Lettera a Cecilia di Carmela: vado a Napoli

Lettera a Cecilia – di Carmela De Pilla

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Carissima Cecilia,

sono sul treno che mi porta a una delle città che amo di più, mi sarebbe piaciuto andarci con te, ma ti racconterò tutto al mio ritorno, magari mentre si sorseggia una buona tisana.

Non so di preciso cosa mi attrae, di sicuro sento un forte legame e quando penso a una città penso a lei, i  colori, l’antico sfarzo, il caos, il vociare delle donne, gli abbracci, la pizza, tutto mi attrae e mi lascio incantare.

Qualche giorno fa  passando nei pressi della stazione di S. Maria Novella ho sentito quel richiamo e senza pensarci troppo ho comprato il biglietto ed eccomi qui su un treno un po’ anonimo a dire il vero, uno di quei treni moderni con un unico scompartimento che non invita certamente alla conversazione, tutti con gli occhi bassi rivolti verso il computer, il tablet o il cellulare, soli con i propri pensieri.

Come rimpiango, cara Cecilia, gli scompartimenti di quei treni forse un po’ troppo vecchi e a volte maleodoranti, ma tanto accoglienti che ci portavano a raccontarci, si chiudeva la porta scorrevole e in un attimo tutto diventava più intimo , come vecchi amici ognuno raccontava un pezzetto della propria storia.

Manca forse mezz’ora all’arrivo e mi sento già piena delle tante bellezze che andrò a vedere, ci sono stata più di una volta, ma il desiderio di rivederla mi rende sempre felice.

Assaporo già il piacere di essere lì, un piacere che a volte stordisce per le forti contraddizioni insite nella sua stessa natura e tutto accade tra il bello e il fatiscente, tra la commedia e la tragedia, tra il forte senso di appartenenza e l’abbandono.

E che dire della bella signora incontrata l’ultima volta?

Ero entrata nel negozietto per comprare un paio di orecchini e in breve tempo ci siamo ritrovate tra una chiacchiera e l’altra a sorseggiare un caffè appena uscito dalla moka.

Ecco, intravedo il cartello, NAPOLI, tra poco affonderò le mie radici nelle sue e mi lascerò incantare dal mistero del Cristo velato, il velo trasparente e leggero appena appoggiato sul corpo lascia intravedere la sua profonda sofferenza e ti senti coinvolto, mi lascerò incantare dalla magnificenza del teatro S. Carlo, dalla geometria impeccabile di Piazza Plebiscito, dalle infinite scalinate affollate di donne, di bambini, di panni tesi e verrò rapita dalle voci, dai sorrisi, dalle canzoni, dalle  statuine, dai presepi che  Spaccanapoli mette in bella mostra, orgogliosa di esibire i suoi tesori.

Sono sicura, Cecilia che piacerebbe anche a te immergerti in questa armonia caotica, nella speranza di fare il prossimo viaggio con te ti mando un bacio.

Lettera a Cecilia di Gabriella: vado a Salerno

Evasione – di Gabriella Crisafulli

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Cara Cecilia

Ti scrivo mentre sono in viaggio: sto andando a Salerno.

Mi ha intrigato un progetto di soggiorno all’Hotel “Il Faro” per partecipare ad una settimana di incontri in cui il tema centrale è il gioco.

La proposta era quella di prendere parte a tornei di bolle di sapone, di lancio di desideri, di sfide all’ultimo tarallo, di fuga dalle ragnatele di corde, di partite a tappi, di balli con ombrelli colorati, di chiacchiere d’uccelli, di risate fino alle lacrime, di sfilate di armi improbabili, di concerti di pentole e coperchi, …

Il progetto è stato per me davvero attraente: abbinare l’aspetto ludico al poter rivedere ancora una volta il castello Arechi che regala indimenticabili scorci marini, la Cattedrale, il giardino terrazzato della Minerva con le sue piante medicinali.

Mi affascinava pure l’idea di ripercorrere la storia della città lungo le sue strade, dalla dominazione longobarda al Principato di Salerno che arrivò a inglobare gran parte dell’Italia meridionale fino al periodo normanno in cui Salerno era capitale del Ducato di Puglia e Calabria.

E poi c’era l’aspetto della cucina così legata all’influenza dell’antica comunità ebraica.

Ancora una volta, però, mi sono trovata decidere di andare senza sapere se lo volevo davvero.

Anzi ho scoperto, quasi all’improvviso, che non lo volevo proprio.

E dopo aver stabilito, organizzato, fissato, prenotato, pagato, dopo mail, telefonate, contatti, … mi sono trovata prigioniera di una nebbia paralizzante che faceva muro intorno a me e impediva qualunque movimento. 

La valigia restava aperta in attesa di ciò che volevo mettere dentro ma non non sapevo cosa e stavo ferma a guardarla immobile.

Più si avvicinava il momento in cui dovevo uscire di casa meno energie mi ritrovavo mentre di pari passo aumentava la confusione e l’incertezza.

Era forte in me il desiderio di stare insieme a persone con le quali entrare in contatto, di ridere, di scherzare con loro sulle situazioni buffe che si sarebbero venute a creare all’Hotel “Il Faro”.

Ma molti anni prima ero salita sul carro di Zampanò e non volevo ripetere l’esperienza.

“Vedrai” mi dicevano “andiamo al “Norde”, nel grande mondo”

Balla ragazza, balla.

“Sei contenta?”

“Sì, sono contenta”

Pappagallo mi chiamavano perché sapevo rispondere a tono, battevo le mani e ridevo.

Quando non ho riso più sono stata rimproverata: “Bambina cattiva” mi dicevano.

Il mio piccolo mondo antico si è perduto per sempre.

Il pappagallo si è rotto ma viaggia ancora.