Quartieri spagnoli – di Gabriella Crisafulli

Erano già seduti tutti intorno al tavolo quando Filomena portò la pasta fritta già porzionata: un pezzo per ognuno.
Finì in un attimo. Carmelina si mise a piagnucolare e a lamentarsi: ancora una volta era rimasta in padella per lei solo la parte più piccola. Il tempo di protestare e anche quella scomparve senza che nessuno prestasse attenzione alla ragazzina e alla sua fame che avrebbe bucato lo stomaco fino al giorno dopo. Anzi, suo fratello Angelo cominciò a deriderla imitando la sua protesta. Era il maggiore dei figli di Filomena, bello come il sole, alto quel tanto che non è troppo, il viso ossuto, gli occhi azzurri che illuminavano la stanza, i capelli biondi appena mossi, un filo di barba un po’ voluta un po’ cialtrona, mani grandi con le unghie segnate dal grasso dei motori. Lui era il boss indiscusso di casa e del vicolo Portacarrese. Era ad Angelo che veniva portata la merce trafugata in città a cui riusciva a dare una seconda vita: faceva il meccanico e i fratelli e i vicini lo aiutavano recuperando per strada i pezzi che gli servivano.
Nel frattempo Filomena si era messa a grattare il fondo della padella staccando qualche cavatone bruciacchiato rimasto attaccato al ferro, per dare a sua figlia qualcosa da mettere in bocca.
Mentre Carmelina masticava scricchiolando gli avanzi sugosi del fritto, si guardò intorno in quel basso dove tutto era provvisorio. Ad una parete erano accatastate le assi che la sera diventavano letti: venivano appoggiate sui treppiedi del focolare. Le materasse si trovavano a terra, arrotolate una sopra all’altra al di sotto dei legni. Nella parete opposta c’erano il focolare, la fornacetta, l’acquaio e, in un angolo, la buca del pozzo nero. L’unica fonte di luce proveniva dalla porta d’ingresso che era aperta per far entrare un po’ d’aria. Da lì Carmelina vide passare Gennaro di due anni più grande di lei. Spesso le aveva chiesto se in futuro sarebbe voluta rimanere lì o pensava di andar via. Gennaro aiutava il padre che faceva il sarto. Lui nei quartieri spagnoli non sarebbe rimasto. Fra i vicoli si diceva che chi aveva un mestiere in mano poteva fare fortuna in America. Le faceva già la corte. Le parlava di suo cugino che era emigrato da un paio di anni e adesso aveva una casa grande e mangiava tutti i giorni.
Carmelina era perplessa, non sapeva cosa pensare ma la fame spesso le bucava lo stomaco e l’idea che si potesse mangiare tutti i giorni era una grande attrattiva.
…
Dieci anni più tardi la foto li ritraeva il giorno delle nozze.
Erano in Mulberry Sreet.
Lei era alta, né grassa, né magra, con i capelli ricci raccolti in una crocchia da cui partiva il velo che arrivava a terra.
Non era né bella, né brutta, era di un normale che tendeva all’insignificante ma quell’abito bianco, pur avendo un che di monacale, la rendeva maestosa.
Lui non era per niente bello. Aveva il naso largo e un po’ schiacciato che stonava con il viso lungo e spigoloso. Gli occhi neri si perdevano quasi, da quanto erano piccoli.
Ma era piacente grazie ad un sorriso sincero, dolce e un po’ malinconico che lo portava a diventare amico di tutti.
Indossava un abito da cerimonia nero che lo faceva sembrare un pinguino.
Erano vicini uno all’altra.
Si guardavano emozionati.
Dietro di loro si intravedeva la vetrina di un negozio con la grande insegna:
Esposito’s tayloring
racconto vero, ricco di particolari che ti rendono partecipe della storia…bello
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Quando qualcosa di banale a tratti trasparente, come la coppia di sposi…. diventa speciale con la ” matita giusta”
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