Il personaggio di Lucia: il profilo sul monte

Il deserto in Iran – di Lucia Bettoni

foto di Lucia Bettoni

Cercavamo il deserto ma il deserto non c’era più
Chissà dove era finito quel deserto descritto su tutte le guide
Spariscono molte cose, non potevamo immaginare che sparissero anche i deserti!
Dopo lo stupore per quella assenza cominciammo a osservare ciò che di diverso dall’atteso quel luogo poteva regalarci
Ci trovammo davanti un piccolo villaggio di case basse senza tetto e senza finestre, sembrava che tutto fosse fatto di terra
Dalle porte uscivano donne dalle vesti colorate, in un paese dove spesso predomina il nero le donne indossavano anche il rosso!
Lì, proprio lì dove doveva esserci il deserto c’erano donne colorate, bambini, vita e terra
Poi volgemmo lo sguardo verso la montagna il cui profilo sembrava il volto di una donna addormentata
Un numero immenso di pecore pascolava in un grande spazio alla luce dorata del tramonto. Non trovammo il deserto ma un luogo dove si viveva una vita lenta, una vita che profumava di terra
E i cammelli?
All’orizzonte uno sterminato numero di animali si muoveva lontano
Saranno mucche?
Non possono essere pecore perché sono molto più grandi, ma le mucche ci sono in questa terra?
Fermammo la macchina e andammo a piedi verso questa strana e insolita processione
Non è possibile! E’ proprio vero!
Lo stupore nei nostri occhi e nelle nostre parole: cammelli!
Un numero imprecisato di cammelli, forse cento, rientravano alla stalla a sera tardi
Uno dietro l’altro
Le loro sagome disegnavano l’orizzonte
Un’apparizione stupefacente perché cento cammelli tutti insieme chi può dire di averli mai visti?
Risalimmo in auto e nello specchietto retrovisore un sole infuocato ci salutava da lontano sigillando nella mente e nel cuore un ricordo indelebile
Poi fu il giorno dell’acqua rosa
Si, lì l’acqua non è azzurra o verde o celeste, lì l’acqua è rosa e l’orizzonte è senza fine
Arrotolammo i pantaloni più in alto possibile e iniziammo a camminare in uno strano liquido rosa e croccante
Un lago di sale
Un lago di sale che sembrava il mare

Il personaggio di Daniele: Pepè

Un ballerino di tarantella – di Daniele Violi

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Nel caldo di una mattinata d’estate, al pomeriggio sotto i raggi del sole perpendicolari che si scagliano lucenti in terra, con o senza coppola, nel sud di Italia, con il mare che trasferisce brezza salata, e gravita l’aria calda con salsedine frullante tra la piazza e la ferrovia, la vita di Pepe’, conosciuto come Pupu’, correva come la sua voglia di camminare sempre in paese tra le case e circondarsi di suoni, parole, accenni dialettali, e lo vedevi, sempre lo stesso. Era ciabattino, ma lasciato il deschetto, si pettinava e asciutto per la sua svogliatezza nel dedicarsi al cibo, preferiva la brillantina, essere vestito bene, spesso di nero, con una cintura che gli stringeva davanti. A Lui piaceva ballare, ballare la tarantella. A tutte le ore. Lui davvero ci stupiva. Anche al caldo e al sole viveva questa estrema passione. Lui amava una bella sudata tarantata. Il suo impegno era divertimento per chi lo ammirava. Grazie Pepe’. Sei ricordato, da chi ti ha voluto bene, da tutte e tutti. Un libro ora ci parla di Te.

Incontro del 13 novembre 2025 – Un personaggio per 20 storie diverse

“Aveva un aspetto curato e un fisico asciutto; per quella sua passione di camminare era sempre abbronzato. Prima di uscire controllava tutto con cura tutto il necessario che portava in tasca e in una piccola sacca di pelle”……..

“I ricordi vanno messi via e custoditi senza che interferiscano nel delicatissimo meccanismo dello stupirsi”

La paura che rimane di Antonella

Dopo il dolore e la rabbia, la paura – di Antonella Roselli

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All’ inizio è il dolore, appunto.
Forse ho pianto ma non ricordo .
Poi è stata la rabbia sottile a tratti violenta.
Ma quel che rimane infine è la paura e con questa ci fai i conti ogni giorno e ogni notte.
La paura la si affronta rovistando tra le cose che ancora sono possibili quelle che ancora ti possono sorprendere.
È vero: ci si aggrappa : agli affetti, ai sorrisi, agli oggetti, alle cose che ancora puoi fare.
E in questo nuovo modo di vivere vedi cose che prima solo guardavi ed è una meraviglia.
Nulla è per sempre ed è un bene sia così.

Paura bambina di Patrizia

Paura del buio – di Patrizia Fusi

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Da giovane avevo paura del buio.

Abitavo sulla collina, la strada che mi conduceva a casa aveva solo tre lampioni .

Tornavo in paese alle venti e trenta, per vincere la paura del buio lungo il tragitto mi inventai un gioco, se avevo visto un film, con la mente sceglievo un personaggio gli davo vita col pensiero, mentre camminavo nel buio vivevo avventure , viaggi, innamoramenti e con questo gioco arrivavo a casa tranquilla.

Quando c’era la luna piena che illuminava i campi che costeggiavano la strada sembrava un paesaggio fatato, il silenzio che mi circondava mi abbracciava.

Ora questa paura non la provo più, anche perché le nostre strade sono illuminate. Ho piuttosto paura di fare del male alle persone. Paura di non essere capace di fare le cose.     

Paura di lasciar andare di Tina

Ce l’ho fatta per un soffio – di Tina Conti

Mi è andata bene…..

Ce l’ho fatta per un soffio

Se arrivavo prima, cosa mi poteva accadere

Bastava un passo in più

Per fortuna ho aspettato

Mi ha salvato quella voce.

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Guardando alla nostra vita  riflettiamo su quello che  fino ad adesso  ci ha salvato dai guai e dalle brutte esperienze

E’ servito l’aver interiorizzato  il senso di protezione e di paura di fronte agli eventi?

Perché temiamo quando diamo autonomia  alle persone a cui  vogliamo bene?

Siamo inquieti al pensare che  la paura  non si manifesti  al momento opportuno

per proteggerli e indicare un percorso.

Non sempre  prestiamo fede a quella  vocina, disubbidiamo per  sperimentare  quello che ci piace fare, quello che non abbiamo il coraggio di essere.

Chi si butta in tutte le esperienze e imprese che gli capitano senza provare timore e paura alla fine come si ritroverà, sarà la via di mezzo, il caso  o la fortuna ad avere un ruolo nella vita?

Le paure streghe di Gabriella

Aggrapparsi – di Gabriella Crisafulli

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Dopo il dolore arrivano le rabbie.

Si schierano sulla scacchiera e si muovono incuranti delle paure bambine che rimangono nude, rintanate in nascondigli misteriosi.

Per fare scacco al re vanno abbracciate, cullate, ninnate e poi esibite come meduse che pietrificano.

Le paure narrano chi eri e come sei diventata.

Le paure sono la forza per aggrapparsi al niente che rimane.

Le paure sono le streghe che danzano nel bosco: evocano il mistero di un futuro in attesa.

I nascondigli segreti della paura di Carmela

Catene di seta – di Carmela De Pilla

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Non voleva guardarsi dentro, sapeva che troppe strade tortuose lo attraversavano, catene di seta invisibili avvolgevano le sue paure che  lui custodiva con cura, sapeva che nascondigli misteriosi celavano verità sconosciute.

Quelle catene di seta stringevano fino a soffocarlo, voleva urlare la sua rabbia, ma rimaneva muto e l’inquietudine lo avvolgeva sempre di più.

Non voleva guardarsi dentro, togliere il velo poteva essere pericoloso, cosa avrebbe trovato sotto?

Silenzio, troppo silenzio.

Voleva aggrapparsi ai sogni, ma erano fragili per sostenerlo e cadeva ingoiato da paure misteriose.

Non voleva guardarsi dentro, troppa paura di verità ignote eppure quelle stesse paure gli tenevano compagnia, lo cullavano e in attesa che il sole sorgesse ancora guardava la luna.

La paura domata dal coraggio di Daniele

Il dolore si piange, la rabbia si urla, la paura si aggrappa.

Il coraggio di avere paura – di Daniele Violi

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Il coraggio che mi perseguita, aggrappandosi con il desiderio di riuscire a domare la paura, può anche talvolta piangere per il dolore che avverto salire dalla realtà impregnata di rabbia; la mia di rabbia, che trasformo in pensieri, poi in parole, concetti, frasi e dolcezza di armonia con la realtà stessa. Allora capisco che ho anche il coraggio di non aver paura. La mia méta auspicata è raggiunta.

Paura del futuro di Elisabetta

ELVIRA PENSA AL DOMANI – di Elisabetta Brunelleschi

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L’appuntamento era alle 11.30 in via dei Broccanti 25, terzo piano, studio Cartini. Elvira era stata categorica, non potevano ritardare. Uscì con passo incerto, alle dieci in punto, e insieme a lei c’era Fioretta che le porgeva il bastone e la sorreggeva quando doveva alzarsi e muoversi.

  • Non puoi star sola, se cadi?-
  • Se non vuoi andare in una RSA , pensaci…-
  • Signora lei deve iniziare a proteggersi, quella casa cosi’ grande. –
  • Noi potremmo aiutarla, cercarle qualcuno di fiducia.-
    Da quando aveva festeggiato i 92 anni era questo il ritornello, quasi giornaliero, ripetuto da pronipoti, consulenti, amici della parrocchia, volontari della Caritas che salivano a portarle i pasti. Tutti volevano convincerla ad accettare una badante.
    Si decise una mattina di estate, con il caldo opprimente che le toglieva respiro e forze. Si era alzata con l’intenzione di andare il bagno ma non ce la fece, le gambe non la reggevano e per non cadere si dovette appoggiare al bordo del materasso.
    E rimase lì, immobile per dieci, venti, trenta minuti, finché molto lentamente riuscì a rimettersi in piedi e muovere i piedi.
    Si allora spostò tra il bagno e la cucina, poi sfinita e ansante andò a sedersi, anzi sprofondarsi, in una delle poltrone del salotto. Il petto le tremava, la fronte stillava di sudore mentre intorno a lei girava la sua grande casa, ricca, sontuosa ma completamente sola.
    Fu allora, che di scatto, allungò la mano verso il tavolino, prese il telefono e digitò il numero della Caritas. Rispose Vilfredo, uno dei volontari di turno, che subito la riconobbe e capì.
    Fu così che dopo pochi giorni nella grande casa entrò Fioretta, una giovane rumena, dal corpo robusto e il volto chiaro e sorridente. Elvira l’accolse con freddezza, dentro di sé si era già pentita di quella telefonata. Ma in cuor suo sapeva che la badante era l’unica scelta che poteva salvarla dal ricovero in una RSA, doveva rassegnarsi. E poi avrebbe saputo lei come come tener d’occhio quella donna!
    Iniziò così un periodo di convivenza fatto di osservazioni, spiegazioni, domande, pretese, richieste. Fioretta, esperta del mestiere, che svolgeva da più di dieci anni, la lasciava fare, si dimostrava obbediente, e andava avanti per la sua strada convinta che anche Elvira, come tutte le altre, l’avrebbe alla fine accettata.
    Ma Elvira non dava cenni di aperture, la sua libertà finiva; i suoi gesti, le sue azioni dipendevano sempre più dai servizi di quella straniera.
    Ogni sera al ritorno dalla passeggiata nel parco sentiva che l’ombra stava per calare su tutti i suoi averi: nulla si porta dietro, tutto resta. Da tempo si era chiesta chi dopo di lei sarebbe penetrato in quelle stanze ormai polverose, immaginando persone intente osservare i quadri, rovistare tra i cassetti in cerca dei suoi tesori ma alla fine ad ognuna aveva dato un volto.
    Mancava solo l’ultimo atto.
    Il taxi

La paura uragano di Anna

Paura che si aggrappa – di Anna Meli

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Il dolore si piange, la rabbia si urla, la paura si aggrappa.

            In vita sua non aveva mai provato grandi paure, semmai erano legate a manifestazioni improvvise che, una volta scoperte si risolvevano spesso in una risata, trattandosi solo di impressioni.

            Arrivò purtroppo, un bruttissimo giorno in cui la paura si aggiunse a rabbia e dolore, in un’esplosione tremenda.

            Mezzanotte circa: nella casa il silenzio accompagna un sonno tranquillo, quando all’improvviso lo squillo del telefono interrompe il tutto. Timore, angoscia, paura? E’ tardi, forse qualcuno ha sbagliato, succede!

            Corre al telefono, alza la cornetta e la tremenda notizia la colpisce con la violenza di un uragano. L’incredulità iniziale si trasforma in un urlo prolungato, disumano come l’ululato di un lupo e il dolore, la rabbia, la paura si fondono insieme lasciandola senza fiato. Respira profondamente anche perché non sa come comunicare la cosa agli altri che si sono svegliati. Paura, paura, di non sapere a chi aggrapparsi per trovare la forza di dare conforto e forza a chi ne avrebbe avuto più bisogno di lei.

La paura che si aggrappa di Stefania

L’ uomo porta dentro di sé le sue paure – di Stefania Bonanni

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Ho nascondigli introvabili. Mi sento al sicuro se penso di averle nascoste così bene, le mie paure. E così e’ sempre stato, fin da bambina. Ho sempre avuto la percezione e la presunzione di riuscire in un esercizio possibile, anche se difficile e doloroso. Si, perché quando pensi di schiacciare la paura dietro al vivere quotidiano, non ti rendi conto, o forse ti rendi conto perfettamente ma non riesci a fare in altro modo, che non solo hai infilato la paura in fondo ai tuoi canali, in luoghi dai quali non uscirà, ma hai anche costretto tranquillo quotidiano ad assumere un ruolo che diventa fasullo, forzato, invivibile.

Poi, nella vita, capita di piangere dal dolore, di urlare dalla rabbia, capita di vivere realtà così terribili che nessuna paura immaginata arrivava a tanto. Capita anche che pensieri scuri e solitari si trasformino in realtà terribili.

Ci sono anche superstizioni, piccole magie, che sortono l’ unico risultato di vivere le paure in silenzio e solitudine. Per esempio, per l’ appunto, la convinzione che è bene non parlarne, caso mai diventassero reali.

Adesso ho paura del futuro, del peso che potrei essere per la mia famiglia, ed è una contraddizione in termini, perché voglio ostinatamente diventare vecchissima, AGGRAPPATA..

Le paure giovani di Stefano

Le paure giovani – di Stefano Maurri

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  L’amore dei giovani riempiva la città sulle strade, dentro gli androni, su per le scale umide, dentro gli appartamenti pieni di libri con le lenzuola stazzonate. Le loro paure ansimavano dentro i cuori: sarebbero riusciti a dare gli esami dell’anno in corso, sarebbero riusciti a dare un senso ai loro sacrifici, a questo essere precari? L’amore e le paure si scioglievano nei ristoranti economici, dove era quasi impossibile mangiare da soli, nelle corse  per le strade per vedere l’ultimo spettacolo al Cinema Astro. Proiettavano per l’ennesima volta Zabriskie Point e Fragole e sangue, con la sala che applaudiva o fischiava le scene clou. Queste paure e ansie non più bambine ma sempre più forti venivano taciute, ma ritornavano a farsi largo sempre più spesso, con il passare del tempo.

E qualcuno ci ha lasciato, gli altri si stanno sciogliendo.

Paure bambine di Rossella G.

Paure che crescono – di Rossella Gallori

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Era una bimba buona, ci vedeva il giusto, guardava poco, non si faceva pettinare, quasi mai e da chi poi?

Mangiava quello che le davano, anche se non era abbastanza.

Giocava a nulla con nessuno, accarezzava immense giraffe di finta pelliccia,  piccoli criceti di cencio infeltrito, diceva bugie, inventava storie, raccontava di parenti altissimi, ricchissimi preferibilmente atei ed inesistenti.

Crebbe, ma si dice crebbe?

Bene: diventò  grande, a volte troppo a volte poco…e fu nella sua adolescenza  che si fecero avanti le sue paure, le fisime, le ubbie grigie, i silenzi che gridavano di rabbia, il dolore di sale, le ansie di fiele.

Odiava il giallo

I ponti sui fiumi larghi

I pesci con gli occhi

Ma amava, si sapeva amare in un modo complicato, tutto suo, cercava conforto in chi le sorrideva senza miele, chi la accarezzava senza mani, chi le portava la marmellata di arance amare, chi le dava mare senza tempesta, neve senza freddo.

Poi l’amore si interrompeva, veniva accantonato, la matassa presentava nuovi nodi: detestava i silenzi troppo lunghi

L’istruzione sul piedistallo

I viaggi senza souvenir belli da leccare.

Paure tante, le mie, ancore sicure, quelle che han fatto di me qualcosa di poco definito, forse, una me che sceglie, scarta, resta sola, senza ponti sospesi, senza abiti gialli, senza pesci…o erano piccioni sempre con gli occhi, occhi nascosti piccoli e pungenti, nascosti da una porta  aperta…segreta…

La paura bambina di Rossella B.

Le paure semplici – di Rossella Bonechi

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“L’ UOMO PORTA DENTRO DI SÉ LE SUE PAURE BAMBINE PER TUTTA LA VITA….”

Le mie paure bambine erano semplici viste oggi, ma solo perché abitavano una piccola testolina. Alcune di sicuro sono cresciute con me, si sono trasformate rimandandomi però le stesse emozioni: c’è differenza tra la paura bambina che nessuno ti venga a prendere a scuola e la paura adulta dell’abbandono di chi ami? La paura che la Befana ti abbia portato solo carbone perché sei stata cattiva è la stessa di non credersi all’altezza di quello che si chiede a me adulta.

Ce ne sono sicuramente altre che il passare degli anni non è riuscito ad esorcizzare ed è vero che hanno misteriosi nascondigli da cui saltare fuori all’improvviso come quei pagliacci a molla che escono dalle scatoline, basta poco per ritrovartele davanti.  Magari è una paura sola che ha tanti travestimenti da usare alla bisogna: la  Paura di non essere all’altezza di questa vita che mi ritrovo a percorrete.

“Il dolore si piange” di Lucia

Pianto senza lacrime – di Lucia Bettoni

foto di Lucia Bettoni

Non riuscivo a piangere
Nemmeno una lacrima scendeva dai miei occhi
Io che piangevo sempre
Io che piangevo per niente
Non riuscivo a piangere
Come può una bambina non piangere la morte della mamma?
Cosa penseranno tutte queste persone che entrano ed escono dalla mia casa?
Non ho mai visto tante persone
Di solito non c’è mai nessuno in questa casa ai margini del bosco
Di solito sono sempre sola, ma oggi sembra che tutti siano qui
Una giovane donna se n’è andata
Una giovane donna se n’è andata e ha lasciato qui una bambina,
ma la bambina non piange
Nascosta in un angolo pensavo:
devo far scendere le lacrime
Come fare?
Proverò a pensare a quello che non avrò più:
Chi mi farà le trecce?
Chi mi cucirà i vestitini?
Chi mi preparerà per andare a scuola?
Chi mi cucinerà le cose buone?
Nessuno
Non ci sarà più nessuno per me
Ma neppure una lacrima scendeva dai miei occhi
Neppure una!
Lei mi aveva fatto soffrire
Lei da viva mi era mancata ogni attimo
Lei era sempre lontana in un mondo suo e irraggiungibile
Adesso ero libera
Di libertà non si piange
Per tutta la vita ho pensato a quelle lacrime non versate

Un pianto senza lacrime mi accompagna da sempre



La paura che diventa piuma di Nadia

Grovigli di paure – di Nadia Peruzzi

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Era sempre in lotta con sé stessa. Si sentiva insicura. Non all’altezza. Per questo era una sgobbona da sabati e domeniche comprese.  La ricerca del perfezionismo, a volte, una prigione e senza fili dorati . Nel confronto con gli altri perdeva sempre punti, o così almeno le sembrava.  Aggrappata alle sue paure, cercava con artigli invisibili di lacerarle una ad una. A volte ce la faceva, più spesso no.  Ci è voluto tempo per far pace con sé stessa.  Era stata una arrampicata su una parete verticale. A mani nude, ma con cuore pieno di passione e di tenacia.  Uno scalino alla volta.  Durante la militanza politica piano piano aveva imparato a parlare “a braccio” e a non scrivere interventi che in lettura diventavano difficili da seguire e pure noiosi per chi ascoltava.  I compitini a casa, aveva capito poi,   limitavano pure l’ascolto degli altri, e questo non era mai un bene.  Uno scalino alla volta anche nella vita normale, nel lavoro dopo lo studio.  A volte affrontato con passo deciso a volte più affaticato e stanco o con quintali di dolore sulla schiena .  Ci erano voluti quasi 60 anni per accorgersi che accettarsi come era non era affatto una cattiva soluzione.  I punti che pensava di aver perso, riconquistati tutti.  Saldo zero. Pacchetto completo di pregi e difetti e chi se ne importa delle indulgenze altrui.  La partita a carte con la vita, non sempre facile, l’aveva fortificata. Era un dato di fatto. Dolori taglienti arrivavano a togliere il fiato quando meno se lo aspettava.  Il pacchetto completo, anche se avvolto in carta luminescente, prevedeva anche quelli.  Anche per questo, il confronto con gli altri e la misura con gli altri, la ricerca della perfezione li aveva ricollocati al posto giusto. Il cassetto delle chiavi di riserva, dei biglietti che sembrano importanti in un momento per scoprirli banali in un altro, dei nastri dei regali di natale che non si buttano via pensando di poterli usare di nuovo, ma poi lì restano come variopinti intrichi di futilità.  Da quel punto di osservazione quello che provava,  si accorse, che non pesava più come un macigno, ma era diventato leggero, non come una piuma, ma ci si avvicinava.  Era quel che era. E andava bene così!

Un passo di libertà dalla paura di Luca

Libertà – di Luca Miraglia

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Il dolore si piange, la rabbia si urla, la paura si aggrappa.

….arrivare a non avere più paura, questa è la meta ultima dell’uomo.  (Italo Calvino)

Perché dovrebbe esistere una meta ultima?

E perché la sua direzione dovrebbe essere costellata di paure?

Chi non combatte con la propria memoria dolente che sia bambina, adolescente o adulta?

Mi batto volentieri per un presente affrancato dal pianto, dalle urla e dalle paure mie e di chi amo, senza nasconderle ma cercando di farne scrigni di comprensione.

Forse, ma solo forse, sta qui un passo di vera libertà.

La paura che si aggrappa di Carla

“Il dolore si piange. La rabbia si urla. La paura si aggrappa” (Anonimo)

Aggrapparsi – di Carla Faggi

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Aggrapparsi: grattarsi, toccarsi, intrecciarsi, avvilupparsi, in poche parole amarsi con carattere.

Ci sto provando ma non riesco a pensare alla parola aggrapparsi associandola alla paura o al possesso.

Ho provato a pensare all’edera che aggrappandosi all’albero finisce per strozzarlo e farlo seccare; ma anche all’edera che aggrappandosi ad una rete di recinzione la trasforma in una splendida siepe.

Mi viene meglio associare aggrapparsi alla vita, aggrapparsi al sole, a qualcuno che ti ami, ad un ricordo piacevole.

Penso quindi alla prima parola che ho scritto: “Grattarsi”.

“Grattami la schiena, si costì…proprio costì…oh che bello, ora un po’ più in là…ancora un po’, non smettere!”. Non c’è cosa più bella che aggrapparsi al piacere, allo stare bene. Non pensare al dolore, alla paura. Noi nasciamo con il dolore e la paura. Il primo respiro è dolore. Quando la madre ti stacca dal seno è paura. Quando ti svegli e sei solo è abbandono.

Ma poi ti aggrappi alla vita ed i respiri diventano tanti e gioiosi. Ti allontani dalla poppa perché sei sazio. Ti svegli, sei solo, ma poi qualcuno arriva sempre.

Quindi aggrappiamoci ai nostri piaceri, a quello che c’è ora, conta solo quello.