Il 2024 in 15 parole

2024 di Lucia Bettoni

(disegno di Lucia Bettoni)

Giorni strascicati
Vortici di foglie morte
Stelle filanti argentate
Scendono lacrime
che sanno di miele

2024 – di Cecilia Trinci

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Lance in battaglia hanno distribuito forza, consapevolezza di vita, amici ritrovati, un legame tossico stracciato

2024 – di Stefano Maurri

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“Che culo ha avuto mio cugino a incontrare la Cecilia!” ha detto mia Cugina Rossella

         “2024” – di Luca Di volo

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Fratelli, sentite le note

Dal seme di Caino create?

Canto crudele nel mondo si spande.

2024 – di Rossella Gallori

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Strano orologio, il mio…

Ho perso tempo

Ritrovato ore

Scandito secondi

Bruciato minuti…

Sognando tempo…..

2024 – di Rossella Gallori

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Mesi…tra silenzio tanto, rumore poco…

…tagliando, togliendo, riempiendo, perdendo…

..ritrovando ciò che c’era…..

2024 – di Luca Miraglia

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Partito di rincorsa per acchiappare una nuvola, rischio di scottarmi con le scintille di stella.

Un anno con le Matite – di Patrizia Fusi

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Gli incontri si susseguono interessanti, nei pensieri da scrivere.

Mi conducono quasi sempre nell’infanzia.

2024 – di Stefania Bonanni

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Voglia di perdere tempo e tempo per perdere voglia. Stringi stringi è stato questo.

2024 (in 16 parole) – di Carla Faggi

Meglio uno in più che in meno.

C’ero, c’eravamo, non è poco.

Mi preparo per averne ancora.

2024 – di Sandra Conticini

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Anno movimentato:  smonta arrivi entra  parla, bisticcia…rimonta esci silenzio, tempo da  riempire la solitudine.  

2024 – di Daniele Violi

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Con l’ironia acquisita,

la partecipazione a un master,

un saluto a quest’Anno agli sgoccioli;

lo invito ad andare a fare il guru.

ANNO 2024 – di Nadia Peruzzi

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Inquieto e frustrante per assenza di un moto globale contro guerre e ingiustizie. Speranza oscurata. 

L’Anno catapulta 2024: – di Rossella Bonechi

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Raccattata da terra per lanciarmi chissà dove; prima di atterrare voglio volare più in alto possibile.

Voce di Daniele

Quando era mio Padre che mi chiamava – di Daniele Violi

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La sua voce era connotata da una sonorità che aveva un accento aperto, eredità di origini lontane nel tempo, ma anche lontano dalle aspirazioni tipiche del dialetto toscano che si avvertono in ogni luogo della regione.

Solo…..Daniele, il mio nome era scandito e scandito spesso. Un richiamo dove vibrava tutto il piacere di questo nome, sinonimo di grande leggerezza. La sua voce aveva tanta voglia di esprimersi, perché il nome Daniele aveva un significato preciso, sentiva un compito nell’invocare la mia presenza e la voce di richiamo la ricordo come un vincolo, che non sentivo pesante, certamente noioso ma che comunque a me non dispiaceva.

Sì la voce di Placido era forte, con un suono dolce, ma preciso. Ogni volta con la stessa voce chiamava Daniele, raramente con tono diverso, quando era me che chiamava.

Ricordo ancora e mi suggestiona ancora, pensare quando davanti al suo di deschetto, dove sapeva riparare le scarpe, chiamava…….Daniele; mi chiamava, mio Padre. Mi diceva e ripeteva ogni volta….devi stare sempre vicino a me. La sua voce ricordo, tono basso, voce scandita e chiara, voce musicale, per me mai ingombrante,

Collegato alla Voce di Rossella B.

 Racconto il nonno Guido e la sua voce – di Rossella Bonechi

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È la voce che mi faceva da tana quando, ancora mezza addormentata, mi depositavano nel lettone con lui; mentre mi rannicchiavo nell’incavo della sua spalla (è ancora il mio posto preferito…) la sua voce mi consolava dicendomi :” vieni vieni piccina, vieni al caldo” e il tono era sommesso come si conviene al sonno da richiamare. Era una voce da anziani, da non sprecare e da non forzare, bassa quasi piatta eccetto quando si spazientiva: allora saliva di tono e riemergeva il colore vivido che doveva aver avuto prima dei capelli bianchi. Ma durava poco perché la voce si spezzava insieme al fiato e al filo del discorso; allora scuoteva la testa, mi guardava e con il solito tono basso e piatto diceva:” andiamo Nanni, andiamo a cercare le canne” e io zampettavo contenta sapendo che avrei avuto la mia trombettina. Quando mi raccontava le novelle gli piaceva fare le voci dei personaggi e così modulava la sua a seconda che fosse Cecco Grullo o Vincenzo che con un colpo ne ammazza cento. Cambiava la voce a suo piacimento e la fine delle novelle pure ! Il tono basso e carezzevole diventava ancora più profondo quando mi sgridava, era un tono serio come la sua espressione; non mi voleva fare paura ma dovevo capire che la faccenda era importante e finiva sempre con ” ha’nteso bambina? Ha’nteso bene?” e poi via, a cercare la carta giusta per gli aquiloni.

Se veramente potessi ricordare la voce del nonno, sarebbe una sciarpa usata tante volte, morbida e calda di quelle che non pizzicano e lunga lunga lunga che ancora mi avvolge tutta. Io non riesco ad evocarla negli orecchi ma il cuore ne è pieno. 

Voce di Anna

LA SUA VOCE – di Anna Meli

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            Una voce forte e gentile, unica, dal tono della quale si poteva indovinare l’umore: grigia e spenta quando qualcosa non andava, vivace e allegramente solare quando con leggerezza si prendeva gioco degli altri.

            Diventava dai mille toni colorati come da orchi ,da maghi o da mostri allorché raccontava storie ai suoi nipotini.

            Abbiamo avuto un tempo lungo. Ho sentito amore e sicurezza in quella voce azzurra di cielo finché, in ultimo non è divenuta flebile, trasparente fino a svanire nel respiro di un mondo lontano. Quella voce è parte di me.

Voce di Rossella B.

La Voce del nonno – di Rossella Bonechi

La voce è blu, per forza. È una pennellata continua che inizia dal bordo a sinistra, in alto, perché tu sei molto più grande di me e uso un bel Blu Cobalto che arriva dalla notte e mi dà il Buongiorno spostando la coperta. La voce blu comincia a riempire lo spazio senza sbalzi, vellutata come una ninna nanna e via via si allontana sul foglio lasciando spazio bianchi. Poi diventa di un blu più vivo, è una voce Blu di Persia, smaltata, lucida, che invoca il mattino e il pane nel latte. E continua la pennellata della voce diventando Blu di Prussia  con il racconto delle trincee e Azzurra leggera narrando Cecco Grullo, fino a stemperarsi nel Turchese di giochi e sorrisi. Tante sono le sfumature di questa voce: il serio Blu Zaffiro dell’insegnamento e dell’ammonimento, il Blu Oltremare, poi proprio mare mare, celeste lucente annacquata di verde: è il Blu Vacanza. Alla fine la voce si deve arrestare perché i tubetti finiscono e raggiungendo l’ultimo spazio bianco se ne va tenue, stanca, tenera, sfumando in un quasi invisibile Blu Lavanda.

Collegato alla Voce Franca

Da troppo tempo – di Stefania Bonanni

Da troppo tempo non ti sento. Non ti sento con le orecchie, ti sento con l’anima.

Ogni giorno di sole, ogni giorno di pioggia, ogni notte da sveglia, ogni minuto di pace, ogni silenzio

Ricordo bene la voce. Sempre bassa, morbida, in punta di piedi.

Non conosco i suoi strilli, né le urla . Eppure ci saranno stati, in quei momenti bui

Per me eri pace, luce, calore .

E quella voce casa, famiglia, amore e radici . Scivolava su quel filo del telefono ogni sera, alla stessa ora. Prima di cena, prima che il giorno potesse finire senza sentirci

Una voce di naso, profumata di caffè , in fondo in fondo ruvida di sigarette. Una voce da donna morbida, che arrivava in profondità, ci si sentiva la gioia di ascoltarci, ed anche la fatica di giorni difficili. E dopo aver deposto la cornetta, restava gratitudine ed affetto.

E consuetudine che segnava i giorni, che tutti diventavano degni e fecondi

Non dimenticherò la voce, la conservo stretta.

Comunque, il tempo non mi toglierà la mano  che sento sulla testa .

Voci di Patrizia

Due voci – di Patrizia Fusi

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Voce di Maria

La sua era una voce rassicurante di tono basso, di colore rosa sfumato sul giallo dorato  colore autunnale, quasi mai forte anche quando si arrabbiava.

Il sentirla mi rilassava e mi conciliava il sonno, voce morbida.

Delle volte voce rassegnata, dismessa, triste nei toni.

In una occasione, sconsolata, piena di preoccupazione, di tono basso, in quel caso la voce era di colore grigio, mi diede pesantezza.

 Quella voce descriveva come lei aveva vissuto l’essere donna, i doveri, gli obblighi e i condizionamenti .

Voce di Ovidio

La sua voce era forte squillante un po’ spavalda, calda, mi faceva sentire protetta, aveva il colore rosso come il sole d’agosto.

Era una voce scanzonata come un uomo adulto sicuro del suo essere.

Squillante allegra , in quella occasione ,voce felice , che mi diede leggerezza. Il  tono della voce descriveva come lui si approcciava alla vita da maschio.

Voce di Stefania

Una voce Franca – di Stefania Bonanni

Arrivava dal profondo di radici lontane, usciva dal buio, ed era subito casa .

Era proporzione e ritmo senza strilli, senza urla 

Era misura naturale, unità di grandezza che si moltiplicava nelle orecchie di chi ascoltava.

Parole che si fermavano sul filo delle note, come rondini sui fili dove si stendono i panni ad asciugare.

Erano parole, mai canti, ma risultavano melodia, tanto erano attese e sperate.

Davano ritmo alle giornate, senso ai tramonti.

Non era voce che si imprimeva, l’ attenzione doveva essere voluta, in chi ascoltava

Una voce di silenzio, trasmissione di armonia, condita di amore, mantecata sul fuoco vivo della consuetudine. Radicata così in fondo che non credo abbia spazio in un cervello troppo pieno, penso abbia un posto a parte.

Forse esiste una galleria di cose preziose, dove i visitatori non sono ammessi.

Voce di Stefano

Voce di Enzo – di Stefano Maurri

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Tu, tu, tu. La voce di Enzo risuonò nella sera tiepida, sotto il profumo dei tigli. Eravamo presenze addormentate nella Casa del Popolo.

Facciamo una partita a pallacanestro?

Era una voce dai forti accenti friulani abituata a parlare con passione, a cercare di convincere  le persone delle proprie certezze.

In breve accettammo la proposta come  anche i ragazzi un po’ sbandati e che si sentivano emarginati   e che erano con noi e  non vedevano l’ora di umiliare l’odiata sezione del PCI.

Un breve riscaldamento e fu subito partita con cori di sfottimento da entrambe le parti.

Risultato: “Indiani Metropolitani” 3 – PCI 0.

Per un po’ la convivenza fu ristabilita, tanto che in seguito furono proprio gli “Indiani metropolitani” a ripetere la sfida.

Voce di Carmela

La monaca – di Carmela De Pilla

disegno di Carmela De Pilla

Io non mi sento o non voglio sentirmi?

Quando mi nascondo dietro la porta per origliare e ascolto quello che dicono di me rimango stordita perfino nauseata!

-La sua voce stridula e graffiante mi opprime, mi entra dentro e mi mangia -diceva la bambina timida e bruttina.

-È aspra e fredda e mi gela il sangue. – gridava la ragazzina dai capelli rossi.

-Mi frena, mi impedisce di essere me stessa la sua voce dura e autoritaria!- sussurrava un’altra ragazza dimessa e solitaria.

-Mi allontana e mi sento rifiutata quando è secca e distaccata.- diceva un’altra voce appena soffiata.

E poi una soffocata e impaurita di una biondina -Mi scoraggia la sua voce acuta e sgradevole e dimentico me stessa.-

Ma come, sono tutto questo io?

Abbiate pietà della mia voce!

La verità è che io stessa sono intrappolata dal mio destino.

La verità è che mi sento prigioniera del mio  ruolo.

Ogni voce racconta se stessa e bella o brutta che sia diventa la colonna sonora che ci accompagna per la vita.

Voce di Nadia

VOCE DI LEYLA – di Nadia Peruzzi

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La voce di Leyla, nata, cresciuta e fino ad ora sopravvissuta nell’inferno di Gaza è un urlo. Agghiacciante per chi lo sente.
Fino a poche prima era una voce cristallina, modulata e venata di allegria.
Adesso è voce di chi ha paura, sa di essere rimasta sola, e di chi soffre per un dolore che supera ogni dolore provato fino a quel momento.
Ha sei anni, Leyla, ma la sua voce mentre urla disperata è come quella di chi ne ha tanti, troppi, di più . Non ha nulla di umano. Grida per il dolore al braccio sinistro. Non lo guarda per timore di ciò che può vedere.
Delle figure con facce stravolte e occhi rossi per le troppe notti insonni, sono vicine a lei. Dottori, che si affannano a fare il possibile, che in questo luogo maledetto diventa miracolo. Ma è un miracolo che non prevede anestesia e non offre arti di ricambio.
Si taglia e si cuce come se non si trattasse di persone ,ma di bambole di pezza a cui si può far di tutto senza che sentano male.
Leyla sente il bisturi che entra nella carne. L’urlo le rimane in gola. Sviene per il dolore. L’ultima cosa che vede è il cielo polveroso di una normale notte di Gaza ,dove si bombarda senza tregua e palazzi di sei piani come il suo si polverizzano inghiottendo famiglie intere.
Quando si sveglia Leyla non ha più voce. La sua bocca è muta. Spenta dall’orrore.

Voce di Vulcano per Nadia

VOCE DI “IDDU” – di Nadia Peruzzi

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In dialetto lo chiamano “Iddu”,il nome che si da da quelle parti agli innominabili di cui si ha paura.
Ci sono arrivata in battello. La sua imponenza la si scorge da lontano ,e incombe da vicino quando si sbarca. 
La giornata era tersa, ma malgrado fosse inondato di luce e avvolto dal blu verde del mare,“Iddu” con le sue spiagge e rocce nere appariva come un mammasantissima che imponeva rispetto.
La sua voce un borbottio costante, quasi come il rollio di una nave con un carico in stiva non sistemato troppo bene. A volte sembrava quella di un vecchio brontolone che biascica le parole, a volte faceva pensare all’antro della Sibilla dove i vaticini risuonavano come se venissero direttamente dalle viscere della terra.
Per lo più assomigliava al rumore di sassi rotolanti, senza le canzoni dei Rolling Stones ,ma con qualche colpo ben assestato sulla batteria a rompere la monotonia del suono.
Da borbottio talora diventava rombo, come tuono senza un fulmine e prolungato per un tempo indefinito. Fino a che “Iddu” ne ha voglia!
Non si quieta nemmeno di notte. Anzi la notte si esalta dal momento che tacciono tutti gli altri rumori e resta solo il suo.
Ci si sente insicuri alle pendici di “Iddu” .Ci si muove accompagnati da un senso di inquietudine e con la tendenza a guardare più che attorno ,verso l’alto, verso la sua cima ,in una sorta di “non si sa mai” che fa prestare meno attenzione al resto.
I tremori della terra, sporadici per fortuna, ti costringono a ricercare sempre il tuo punto di equilibrio.
Che differenza dalla terra ferma. 
La voce e i tremori di un’isola vulcano come Stromboli, ti attraversano, si insinuano dentro di te, fanno parte del pacchetto viaggio e della giornata da trascorrere fra le viuzze del paese e le case che punteggiano di bianco le sue pendici.
“Iddu” il meglio di sé lo da alla Caldera. Ci si arriva quando la linea rossa del sole all’orizzonte si sta affievolendo fino a spegnersi in mare. Il buio avvolge tutto. Ma solo per poco. 
Quello che per tutto il giorno è stato borbottio più o meno intenso, si fa voce scoppiettante come se centinaia di castagnole si dessero il tempo di esplodere all’unisono.
Ma è solo l’inizio. Ai suoni si unisce la luce. Anzi le luci, tantissime.
La voce del vulcano si tinge del rosso di rigagnoli che scendono verso il mare e di zampilli saltellanti come tante esili canne di bambù che puntano diritte verso il cielo. Fra gli uni e gli altri centinaia, forse migliaia di puntini rossi fanno pensare a delle lucciole. Da noi se ne vedono sempre meno in estate. Chissà che non abbiano sentito il richiamo irresistibile di “Iddu” a cui di no non lo può certo dire nessuno!

Voce di Simone

LA MIA VOCE – di Simone Bellini

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Irriconoscibile registrata,

straniera al mio orecchio,

 brutta e straziante di petto

migliore e più calda di diaframma

 con meno sforzo e più volume

rimbomba nella bocca

più profonda nella testa

nasale nel cervello.

Graffiata, stridula, divertita,

allegra, triste, cupa.

Appagante in teatro !

Voce di babbo per Sandra

LA VOCE DI’ BBABBO – di Sandra Conticini

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La tua vociona squillante era inconfondibile. Sempre austera e robusta da incutere paura e rispetto.

– Sandra sono i’ bbabbo –  dicevi quando mi chiamavi al telefono, con tono autoritario, ma amorevole.

Me la ricordo benissimo e, ancora oggi, ogni tanto mi sembra di sentirla e ti sento vicino. Mi da sempre sicurezza e felicità.

Parlavi un italiano perfetto ed eri molto preciso nel trovare i vocaboli giusti in ogni discussione.

Ricordo  il tono che usavi quando chiamavi la mamma, la voce era più dolce ma il tono sempre alto e chiaro.

La tua voce mi mancherà sempre è quella della  mia infanzia, che mi ha insegnato a stare al mondo, che mi ha aiutato a capire il bene ed il male, è la voce delle mie radici, ed ora, non può che mancarmi insieme alla tua presenza.

Grazie babbo!

Voce di babbo per Rossella

La sua voce – di Rossella Gallori

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Voce, la sua, da sempre per sempre…

…e la voce nuotava, calma,  protettiva, in un piccolo,grande, mare di vetro…

Profumava

Accarezzava

Cantava

Sorrideva

Voce, la sua, sapeva di sigarette, azzurre di fumo, di garofano rossi, di camicie stirata, di caffè, di tabacco d’Harar, di ideali forti..

 ho poco tempo…diceva.

Parlava con le mani intrecciando i miei capelli, che legava con fiocchi di nylon bluette.

Parole di gioco, voce d’amore la sua, che narrava a mo’ di ninna nanna: bimba bellabella, babbo grandegrande.

Ho poco tempo…

Profumo di mani, Voce celeste, forte e tenera, come l’ onda del mare, che non conosce burrasca: alta, bassa, mai silenzio, mai.

Ho poco tempo.

Musica di disegni, immersi nel colore caldo di una camera senza pareti.

Voce di luce, quando ci guardavamo, Voce di pianto piccolo: se mi lasci ce la faccio?

Hai poco tempo?

Voce di: ti amo..oltre, ti accarezzerò sempre…

Di canzoni vere, di strofe inventate, Voce di pandiramerino, di Ricciarelli, di caffellattino insieme…Voce di tosse..

Babbo stai male? La mia voce con la sua.

No ora canto per te.

Voce di mille anni fa,  Voce di vino, poco, di pesche gialle affogate nel rosso buono, Voce di Honner  Special…

Ho poco tempo

…Voce di stoffe, di colori tanti, di velluto liscio, di lana morbida, di valigia grande, di pelle buona, solida….

Ed ora ti sento voce blu cielo senza nuvole, ti ascolto, ti trovo.

Ho tempo, ora…ed è tuo..

…dice la voce e recita una poesia, ogni verso, ogni parola è solo per me…..

Voce di Luca D.V.

Una tremula voce – di Luca Di Volo

Da subito quella voce ( per ora non dico di chi era ), da subito, dicevo , fu paragonata a quella di “un agnello col mal di denti”…

A nessuno venne mai in mente di chiedersi se qualcuno avesse controllato che suono emettesse un agnello mentre belava col mal di denti…. pazienza, quei perdigiorno della V F non si ponevano problemi tanto raffinati. . uno più buontempone degli altri aveva detto così…e “agnello…. ” fu.

Però…in effetti , nel modularsi tra empiti lirici e toni più dimessi, quella voce acquistava un carattere acuto ma tremolante passando poi a registri di frequenza più bassa, ma sempre con un non so ché di tremulo che faceva davvero pensare al belare di un agnello (non mi pronuncio sul mal di denti. . ). Si diceva che fossero due;

I registri alti erano dedicati alla lettura dei testi , quasi un inconscio desiderio di elevarsi a tanto spirito. . quelli bassi invece , li usava quando era costretto a cose più ovvie e banali, come quelle che (secondo lui) erano contenute nelle note dei critici che accompagnavano i testi. Insomma, sembrava che questa voce invece di una fossero due: una alta e declamante , l’altra carica di un malcelato disprezzo per chi osava chiosare cose tanto sublimi. Un contrasto singolare che gli annoiatissimi studenti non mancavano di notare con il codazzo dei vari sghignazzi che si possono immaginare.

A questo punto è chiaro a chi appartenesse quella voce: era quella del professore di lettere al Liceo che io, in omaggio alla privacy chiamerò prof. ”C. ”.

Oltretutto, la sua voce risentiva fortemente dell’origine siciliana, tanto che, al soprannome “agnello”, si aggiunse presto quello di “Turiddu”. . Tanto per chiarire il contesto…

Ma la cosa più strana era che, quando non ambiva a declamare, novello aedo, con toni sibilanti, tremolanti , acuti e anche un po’ sgradevoli le pagine immortali di Virgilio o di Ovidio ,  quando si trattava invece di normali colloqui, tipo “O bravo. . anche oggi non hai studiato…” o simili, la sua voce diventava calda, sonora, comprensiva. . pietosa, quasi. . soprattutto quando aggiungeva: ”sono costretto a metterti un bel 4. . ” proseguendo poi con una voce profonda che non ci si sarebbe aspettati da lui. . ”e te lo metto nell’apposita casella, vedi. . ?” E questa casella la faceva proprio vedere al malcapitato, quasi fosse la firma di un trattato. . Sadismo? Forse no. .

Insomma, a me quella voce , acuta, tremolante di enfatiche sottolineature ha lasciato un’impressione profonda, tanto che , di tutte le voci che mi hanno ricoperto nel corso degli anni scolastici, solo questa la sento risuonare, fresca e viva com’era allora.

Voce di Luca M.

Voce primordiale nel barattolo – di Luca Miraglia

Voce dal suono primordiale: non è fatta per articolare parole.

E’ fatta di una vibrazione profonda, fisica.

Sono viscere che si scuotono e riecheggiano nel corpo, per poi risuonare nella gola e tra le labbra, fino a divenire un canto modulato.

Un canto primitivo, da primate che non conosce grammatica o sintassi che non siano quelle dell’anima, dell’emozione-reazione al proprio sentire.

Li puoi percepire con la pelle, con la pancia, il timore o la leggerezza di quella vibrazione che ti tocca come un’onda.