Gigi – di Carmela De Pilla

Aveva un aspetto curato e un fisico asciutto, per quella sua passione di camminare era sempre abbronzato.
No, no! Ma che dico? Non era né curato né magro anzi direi piuttosto trasandato e grasso, sempre abbronzato o meglio bruciato dal sole per le lunghe camminate sulla spiaggia e per le tante ore sulla barca, indossava la prima cosa che gli capitava tra le mani, a lui non interessava il bel vestito “La gente ti apprezza per quello che ti scorre dentro le vene” diceva.
Gigi si chiamava e viveva da sempre in una lingua di terra tra il lago e il mare, conosceva bene l’odore e il sapore del mare e quello della terra limacciosa della palude, la sua giornata era scandita da gesti e affanni che ripeteva sempre allo stesso modo come fossero riti augurali per onorare quel Dio che troppe volte si era dimenticato di lui.
Prima che il sole tramontasse del tutto si sedeva sulla mezza sedia con un ammasso di reti da rammendare e con amorevole pazienza e cura le controllava centimetro per centimetro assicurandosi che non ci fossero buchi, mentre il lungo ago danzava tra le maglie della rete flotte di zanzare si avventavano su di lui che continuava imperterrito il suo lavoro, la pelle arsa dal sole e dalla fatica era diventata dura come scorza e gli faceva da scudo.
-Il sole è andato a dormire ed è meglio che ci vada anch’io sennò quest’inverno si sta al freddo!
Quel terreno lo aveva occupato abusivamente il padre nel tempo in cui in palude si moriva di malaria e lui fin da ragazzino aveva vissuto lì, in un “paghiar” di paglia e argilla che dopo la stagione delle piogge riparava con dedizione come fosse un tesoro da custodire.
Nella bella stagione, alle prime luci del giorno si recava sulla spiaggia con passo lento e stanco trascinando una lunga corda, un sacco di iuta strappato qua e là e una vecchia sacca di pelle dove metteva i legnetti modellati dal vento e dal mare, a volte era un piccolo canguro o una barchetta oppure un cagnolino dormiente.
Si dondolava su se stesso come se seguisse il ritornello di una canzone e camminava silenzioso, non pensieroso, ma silenzioso, attento ad ascoltare il lento canto del mare che lo aveva accompagnato per una vita intera.
-No, quello è troppo pesante, non ce la faccio, verrò a prenderlo domani con Annina – e sceglieva con minuziosa attenzione ogni legno portato dal mare nei lunghi mesi invernali.
Quelli più piccoli li pigiava il più possibile nel sacco e quelli più grossi li legava con la corda e quando ne aveva presi abbastanza guardava il mare, lo ringraziava con un sorriso e si avviava verso casa barcollando sui piedi fermi e solidi abbastanza per sorreggerlo ancora.
Un vecchio, il mare, le reti, la terra, la capanna, i legni: un mondo.
Molto bello Carmela
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“U PAGHIAR” che comunque è casa.
Il mare che è famiglia, sempre.
Quei piccoli pezzi di legno che sono svago ed attenzione..
….e quel barcollare ” su piedi fermi e solidi,” che da senso a tutto
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Si sente il legame del personaggio con il mare e la sua semplicità, grazie
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