L’eleganza di Omblì per Cecilia

Ombretta detta Omblì – di Cecilia Trinci

L’eleganza di allora era facile. Bastava il cappello di buona qualità, una veletta che rendeva magico qualsiasi volto, scarpe di buona fattura, con il tacco giusto per ogni età. C’erano regole facili da rispettare: il paltò di lana, anche rivoltato dalla sarta, il soprabito ai primi caldi di primavera, il tailleur a vita stretta, camicette con colli stirati e spalle ampie, magari bianca sotto una giacca grigia. Colori timidi, riservati, a parte certi vestiti  come quello di seta viola con fiori rosa che adoravo. Non so se lo adoravo per come lei lo portava, muovendosi ondeggiante ma di fretta, come se scappasse in continuazione da qui a là. Oppure perché le occasioni erano quelle belle, allegre, di festa.

Comunque abbondava il castigato marrone, il leopardato accennato nei bordi del cappotto, sul bavero e sui polsini, o sul cappellino vanesio con le punte in cima. Raramente si usciva di pomeriggio senza cappello, quando esisteva ancora l’inverno. Mia nonna ne aveva una collezione. Adoravo le sue velette, piccoli pezzetti di retina che scendevano sul viso o rimanevano accartocciati sul cappello. La guardavo attraverso quei quadretti e mi sembrava trasformata in una fata misteriosa; i nasi di tutte le donne scomparivano e funzionavano solo come  leggero appoggio per quel piccolo e fantastico elemento di eleganza.

Mia mamma non la sopportava. I suoi cappelli erano sempre rimaneggiati da forbici impietose e la veletta se ne volava via per prima. Forse, appena scesa sugli occhi, la faceva sentire  imprigionata in una rete da pescatori della sua Liguria.

La sua eleganza era nelle pose da sirena che assumeva al mare, in costume, scalza e libera con il vento nei capelli, seduta sulle barche, con lo sguardo verso l’orizzonte, come un gabbiano in punta di zampe, pronta per spiccare il volo. La polena di un bastimento, la statua sul lungomare di una città marinara, sembrava nata in mare e solo lì si placava il suo spirito drammatico.

I suoi gesti più eleganti erano quando si porgeva ad ascoltare sconosciuti infelici. Sulle panchine dei giardini, quando non era ritenuto conveniente dall’etichetta, lei accoglieva e attirava. Forse per lo sguardo marrone intenso, forse per il suo corpo sempre proteso al mondo, forse per la sua ingenua attitudine positiva, chi era diverso si sedeva accanto a lei e si raccontava e lei ascoltava. Entrava nel racconto pienamente e si dimenticava del tempo che passava. Dava importanza nello stesso modo alla signora ex collega di banca incontrata per caso, al mendicante che non aveva casa, alla ragazza in carrozzina rovinata dalla polio, al matto del paese che tutti prendevano in giro, al ragazzo sfigurato dal forcipe che faceva paura a tutti ma non a lei.

Era elegante quando nuotava in mare,  che pur non essendo più il suo gli assomigliava per il sapore delle onde. Pochi giorni ogni anno che la facevano risorgere come una pianta assetata sotto la pioggia. Ma anche quando camminava scalza la notte per via Fabbroni, di ritorno dall’opera con mio nonno cantando Puccini .

Era sempre talmente pronta al volo che nella vita non ha saputo rimanere. E’ volata via ragazza, con ancora lo sguardo marrone intenso, con il corpo da sirena e lo scatto veloce nelle gambe.

Eleganze mortali e immortali di Rossella B.

Racconti nello zaino – di Rossella Bonechi

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Per tanti anni ho lavorato in un elegante palazzo storico abbellito  da armoniose arcate  addolcite da medaglioni di Andrea Della Robbia a dare  luce colore e  ancora più eleganza.  Vivevo come un privilegio potermi affacciare sul portone e trovarmi di fronte la facciata di Santa Maria Novella con il suo equilibrio di forme e colori. L’essenza, per me, dell’eleganza senza tempo. Quella dell’agenzia invece ne aveva risentito e come del passare del tempo ma per me è stata solo un contenitore di incontri e conoscenze. Sono cresciuta lì dentro, ascoltando storie le più disparate, curiosando tra racconti di lontane tradizioni e linguaggi inafferrabili. Oltre ai clienti tradizionali che andavano in vacanza c’era tanto mondo che entrava da quel portone: cinesi arrivati in modo rocambolesco, singalesi che per annuire scuotevano la testa come a dire no, nordafricani caciaroni che pretendevano di portarsi dietro la casa sui traghetti, georgiane con i loro cognomi impronunciabili e poi filippini, pakistani, peruviani, insomma una Babele  totale! 

Non è vero che chi non parla la stessa lingua non si capisce, a volte basta un’espressione del volto, uno sguardo, una postura per entrare in contatto con qualcuno e ho imparato che se gratto la crosta sotto c’è sempre un umano come me. Era umana come me la ragazzina nigeriana che entrò impaurita e con un occhio nero a chiedere il costo di un biglietto, era umana come me quella bellissima donna che dovette consegnarmi un documento ad occhi bassi con il nome che finiva in O e non in A. Come fai a non imparare a metterti nei panni delle persone quando in lacrime ti supplicano di trovare un posto per andare a verificare se l’onda tremenda che tutto spazza via ha risparmiato o no i propri cari? 

Ho tanti ricordi, tante storie nello zaino, una collezione di sorrisi, un assortimento di volti e colori che mi hanno fatto viaggiare fino al mondo e ritorno, che hanno spostato il mio sguardo da dentro a fuori, che mi hanno aperto la testa e le mani; e ora che il turbinío è finito spero di non richiuderli mai più..

Intanto la Loggia e la Chiesa continuano a guardare, dall’alto della loro elegante bellezza che sfida i secoli, tutte quelle formichine che si affannano là sotto.

Eleganza impettita per Gabriella

La signora madre – di Gabriella Crisafulli

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Me la ricordo mentre camminavamo lungo via Sparano a Bari.

Era come se si fosse sparsa la voce per tutto il corso. I negozianti si affacciavano per salutarla.

Quando entravamo in un esercizio commerciale il proprietario e i commessi le si avvicinavano ossequiosi. Non sto a dire cosa successe quando ci inoltrammo da Minguzzi che era il tempio del massimo raffinato possibile in città. Scesero persino dai piani alti per venirle incontro: “Buonasera signora L……, benvenuta! Cosa possiamo fare per lei?”

Anche a Firenze una volta che venne a trovarci e andammo dall’ortolano di via della Rondinella, il proprietario nei giorni successivi mi chiese informazioni su quella signora così elegante.

Era bassa, asciutta, il viso magro, le guance scavate, il naso aquilino, i capelli corti, bianchi, naturalmente mossi. Si muoveva con una postura rigida e impettita tenendo la borsetta vicino a sé sul braccio piegato.

Al collo sempre il doppio filo di perle.

La sua presenza unita ad una sicurezza nei gesti, nell’espressione e nel tono di voce imponeva rispetto e trasmetteva determinazione.

Sin da giovane non era stata bella e questa era una caratteristica comune alle donne di famiglia acquisite e non.

Non solo il mio arrivo al seguito del figlio non le fece piacere ma le mise una grande agitazione.

Pur non avendo io una figura sinuosa, lunghi capelli ramati e labbra dipinte, pur non indossando abiti rosso scintillante con spacco alto, scollatura vertiginosa e tacchi a spillo, avevo un’estetica decisamente esagerata rispetto ai canoni della famiglia.

E un’età fuori target.

Questo ha costituito di per sé un elemento di sospetto nei miei confronti che non ci ha consentito di empatizzare.

Ho provato per dieci anni a inserirmi in quel contesto.

Poi mi sono arresa e il mare non fu più Polignano ma la Maremma.

Due anni prima di morire la sua eleganza si colorò di sentimento e mi disse che mi ricordava all’arrivo in Puglia con un vestito verde. “Eri una bella ragazza – si lasciò scappare – anche se i piedi, quelli no, erano decisamente brutti.”

Idea di eleganza per Nadia

Eleganza – di Nadia Peruzzi

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Eravamo in un cinema, in coda per il biglietto. A due passi da me Paolo Poli.
Avevo appena letto la sua autobiografia e ad una ad una mi tornarono in mente i lavori teatrali in cui lo avevo visto recitare.
Non sono una che fa le corse per avvicinare le persone famose. Quella volta però non ho resistito.
Gli feci i complimenti per tutto, anche per la sua autobiografia.
Mi rispose col sorriso e quegli occhi che trasmettevano la sua vivacità e la sua grande cultura, la capacità di osare, di ergersi contro gli ipocriti e i retori con i paraocchi.
I gesti e il suo porsi mi colpirono. Era elegante e non solo nel vestire.
Aveva una eleganza innata, ed era dentro il suo essere,  lo si percepiva.
Un vero gentlemen nel senso più profondo del termine.
Furono poche frasi, un attimo appena, ma intenso e del tutto privo di barriere.