VOCE DI LEYLA – di Nadia Peruzzi

La voce di Leyla, nata, cresciuta e fino ad ora sopravvissuta nell’inferno di Gaza è un urlo. Agghiacciante per chi lo sente.
Fino a poche prima era una voce cristallina, modulata e venata di allegria.
Adesso è voce di chi ha paura, sa di essere rimasta sola, e di chi soffre per un dolore che supera ogni dolore provato fino a quel momento.
Ha sei anni, Leyla, ma la sua voce mentre urla disperata è come quella di chi ne ha tanti, troppi, di più . Non ha nulla di umano. Grida per il dolore al braccio sinistro. Non lo guarda per timore di ciò che può vedere.
Delle figure con facce stravolte e occhi rossi per le troppe notti insonni, sono vicine a lei. Dottori, che si affannano a fare il possibile, che in questo luogo maledetto diventa miracolo. Ma è un miracolo che non prevede anestesia e non offre arti di ricambio.
Si taglia e si cuce come se non si trattasse di persone ,ma di bambole di pezza a cui si può far di tutto senza che sentano male.
Leyla sente il bisturi che entra nella carne. L’urlo le rimane in gola. Sviene per il dolore. L’ultima cosa che vede è il cielo polveroso di una normale notte di Gaza ,dove si bombarda senza tregua e palazzi di sei piani come il suo si polverizzano inghiottendo famiglie intere.
Quando si sveglia Leyla non ha più voce. La sua bocca è muta. Spenta dall’orrore.