Il personaggio di Vittorio: Ugo

Si chiamava Ugo – di Vittorio Zappelli

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Aveva aspetto curato………….

Ugo, così si chiamava

Quando si presentò a casa, subito mi stupì.

Magro, non tanto alto, vestito semplicemente ma con un tocco di antica eleganza. Anche l’accento romagnolo lo rendeva a sentirlo un poco strano quando parlava accennando alla sua storia.

Aveva fatto per tanti anni il contadino sotto padroni nella sua terra, poi invecchiando, si era trasferito dalle sorelle nella nostra cittadina.

Chiamato dal babbo ad aiutarlo in giardino e nell’orto dette subito prova della sua abilità e ben presto lui l’insegnante ed il datore di lavoro, l’alunno.

Così acquistò la fiducia di tutta la famiglia. Si portava dietro al lavoro una sacca con gli attrezzi utili per potare, spuntare, sfrondare. Essendo stato contadino e continuando a lavorare anche da noi all’aperto era sempre abbronzato. A tavola mangiava come un uccellino con supremazia del pane sul companatico.

Da qui a venire a stare in casa dei miei il passo fu breve e naturale. Sempre discreto ed educato, quando parlava, sempre a voce bassa, tirava fuori dei concetti di antica saggezza contadina che mi meravigliavano.

Quando avvenne in famiglia la mancanza del babbo si trasformò naturalmente nel sostegno ed aiuto della mamma, sempre pacato e discreto. Suo fu il primo pianto addolorato quando si tornò a casa dopo il funerale.

Così lo rammento con affetto e il  ricordo di lui si accompagna allo stupore che mi fece quando lo conobbi che spesso  mi suscitava durante il tempo passato insieme .

Il personaggio di Luca: Kummé

Nel villaggio – di Luca Miraglia

Tuareg and his horse in Tunisia desert

L’emissario del governatore attraversando tutto il villaggio si affacciava ad ogni porta chiamando con voce stentorea:

  • Kummè! Kummé!! Kummé abita qui?

Ma il silenzio regnava incontrastato nella mezza mattina assolata

Finalmente dal fondo di una spelonca un’anziana dalla pelle dello stesso colore del buio rispose:

  • Vai di là dell’ultima capanna e imbocca il sentiero, lo troverai sicuramente.

L’emissario così fece e dopo diversi minuti di cammino vide farglisi incontro una figura slanciata di uomo dall’aspetto sorprendentemente curato per quei luoghi. Sul volto scavato ma gentile gli occhi acuti risaltavano sul color bronzo della pelle cotta dal sole e dall’età.

  • Sei tu Kummé?
  • Chi lo vuol sapere, amico?
  • Rispondi, sei tu Kummé?
  • Amico, sono io Kummé, amico.
  • Il governatore ti vuole al suo cospetto, il motivo lo ignoro, ma devi venire con me, ora!

Kummé si rovistò nelle tasche della tunica: un pugnello di sale e un quarto di focaccia da una parte, dall’altra una presa di tabacco e l’ampollina di ambra profumata.

  • Bene – pensò tra sé e sé – qui a posto…

La bisaccia poggiata sul fianco gli pareva però un po’ più leggera del solito, già, aveva consumato tutta l’acqua e per questo se ne stava tornando sui suoi passi.

  • Allora! Che aspetti! – lo incalzò l’emissario
  • Devo prima riempire la mia borraccia, il cammino è lungo, mica è una passeggiata quella che ci aspetta, amico.
  • Non ti servirà. Ho io le scorte che servono ad entrambi per il viaggio – fu seccamente apostrofato dall’ometto tronfio – E poi smettila di chiamarmi amico. Io sono l’emissario del governatore e come tale mi devi rispetto ed ubbidienza, non amicizia,
  • Bene, amico – rispose Kummé con un sorriso gentile, accendendo di fulmini lo sguardo del suo protervo interlocutore.

I due si incamminarono verso il villaggio dove l’emissario aveva lasciato il suo cavallo ed un piccolo mulo carico delle scorte indispensabili per il viaggio di un uomo del suo rango: cibo per una settimana, vino per due ed acqua per tre (non sia mai che la missione di un giorno, tra l’andare e il tornare, si trasformi in una maledetta e forzata permanenza in quelle lande tra quei villani)

Il personaggio di Gabriella: Lui

Eterna sinfonia – di Gabriella Crisafulli

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Ormai era diventata brava: non si faceva più sopraffare dallo stupore.

Era successo senza che se ne rendesse conto.

Così, dopo tanti anni che se n’era andato, cominciava, se non proprio a fare pace con la sua assenza, almeno a conviverci.

Lui aveva un aspetto curato, un fisico asciutto e due mele sode che erano la fine del mondo: tanti anni di sport ne avevano scolpito il corpo.

Possedeva garbo, raffinatezza e una semplicità innata come quando, tolti i vestiti da lavoro e indossato un grembiule da cucina, si metteva a preparare la verdura per la cottura. Sfilava ogni gambo in maniera metodica, quieta, dividendo le erbe in tre recipienti che corrispondevano alla tre cotture successive.

Lei non aveva messo via quei ricordi però ora non interferivano più, o quasi, con il delicato meccanismo dell’esistenza quotidiana.

Purtroppo però l’isolamento emotivo faceva capolino in continuazione come un tarlo che rodeva senza sosta.

E allora le bizzarrie diventavano un’alternativa radicale alla solitudine.

Era come se intorno a lei ci fosse una grande orchestra inanimata formata da scatole, barattoli, gomitoli, forbici, coltelli, orologi, campanelli, fil di ferro, corde, carta vetrata, chiodi, martelli, sacchetti, lana, cuscini, coperchi, stoffe, colori, pennelli, palle, … in attesa di qualcuno, un direttore, che desse il via ad una sinfonia.

Una sinfonia sgangherata, distrutta, disordinata, una musica per erinni spettinate che danzano senza sosta.

Nessuno le guarda, nessuno le vuole: spaventano ed intimoriscono.

Ma loro, come le faraone, ripetono il loro verso senza sosta.