de Filippo, “ una pace senza tempo” immutabile e fresca, e poi piove, piano, leggero, non mi bagna e basta, mi accarezza e mi accoglie in un abbraccio umido e lieve.

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Sandra Conticini: Il treno

Oh dove arriverà quel treno che sento in lontananza, e da dove verrà.  Sono qui in questa campagna sperduta e non riesco a capire  cosa possa essere quel rumore che io penso sia il rumore di un treno che corre sulle rotaie. Immagino sia degli anni 40-50 con i seggiolini di legno duri e sopra vi siano signore con i grandi cappelli e colli di pelliccia tutte incipriate, imbellettate e profumate con i loro compagni vestiti con mantelle nere e bastoni d’argento.

Le aiutano a scendere come dei veri gentiluomini.

Il rumore del treno non si sente quasi più, ma vedo una lucina rossa in lontananza, deve essere il cosiddetto  fanalino di coda……ma allora era proprio un treno, non ho sognato!!!

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Ivana Acciaioli: Silenzio

La casa è silenziosa.
Il senso di vuoto che è in me affiora.
Rumori lievi giungono senza offesa.
Il tempo inganna le assenze.
Piove.
Cambia la luce nella stanza mentre la penombra avanza.
La solitudine si fa più densa.
Piove e tutto si infrange.
In  me non cambia niente.

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Tina Conti: Emozioni al buio

Notte, buio ma non troppo, un uomo prepara la paglia per le sue bestie, si sente calore, alitano insieme, gli animali si muovono al buio, lo riconoscono, l’aspettavo.
Si apre il portone, le assi scricchiolano ,i portelloni sbattono.
Dalla cucina una folata di vento fa entrare  l’odore del pane appena sfornato.
Laggiù si sentono rumori di festa, ci si prepara per la veglia di Natale.
Ormai Valerio può  prepararsi, tutto è stato fatto, andrà con la sua slitta alla chiesa.
La sua bella sposa con il vestito della festa è già andata, ha ancora un po’ di farina sul naso, e le mani hanno segni di farina sulle unghie.
Senso di pace, di serenità, di vita concreta.
Il lavoro, la famiglia, gli animali amati  e da accudire  riempiono la vita.
Tutto procede con armonia ,la famiglia gode della semplicità  e essenzialità  delle cose.

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Simone Bellini: Piove!

Allora vado a portare fuori il cane ,che questo tempo mi pare stia cambiando. Stamani c’era un sole che spaccava le pietre !-

– Va bene , poera bestia  e’ da un po’ che mugola, vai vai !-

Non si fa in tempo a voltare l’angolo che comincia a tuonare, non piove ancora, ci dirigiamo verso il prato dove solitamente andiamo ed ecco le prime gocce .

– Dai sbrigati Gigler, fai quel che devi fare e torniamo a casa.-

Ma quello se la prende comoda, gira di qua, gira di là, annusa dappertutto ed intanto la pioggia aumenta.

-Andiamo, che ci si inzuppa tutti! –

Si scatena il finimondo. Quando arriviamo a casa siamo da strizzare per quanto siamo bagnati.

Dopo una bella asciugata giocando alla fune con un panno di lino, ci riposiamo. Che fare con un tempo cosi’?

Quasi quasi mi metto a scrivere!

Un tuono, un lampo…..via la luce! PERFETTO !!!!!

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Gabriella Crisafulli: Burrasca in Maremma

Ti ricordi? È stato complicato ma ce l’abbiamo fatta. Sembrava la nostra nuova vita. Io andavo in bicicletta e tu facevi il tragitto in auto. Lungo la strada per il mare si sentiva l’eco del disastro di qualche giorno prima nel rombo dei cavalloni e nel sibilo del vento. Ma il sole splendeva nell’aria tersa e frizzante. Io mi sentivo euforica. Una nuova vita. Mi andava bene anche così. Pensiero  positivo sebbene nell’abbaiare nervoso dei cani si sarebbe potuto avvertire un presentimento.

La burrasca aveva fatto mille danni e sulla spiaggia erano ammassati cumuli di canne, tronchi, rami. Un disastro. Ma era passata. Ci si faceva strada a stento. Ma tutto brillava.

Siamo rimasti seduti nel sole a scrivere poesie. Una delle tue è rimasta incompleta. Ho perduto la brutta.

Forse siamo rimasti lì.