Il Racconto di Nadia Peruzzi

Genova

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Genova per noi, uno spicchio di luna adagiato sul mare.

Genova per noi, la fine di un viaggio che,  quando ero bambina,  durava una intera giornata. L’autostrada finiva alle Bocche di Magra  e allora su,  curva dopo curva, costretti ad inerpicarci fino al Passo del Bracco. Curve a esse, strette e insidiose che non ci abbandonavano nemmeno nella discesa verso Sestri Levante. Con un camion davanti, il viaggio diventava una vera Odissea!

Genova la assaporavi prima di arrivarci, passando lungo il mare. Finalmente, lassu’ il Righi e i Forti e te la ritrovavi davanti, attorno, sopra, sotto, dietro. Ovunque, stretta fra monti dai pendii scoscesi e il mare azzurro. Una visione.

Ci resto ancora male quando qualcuno la bolla con un lapidario “è brutta”. Ma posso capire,  bisogna entrarci nelle pieghe di una città così.

Non fermarsi alla prima impressione. Occorre viverla anche per pochi giorni girando nei luoghi che le hanno valso l’appellativo di Superba.
Miseria e nobiltà la attraversano e la segnano, ma il suo “Superba” lo veste con orgoglio da secoli.
Superba ma non scontrosa se sai toccare i tasti che valgono e scoprire gli angoli giusti.
O se hai avuto la fortuna di poterla osservare seguendo le leggi del cuore e degli affetti, nello scorrere del tempo che ha accompagnato il mio viaggio fino a quella che sono adesso.

  Genova per me, le vacanze lunghe passate a casa dei parenti, cibi e profumi diversi da quelli che abitualmente la nonna cucinava a casa, a Firenze a segnare quella linea fra unita’ e diversita’ che attraversa questo paese bello, ricco e un po’ dannato!

Genova per me quella del Porto Vecchio da cui partivano i  “Vapori” prima delle immense navi da crociera di oggi, quella delle piccole trattorie e delle mescite di vino verso cui si affrettavano i marinai, quella dei vicoli “I Caruggi”, delle puttane cantate da De André che potevi vedere lungo tutta via Pré  anche di pomeriggio.

Una sequenza di donne truccatissime e scollacciate. eccessivamente ammiccanti,  con spacchi fin troppo generosi  da cui talvolta si intravedevano calze smagliate. In piedi vicino

a porte scortecciate palese invito ad una lussuria stracciona e frettolosa, da pochi sghei.
Stavano lì, in attesa spesso di chi non sarebbe venuto. I papponi erano riconoscibili per come le tenevano d’occhio dai bar poco distanti.
La Genova dei grandi cantautori,  in una stagione di parole bellissime che sapevano di poesia, ha saputo raccontare anche loro. Con grande umanità  e senza censure bigotte.

Bocca di Rosa una vera opera d’arte per musica e versi. e una bandiera contro le ipocrisie di bacchettoni e benpensanti.

Genova dalle belle colline e dai palazzi abitati dai ricchi storici, quelli che la città la guardavano da sopra in giù, ritirati in strade secondarie, pressoché private per non subire l’aggressività e i rumori del traffico che passava lontano quanto basta per non disturbarli.

La zia di mia mamma, Rosetta, faceva la portinaia in uno di questi palazzoni ottocenteschi. Nomi illustri sui campanelli. Ma io, bambina, ero attratta solo dalla targhetta dorata col nome Dufour inciso sopra.  Non tanto per loro che non ho visto mai,  ma per le loro caramelle, gommose e non. Guardando la targhetta al portone,  mi sembrava di sentire lo sfrigolio di quelle cartine lucide e colorate miste al profumo di caramella. Il pensiero andava a quel loro cuore molle e dolcissimo e l’acquolina in bocca era assicurata.

Quei palazzi li ho potuti osservare da sotto in su. Non sono mai salita ai piani alti, quelli degli appartamenti  con vista mare sempre inondati di sole e di gran luce anche nelle giornate grige.

Nella casa degli zii la luce era quella delle lampade accese tutto il giorno . Il sole non ce la faceva a scendere i 6 piani per arrivare fino a lì.

Genova e la sua Lanterna, i suoi Forti a protezione costruiti su arditi pendii, i suoi abitanti, i suoi lavoratori.  

La Genova dei miei ricordi è la storia della sua operosità.  le grandi fabbriche come la San Giorgio che produceva elettrodomestici, l’Italsider, e i loro operai combattivi. Come lo erano i “Camalli” del porto. ,

Di poche parole ma di gran coraggio,  maestria e capacità, la classe operaia genovese.

Uno degli zii, di mia mamma, lavorava come falegname sulle navi da crociera.  Artista del legno si dedicava agli arredi interni. Non ha mai fatto una crociera in vita sua, ma cabine e tanto altro erano il prodotto della sua maestria. Era uso raccontare con gli occhi più che con le parole il bello che aveva prodotto col suo ingegno e con le sue mani.

Genova della Resistenza,  quella che prese di sorpresa i tedeschi anticipando di due giorni al 23 aprile 1945,  l’insurrezione e la battaglia finale contro l’oppressione nazifascista.

Genova Medaglia d’oro al valor militare che vide un generale come Meinhold costretto a firmare la resa e a consegnarla nelle mani di un operaio empolese,  Remo Scappini, a capo del CLN a Genova.

Genova dei ragazzi con le magliette a righe del luglio del 1960 che tennero sottoscacco per giorni le forze di polizia.  Non solo contro la possibilita’ di far tenere il congresso del Movimento sociale,  ma per rompere il clima che si era creato e il tentativo di far rientrare in gioco a sostegno del governo il partito neofascista.

Genova della difesa della democrazia nel buio degli anni di piombo, quando con l’assassinio di Guido Rossa fu chiaro a tutti che chi sparava non erano “compagni che sbagliavano”, erano assassini che andavano fermati e messi in condizione di non nuocere. Genova composta, in un giorno cupo di pioggia e di lacrime, con la forza della ragione fu un punto di svolta. Non passeranno,  grido’ muta allora.  E non sono passati.

Genova del boom economico tradotto in edilizia sconsiderata. Case lavatrici, colline sventrate, occupazione esagerata del pochissimo suolo disponibile,  gli alvei di fiumi,  inesistenti per lo più,  coperti per farci strade e giardini. Strisce di asfalto sotto e sopra le case e la citta’, l’intreccio delle autostrade a contorno che la segnano, la oltraggiano osando violare in molti punti l’intimità stessa delle abitazioni.  Quasi ci si può vedere dentro :scorci di salotti, di camere da letto, di soffitti mentre corri verso Milano o Torino, o più in là verso la Francia .

Genova delle ville dei nuovi ricchi spesso cresciuti con lo sbrego urbanistico della città e lo sfascio delle colline.

Il quartiere di Albaro ne è pieno con i loro parchi, i loro giardini,  i muri che ne celano la vista a chi passa per il lungo mare di Corso Italia. Al tempo della mia Genova da adolescente,   era già,  da quelle parti il tempo dei festini da rampolli della Genova bene spesso conditi da fumo, alcol e pure qualcosa di più, ma di qualità. Loro se lo potevano permettere.

In un assolato 21 luglio 2001 Genova fu quella del G 8, delle manifestazioni colorate e festose e delle provocazioni della polizia . Genova dell’assassinio di Carlo Giuliani, ragazzo.  Genova della scuola Diaz e delle torture di Bolzaneto che costrinsero Amnesty a definire quelle giornate come “la più grave violazione della democrazia in un paese democratico”.

Per me che c’ero una ferita che c’è voluto tempo a rimarginare. Anche perché all’inizio la copertura mediatica aveva creato una distorsione dei fatti tali che chi era presente non veniva ascoltato come portatore di verità. Ci volle una lunga settimana prima che ciò che si era voluto nascondere venisse doverosamente a galla.

La mia Genova è un insieme di tessere di mosaico che sono scampoli di vita, di sentimenti, di grande amore.

L’ultimo ad affiorare in ordine di tempo, il ricordo della Genova delle Ville circondate dai grandi parchi aperti al pubblico. Villa Imperiale mi ha visto bambina. Ricca di fiori dai colori sgargianti e di una vegetazione rigogliosa in ogni stagione, con piante che spesso avevano fatto il giro del mondo per arrivare fin lì da paesi lontanissimi.

C’è voluta Istanbul e un angolo di vero paradiso come Ilahmur Kasri palazzotto neoclassico ricco di fregi e ornamenti. Di fronte un piccolo lago, con i suoi cigni e pavoni, erba verde e tulipani per far riaffiorare Villa Imperiale nei miei ricordi.  In un attimo anche lo sguardo protettivo della zia Elena era su di me, me lo sentivo addosso.

Credo non sia un caso vista la storia che ha unito Istanbul a Genova, fatta non solo di commerci e di attracchi per le navi di allora cariche di spezie e di merci esotiche.

La sorte dell’esangue Impero Romano d’Oriente vide protagonista il Protettore genovese di stanza a Galata e Pera sulla collina,  di fronte al palazzo del Sultano. Fu l’alleanza dei genovesi con gli ottomani a segnarne la fine.

Una porzione di storia surclassata dall’epopea colombiana e dalla scoperta di un nuovo continente mentre si cercava una rotta per arrivare agli Indiani veri, quelli dellIndia.

 Della Genova regina dei mari e del suo spirito levantino restano i nomi di molte strade, e anche tracce nel dialetto.  Tracce che solo pochi inseguono . Mia mamma era uno di quei pochi.
Quante volte le ho sentito dire con fierezza mista a curiosità e stupore, che il fazzoletto da naso “u mandillu” in dialetto era di derivazione araba (mandil), come altre parole che adesso non ricordo. A distanza di anni è toccato a me scoprire che “mendil” è
la versione turca.  Mondo piccolo, grandi e benefici intrecci anche nei linguaggi.

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

4 pensieri riguardo “Il Racconto di Nadia Peruzzi”

  1. …così poco interessata( purtroppo per me) a nomi, date, confronti…resto affascinata dall’amore per le parole, quando leggo

    “bisogna entrarci nelle pieghe di una città così”

    capisco i sentimenti grandi che nascondono piaghe tra le pieghe, bisogna amare, molto, per descrivere la vita, quando è ricordo.

    Non sei mai salita ai piani alti? Per me con questo brano sei all’ attico, con una meravigliosa vista su un mare solo tuo.

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  2. Con la tua Genova mi hai restituito mondi amati difficili da conquistare se non curva dopo curva quando finalmente compariva il mare. Città che tanti definiscono brutte fatte di bassi, di puttane, di magnaccia, di mariuoli, di rumori, di smog,e però anche di ville stupende, palazzi signorili, panorami mozzafiato, strade signorili, città dove si intrecciano e convivono miseria e nobiltà, industria, artigianato e crimine, speculazione edilizia, rivolta sociale … . Questa nostra amata difficile Italia.

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  3. A Genova sono stata solo a vedere l’acquario, bello.

    La città non la conosco, melai fatta conoscere tu con il tuo racconto ,bello

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  4. Un caleidoscopio di immagini per descrivere una Genova di ieri impregnata di ricordi e sentimenti. Il tuo racconto termina con un riferimento alla Turchia e proprio a Istanbul ti invito ad andare con il cuore e con la penna per raccontarci di un’altra regina del mare

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