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Abbarbicato – di Stefania Bonanni
Che fosse abbarbicato, si capì all’ istante. Apparve sulla soglia un gran cesto di capelli, degli occhi si vedevano i lampi e basta. Una gran barba copriva il collo per intero, e, formando una sorta di punta, sembrava indicare lo stomaco. Praticamente un emulo di Barbablu, per meglio dire, un Barbanera. In sintonia con le chiome degli alberi frondosi. Abbarbicato, come prodotto dalle barbe, le radici, come le piante.
Forse anche la barba cresce con il fertilizzante e l’acqua. Cambia colore con il tempo, come le foglie. Resta da verificare se in quel fitto nascano anche dei frutti.
Su quel volto le radici, le barbe, avevano prodotto anche piante ornamentali. C’erano cespugli di sopracciglia, tappeti come baffi, lenzuoli erbosi sul petto morbido, piante aromatiche sotto le ascelle, e fioriture spontanee in luoghi segreti, per fortuna segreti.
Le barba-radici non smettevano di riprodursi e si tendevano verso le piante come a chiedere aiuto, come a chiedere di essere riunite alla loro essenza piu usuale.
Non era facile convivere con un essere che si muoveva, guidava la moto, giocava a calcio, ballava, faceva l’amore.
Ogni volta che si appoggiava ad un albero, piccole mani invisibili ad occhio umano, si lanciavano all’ attacco del tronco, sperando di trovare appigli che permettessero l’ ancoraggio, ma per ora non era successo.
Le barbe “umane” non sapevano più che pesci pigliare: rimanere e continuare a crescere avrebbe reso l’ “abbarbicato” un fenomeno da baraccone.
Fecero una riunione: non stupitevi, ora la ricerca ha scoperto che le radici si parlano, e decisero che l’ esperimento era fallito. Gli uomini non possono diventare piante, a meno che non smettano di muoversi.
