Atmosfera di Nadia: ispirata da Carla

IL FARO SULLA SCOGLIERA (dalle suggestioni di Carla) – di Nadia Peruzzi

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Il faro si intravedeva appena. C’era nebbia tutto intorno. Quando i primi raggi del sole si insinuarono a rompere la spessa coltre, svelò la sua bellezza poco a poco.  Bianco, con due strisce rosse per esaltarne la visibilità, quasi a far da confine fra l’indaco del mare e il verde punteggiato dal giallo della colza e dal rosa violaceo delle eriche che cercavano di conquistare il primato in quel lembo di terra del New England, e in quella stagione strana in cui il clima ormai faceva coesistere fiori e piante che fino a qualche anno prima non si incontravano mai.  Una visione decisamente idilliaca che ebbe uno strano effetto su di lei. La intimorì, più che farla star bene.  “Deve essere la sensazione che prova qualcuno che é stato in prigione per anni e fuori dal cancello, si ritrova spaesato, a testa quasi completamente vuota se si esclude una domanda! E ora?”. Pensò Jane.  Cercò di non farlo vedere alle amiche . L’avevano tirata fuori a fatica dalla sua quotidianità fatta di caos cittadino, slalom fra macchine che sputacchiavano fumi puzzolenti e clacson dai rumori invadenti, andirivieni frettoloso e irrispettoso di folle vocianti .  Il tutto sotto lo sguardo di grattacieli altissimi, che in qualche giornata storta sentiva incombere su di lei.  La schiacciavano con l’arroganza di chi si era preso tutto il meglio. Per un singolo francobollo di cielo, dovevi quasi rovesciare la testa all’indietro e rischiare una bella caduta.  Per questo aveva concluso che non valeva la pena di guardare in alto. Era tempo perso. Tanto più che andava sempre di gran fretta proprio come la moltitudine che incrociava, nelle strade e sui marciapiedi e come tutti gli altri guardava davanti a sé,  o in basso per evitare gli ostacoli. Del cielo aveva deciso di fare a meno.  Il brusio attorno a lei era incessante, come quello che ogni giorno trovava in ufficio.  Una cosa non mancava mai, a far da sottofondo,  nel salone delle contrattazioni della borsa di Wall Street ed era il respiro affannato dei motori delle centinaia di computer accesi sul mondo.  Il resto era il vociare dei colleghi che compravano e vedevano di tutto. Tutto era vorticoso come un alveare. Ma in quell’alveare pieno di ronzii il miele non usciva. La borsa di Wall Street era piuttosto paragonabile ad uno schiacciasassi con cingoli pesanti. Un modo più soft per fare guerra al mondo, e per questo dovevi perdere ogni giorno sempre più umanità, abbandonare il senso di responsabilità verso gli altri, la capacità di interrogarsi sugli effetti collaterali di ogni singola contrattazione.  Le amiche di Jane non capivano come potesse lavorare in un luogo così straniante. Sogni, sentimenti, etica rimanevano fuori dalla porta girevole che la accoglieva ogni mattina. Da persona ad automa era il cambiamento che avveniva nei dieci passi che la separavano dall’ascensore che la portava fino al 35esimo piano.  La vedevano svuotata e stressata al massimo. Quasi ogni giorno cercavano di convincerla a staccare almeno per un po’. Poi decisero loro. La costrinsero, di fatto.  Prenotarono per cinque giorni in un luogo che avrebbe restituito vita anche ad un pezzo di legno.  Partirono un sabato. Il B&B verso cui erano dirette era un faro che era costato un occhio della testa, ma era solo per loro tre.  Non rivelò alle amiche la sensazione che aveva provato all’arrivo. Ci sarebbero rimaste male. Gli spazi senza fine, il cielo sopra di loro, la brezza che le intrecciava i capelli, il sole che la abbagliava, erano fonte di inquietudine.  Una vocina dentro di sé le ripeteva imperiosa e maligna : “Dalle scorie tossiche della quotidianità non ci si libera facilmente! ”Quando le amiche la chiamarono per uscire a fare una passeggiata, scese controvoglia.  L’aria era ferma. Il sole stava calando lentamente e infuocava l’orizzonte, le onde del mare si frangevano sugli scogli con delicatezza, senza esagerazioni. Dai campi arrivavano profumi che Jane non sapeva riconoscere, ma erano piacevoli e benefici.  Anche camminare le fece bene.  Arrivarono in un punto in cui la vista spaziava a 360 gradi fra mare e terra . Una visione potente che le riportò alla mente le praterie sconfinate che circondavano la casa dove era nata e cresciuta. La natura era allora signora di tutto. Era lei a scandire le azioni degli esseri umani non il contrario. Il loro lavoro e i raccolti anno dopo anno dipendevano da quanto la rispettavano e ne assecondavano tempi e modi di coltivazione.  Il tempo di allora fluiva più lento.  Le andava stretto. Lei era giovane e aveva una gran voglia di correre. Per questo, finiti gli studi se n’era andata lontano. I suoi sogni di allora finirono in un cassetto insieme alle romanticherie da ragazzina. Sapeva che nel mondo in cui aveva deciso di entrare avrebbe dovuto vestirsi di cinismo . Un prezzo che considerò lieve da pagare per conquistare un posto nel cuore pulsante della finanza globale . Camminarono ancora un po’ lungo la linea di costa. Il crepuscolo durò poco e il buio le costrinse a rientrare. La terra emanava un calore quasi materno, mentre il cielo si riempì in un attimo di stelle.  Non le vedeva da anni . La città le spegneva.  Quasi come se il cielo ne fosse privo.  Rivide lucciole a centinaia attorno a sé . Le sembrò che la prendessero per mano per riportarla ai suoi dieci anni e ad una notte senza luna, nel bosco vicino casa con suo padre e sua madre e lei che le rincorreva ridendo a più non posso.  Fece fatica a dormire. Troppe novità, troppo silenzio. Era abituata ai rumori che le arrivavano in un flusso continuo dal basso, in quella città senza posa 24 ore su 24.  Si girò e rigirò nel letto. Ogni tanto si assopiva facendo strani sogni. Lei che non sognava da anni, aveva ricominciato a sognare.  Si svegliò la mattina con meno ansia di quella che si sarebbe aspettata.  Ricordava molti dei frammenti del passato che erano riaffiorati con prepotenza, misti a nostalgia.  Un altro dei sentimenti di cui aveva dovuto fare a meno fin dal suo arrivo nella Grande Mela. La nostalgia è un freno le aveva detto qualcuno e lei l’aveva tenuta ben lontana.  Quella mattina sentì il bisogno di crogiolarvisi un po’. Era una sensazione così bella, anche se sapeva che non avrebbe dovuto farla riaffiorare del tutto.  Indietro non si torna, si disse, però si può imparare ad andare avanti in modo diverso da come aveva vissuto gli ultimi dieci anni.  I quattro giorni seguenti quasi volarono. Tornò a sentire e gioire del cinguettio degli uccelli. Anche le strida dei gabbiani le trovò meno fastidiose di quanto ricordava. Il chioccolio dell’acqua che scorreva in un fiumiciattolo poco lontano, e il fuscio delle foglie sugli alberi suscitarono una gioia bambina in lei.  Arrivò a tuffarsi nelle erbe alte un po’ per nascondersi alle amiche, soprattutto per stare a pancia in sù a guardare le nuvole che si rincorrevano nel cielo. La nozione tempo era sparita insieme al suo orologio. Si accorse che era da quando si trovava al faro che lo aveva lasciato in camera.  L’ultima notte che passarono al faro volle che fosse tutta sua.  Lo chiese come un favore alle amiche.  Si chiuse in un sacco a pelo e si lasciò avvolgere dal silenzio e dal buio. Si accorse che la cullavano, non la intimorivano più.  Sopra di lei il Grande Carro, attorno fruscii, picchiettii del becco di qualche uccello sugli alberi vicini, la risacca col suo moto continuo diceva, ”Ci sono anche io,  il silenzio assoluto non esiste. La natura è viva, si trasforma in continuazione e si fa sentire in mille modi, da chi ha voglia e animo di ascoltarla”.  Come la prima notte dormì poco. Non per il carico di adrenalina di cui ancora non si era liberata, ma per la voglia di non perdersi un attimo di quella immensa bellezza che le aveva riacceso passioni e sentimenti. Lo stupore che non provava più da anni ora lo provava per tutte le cose piccole o grandi che la circondavano. Riscoprì il suo cuore fanciullo.  Abbandonarsi al sonno le avrebbe fatto perdere il meglio di quanto natura aveva da offrire in una notte di fine estate con una luna così grande da sembrare un sole.  D’altra parte non voleva correre il rischio di perdere il filo che in quei pochi giorni era riuscita a riprendere nelle sue mani. Esile ancora, ma esigente e combattivo, nel seguirlo sentiva che stava tornando a ritrovare la sua vera essenza

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

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