I personaggi di Carmela: bisogno di colori

Una lettera piena di baci – di Carmela De Pilla

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-Ma guarda come si addobba, le mancano le luci e poi abbiamo l’albero di Natale fuori stagione!

Lo disse con una tale foga che lui stesso se ne meravigliò, non era solito reagire in questo modo alle sue stranezze, ma quel vestito verde damascato orlato di trina rosa anni venti era davvero troppo, per non parlare di quel ridicolo cappellino arancio con la veletta che le nascondeva gli occhi.

Occhi di ghiaccio che facevano contrasto con i colori sgargianti dell’abbigliamento, lui invece essenziale e misurato, non si allontanava mai dal blu e dal grigio antracite.

“Troppo noioso e ripetitivo” diceva lei “mai un giorno diverso da un altro, tutti blu e grigi!”

Era diventato un noto scrittore di fantascienza e aveva finalmente realizzato il suo sogno, aveva lasciato il caos cittadino e si era rifugiato sulle colline di S. Casciano, il verde dei prati e del bosco lo rilassavano e nuovi personaggi affollavano la sua mente.

Domenico era sempre stato serio e riservato e tanti si chiedevano come avesse potuto sposare Amneris, lei esuberante, lui riservato, lei colorata, lui grigio…si erano conosciuti già da un ventennio e un po’ per gioco, un po’ per noia si erano sposati, gli piaceva avere accanto una donna colorata e saltellante, ne rimaneva contagiato, ma col tempo era diventata troppo…troppo colorata, troppo esuberante, troppo allegra…

A dire il vero Amneris non era stata sempre così, da giovane se ne stava spesso per conto suo e passava le giornate ad ascoltare musica, soprattutto quella lirica, le uniche amiche erano le protagoniste delle opere e un velo di malinconia  avvolgeva i suoi occhi, si era rattristita e perfino il suicidio di Tosca le sembrò una giusta soluzione poi accadde la metamorfosi, voleva vestire i suoi giorni di mille colori, magari rimanerne anche accecata, ma sentirsi viva, allegra proprio come quel verde damascato e fu così che un giorno come tanti altri decise di lasciare tutto, niente sceneggiate, niente litigi, solo una lettera piena di baci perché l’amore c’era stato, era stato un amore profondo, viscerale, ma ora…

Aveva già prenotato il treno per Toledo, ci era stata da ragazza ed era sicura che lì avrebbe trovato i colori della sua vita, quella città così festosa le avrebbe permesso di svoltare pagina, avrebbe preso il trenino rosso e sarebbe rimasta incantata ancora una volta davanti alla  città vista dall’alto.

 Forse avrebbe continuato ad amarlo, ma ora odiava il blu e il grigio, aveva bisogno di colori.

I personaggi di Sandra: cuori teneri

Due cuori teneri – di Sandra Conticini

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Indossava vestiti dai colori sgargianti e tutti i giorni cambiava look. Sicuramente non   passava inosservata. Non riusciva a mettere due colori che stessero bene insieme. Era inguardabile quando si metteva quel camicione rosso fuoco con balze arancione, calze a righe gialle e viola, sandali azzurri e per finire  il cappello l’ ombrellino con un veliero, degli uccellini disegnati e tanti fiocchi azzurri, bianchi e fucsia.

In pochi sapevano dove andava, neppure il suo compagno ne era a conoscenza, ma era tranquillo, perchè tutte le sere tornava.

Aveva un’aria trasognata, camminava canterellando e saltellando, qualcuno la chiamava “la vispa Teresa”, ma non era matta anzi era una persona molto buona.

Tutti i giorni, in quelle condizioni, a volte anche peggio, andava in un istituto a tenere compagnia a dei bambini e quando arrivava iniziavano a ridere,ridere, ridere… ne avevano tanto bisogno. Lei si sentiva felice e contenta di poter portare un po’ di brio in quell’ambiente desolato. In questo progetto aveva coinvolto un suo amico scrittore di fantascienza. Aveva fatto una bella carriera, dalla vita aveva avuto tutto, viaggi, amicizie, soldi e tante soddisfazioni. Da questi ragazzi andava volentieri perchè riusciva a farli divertire raccontando storie di  alieni, simulando di salire sulle navicelle e ogni volta raccontando una storia diversa. I bambini erano al settimo cielo, lo avrebbero voluto tutti i giorni ma, da quando era andato in pensione, si era ritirato in una casa di campagna. La città era diventata troppo caotica ed aveva bisogno di tranquillità. Possedeva tutti i suoi animali cani, gatti, pecore, galline, ciuchi, pavoni, tutti con la loro casa, ma per tenere  pulito e governarli ci voleva del tempo.

Qualche volta nei giorni di festa andava a trovarlo la “vispa Teresa”, vestita un po’ più sobria,  conobbe il guardiaboschi,  un uomo tranquillo, ma forte, si vedeva  da come camminava. Sempre con un cappello  verde di feltro, la cartucciera ed un fucile in spalla. I due entrarono in confidenza così lei, che negli ultimi tempi voleva cambiare vita, una sera tornò a casa preparò il baule pieno di cenci colorati,  scarpe, cappelli e borse  di ogni foggia lo caricò sul taxi…. si trovarono all’aeroporto… avevano i biglietti in tasca partirono…

Nessuno seppe più niente di loro, qualcuno disse che erano andati a Toledo!

I personaggi di Nadia: La signora Arcobaleno

La signora Arcobaleno – di Nadia Peruzzi

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Quando il taxista la vide arrivare non credeva ai suoi occhi. Ne vedeva di persone tutti i giorni ,a ogni ora del giorno e della notte, ma una così mai! Unica, stravagante, tendente allo strano forte. La valigia che si portava dietro pesava come un blocco di marmo, da quanto era pesante. Ci doveva essere una vita lì dentro. Doveva esser stato complicato anche chiuderla visto che da un lato ciondolava un pezzo di boa di struzzo color magenta. Le avesse dovuto dare un nome , Arcobaleno , decise, le sarebbe stato benissimo. Si muoveva a lunghe e perfette falcate, schiena dritta, sguardo perso in un orizzonte lontano. Non era ancora partita, ma aveva già fatto tutti i conti col suo passato. Col pensiero era avanti, era già arrivata alla sua meta. Nessuna tristezza per ciò che lasciava, una casa, un amore, chissà?? Nel suo sguardo solo gioia, voglia di vivere, di futuro, di scoperte. Non fu facile riuscire a farla entrare in macchina con tutto quel ben di dio che aveva addosso. Brillava come se fosse un albero di Natale fuori stagione. Ogni colore, e ne aveva tanti addosso, aveva un perché e ognuno dava vivacità all’altro. Oro, fucsia, verde smeraldo, giallo e viola ,di tutto e di più e tutto insieme. Stoffe lucide e fruscianti e quel cappellino con gli uccellini che era decisamente sbarazzino. Riuscì a chiudere lo sportello con lei seduta dentro ,finalmente. Si mise al posto di guida . Ingranò la marcia dopo aver chiesto la direzione! “Aeroporto Fiumicino voli internazionali! Toledo mi aspetta, olé”. Aveva fatto pochi metri ,quando dallo specchietto retrovisore vide un energumeno che correva per raggiungerli. Correva e urlava. “Argia, non lasciarmi. Dopo una vita intera insieme, poi! Perché? Dimmi almeno dove sei diretta!” Lei nemmeno si voltò. Lo avrebbe visto paonazzo e fuori dai gangheri. Meglio non voltarsi. Imperturbabile ,al tassista, disse. ”Via, presto! Non voglio restare qui un minuto di più. Non lo sopporto. Noioso come una piattola, lento come un tapiro, insopportabile. Ho bisogno di vita e colori ,mica di un morto che cammina a 50 anni!” All’aeroporto scese dal taxi con la velocità di un centometrista, la valigia sembrava diventata una piuma per come se la tirava dietro a tutto gas. Al boa di struzzo toccò la sorte peggiore. Cambiò colore pulendo i pavimenti strascicato dalla valigia. Un pezzo rimase a fissare sconsolato lei che se ne andava, dal bordo di uno degli scalini della scala mobile.

I personaggi di Stefano: il destino delle donne

Cambiare è possibile? – di Stefano Maurri

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Sarebbe uscita con il vestito verde di damasco con la trina rosa, scarpe a punta con fiocco e strass. Calze a righe gialle e viola, mantello dorato con bordi di pelliccia. Anche l’ombrellino e il cappello erano meravigliosi.…..

Sarebbe: mai un verbo fu  coniugato in maniera così giusta. Dopo essersi vestita in maniera festosa incontrò il marito sulle scale.  “dove vai così conciata?”  le disse in modo brusco “torna subito in casa! cosa credi di fare? credi che non mi sia accorto della tua storia con il guardiacaccia!!! ricordati che qui si fa quello che dico io!”.  Sconvolta lei si mise a sedere ancora vestita di tutto punto, impaurita e preoccupata di quello che sarebbe  potuto accadere. Lui cominciò a bere, sul momento non successe niente ma dopo un po’ le urlò: “prepara un castagnaccio come si deve!”. Tempo una mezz’oretta e il castagnaccio fu in forno. Lui continuava a bere, il castagnaccio aumentò la sua voglia di bere e in poco tempo si ridusse uno straccio e lei capì che quello era il momento di fuggire. Il guardia caccia la aspettava nei pressi della sua casa al limitare del bosco passeggiando sempre più nervosamente. Quando lei arrivò ansimante le si rivolse con un fare di comando: “preparami un castagnaccio come si deve e togliti quei vestiti che sembri una mongolfiera!” poi prese una bottiglia di vino e cominciò a bere I finali possono essere due: lei che prende il fucile e gli spara oppure lei continua ad essere la sua amante. Io concordo con la prima ipotesi (anche perché l’amante di Lady Chatterly  è già stato scritto).

I personaggi di Vittorio: Lo scrittore di …realtà

Lo scrittore nel bosco – di Vittorio Zappelli

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Fantascienza si fa presto a dire…..quasi realtà , cosi’ pensava lo scrittore affermato e gratificato dal suo scrivere con successo  di fantascienza.

Si ,quasi realtà ! da quando l’amico guardacaccia che stava  vicino alla sua casa in campagna gli racconto’ questa storia:

“Una mattina presto lui usci’ per andare nel bosco . Era ancora buio e mentre camminava vicino ad un campo di girasoli avvenne una cosa straordinaria .Una luce improvvisa e fortissima illumino’ il campo e sveglio’ i girasoli che cominciarono a seguirla nei suoi movimenti. Centinaia di girasoli che roteavano la testa al ritmo della luce che si muoveva sempre piu’ in fretta nel cielo basso, creando anche  rumore nel loro movimento forsennato. Il guardaboschi rimase impietrito dalla paura , immobile per un tempo che gli parve lunghissimo. Poi d’un tratto la luce si alzo’ a velocità supersonica e divento’ un puntino luminoso mentre i girasoli frastornati da quel movimento si afflosciarono prima di ritornare immobili . Dopo un po’ il guardaboschi , ancora sconvolto, si inoltro’ nel bosco, guardingo perché ogni minimo rumore lo metteva sul chi va la’.

Ad un tratto un fruscio di vesti ed un lampo di colore ! cosa era stato? Guardo’ meglio e vide tra le fronde una macchia di colori impossibili che si muoveva a velocità umana ed emetteva tra i cespugli sotto il sole che stava nascendo lampi colorati in movimento.

Il guardaboschi a debita distanza segui’ quel gomitolo variopinto e penso’:  ” e’ un extraterreste uscito dalla astronave nel campo dei girasoli!”

-“Ma sei sicuro di quello che hai visto ?“ disse lo scrittore all’amico

-“dei girasoli si certo ! ma dell’extraterreste  non proprio !”

-“Perche’? “ chiese lo scrittore  

– “Perche’di li a poco , su un viottolo carrabile in una radura del bosco, si è fermato un taxi ed ho sentito quell’ essere coloratissimo dire al guidatore :MI PORTI A TOLEDO 

I personaggi di Stefania: incontri nel bosco

Lo scrittore di fantascienza – di Stefania Bonanni

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Ricordava bene quando la maestra commentava i suoi temi: fantasia esagerata, invenzioni assurde, pensieri troppo distanti dalla vita vera. Una specie di disadattato. E la mamma a casa rincarava la dose : “Ma tu smettessi di stare sempre chino su quei fogli a scrivere stupidaggini!” In effetti, presto ebbe fama di “strano” tra i suoi amici, ed anche tra i parenti ed i vicini. Ridacchiavano, lo vedeva, lo sentiva. Ma a lui tutto questo fu indifferente, anzi, lo motivo’, di piu’ e per sempre. Decise che avrebbe seriamente percorso la strada necessaria a diventare un esperto di fantascienza. Studio’ le stelle, gli altri, poi i razzi, le navi spaziali. Poi comincio’ a pensare agli extraterrestri. Era convinto ci fossero, su questa terra, perché no! E li descrisse, né parlo’ come se li avesse conosciuti, così profondamente che molti si convinsero lì incontrasse. Li disegnava, li descriveva con particolari difficili da smentire. I suoi libri, tutti corredati da disegni particolareggiati, diventarono dei successi “planetari”, e questo zitti’ tutti quelli che l’ avevano preso per matto. Fece anche molti soldi, perlomeno quelli che gli servirono per comprare la casa di campagna che sognava. Non amava la campagna noiosa, e neanche gli animali lo interessavano. Voleva la solitudine, il silenzio. Voleva scrivere tutto il giorno senza aver intorno né traffico, né bambini, né mamme.

La casa di legno con annessa una piccola ala, sembrava una nave spaziale, e lui capi’ che era il posto perfetto per ambientare i suoi strani personaggi. Infatti la sua vena in quel periodo fu ben alimentata, ed il fatto che il famoso scrittore non si trovasse piu’ al vecchio indirizzo e nessuno ne sapesse notizie, fu acqua che accrebbe il fiume del suo successo.

Fino al giorno in cui una persona turbo’ la sua quiete. Una signora che si era rotta un tacco nel fango, busso’ alla sua porta, e lui ebbe dalla sua vista una specie di shock: fu sicuro fosse un’aliena. Era così assurda, vestita con abiti così violentemente colorati,  così esageratamente addobbata di trine, piume, guanti, cappello, perdipiu ‘ traballante su un unico tacco dodici, che lui non ebbe dubbi: era una venusiana.

Le offri’ di rimanere, lei accetto’. In cambio dell’ alloggio, avrebbe cucinato. E fu proprio quello che lo convinse definitivamente: cucino’ panettone con tonno ed acciughe, spaghetti con la Nutella, aringa in salsa di fragole. Dopo qualche lavanda gastrica e parecchi digiuni, a poco a poco, si abituarono. Dormirono insieme ed un giorno scoprirono di aspettare un bambino.

Il guardiacaccia, che fino a quel punto ogni tanto li avvistava nel bosco, non li vide piu’ e preoccupato, ando’ a bussare a quella porta: “C’è qualcosa di strano, lo sento, fatemi entrare”.

Non aprirono, rimasero soli, soprattutto dopo aver avuto il bambino: VERDE.

La storia di Rossella B. con i tre personaggi: il fascino della fantascienza

Lo scrittore di fama – di Rossella Bonechi

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La passione per la fantascienza l’aveva coltivata fin da bambino e già da allora decise che sarebbe stato per la vita; forse fu grazie alla fortuna ma anche ad un po’ di capacità e a molta testardaggine, che riuscì a farne il suo mestiere ed ora era diventato uno scrittore di fama: le sue storie con molta fantasia e molta scienza piacevano e vendevano. Sì concesse il lusso di andare a vivere in campagna, lontano dal caos in compagnia di 2 gatti 1 cane e 1 asinello; prendersene cura era un piacere e anche una distrazione dal suo scrivere e scrivere a volte in maniera un po’ ossessiva. Sì, si era guadagnato la sua pace e ci stava come un ragno in quel paradiso. Peccato per il guardiacaccia, che con la scusa di sorvegliare arrivava sempre all’improvviso a rompere l’incanto: non lo sopportava, con quel suo fucile in spalla, gli stivaloni che facevano il paio con la sua aria tronfia da Padrone del baccellaio. “Tra poco capita”, pensava già contrariato, “sono un po’ di giorni che non lo si vede…”. Infatti un rumore di passi svelti gli annunciò la visita e tentò di guadagnare la porta per cercare almeno di svignarsela sul retro. Ma tra gli alberi intorno non vide altro che un movimento colorato e un ombrello. Un ombrello ?? E poi un cappello con nastri e fiocchi e una specie di nido d’uccelli in cima, indossato da una creatura vestita di verde sgargiante e trine rosa.

Per un attimo pensò che si fosse incarnato un qualche personaggio delle sue storie di fantascienza, ma non aveva mai scritto di donzelle con l’ombrellino!

Poi vide la valigia, si riprese dalla sorpresa e capì che lei, chiunque fosse, si era solo perduta. Le andò incontro, le porse il braccio e la invitò in casa per riprendersi un po’, tanto lui era abituato ai tipi strani e davanti a un buon tè avrebbero chiarito tutto. Stava per chiudere la finestra ma ci ripensò e la lasciò bella spalancata, perché non voleva perdersi la faccia del guardiacaccia spione alla vista dello scrittore strano che prende il tè con l’aliena colorata.

I personaggi: Lo scrittore di Luca

Lo scrittore in ritiro – di Luca Miraglia

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Nonostante la pensione, Armando non rinunciava mai alla sua passeggiata quotidiana in quei boschi che aveva calcato per tutta la vita: la sua vita da guardaboschi a salvaguardia di quei luoghi incantati che tanto amava.

Certo, molte cose erano cambiate anche lì nel corso del tempo.

Le radure distese verso il paese erano state pian piano inghiottite dall’espansione di ville e villette dei nuovi paesani in fuga dalle città del fondo valle. Financo quell’ultimo prato, proprio al limitare del folto del bosco era stato occupato da una piccola casetta con tanto di pollaio.

Ci abitava da non molto un bel signore un po’ attempato, dall’aria raffinata e colta. Non certo un montanaro o un contadino: un altro cittadino in cerca del suo “buen retiro” tra i silenzi dell’alta valle e l’illusione di naturalità nel governare qualche pollastro e due papere.

Armando viveva con una certa insofferenza questa invasione del suo mondo antico.

Tutte quelle costruzioni e quell’asfalto non avevano fatto altro che portare fin quassù i rumori e gli odori delle città e il loro stile di vita fatto di urgenze e velocità.

Anche oggi mentre nella sua passeggiata sfiorava quell’ultima radura a filo del bosco, un fracasso scoppiettante di motore che arranca su per la salita: un taxi sgangherato che si ferma davanti alla casetta.

Ne scappa fuori una improbabile signorina vestita come un arcobaleno rilucente e delle improponibili scarpe a punta.

  • Se non fosse che cammina, sarebbe un perfetto spaventapasseri – pensò Armando – perfino i pollastri se la sono data a gambe a quella visione.
  • Giovanni!! Giovanni dove sei?!! – cominciò ad urlacchiare la signorina.
  • Sono Matilde, la tua Editor! Vieni fuori per favore!!

Il bel signore si affaccia dal pollaio:

  • Matilde!! Te l’ho già detto cento volte! Non scriverò mai più né per te né per nessun altro!

Incontro del 4 dicembre 2025: Nuovi personaggi si intrecciano

Un guardiacaccia. O forse guardiabosco. Persona forte determinata con un fucile leggero, una cartucciera, un cappello di feltro a falde larghe. Cammina lentissimo con passi brevi, regolari, è grinzoso nel viso per le rughe a causa dei forti raggi solari di una vita,  combattuti socchiudendo gli occhi senza occhiali scuri. Una vita lassù, nei profumi degli alberi e delle vegetazioni. Ma anche tra gli odori cattivi lasciati dagli animali. (Lorenzo)

Era diventato un bravo e conosciuto scrittore di fantascienza, la sua passione fin da bambino. Era riuscito a coronare il sogno, aveva fatto una bella carriera e ne era soddisfatto. La sua era stata fino ad allora una vita piena di soddisfazioni, di amicizie ma ora si era allontanato dalla città caotica e preferiva passare il suo tempo nella vecchia casa di campagna insieme agli animali (Mimma)

Sarebbe uscita con il vestito verde di damasco con la trina rosa, scarpe a punta con fiocco e strass. Calze a righe gialle e viola, mantello dorato con bordi di pelliccia. Anche l’ombrellino e il cappello erano meravigliosi. Arancio con veliero e nido di uccellini, fiocchi rosa e farfalle. Non poteva però abbandonare le altre cose dentro il baule, le avrebbe messe in una valigia. Messo il rossetto ciclamino salì sul taxi per Toledo. Al compagno lasciava una lettera piena di baci ben in vista nella padella delle bruciate, ma non diceva la sua destinazione. (Tina) 

I tre personaggi si incontrano: amori a Napoli con Carmela

Amori in strada – di Carmela De Pilla

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Pinuccia amore mio!

Quel brusio continuo o meglio frastuono che proveniva dalla strada faceva parte ormai della sua vita, non gli davano noia le urla dei commercianti o quelle di Marietta che chiamava a squarciagola i quattro figli sparsi per la strada, ci era nato con quei suoni e gli erano diventati familiari, in fondo non si sentiva mai solo, la sua Napoli era  un po’ troppo rumorosa, ma era viva!

Michele non era bello, troppo alto e troppo spigoloso, con gli occhietti che si perdevano in un volto lungo e scavato però era benvoluto da tutti.

Sapeva di non poter contare sulla bellezza quindi aveva speso tutte le sue energie sulla simpatia e sulla generosità e nel rione nessuno faceva caso alla bruttezza.

-Michè me la dai una mano? Devo portare giù l’armadio di  mamma, ho messo un po’ di soldi da parte e ne ho comprato uno nuovo.

-Per te questo e altro Pinù però dopo mi offri un bicchiere di vino perchè dal terzo piano…vado a chiamare Nino!

Fare un piacere a Pinuccia era sempre una gioia per lui, non l’aveva mai detto a nessuno, ma ne era profondamente innamorato, non gli interessava il suo aspetto fisico, con quei capelli ricci e crespi sembrava un palombaro e nonostante li tenesse legati scappavano da tutte le parti, ma lui l’amava così com’era.

Si era trasferita a Napoli da bambina e forse perchè ognuno sentiva il bisogno di consolare l’altro era nata fin da subito una sincera simpatia.

Il problema era che Pinuccia abitava ancora con sua madre e Michele non aveva mai preso il coraggio a quattro mani per dichiararsi però ancora teneva come reliquia il maglione che lei gli aveva fatto quando arano ancora giovani, mezzo bucherellato e rammendato più volte se ne stava ben piegato nel comò, non lo buttava via, era stato fatto dalla sua donna e ogni tanto lo annusava per sentire il suo odore.

-Devo decidermi a dichiarare il mio amore!- si diceva ogni giorno senza immaginare che l’oggetto del desiderio di Pinuccia era Antonio, il più antipatico del quartiere, un tipo nè alto nè basso, nè grasso nè magro insomma un tipo anonimo, ma bello e interessante agli occhi di Pinuccia.

Quando Michele lo seppe gli venne un colpo al cuore e con un filo di voce sussurrò: – No, lui nooo! Con quelle unghie sempre sporche di terra…

I tre personaggi si incontrano: In treno per Napoli con Tina

Teatro viaggiante – di Tina Conti

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Era partita con un treno regionale che si fermava nelle piccole stazioni, salivano studenti assonnati e lavoratori con  la borsa del pranzo  del mezzogiorno.

A lei non importava di quella umanità indaffarata, e confusionaria, era concentrata su se’ stessa, sui  suoi ricordi sui   sogni , ce l’avrebbe fatta, lo sapeva.

Aveva  preparato un bagaglio  minimo, solo le cose che l’avrebbero fatta stare bene. Certo, da sola , sempre coccolata dalla famiglia, dai fratelli, ora  si sarebbe messa alla prova.

Come era riuscita a vincere quel concorso non se lo  sapeva spiegare.

Sarà  stato il  fantasticare  con i personaggi del  suo teatro dei burattini che amava tanto. Quando trovava una nuova storia da interpretare, arrivavano tutti i  bambini del vicinato. Lei faceva tutte le parti, si improvvisava rumorista con pentole e barattoli regista e attrice. L’i ncanto prendeva   forma, occhi lucidi, grida e sospiri, si sentivano  sommessi, catturava sempre il suo pubblico. Sarà sicuramente anche servito  il lavoro che offriva per  il teatro del suo paese, una  realizzazione all’aperto nella quale i paesani erano attori, costumisti, scenografi, che lei   sapeva guidare  e  indirizzare con sicurezza.

Dentro la sacca custodiva con  affetto un piccolo quaderno dove erano raccolti episodi allegri, riti, racconti del paese e della sua numerosa famiglia.

A  Bologna, salì su un treno diretto, l’atmosfera si era fatta diversa, più frettolosa,  ma cordiale e generosa, anche l’abbigliamento rivelava agiatezza e molta attenzione specialmente nelle signore.

Il signore che si trovava vicino, si dimostrava cordiale e interessato, era un tipo  originale, un po’ rotondetto, portava un gilè imbottito e una camicia  pesante a righe, le offrì un cioccolatino, e la osservava mentre lei frugava in quella grande sacca colorata. Non poteva certo passare inosservata quella borsa fatta di stoffe diverse, nastri, borchie.

Tirò  fuori una passata di  tessuto e provò a  infilarci tutto quel cesto di riccioli che le contornavano il viso.

Infilava da una parte, loro uscivano dall’altra. L’uomo capiva che non era proprio capace di controllare e gestire  tutti quei capelli che luccicavano al sole e che invadevano anche la sua parte di poggiatesta. Si ricordò di avere nella sua collezione di oggetti una grande quantità di  pettini spagnoli di tartaruga e di averli usati una volta.

Prese della borsa un grande album e coinvolse la ragazza nel consultarlo.

Spiegò di essere un professionista e di aver lavorato con artiste di teatro.

Le mostrò la pettinatura che aveva realizzato per Amanda  S in uno spettacolo a Milano.

La ragazza rimase entusiasta e si   lasciò coinvolgere dalla sua proposta.

Sarebbero scesi a Cesanello insieme, avrebbe accettato la proposta di farsi acconciare quei capelli così difficili e ribelli.

Il suo corso teatrale iniziava fra una settimana e lei poteva tranquillamente permettersi di  scoprire il mondo e fare quella fortunata esperienza.

Sapeva che di lunedì il salone era chiuso e  doveva pazientare.

La proposta era di passare da casa del signore  e poi andare alla cena dove era atteso dagli amici. Quanta sorpresa appena aprirono la porta della casa; lei rimase avvolta da tende appese, decori, oggetti  vari, dipinti, manichini e una enormità di parrucche e maschere.

Sono la mia passione e la mia maledizione confessò sconsolato Oscar, prima di partire però, andarono in un  bagno  attrezzato   di un vero parrucchiere che con fare esperto e agile la accomodò degnamente.

Si era consegnata  docilmente a quel  personaggio esuberante addormentandosi a tratti.

Quando mise a fuoco l’accaduto fu soddisfatta e contenta.

Stavano indossando le giacche per uscire che suonarono alla porta.

Apparve un giovane alto e distinto con una barbetta  brizzolata e appuntita.

Viene anche la tua amica vero stasera? Questa ragazza è proprio quello che manca nel nostro gruppo di addormentati…… disse con fare spavaldo………….

I tre personaggi si incontrano: Tra Napoli e U.S.A. con Gabriella

Quartieri spagnoli – di Gabriella Crisafulli

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Erano già seduti tutti intorno al tavolo quando Filomena portò la pasta fritta già porzionata: un pezzo per ognuno.

Finì in un attimo. Carmelina si mise a piagnucolare e a lamentarsi: ancora una volta era rimasta in padella per lei solo la parte più piccola. Il tempo di protestare e anche quella scomparve senza che nessuno prestasse attenzione alla ragazzina e alla sua fame che avrebbe bucato lo stomaco fino al giorno dopo. Anzi, suo fratello Angelo cominciò a deriderla imitando la sua protesta. Era il maggiore dei figli di Filomena, bello come il sole, alto quel tanto che non è troppo, il viso ossuto, gli occhi azzurri che illuminavano la stanza, i capelli biondi appena mossi, un filo di barba un po’ voluta un po’ cialtrona, mani grandi con le unghie segnate dal grasso dei motori. Lui era il boss indiscusso di casa e del vicolo Portacarrese. Era ad Angelo che veniva portata la merce trafugata in città a cui riusciva a dare una seconda vita: faceva il meccanico e i fratelli e i vicini lo aiutavano recuperando per strada i pezzi che gli servivano.

Nel frattempo Filomena si era messa a grattare il fondo della padella staccando qualche cavatone bruciacchiato rimasto attaccato al ferro, per dare a sua figlia qualcosa da mettere in bocca.

Mentre Carmelina masticava scricchiolando gli avanzi sugosi del fritto, si guardò intorno in quel basso dove tutto era provvisorio. Ad una parete erano accatastate le assi che la sera diventavano letti: venivano appoggiate sui treppiedi del focolare. Le materasse si trovavano a terra, arrotolate una sopra all’altra al di sotto dei legni. Nella parete opposta c’erano il focolare, la fornacetta, l’acquaio e, in un angolo, la buca del pozzo nero. L’unica fonte di luce proveniva dalla porta d’ingresso che era aperta per far entrare un po’ d’aria. Da lì Carmelina vide passare Gennaro di due anni più grande di lei. Spesso le aveva chiesto se in futuro sarebbe voluta rimanere lì o pensava di andar via. Gennaro aiutava il padre che faceva il sarto. Lui nei quartieri spagnoli non sarebbe rimasto. Fra i vicoli si diceva che chi aveva un mestiere in mano poteva fare fortuna in America. Le faceva già la corte. Le parlava di suo cugino che era emigrato da un paio di anni e adesso aveva una casa grande e mangiava tutti i giorni.

Carmelina era perplessa, non sapeva cosa pensare ma la fame spesso le bucava lo stomaco e l’idea che si potesse mangiare tutti i giorni era una grande attrattiva.

Dieci anni più tardi la foto li ritraeva il giorno delle nozze.

Erano in Mulberry Sreet.

Lei era alta, né grassa, né magra, con i capelli ricci raccolti in una crocchia da cui partiva il velo che arrivava a terra.

Non era né bella, né brutta, era di un normale che tendeva all’insignificante ma quell’abito bianco, pur avendo un che di monacale, la rendeva maestosa.

Lui non era per niente bello. Aveva il naso largo e un po’ schiacciato che stonava con il viso lungo e spigoloso. Gli occhi neri si perdevano quasi, da quanto erano piccoli.

Ma era piacente grazie ad un sorriso sincero, dolce e un po’ malinconico che lo portava a diventare amico di tutti.

Indossava un abito da cerimonia nero che lo faceva sembrare un pinguino.

Erano vicini uno all’altra.

Si guardavano emozionati.

Dietro di loro si intravedeva la vetrina di un negozio con la grande insegna:

Esposito’s tayloring

I tre personaggi si incontrano: a teatro con Daniele a Sorrento

Stagione teatrale – di Daniele Violi

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Siamo all’inizio dell’anno e al famoso teatro di Sorrento “Dicitanciello Vuie” si deve iniziare a programmare una stagione che come in altre occasioni ha visto uscire il desiderio incontenibile di avvicinare sempre di più l’arte teatrale alla realtà e combinare le qualità di persone comuni provenienti da strati sociali diversi e a potersi esprimere al pari di attrici e attori.

Un teatro napoletano che risente molto della vita vissuta nella realtà, come le opere famose sono esempio e storia. Bene, ora si tratta di poter pubblicizzare il nostro progetto, dice il capocomico. Potremmo inserire un annuncio in un grande giornale nazionale, propone. Sarebbe opportuno che nell’annuncio si richieda la conoscenza almeno minima del dialetto napoletano o simile. Ci scappa che vivremo un teatro nel teatro scoprendo coloro che si proporranno come interpreti. Presto detto nel giro di qualche settimana le prime persone che risposero all’annuncio furono invitate come ospiti a partecipare a un pomeriggio di conoscenza su un palco di tavole lucidate a cera con un pubblico formato da attrici e attori della compagnia teatrale “La Sfogliatella” che da decenni recita opere conosciute e sconosciute del teatro napoletano.

La prima attrice praticante veniva dal sud, nata in un paese dove tutti si conoscevano, dove tante parole in dialetto sono di Napoli e dintorni, dove non manca mai questo riferimento culturale così sentito. Una donna matura che voleva esprimere in un dialetto abbracciando le proprie storie allegre e tristi. 

Un altro praticante attore era un uomo con una cravatta in colore, di forma strana che faceva a pugni con tutto il suo vestito, di una bellezza comune, affabile nei gesti che incuriosiva il pubblico con le sue argomentazioni, neutralizzando la sua presenza burbera, con una barba ballettante che non lo rendeva molto simpatico. 

I tre personaggi si incontrano: la vita a Sorrento di Sandra

L’invisibile Ambra – di Sandra Conticini

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Fin da piccola Ambra non si sentiva nessuno, forse per  quel problema che aveva a parlare. I suoi fratelli, molto più grandi di lei, non c’era  volta che non la prendessero in giro quando apriva bocca. Per i genitori, ormai molto anziani, era un grosso cruccio e cercavano di evitarla. Anche a scuola era derisa, era chiamata da tutti “la streghetta” per quel suo cesto di capelli grossi e ricciolosi, castani che teneva sempre legati con un anonimo e vecchio elastico verde.

Appena fu un po’ più grande capì che quel paese, su quelle montagne abruzzesi, non era per lei, decise di farsi mandare dagli zii a Sorrento.

I genitori furono ben contenti di levarsi quel perditempo. Gli zii accettarono a patto che gli venisse dato una parte del casolare di famiglia. La piccola Ambra andò sperando che qualcuno la considerasse, ma non andò troppo bene, però a  Sorrento era sempre primavera inoltrata o estate, con tanti profumi e colori, le persone simpatiche e cordiali. Lei che non aveva mai visto il mare, rimase affascinata, in estate  faceva i bagni,  poteva godersi  tramonti bellissimi, il profumo intenso delle zagare, insomma era  un’altra vita.

Stava bene, nonostante anche lì fosse quasi invisibile,  l’unica persona che la filava un po’ era lo zio Giorgio, zibo. Era un accumulatore seriale, gli andava bene tutto, dalle cartine dei cioccolatini alle cassepanche, armadi, sedie che trovava per strada, ma in casa per questa sua, diciamo, malattia non era ben visto. Con il suo naso grosso e appuntito, la faccia gonfia, due occhi piccoli piccoli ma pungenti   facevano pensare fosse cattivo. Era proprio brutto e i bambini quando lo vedevano con quel suo vestito nero si mettevano a piangere. Quando poi tirava fuori il suo sorriso dolce tutti gli diventavano amici, anche i bambini che erano scappati pensando che fosse “l’uomo nero”. Usciva spesso con  Gino, una persona molto ambigua. Non si capiva mai cosa pensasse e cosa volesse, la sua carnagione bronzata faceva supporre che fosse venuto da lontano, ma quello che stupiva erano le mani grandi e tozze sproporzionate per il suo esile corpo, con le unghie mangiate da chi lavora la terra.

Quando era libero dal lavoro Gino andava  a casa di Giorgio a prendere un caffè o a giocare ed ogni volta  portava qualcosa ad Ambra,  cioccolatini, caramelle,  qualche piccolo regalo. Poi iniziò a mettere le mani addosso con la scusa di una carezza, di fare un complimento… lei non capiva, ma ormai non era più una bambina. Un giorno ne parlò con lo zio, ma lui sdrammatizzò dicendo che era una sua fantasia. Se usciva, spesso trovava Gino per la sua strada questo comportamento non le piaceva, le metteva paura, ansia. Decise che anche a Sorrento non aveva trovato pace, così con i pochi soldi che aveva racimolato facendo qualche lavoretto saltuario decise di andare a trovare un’amica a Livorno. Si trovò un lavoro come cameriera in un’osteria tipica,  il lavoro e il posto le piaceva, tutti le davano affetto, si era fatta tanti amici, aveva trovato un lui che le voleva bene… Forse aveva trovato la strada giusta?