I tre personaggi si incontrano: amori a Napoli con Carmela

Amori in strada – di Carmela De Pilla

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Pinuccia amore mio!

Quel brusio continuo o meglio frastuono che proveniva dalla strada faceva parte ormai della sua vita, non gli davano noia le urla dei commercianti o quelle di Marietta che chiamava a squarciagola i quattro figli sparsi per la strada, ci era nato con quei suoni e gli erano diventati familiari, in fondo non si sentiva mai solo, la sua Napoli era  un po’ troppo rumorosa, ma era viva!

Michele non era bello, troppo alto e troppo spigoloso, con gli occhietti che si perdevano in un volto lungo e scavato però era benvoluto da tutti.

Sapeva di non poter contare sulla bellezza quindi aveva speso tutte le sue energie sulla simpatia e sulla generosità e nel rione nessuno faceva caso alla bruttezza.

-Michè me la dai una mano? Devo portare giù l’armadio di  mamma, ho messo un po’ di soldi da parte e ne ho comprato uno nuovo.

-Per te questo e altro Pinù però dopo mi offri un bicchiere di vino perchè dal terzo piano…vado a chiamare Nino!

Fare un piacere a Pinuccia era sempre una gioia per lui, non l’aveva mai detto a nessuno, ma ne era profondamente innamorato, non gli interessava il suo aspetto fisico, con quei capelli ricci e crespi sembrava un palombaro e nonostante li tenesse legati scappavano da tutte le parti, ma lui l’amava così com’era.

Si era trasferita a Napoli da bambina e forse perchè ognuno sentiva il bisogno di consolare l’altro era nata fin da subito una sincera simpatia.

Il problema era che Pinuccia abitava ancora con sua madre e Michele non aveva mai preso il coraggio a quattro mani per dichiararsi però ancora teneva come reliquia il maglione che lei gli aveva fatto quando arano ancora giovani, mezzo bucherellato e rammendato più volte se ne stava ben piegato nel comò, non lo buttava via, era stato fatto dalla sua donna e ogni tanto lo annusava per sentire il suo odore.

-Devo decidermi a dichiarare il mio amore!- si diceva ogni giorno senza immaginare che l’oggetto del desiderio di Pinuccia era Antonio, il più antipatico del quartiere, un tipo nè alto nè basso, nè grasso nè magro insomma un tipo anonimo, ma bello e interessante agli occhi di Pinuccia.

Quando Michele lo seppe gli venne un colpo al cuore e con un filo di voce sussurrò: – No, lui nooo! Con quelle unghie sempre sporche di terra…

I tre personaggi si incontrano: In treno per Napoli con Tina

Teatro viaggiante – di Tina Conti

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Era partita con un treno regionale che si fermava nelle piccole stazioni, salivano studenti assonnati e lavoratori con  la borsa del pranzo  del mezzogiorno.

A lei non importava di quella umanità indaffarata, e confusionaria, era concentrata su se’ stessa, sui  suoi ricordi sui   sogni , ce l’avrebbe fatta, lo sapeva.

Aveva  preparato un bagaglio  minimo, solo le cose che l’avrebbero fatta stare bene. Certo, da sola , sempre coccolata dalla famiglia, dai fratelli, ora  si sarebbe messa alla prova.

Come era riuscita a vincere quel concorso non se lo  sapeva spiegare.

Sarà  stato il  fantasticare  con i personaggi del  suo teatro dei burattini che amava tanto. Quando trovava una nuova storia da interpretare, arrivavano tutti i  bambini del vicinato. Lei faceva tutte le parti, si improvvisava rumorista con pentole e barattoli regista e attrice. L’i ncanto prendeva   forma, occhi lucidi, grida e sospiri, si sentivano  sommessi, catturava sempre il suo pubblico. Sarà sicuramente anche servito  il lavoro che offriva per  il teatro del suo paese, una  realizzazione all’aperto nella quale i paesani erano attori, costumisti, scenografi, che lei   sapeva guidare  e  indirizzare con sicurezza.

Dentro la sacca custodiva con  affetto un piccolo quaderno dove erano raccolti episodi allegri, riti, racconti del paese e della sua numerosa famiglia.

A  Bologna, salì su un treno diretto, l’atmosfera si era fatta diversa, più frettolosa,  ma cordiale e generosa, anche l’abbigliamento rivelava agiatezza e molta attenzione specialmente nelle signore.

Il signore che si trovava vicino, si dimostrava cordiale e interessato, era un tipo  originale, un po’ rotondetto, portava un gilè imbottito e una camicia  pesante a righe, le offrì un cioccolatino, e la osservava mentre lei frugava in quella grande sacca colorata. Non poteva certo passare inosservata quella borsa fatta di stoffe diverse, nastri, borchie.

Tirò  fuori una passata di  tessuto e provò a  infilarci tutto quel cesto di riccioli che le contornavano il viso.

Infilava da una parte, loro uscivano dall’altra. L’uomo capiva che non era proprio capace di controllare e gestire  tutti quei capelli che luccicavano al sole e che invadevano anche la sua parte di poggiatesta. Si ricordò di avere nella sua collezione di oggetti una grande quantità di  pettini spagnoli di tartaruga e di averli usati una volta.

Prese della borsa un grande album e coinvolse la ragazza nel consultarlo.

Spiegò di essere un professionista e di aver lavorato con artiste di teatro.

Le mostrò la pettinatura che aveva realizzato per Amanda  S in uno spettacolo a Milano.

La ragazza rimase entusiasta e si   lasciò coinvolgere dalla sua proposta.

Sarebbero scesi a Cesanello insieme, avrebbe accettato la proposta di farsi acconciare quei capelli così difficili e ribelli.

Il suo corso teatrale iniziava fra una settimana e lei poteva tranquillamente permettersi di  scoprire il mondo e fare quella fortunata esperienza.

Sapeva che di lunedì il salone era chiuso e  doveva pazientare.

La proposta era di passare da casa del signore  e poi andare alla cena dove era atteso dagli amici. Quanta sorpresa appena aprirono la porta della casa; lei rimase avvolta da tende appese, decori, oggetti  vari, dipinti, manichini e una enormità di parrucche e maschere.

Sono la mia passione e la mia maledizione confessò sconsolato Oscar, prima di partire però, andarono in un  bagno  attrezzato   di un vero parrucchiere che con fare esperto e agile la accomodò degnamente.

Si era consegnata  docilmente a quel  personaggio esuberante addormentandosi a tratti.

Quando mise a fuoco l’accaduto fu soddisfatta e contenta.

Stavano indossando le giacche per uscire che suonarono alla porta.

Apparve un giovane alto e distinto con una barbetta  brizzolata e appuntita.

Viene anche la tua amica vero stasera? Questa ragazza è proprio quello che manca nel nostro gruppo di addormentati…… disse con fare spavaldo………….

I tre personaggi si incontrano: Tra Napoli e U.S.A. con Gabriella

Quartieri spagnoli – di Gabriella Crisafulli

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Erano già seduti tutti intorno al tavolo quando Filomena portò la pasta fritta già porzionata: un pezzo per ognuno.

Finì in un attimo. Carmelina si mise a piagnucolare e a lamentarsi: ancora una volta era rimasta in padella per lei solo la parte più piccola. Il tempo di protestare e anche quella scomparve senza che nessuno prestasse attenzione alla ragazzina e alla sua fame che avrebbe bucato lo stomaco fino al giorno dopo. Anzi, suo fratello Angelo cominciò a deriderla imitando la sua protesta. Era il maggiore dei figli di Filomena, bello come il sole, alto quel tanto che non è troppo, il viso ossuto, gli occhi azzurri che illuminavano la stanza, i capelli biondi appena mossi, un filo di barba un po’ voluta un po’ cialtrona, mani grandi con le unghie segnate dal grasso dei motori. Lui era il boss indiscusso di casa e del vicolo Portacarrese. Era ad Angelo che veniva portata la merce trafugata in città a cui riusciva a dare una seconda vita: faceva il meccanico e i fratelli e i vicini lo aiutavano recuperando per strada i pezzi che gli servivano.

Nel frattempo Filomena si era messa a grattare il fondo della padella staccando qualche cavatone bruciacchiato rimasto attaccato al ferro, per dare a sua figlia qualcosa da mettere in bocca.

Mentre Carmelina masticava scricchiolando gli avanzi sugosi del fritto, si guardò intorno in quel basso dove tutto era provvisorio. Ad una parete erano accatastate le assi che la sera diventavano letti: venivano appoggiate sui treppiedi del focolare. Le materasse si trovavano a terra, arrotolate una sopra all’altra al di sotto dei legni. Nella parete opposta c’erano il focolare, la fornacetta, l’acquaio e, in un angolo, la buca del pozzo nero. L’unica fonte di luce proveniva dalla porta d’ingresso che era aperta per far entrare un po’ d’aria. Da lì Carmelina vide passare Gennaro di due anni più grande di lei. Spesso le aveva chiesto se in futuro sarebbe voluta rimanere lì o pensava di andar via. Gennaro aiutava il padre che faceva il sarto. Lui nei quartieri spagnoli non sarebbe rimasto. Fra i vicoli si diceva che chi aveva un mestiere in mano poteva fare fortuna in America. Le faceva già la corte. Le parlava di suo cugino che era emigrato da un paio di anni e adesso aveva una casa grande e mangiava tutti i giorni.

Carmelina era perplessa, non sapeva cosa pensare ma la fame spesso le bucava lo stomaco e l’idea che si potesse mangiare tutti i giorni era una grande attrattiva.

Dieci anni più tardi la foto li ritraeva il giorno delle nozze.

Erano in Mulberry Sreet.

Lei era alta, né grassa, né magra, con i capelli ricci raccolti in una crocchia da cui partiva il velo che arrivava a terra.

Non era né bella, né brutta, era di un normale che tendeva all’insignificante ma quell’abito bianco, pur avendo un che di monacale, la rendeva maestosa.

Lui non era per niente bello. Aveva il naso largo e un po’ schiacciato che stonava con il viso lungo e spigoloso. Gli occhi neri si perdevano quasi, da quanto erano piccoli.

Ma era piacente grazie ad un sorriso sincero, dolce e un po’ malinconico che lo portava a diventare amico di tutti.

Indossava un abito da cerimonia nero che lo faceva sembrare un pinguino.

Erano vicini uno all’altra.

Si guardavano emozionati.

Dietro di loro si intravedeva la vetrina di un negozio con la grande insegna:

Esposito’s tayloring

I tre personaggi si incontrano: a teatro con Daniele a Sorrento

Stagione teatrale – di Daniele Violi

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Siamo all’inizio dell’anno e al famoso teatro di Sorrento “Dicitanciello Vuie” si deve iniziare a programmare una stagione che come in altre occasioni ha visto uscire il desiderio incontenibile di avvicinare sempre di più l’arte teatrale alla realtà e combinare le qualità di persone comuni provenienti da strati sociali diversi e a potersi esprimere al pari di attrici e attori.

Un teatro napoletano che risente molto della vita vissuta nella realtà, come le opere famose sono esempio e storia. Bene, ora si tratta di poter pubblicizzare il nostro progetto, dice il capocomico. Potremmo inserire un annuncio in un grande giornale nazionale, propone. Sarebbe opportuno che nell’annuncio si richieda la conoscenza almeno minima del dialetto napoletano o simile. Ci scappa che vivremo un teatro nel teatro scoprendo coloro che si proporranno come interpreti. Presto detto nel giro di qualche settimana le prime persone che risposero all’annuncio furono invitate come ospiti a partecipare a un pomeriggio di conoscenza su un palco di tavole lucidate a cera con un pubblico formato da attrici e attori della compagnia teatrale “La Sfogliatella” che da decenni recita opere conosciute e sconosciute del teatro napoletano.

La prima attrice praticante veniva dal sud, nata in un paese dove tutti si conoscevano, dove tante parole in dialetto sono di Napoli e dintorni, dove non manca mai questo riferimento culturale così sentito. Una donna matura che voleva esprimere in un dialetto abbracciando le proprie storie allegre e tristi. 

Un altro praticante attore era un uomo con una cravatta in colore, di forma strana che faceva a pugni con tutto il suo vestito, di una bellezza comune, affabile nei gesti che incuriosiva il pubblico con le sue argomentazioni, neutralizzando la sua presenza burbera, con una barba ballettante che non lo rendeva molto simpatico.