L’UFFICIO POSTALE DI CANDELI

Ricordo una strada in salita, delimitata da un alto muro che la separava dal giardino di un’antica villa. Biforcandosi dava origine ad una scalinata sconnessa, dove erbe spontanee e minuscoli fiorellini azzurri (i non ti scordar di me) nascevano in libertà. In cima c’era la chiesa del paese abbracciata da scale proprie e da un ampio spazio; a destra la canonica e vecchie costruzioni fra cui la scuola.
Sulla sinistra ci si poteva affacciare al muro che sorreggeva questa altura e osservare al di sotto poche case, alcune attaccate insieme a formare una insolita costruzione irregolare e la strada che continuava per Vallina da una parte e per Villamagna dall’altra.
Si poteva notare un Bar che faceva anche da forno ed alimentari, luogo d’incontro per la popolazione e altri che, passando si potevano fermare per un caffè o un goloso panino, magari consumato sulla grande terrazza accanto, dalla quale si ammirava uno splendido panorama della città di Firenze.
Dalla parte opposta quasi scavata nella roccia della rupe ecco l’Ufficio Postale: due stanze non troppo grandi e un corridoio. Nella stanza d’ingresso pochi mobili: una bilancia pesa-pacchi, uno scrivi-in piedi, una panca per l’attesa. Alla seconda stanza si accedeva da una porticina a due ante che funzionava tipo saloon del far-west e in quella si notava una scrivania abbastanza grande con accanto un tavolino per la ricevente, alcune sedie e, vicino al muro, uno schedario con tante cassettine.
Le due stanze consecutive erano divise da una parete per quasi la metà a vetro, per i servizi al pubblico. Non era proprio quello che sognavo come primo impiego, ma tutto sommato ero vicina a casa, avevo la macchina ed era solo l’inizio.
Era la fine di giugno ed ero dovuta rientrare dalle vacanze al mare per quella improvvisa chiamata. Alle 8,00 del mattino, lasciata la macchina prima del paese, mi ero arrampicata per quella salita respirando l’aria fresca piena di profumi della campagna e di pane appena sfornato, guardandomi intorno alla ricerca dell’ufficio postale, del quale non avevo mai saputo l’esistenza e lo trovai abbastanza facilmente.
Entrando nella stanza d’ingresso abbastanza impacciata, vidi al di là del vetro, un signore non tanto giovane, con gli occhiali sul naso che mi guardava incuriosito.
“Desidera signorina?”
Tirai fuori la voce e…”Buon giorno, sarei la nuova impiegata, mi hanno comunicato di venire qui e…” Quest’uomo, che poi era il direttore, balzò sulla sedia e si precipitò ad accogliermi con grande gioia. Gentilmente, mi introdusse nella sua stanza. Entrando notai lateralmente uno stanzino senza finestra dove, alla luce fioca di una lampadina polverosa, due vecchietti, così mi sembrarono a prima vista, toglievano dai sacchi la corrispondenza che poi dividevano inserendola in un casellario. Anche loro mi guardarono al di sopra degli occhiali e mi sorrisero in segno di benvenuto. Il direttore poi mi spiegò poi che nessuno aveva voluto rimanere in quell’ufficio oltre il tempo obbligato perché troppo lontano dalla città e privo di mezzi. Lui era molto felice del mio arrivo, e visto che avevo il mezzo, ed ero di Bagno a Ripoli si augurava che rimanessi.” Vedrà che si troverà bene” mi disse” l’ufficio non è granchè ma cercheremo insieme di migliorarlo, e poi siamo fra brava gente!”. Fu così che vi rimasi per 17 anni. Ed aveva ragione perché conoscendo le persone mi sentii come in famiglia.
I primi giorni furono abbastanza impegnativi, data la totale ignoranza della materia, ma poi col passare del tempo tutto divenne più facile. In un paese così piccolo, nel quale si conoscevano tutti, divenni la novità di cui parlare e, a turno, per qualsiasi sciocchezza entravano spesso solo per curiosare. Soltanto per determinate scadenze l’ufficio si riempiva, negli altri giorni chi veniva si intratteneva volentieri a parlare del più e del meno. E fu così che feci la conoscenza non proprio di tutti, ma di molti.
Volti, fatti, ricordi si susseguono a non finire; alcuni più presenti di altri. C’era un anziano signore che ogni mese veniva a pagare dei bollettini per beneficenza ed entrando mi salutava così” Buongiorno e quattr’ova!”. Non ho mai saputo a cosa si riferisse, ma non potevo trattenermi dal ridere e lui rideva insieme a me. Aveva occhi chiari, calmi e dolci e se ne andava dicendo” A poi”.
Spesso, il rumore scoppiettante di un’ape annunciava l’arrivo del “canterino”, un personaggio alquanto strano e particolare: era piccolo e ossuto vestito con abiti logori, ma abbastanza puliti per il lavoro che faceva (raccoglieva ferri vecchi nelle discariche), aveva occhi vispi e canzonatori e due guancette rosse che sembravano dipinte. Non disdegnava qualche bicchiere, ma non l’ho mai visto alticcio. Era bravo a improvvisare rime. Sul dietro dell’Ape scritto – Se vuoi campar cent’anni e un pochinino rispetta l’acqua e bevi sempre vino! – Quella mattina, come di solito, aveva fatto capolino alla porta dell’ufficio e, dopo un breve saluto, aveva tirato fuori dalla tasca alcuni fogli e me li aveva dati dicendo ”Questa eh la scrissi dopo l’alluvione, gliela regalo, mi faccia sapere se la gli piace”. E se ne era andato ricomparendo la mattina seguente con una serie di monete trovate chi sa dove che mi regalò. Il minimo era offrirgli la colazione che gradì molto. Mi ero fatta un amico.
Venivano anche a riscuotere lo stipendio alcune insegnanti fra le quali in particolar modo ricordo Tina sempre sorridente, dolce e gentile e, dentro di me pensavo alla fortuna che avevano avuto i bambini ai quali accudiva. Veniva anche una suora, timida e dimessa alla quale consegnavo una busta con l’importo esatto che doveva consegnare a Madre Superiore.
Anche la nobiltà passava spesso a ritirare la posta dalla propria casella: un conte elegante, sostenuto ed altero, un pediatra famoso, un giudice e anche uno scrittore che mi regalò un suo libro con tanto di dedica.
Nei periodi di minor lavoro mi annoiavo un po’, ma aprendo la finestra, nella bella stagione potevo sempre godere alla vista di quella terrazza prospiciente al bar sulla quale si ritrovavano spesso vecchi, giovani e ragazzi. Fra questi rivedo Stefania, Paolo così giovani ed altri loro compagni: alcuni fra i più vecchi improvvisavano su strumenti propri vecchie canzoni; ed era tutto un ciarlare, un ridere, uno star bene in compagnia che mi coinvolgeva anche se non ero lì con loro.
Nel frattempo il vecchio direttore era andato in pensione lasciando il posto ad uno più giovane simpatico e sempre pronto a far battute e raccontar barzellette intrattenendosi a volte con gli utenti che gradivano quel fare scherzoso e fuori del comune.
L’ufficio non era più lo stesso, il lavoro era cresciuto molto e erano arrivate altre due impiegate; lo spazio era veramente minimo. Intanto a Bagno a Ripoli era in costruzione un nuovo ufficio più moderno e funzionale, Candeli era destinato alla chiusura e il nuovo direttore pensò bene di andare in pensione. Io mi trasferii a Bagno a Ripoli e incominciai un’altra storia.
DA CANDELI A BAGNO A RIPOLI
Ricordo che l’ultimo giorno a Candeli fu molto triste. I colleghi quasi mi ignorarono non capendo perché avevo chiesto il trasferimento sei mesi prima della chiusura definitiva di quell’ufficio. Avevo le mie buone ragioni, la più importante delle quali era mia madre che, dopo una serie di malanni, richiedeva una presenza continua. A Bagno a Ripoli potevo usufruire del doppio turno così da potermi organizzare mattina o sera. Anche la gente di Candeli non la prese molto bene e all’inizio sembrò loro quasi un tradimento.
Il giorno in cui mi presentai nel nuovo ufficio fu tranquillo; conoscevo già tutti sia impiegati sia portalettere e fui accolta con calorosi abbracci. Mi sedetti nella postazione dei servizi vari e incominciai il mio nuovo giorno di lavoro: pagamenti e riscossioni.
Non ero abituata a lunghe code e cercai di andare avanti a capo basso finché qualcuno, mi riconobbe e mi salutò chiamandomi per nome, felice che fossi lì. Altri, avendo seguito la scena, si incuriosirono e, fra chi mi conosceva fin da bambina e chi era lì di passaggio venendo da Candeli, mi trovai a lavorare in modo abbastanza piacevole. Scoprii più tardi che le cose non erano sempre così e la maggior parte ti considerava con estrema freddezza. Fortuna che ogni tanto qualcuno interrompeva la serie e si mostrava gentile!
Intanto proseguiva speditamente la costruzione del nuovo ufficio. Quando insieme ai colleghi andammo a visitarlo, pochi giorni prima dell’apertura, ci sembrò molto bello e funzionale: grandi spazi, pavimenti lucidi a specchio, banconi azzurri dotati di moderni computer, grandi vetrate che si affacciavano sul cantiere della nuova Coop, anch’essa in costruzione. Niente a che vedere con quello dal quale provenivo e dove avevo lasciato un pezzetto del mio cuore.
Di lì a pochi giorni si tenne l’inaugurazione alla quale, oltre al personale al completo, presero parte il Sindaco del Comune e altri responsabili delle Poste. Ricordo che mentre ero là ascoltando lodi e discorsi vari, sentii qualcuno avvicinarsi quasi di corsa, che mi si infilò sotto braccio abbracciandomi: era Lorenzino, un ragazzo che era stato compagno di classe di mia figlia ed ora lavorava in Comune. Col viso rosso e un po’ vergognoso mi sorrise e io fui felice che mi avesse riconosciuto. Mi ero fatta un amico che da allora in poi giornalmente mi consegnò la borsa con la posta del Comune.
Ricordo anche che alcune mattine, quando era il mio turno di apertura della porta dell’ufficio, insieme alla gente che aspettava di entrare, c’erano diverse persone anziane per lo più uomini che venivano a vedere dal balcone come andavano avanti i lavori della Coop e con loro scherzavo “L’avete fatto il biglietto? Per domani c’è qualcuno che si incarica per la vendita?” Ridevano e facevano e qualche battuta allegra. Era un modo piacevole per iniziare la giornata.
Tanti sono i ricordi e molto è il tempo che è trascorso. Sembra ieri, eppure sono 20 anni che sono pensionata, incontro ancora qualcuno di allora che mi saluta e mi abbraccia e di questo sono felice.








