Il Racconto di Patrizia Fusi

Nipoti e vita

Un ricordo bello e dolce è l’impatto che hanno avuto i  nipoti nella mia vita.

Derek è arrivato dalle Filippine all’età di otto anni.

Ricordo che era  tardo pomeriggio, rimasero tutti a cena da noi,  eravamo proprio tutti, solo Alberto non c’era già più. Eravamo  emozionati, questo piccolo bambino fra quelle persone che eravamo diventate i suoi familiari, non sapeva la lingua e anche gli altri due nipoti, Siria  e Mirko, erano in difficoltà, eravamo estranei per lui.

Per cena avevo preparato diverse cose e anche del riso, quando  l’ho mangiato era di un sapore orribile,  ero davanti a lui, l’ho guardato mentre lo mangiava… la creatura lo mangiò senza  dire niente, mi sono chiesta  come si sarà sentito.  

Un altro ricordo di un altro giorno, eravamo seduti sul divano io  ammisi di essere vecchia, lui mi rispose che “essere vecchi” voleva dire essere rispettati, questo mi colpì, il suo era il pensiero della cultura filippina.

Le mie figlie portavano Siria e Mirco a casa mia ogni mattina alle sette, alle otto li accompagnavo al pulmino, il pomeriggio dopo la scuola li avevo tutti e tre  fino al rientro dal lavoro delle mie figlie.

Alle otto portavo al pulmino Siria, che era una bambina dolce, lungo il tragitto lei raccontava la nostra vita famigliare alla accompagnatrice.

Un altro ricordo di lei è quando, Alberto per giocare gli diceva che io ero bassa in paragone a lui, lei rimase pensierosa quasi indispettita, però gli rispose decisa: “si, ma lei sa fare tante cose”, questa risposta ci fece piacere e sorridere.

Il secondo a partire per l’asilo era Mirko, in inverno voleva indossare sempre il solito  piumino leggero, questo mi metteva in imbarazzo perché sembrava che non ne avesse uno più pesante, quando era tanto freddo mi diceva “nonna scalducciami” e si faceva abbracciare e avvolgere nel mio cappotto.

Già allora io avevo problemi alla schiena e non dovevo sollevare i pesi, spesso però  quando rientrava, prima di scendere dal pulmino mi buttava le braccia per venirmi in collo, e io lo accoglievo, un dolce peso.

Tanti, tanti ricordi di merende con loro e i loro amici, giochi, suddivisione di spazi che diventavano case, tavole che erano mercati, giochi sotto i piloti e nel prato, vacanze al campeggio.

Mi hanno riempito la vita e mi hanno fatto superare la morte del loro nonno con più facilità, avevo loro da accudire e pensavo meno al mio dolore.

2008 Mirko

 La paura che ho provato un pomeriggio, ero seduta sotto il piloti della mia abitazione per controllare mio nipote.

Per passare il tempo,  facevo l’orlo a dei pantaloni , ogni tanto davo un’occhiata al gruppo di bambini che giocavano nel prato, fra questi c’era Mirko, ad un certo punto non lo vedo più , mi alzo e inizio a chiamarlo  e a cercarlo nessuno risponde,  giro intorno al fabbricato, niente, vado alle cantine ancora niente, la paura mi prende alle gambe, mi fermo, eccolo, fa capolino dal dietro muro, mentre io lo cercavo lui si spostava per non farsi trovare.

La paura era stata tanta, ma anche la felicità nel vederlo, lo brontolai e lo abbracciai con tanta gioia.

In quel periodo era sparita una bambina in Italia

2008 Siria

Stiamo andando al mercato Alberto io e Siria è una giornata luminosa piena di sole.

Camminiamo fra le persone, Siria è per mano di Alberto, sta parlando con lui ad un certo punto strambotta una parola: nonno voglio la pela! Non capiamo quello che dice, cerchiamo di indovinare, le proponiamo alcune cose, lei dice sempre no, si ferma e un po’ arrabbiata perché noi non capiamo, in maniera decisa ci dice:  Pela, come quella rossa di Biancaneve, indicando delle belle mele rosse in mostra sul banco dell’ortolano.

Mirko /2009

Sono al campeggio con Mirko e Siria.

Io le mie figlie abbiamo deciso di rispettare la volontà di Alberto, aveva prenotato lui la vacanza, ma non ce l’ha fatta a godersela, la malattia se l’è portato via prima.

Io e Mirko e Siria siamo fissi al campeggio, Sonia e Stefania con i mariti vengono il fine settimana. Vicino alla nostra piazzola c’è la famiglia di mia cognata questo mi ha aiutata.

E’ domenica stiamo pranzando tutti sotto il gazebo, si parla di tante cose anche se siamo un po’ sfasati, ci manca Alberto.

Ad un tratto si sente la vocina di Mirko che dice, mi fa freddo alle dambine (gambine)

Siria – Derek – Mirko 2010

Sono  in bicicletta  sto facendo il percorso che porta al mare, la pineta mi avvolge con il suo profumo, Stefania con i bambini e già in spiaggia .

Lascio la bici, l’allucchetto alla recinzione.

Passata l’ultima duna, davanti ai miei occhi si stende un mare placido con dei colori stupendi dal celeste chiaro al blu intenso, i raggi del sole sulla superficie dell’acqua brillano.

Vado alla mia sinistra, vedo già i bambini, stanno giocando.

Quando arrivo da loro, Derek ha fatto una buca abbastanza profonda e c’è dentro, inizia a farmi delle smorfie con la bocca e a strabuzzare gli occhi , io mi prendo paura, lui ride soddisfatto.

Mirko e Siria prendono l’acqua con i secchielli per riempire la buca, mi metto a giocare con loro. Propongo di fare una macchinina a quattro posti, tutti e tre acconsentono, iniziamo il lavoro, è riuscita una bella macchinina, ci hanno giocato un bel po’ di tempo.

La macchinina l’abbiamo fatta altre volte, visto il successo dell’idea.

2012 Derek

E’ domenica pomeriggio , l’aria è tiepida, sto andando al campo sportivo c’è il torneo di calcio dei ragazzini del paese, Derek gioca nella prima partita, Mirko nella seconda.

Sono nella tribuna, inizia la partita, i miei occhi non si staccano da Derek, sta giocando bene, è veloce sul campo, ha dei contrasti con altri giocatori, se la cava sempre bene, più che seguo la partita più dentro mi sento crescere la tensione, per la competizione fra le  due squadre, contribuisce a questo mio malessere, la rabbia di alcune persone che assistono alla partita e incitano i loro giocatori, con frasi denigranti nei confronti dei ragazzi dell’altra squadra, e frasi violente e cattive come rompigli le gambe. Non ce la faccio più ha sentire questo tifo sguaiato, la tensione la sento forte dentro lo stomaco, decido di andare via, non vedo la fine della partita di Derek , né la partita che aveva da giocare Mirko, appena mi allontano dal campo di gioco mi sento subito meglio.

Stanno crescendo velocemente. Vorrei fermare il tempo, almeno per un po’.

Il Racconto di Carmela De Pilla

Ritrovarsi

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Rivederla aveva rinnovato in me emozioni così forti che mi  appoggiai al vecchio eucalipto ancora rigoglioso e rassicurante.

La grande casa mi aveva accolta bambina e nonostante il tempo avesse cancellato l’antica armonia apparve ai miei occhi ancora pregna di sorrisi e affetto, non sentivo le risate dei bambini che rincorrevano le galline e neppure i canti notturni, ora se ne stava solitaria e abbandonata a se stessa ricordando con un po’ di nostalgia un tempo  ormai lontano.

In quella pianura avvolta dall’aria salmastra del mare poco distante erano state costruite molti poderi con la riforma fondiaria che assegnava ai contadini più bisognosi qualche ettaro di terra e l’abitazione, erano tutte uguali queste case con grandi spazi atti ad accogliere famiglie numerose.

Tutto sembrava come allora, il pozzo era sempre lì e rivederlo così piccolo e spaventato mi fece sorridere perchè da bambina mi sembrava gigantesco e quando tiravo su l’acqua avevo una gran paura di caderci dentro! L’intonaco scortecciato, le finestre sbarrate e il grande silenzio che l’avvolgeva mi fecero capire che fosse abbandonata da molto tempo, rividi i miei zii indaffarati a tramestare nell’aia e i miei cugini più grandi di me che ci facevano giocare con quello che si trovava in giro, legnetti, pietre, sassolini e facendosi spazio tra i ricordi per un attimo ritornò  a vivere.

Il grande arco che portava a una veranda chiusa era intatto, nel mezzo c’era ancora  il tavolo, la panca e qualche sedia e appoggiato alla parete c’era il mettitutto avorio profilato di azzurro, mancava solo la stufa a legna dove la zia con poco faceva mangiare tutti.

Ci andavamo d’estate quando la scuola chiudeva, l’attesa dei miei genitori diventava insopportabile e lei materna e accogliente ci riparava dalla tristezza, lì sentivo  l’amore di cui ero privata.

Tante case sparse in qua e in là e tante vite abbandonate a se stesse, in balìa di un destino che se ne fotteva dei loro dolori  nascosti con pudore e dignità, ma quella gente non si abbatteva, sapevano che le battaglie vanno combattute con coraggio, senza troppi lamenti e ogni giorno sfidavano quel destino cieco e sordo e inventavano momenti di allegria per dare un po’ di tregua ai loro poveri cuori.

Nelle sere d’estate quando la frescura rasserenava gli animi uomini, donne e bambini si trascinavano lungo l’unica strada bianca che collegava le case e spesso si fermavano nell’aia della zia che accoglieva tutti sotto il grande eucalipto mentre lo zio, pronto a raccontare aneddoti divertenti e a intonare canzoni popolari portava allegria e spensieratezza, i più piccoli andavano a giocare sotto il grande fico dove un’altalena li aspettava felice di riprendere il volo.

Attraversai la stalla confinante con la veranda e per un attimo sentii l’odore della paglia mista al letame e lo scalpitio di Stellina, la giovane cavalla tanto temuta, forzai la vecchia porta sgangherata e mi trovai sul retro della casa,  il forno trasformato dallo zio in una conigliera era sempre lì e la recinzione del pollaio dove io e mio fratello andavamo a prendere le uova era ancora intatta.

I ricordi si accavallavano e mi rividi con mio fratello mentre portavamo a pascolare i tacchini di cui io avevo grande paura e quando aprivano la coda a raggiera e sentivo quel verso buffo e assordante “gluh gluh gluh” mi stringevo a lui che come un bravo pastore mi  proteggeva.

-Se volete mangiare dovete faticare!- Diceva scherzosamente lo zio, ma noi lo prendevamo sul serio e senza fiatare andavamo sotto il sole cocente nei campi appena mietuti cosparsi di chicchi di grano. E poi arrivava il tempo della vendemmia che avveniva prima del nuovo anno scolastico e la pigiatura dell’uva, un rito che si ripeteva ogni anno si trasformava in un vero e proprio momento di gioia, entravano nel grande tino prima i miei cugini e quando l’uva era già schiacciata facevano salire anche noi che cantando le canzoncine imparate a scuola ci divertivamo a saltare e ballare senza preoccuparci troppo di sporcarci assaggiando il dolce succo d’uva che ci imbrattava il viso trasformandolo in una maschera, si comprava così una giornata di divertimento senza spendere nulla.

Osservavo ogni cosa con meticolosità come se fossi andata lì per vedre se tutto era a posto poi ritornai sotto l’eucalipto e mi sedetti sulla terra dura) più piccoli per terra, dopo la calura del giorno i vicini si erano ritrovati come spesso accadeva dai miei zii e seduti in un grande cerchio raccontavano gli ultimi fatti, gli uomini si accanivano contro la siccità o il governo che pagava poco, le donne parlavano sottovoce degli affanni quotidiani e i bambini giocavano ai “ cinque sassolini “, io ero diventata esperta e nelle gare vincevo quasi sempre, era questione di abilità e di allenamento e quando nell’ultimo passaggio buttavo in aria i cinque sassi riprendendoli tutti in una sola volta ero la bambina più felice del mondo.

Era buio da qualche ora e s’incominciava a sentire il freddo della notte così gli uomini fecero un grande falò nel mezzo del cerchio e qualcuno intonò timidamente una canzone poi se ne unirono altri e altri ancora e nell’aria oltre alle scintille e alle fiamme che si rincorrevano si spandeva un’unica voce che saliva con slancio, quasi con violenza fino all’alto dei cieli come a voler dire”Ascoltate, ci siamo anche noi.”

La luna li guardava in silenzio e, generosa come sempre, li strinse in un abbraccio con i suoi fili di luce, il buio aveva nascosto i pensieri pesanti e tutti si sentivano liberi e più forti. I più piccoli aggrappati al seno della madre e cullati dal suo respiro dormivano e via via che il fuoco si tramutava in cenere le voci diventavano sempre più sussurrate e le persone come lucciole sparivano nel buio della notte.

Le luci del giorno appena nato ridavano vita alla casa, la prima ad alzarsi era sempre zia Lucia che già dalla mattina si dava un gran daffare  affinchè tutti vivessero al meglio la giornata, con la sua andatura lenta e pacata camminava senza far rumore intenta a preparare la colazione per tutti, nel suo vestito nero mi sembrava già vecchia la zia, ma il viso tondo e paffuto, gli occhietti buoni e il sorriso gentile le davano un’aria da ragazzina, via via come fantasmi uscivano dalle camere lo zio Nicola e i quattro figli e noi che dormivamo in una brandina messa per l’occasione nella grande sala da pranzo ci alzavamo attratti dal profumo del latte appena bollito e mangiavamo con gusto il pane spalmato con la panna , ultime erano le due nipotine di sei e quattro anni che correndo sulla punta dei piedi come piccoli anatroccoli cercavano le braccia della mamma.

Nel ricordo sentivo ancora le voci che si rincorrevano, litigavano o scherzavano mescolati agli odori che nel tempo non sono scomparsi, ricordo con un po’ di nostalgia il profumo del latte appena munto o quello delle “frittelle povere” che faceva la zia con tanto pane raffermo, le uova e poco formaggio.

Tante immagini e tanti volti scorrevano davanti ai miei occhi , stavo guardando una parte della mia storia che mi sembrava ancora più bella di quella che avevo vissuto tanti anni prima.

Camminavo lungo la rete del pollaio e con la coda dell’occhio vidi in un angolo della rimessa dei motori lo “zanzino” di zi Ncò, era il motorino dello zio chiamato così perchè proprio come una zanzara saltava da una casa all’altra in cerca di qualcuno con cui chiacchierare e fare quattro risate.

Era un tipo da spiaggia zì Ncò, attaccava bottone con tutti e siccome aveva la risata nel sangue tutti lo cercavano e lui passava più tempo davanti a un bicchiere di vino e a un mazzo di carte che nei campi, motivo ricorrente nei litigi con la zia.

Quella mattina eravamo andati nel campo a cavare le barbabietole e mentre gli uomini zappavano per estrarle dalla terra noi ne facevamo grandi mucchi,  per noi bambini, inconsapevoli di dare un valido aiuto,  era un gioco divertente, ma per la zia che si era alzata più presto del solito per preparare il pranzo non lo era affatto e con la schiena chinata e il fazzoletto legato in testa a riparare dalla polvere i capelli raccolti in un “tuppo” mi sembrava ancora più vecchia. Era la sorella maggiore di mia madre, tra le due c’era un profondo legame che le univa in una vita diversa , ma ugualmente difficile e per me è sempre stata la zia buona e saggia a cui ho voluto tanto bene.

Eravamo quasi a fine del lavoro e quando le forze incominciarono a mancare, come formichine affaticate ci avviammo in fila verso casa, zì Ncò prese lo zanzino e volò via e in un attimo sparì senza dare il tempo alla zia di dirgli “ Ncò u pancott è già pronto, non fare tardi!”

Arrivati a casa ognuno si dava da fare, noi piccoli prendevamo le sedie sparse un po’ dappertutto, la zia e le cugine misero il paiolo con la verdura e le patate sul fuoco,) aggiunsero il pane raffermo e  versavano il tutto nel grande piatto di creta, di quei piatti tipici pugliesi decorati con i fiorellini blu.

Era pronto, il lavoro e l’aria salmastra del mare ci aveva scatenato  una gran fame così seduti intorno al tavolo e con la forchetta in mano aspettavamo il via della zia che invece se ne stava zitta perchè se mancava il “capofamiglia” non si mangiava e il capofamiglia non arrivava e la zia sempre più nervosa camminava nell’aia nella speranza di vederlo arrivare.

-Sempre così! Chissà da chi sarà andato ora! Lui fa il suo comodo e noi qui ad aspettarlo! Vincè prendi Stellina e vai a cercarlo prima che perda del tutto la pazienza!-

Vincenzo era il figlio più piccolo, appena sedicenne cavalcava la giovane amica come un vichingo, il mare si specchiava nei suoi grandi occhi azzurri e i capelli biondo grano diventavano dorati sotto i raggi del sole, io ero affascinata da questo cugino sempre sorridente e bellissimo e ancora oggi mi piace ricordarlo fiero e orgoglioso in groppa alla sua Stellina. Lo trovò da compare Lunard  con il bicchiere di vino in mano che se la spassava, appena vide il figlio sbiancò in viso e solo in quel momento si rese conto di quanto tempo fosse passato. Zia Lucia era  furibonda e lo accolse con improperi.

-Sei sempre il solito! Ma ti sembra normale presentarti a quest’ora? – Heeee, ma come la fai lunga, sempre la solita esagerata!- Per lui la vita era un grande spettacolo la cui sceneggiatura veniva improvvisata di giorno in giorno.

 Via via che continuavo la visita i ricordi mi ritornavano alla mente con una tale chiarezza e lucidità che sentii vivo e profondo l’affetto per i miei zii e provai una gran tenerezza per quella bambina di dieci  anni troppo timida e impaurita.

Ritornai fuori per prendere una boccata d’aria e mettere in ordine quelle dolci emozioni che mi avevano portato indietro di sessant’anni,  mi ritrovai nella grande aia dove veniva fatta la battitura del grano, mi sembrava di vederlo lo zio che guidava Stellina facendola trottare in cerchio per battere le spighe e le donne, imbacuccate nei grandi fazzoletti per ripararsi dalla polvere urticante, con i forconi  lanciavano in aria paglia e spighe per ventilare il tutto e liberare i chicchi che poi venivano raccolti in sacchi di iuta.

Il ricordo più divertente era la cattura degli uccellini, oggi la vivrei come una crudeltà, ma allora era diverso, per noi bambini era un gioco e per gli adulti era una strategia per arricchire la tavola di buon cibo. In un certo periodo dell’estate c’era il passo degli uccelli e lo zio con i miei cugini installavano nell’aia una lunga reta da pescatore fissata a due robusti pali e verso il tramonto decine di uccelli s’imbattevano in essa rimanendovi impigliati con grande festa di tutti.

Il cielo stava indossando i vestiti del tramonto e in lontananza sulla lingua azzurra si riflettevano sfumature di rosso, arancio  e  rosa e capii che era giunto il tempo di andare. Un ultimo sguardo per fissare le immagini, un altro ricordo si era aggiunto alla lista e un po’ nostalgica mi avviai verso la macchina.

Nel ripercorrere quella strada rividi i poderi appoggiati sul terreno come guardiani di antichi ricordi e sogni e immersa nei miei pensieri inchiodai davanti alla casetta di Marietta, rimasta vedova ancora giovane  trascorreva con i due figli gran parte dell’anno in quel luogo di pace e quando lei non c’era ci andavo con mio fratello che saltando dal fico al tetto cercava i nidi degli uccellini nati in primavera che se ne stavano appollaiati in attesa della prima lezione di volo.

Come le mollichine di pane di Pollicino i ricordi ci cullano in un tenero abbraccio e ci fanno ritrovare la strada per ritornare a casa