Voce di Stefano

Voce di Enzo – di Stefano Maurri

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Tu, tu, tu. La voce di Enzo risuonò nella sera tiepida, sotto il profumo dei tigli. Eravamo presenze addormentate nella Casa del Popolo.

Facciamo una partita a pallacanestro?

Era una voce dai forti accenti friulani abituata a parlare con passione, a cercare di convincere  le persone delle proprie certezze.

In breve accettammo la proposta come  anche i ragazzi un po’ sbandati e che si sentivano emarginati   e che erano con noi e  non vedevano l’ora di umiliare l’odiata sezione del PCI.

Un breve riscaldamento e fu subito partita con cori di sfottimento da entrambe le parti.

Risultato: “Indiani Metropolitani” 3 – PCI 0.

Per un po’ la convivenza fu ristabilita, tanto che in seguito furono proprio gli “Indiani metropolitani” a ripetere la sfida.

Voce di Carmela

La monaca – di Carmela De Pilla

disegno di Carmela De Pilla

Io non mi sento o non voglio sentirmi?

Quando mi nascondo dietro la porta per origliare e ascolto quello che dicono di me rimango stordita perfino nauseata!

-La sua voce stridula e graffiante mi opprime, mi entra dentro e mi mangia -diceva la bambina timida e bruttina.

-È aspra e fredda e mi gela il sangue. – gridava la ragazzina dai capelli rossi.

-Mi frena, mi impedisce di essere me stessa la sua voce dura e autoritaria!- sussurrava un’altra ragazza dimessa e solitaria.

-Mi allontana e mi sento rifiutata quando è secca e distaccata.- diceva un’altra voce appena soffiata.

E poi una soffocata e impaurita di una biondina -Mi scoraggia la sua voce acuta e sgradevole e dimentico me stessa.-

Ma come, sono tutto questo io?

Abbiate pietà della mia voce!

La verità è che io stessa sono intrappolata dal mio destino.

La verità è che mi sento prigioniera del mio  ruolo.

Ogni voce racconta se stessa e bella o brutta che sia diventa la colonna sonora che ci accompagna per la vita.

Voce di Nadia

VOCE DI LEYLA – di Nadia Peruzzi

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La voce di Leyla, nata, cresciuta e fino ad ora sopravvissuta nell’inferno di Gaza è un urlo. Agghiacciante per chi lo sente.
Fino a poche prima era una voce cristallina, modulata e venata di allegria.
Adesso è voce di chi ha paura, sa di essere rimasta sola, e di chi soffre per un dolore che supera ogni dolore provato fino a quel momento.
Ha sei anni, Leyla, ma la sua voce mentre urla disperata è come quella di chi ne ha tanti, troppi, di più . Non ha nulla di umano. Grida per il dolore al braccio sinistro. Non lo guarda per timore di ciò che può vedere.
Delle figure con facce stravolte e occhi rossi per le troppe notti insonni, sono vicine a lei. Dottori, che si affannano a fare il possibile, che in questo luogo maledetto diventa miracolo. Ma è un miracolo che non prevede anestesia e non offre arti di ricambio.
Si taglia e si cuce come se non si trattasse di persone ,ma di bambole di pezza a cui si può far di tutto senza che sentano male.
Leyla sente il bisturi che entra nella carne. L’urlo le rimane in gola. Sviene per il dolore. L’ultima cosa che vede è il cielo polveroso di una normale notte di Gaza ,dove si bombarda senza tregua e palazzi di sei piani come il suo si polverizzano inghiottendo famiglie intere.
Quando si sveglia Leyla non ha più voce. La sua bocca è muta. Spenta dall’orrore.

Voce di Vulcano per Nadia

VOCE DI “IDDU” – di Nadia Peruzzi

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In dialetto lo chiamano “Iddu”,il nome che si da da quelle parti agli innominabili di cui si ha paura.
Ci sono arrivata in battello. La sua imponenza la si scorge da lontano ,e incombe da vicino quando si sbarca. 
La giornata era tersa, ma malgrado fosse inondato di luce e avvolto dal blu verde del mare,“Iddu” con le sue spiagge e rocce nere appariva come un mammasantissima che imponeva rispetto.
La sua voce un borbottio costante, quasi come il rollio di una nave con un carico in stiva non sistemato troppo bene. A volte sembrava quella di un vecchio brontolone che biascica le parole, a volte faceva pensare all’antro della Sibilla dove i vaticini risuonavano come se venissero direttamente dalle viscere della terra.
Per lo più assomigliava al rumore di sassi rotolanti, senza le canzoni dei Rolling Stones ,ma con qualche colpo ben assestato sulla batteria a rompere la monotonia del suono.
Da borbottio talora diventava rombo, come tuono senza un fulmine e prolungato per un tempo indefinito. Fino a che “Iddu” ne ha voglia!
Non si quieta nemmeno di notte. Anzi la notte si esalta dal momento che tacciono tutti gli altri rumori e resta solo il suo.
Ci si sente insicuri alle pendici di “Iddu” .Ci si muove accompagnati da un senso di inquietudine e con la tendenza a guardare più che attorno ,verso l’alto, verso la sua cima ,in una sorta di “non si sa mai” che fa prestare meno attenzione al resto.
I tremori della terra, sporadici per fortuna, ti costringono a ricercare sempre il tuo punto di equilibrio.
Che differenza dalla terra ferma. 
La voce e i tremori di un’isola vulcano come Stromboli, ti attraversano, si insinuano dentro di te, fanno parte del pacchetto viaggio e della giornata da trascorrere fra le viuzze del paese e le case che punteggiano di bianco le sue pendici.
“Iddu” il meglio di sé lo da alla Caldera. Ci si arriva quando la linea rossa del sole all’orizzonte si sta affievolendo fino a spegnersi in mare. Il buio avvolge tutto. Ma solo per poco. 
Quello che per tutto il giorno è stato borbottio più o meno intenso, si fa voce scoppiettante come se centinaia di castagnole si dessero il tempo di esplodere all’unisono.
Ma è solo l’inizio. Ai suoni si unisce la luce. Anzi le luci, tantissime.
La voce del vulcano si tinge del rosso di rigagnoli che scendono verso il mare e di zampilli saltellanti come tante esili canne di bambù che puntano diritte verso il cielo. Fra gli uni e gli altri centinaia, forse migliaia di puntini rossi fanno pensare a delle lucciole. Da noi se ne vedono sempre meno in estate. Chissà che non abbiano sentito il richiamo irresistibile di “Iddu” a cui di no non lo può certo dire nessuno!