Scarabocchio di Rossella G.

Mollettino – di Rossella Gallori

…è sempre stato lui il mio compagno di giochi solitari, lui è Mollettino,  era piccolo, gracile, quando io ero piccola e fragile, stava in quattro, forse sei centimetri di spazio, non aveva capelli, né bocca, raramente un solo braccino…senza gambe.

Compagno di scuola, di foglio, quella scuola lungalunga, largalarga, freddafredda, la maestra spiegava ed io stavo con lui, semplice e complice, la maestra spiegava e…AMEN, LA PREGHIERA, DOV’ È LA VITTORIA e QUEL MAMELI…la stufa rossa di terracotta bollente e pericolosa, lui ed io, io e lui, senza ascoltare il nulla.

Gli anni passano, poca scuola e tanti Mollettini, un po’ più grassino, un po’ più lunghino, poi a volte aveva un cuoricino sghimbescio, l’ iniziale cambiava: G …R…F  cotte che non lo turbavano, passavano e tornavamo insieme, ci amavamo, lui ignorava i tradimenti…io non li ricordavo.

Poi la gioventù tosta, l’ospedale un po’ di corsa, dormo senza sonno, mi sveglio e penso: cavolo se avessi una penna…ti farei le mani, mi abbracceresti…

Anni anni, danni affanni lui è sempre più ingombrante, più largo, ingombrante, quasi più dolce a tratti, un po’ come me, ma quando lo è non si sa mai se è vero.

…e quando ho spiegato alla mia lei di vita ( mia figlia)

quale è stato il mio “ amico di penna” disegnando per la milionesima volta il mio scarabocchio amato, lei ha sgranato gli occhi color divisa della guardia di finanza e …..Ma chi è, cosa è?

Mollettino

..gli ha dato un bacino sulla testina calva e non lo ha più voluto vedere.

 Siam rimasti insieme io e lui.

Poi ho sognato, che aveva la bocca,  disegnandola mi sono accorta che parlava, poco e male, ma io lo capivo  poi d’altronde era sottotitolato.

 Gli ho raccontato che non mi piacciono le mele crude, cotte si perchè sembrano pere, ma non mi piacciono le pere, in nessun modo….ed ha capito, lui, o lei non so, perchè non so di che sesso è, ben poco mi importa, spesso diventa umano : femmina /maschio…

…come oggi, stasera è diventato grande, ha braccia, gambe, pure occhi e nasino tondo, capelli e scarpine belle belle, strane mani.

Se apro la finestra vola, poi torna, Io con lui lui con me, se scappo posso tornare, per restare o riscappare, per esserci o no, lui mi aspetta sempre, lo disegno e  inizio un altro attimo…..

Scarabocchio di Rossella B.

Ovali e fuochi d’artificio – di Rossella Bonechi

Sono sempre scarabocchi concentrici i miei: comincio con un ovale che poi si avvita su sé stesso rincorrendo la sua fine che è sempre una punta lanciata nel nulla. Se la mente trova spazio, perché è lei che scarabocchia non la mano, la corsa del vortice è lenta, larga, ripetuta e morbida; se i margini sono ristretti tutti è più concentrato, netto e a volte piegato a rubare il posto concesso. Poi, come a rinnegare i tornado appena fatti, il bianco rimanente lo riempio con linee dritte che sembrano fuochi d’artificio.

Il più delle volte lo scarabocchio è ignorato, il foglio appallottolato e buttato nel cestino, ma a volte rimane nel blocco degli appunti o nei fogli per la lista della spesa, così gli presto una fugace attenzione e mi fa pensare alle mie contraddizioni: anche sovrappensiero e concentrandomi su altro la parte inconscia di me mostra, appunto, tutta la mia contraddizione.

Scarabocchio di Stefano

Scarabocchio – di Stefano Maurri

Quante volte di fronte ad un quadro di arte moderna si sente dire: “Questo è uno scarabocchio, lo saprei fare anch’io!”.

Forse, ma lui lo ha fatto prima di te.

Picasso, Pollock forse lo raggiungeresti “come tutti coloro che dormono sulla collina” (da Spoon River) e con l’immaginazione .

Le loro opere hanno girato il mondo. Qualcuno è andato oltre e ha realizzato opere in cui non c’è neppure uno scarabocchio.

Una tela bianca con un puntino: quanta capacità di sintesi di un discorso aperto su cui tutti possono dire la loro.

Niente affascina di più di un ragionamento di artista. Ingrandiamo il punto e diciamo che è la terra fotografata dallo spazio: tutti noi ci stiamo dentro con le nostre paure, angosce, debolezze e gioie.

In un attimo noi siamo tutti dentro quel puntino….. (e smettiamola di romperci i coglioni l’un l’altro!)

Scarabocchio di Lucia

Occhi di voci – di Lucia Bettoni

Sono le voci degli occhi
Tutti gli occhi hanno una voce
Occhi annodati da voci stridule e imploranti
Occhi liquidi e bagnati da voci emozionate e innamorate
Occhi cattivi di voci dall’abisso
VIBRANO EMERGONO GUIZZANO  in questo spazio bianco
È lo spazio che gli ho dato
È lo spazio che gli ho concesso
OCCHI VOCI
Dove sono le vostre facce?
Dove sono le vostre mani?
Una tela si apre dentro il petto
Siete tutti in fila ADESSO
In fila come un rosario
Ogni granello un occhio
Ogni granello una voce 

Il tavolo grande
Lo stesso tavolo grande di sempre
Intorno ad esso  TUTTI
È sera
È il mese del  ROSARIO
Il fratello del nonno a capotavola
È più giovane del nonno ma lui sa leggere e scrivere, il nonno no, è analfabeta
LUI è il capo – rosario
Tutte intorno le nostre voci
Non importa cosa si recita
NON IMPORTA
Sono cantilene, un susseguirsi di parole sconosciute, chissà cosa vogliono dire!
Il senso non ha importanza
Allora perché siamo tutti lì intorno al grande tavolo?
Siamo lì per sentire L’UNISONO
Per sentire che insieme siamo una famiglia
Una famiglia di umile bellezza 

Voci dissolte per Rossella B.

Dove vanno le voci? – di Rossella Bonechi

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Alle voci di chi mi manca non ci ho mai pensato; ha pesato di più il rimpianto di un gesto, la malinconia di una consuetudine, il vuoto inconsistente di una fisicità. Però nel ricordo c’è tutto, mi accorgo ora che le voci non possono essere disgiunte dalla persona, solo che spariscono, si scoloriscono pian piano cedendo il posto all’immagine anche sfuocandosi rispetto alle parole stesse. Mi ricordo l’omino che passava la mattina vendendo la schiacciata e la frase che urlava per la strada, ma la voce? Eppure urlava ! Mi ricordo bene l’ammonimento del nonno quando baravo a briscola, ma la voce?  Sembra che la voce si perda per prima nei meandri del tempo

Voci di Padroni per Daniele

Ispirato al testo della canzone Voci

Voci di padroni che abbaiano ai tuoi sogni – di Daniele Violi

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Voci di padroni che abbaiano ai tuoi sogni, sono ogni giorno che passa, di più in numero e con un volume sempre più alto, che ci sprofonda  verso una dipendenza culturale nuova e sconosciuta, che ci può far vedere annullata la nostra, di cultura, e di padronanza delle nostre facoltà mentali che ereditiamo, formate in  tante generazioni.

La dicitura, “Le voci di padroni che abbaiano ai tuoi sogni” può  essere rappresentata oggi dalla tecnologia folle.

Questo il testo che potrei scrivere in grande a caratteri cubitali, come uno striscione che attaccherei volentieri davanti ad un liceo, o anche davanti ad un facoltà  di informatica o di psicologia.

Siamo inconsapevolmente e consapevolmente vittime di voci di padroni che abbaiano ai nostri sogni. Le nostre sensibilità sono annullate da una tecnologia spregiudicata che è diventata da apprendista, padrona della nostra vita e per questo vorrei e desidero fortemente poter comunicare alle nuove generazioni questa frase che raccoglie tutte le motivazioni della disfatta dell’etica e della vera essenza della nostra specie umana che si stacca da terra, dove l’umanità semina e raccoglie, si appesantisce di sapere sempre piu sofisticato e vola verso  i giovani e le giovani che si dovranno misurare con la propria vita. A fatica cercheranno di resistere a contaminazioni culturali conformi a una società nuova e incerta, da costruire. Voglio continuare a dire a tutti loro: Attenti e Attente a

Voci di padroni che abbaiano ai tuoi sogni. 

La voglia di scrivere …viene scrivendo

Assassino incolpevole: un possibile sequel – di Luca Di Volo

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Triste canto. . canto triste…triste canto…quelle gocciolone,  picchiando sul fango avevano scritto su un immaginario pentagramma le note di quella sequenza di suoni che,  da quella sera carica di pesante pioggia,  non mi aveva più abbandonato.

Ma andiamo per ordine. La strada che mi aveva portato da quel momento a dove mi trovavo ora, non era stata né facile né breve. Le ricerche, l’inchiesta, infine l’assoluzione, non perché “non colpevole”, solo perché mancava l’”habeas corpus”. . in parole povere “insufficienza di prove”; ed io ero stato l’ultimo a vedere viva la “presunta” vittima. Fui congedato col retropensiero: per ora se l’è cavata. . ma lo teniamo d’occhio…abbastanza minaccioso per finire di convincermi a cercare un po’ di pace nell’”altro” universo. Proprio dove mi trovavo ora.

E, per un povero terrestre, l’universo più lontano ma accessibile non poteva che essere nell’altro emisfero. Già…mio padre aveva un lontano cugino che aveva messo in piedi un’azienda vinicola in Sud Africa. Fu a lui che si rivolse per un impiego, anche temporaneo, in cui farmi smaltire quel momento difficile. Il cugino fu oltremodo cortese e comprensivo, ottenni l’impiego e mi trasferii nel Transvaal. . più lontano di così…

Non vorrei che qualcuno pensasse a me come se fossi diventato il grande buana bianco o una specie di Dio bum bum, cosa tanto cara a certe trame alla Indiana Jones. No, le mie mansioni erano solo di sorvegliare la manutenzione di certi recinti, sempre insidiati dalla fauna locale, ripristinarli quando occorreva, e dare una mano un po’ qua, un po’ là, tanto per rendermi utile  e giustificare la mia presenza in quel posto.

Come si vede, niente di straordinario, tranne una cosa che non mancò di sorprendere me per primo. Cercherò di spiegare: sarà utile al lettore e soprattutto a me.

L’avrò detto mille volte ma lo ripeto ancora: il mio desiderio era, letteralmente, rifugiarmi in un altro universo, senza minimamente sapere cosa questo significasse su un piano concreto o concettuale. Una fuga, non ci voleva Freud a spiegarlo, l’episodio di quella notte era probabilmente stato la miccia che aveva fatto deflagrare una spinta fino ad allora ben celata.

Avevo stabilito rapporti molto cordiali con gli indigeni del posto, ma questo non rende bene l’idea c’era tra noi una specie di sotterranea complicità, un “capire” insieme (non so dirlo meglio di così) molto insolito e certamente anomalo tra un europeo allevato secondo la scuola Aristotelica, e i discendenti di un ramo della cultura Zulu, che io non conoscevo nemmeno per sentito dire.

Così, una notte, mi trovai, insieme ad altri, ad ascoltare la voce dello sciamano che evocava, a quanto avevo capito gli spiriti della Terra e degli antenati. Nel suono ipnotico di quella voce ritrovavo per vie misteriose  quel triste canto che accompagnava i momenti della mia vita.

 Achernar azzurroviola, Canopo, bianca accecante, i due occhi blu delle Nubi di Magellano, il terribile fulgore del centro della Galassia, il Sagittario…Quel firmamento allietava e consolava, anche con la sua principesca bellezza, la mia certezza di essere veramente in quell’altro universo cui tanto agognavo. .

Finita la cerimonia, che era una cosa seria, almeno per chi pensava in quel modo, non la solita farsa a beneficio dei turisti, finita la cerimonia lo sciamano, col suo seguito, venne verso di me. Ebbi l’occasione così di vederlo bene: era un bell’uomo, alto, ben proporzionato. . il viso sprizzava intelligenza sottolineato da una barbetta appuntita che ricordava, a me europeo, certi visi Etruschi raffigurati nelle tombe. Lo sguardo poi, profondo e mobile dimostrava di aver visto molte cose di questo mondo…e forse di quell’altro, mi venne da pensare…

Si fermò a poca distanza e mi toccò la fronte. . io ero immobile quasi folgorato dalla stranezza della situazione. . un tocco leggero, quasi tenero, ma le parole non furono altrettanto tenere: ”Straniero-parlava Inglese, meno male. . -Straniero, sappiamo che fuggi, che neppure qui ti senti a casa …ed è vero, più vero di quel che credi…. ”Detto così, semplicemente, si voltò e sparì nel buio.

Strano a dirsi, ma quel discorso da profeta biblico non mi aveva granchè commosso. In fondo non ci voleva molto a capire che io mi sentivo fuori posto ovunque andassi…ci voleva altro che uno sciamano per me …anche se. . affascinante, questo lo dovevo ammettere.

Era ora di ritornare al bungalow, mi rialzai avviandomi verso il fuori strada .

A metà cammino, un lampo di luce nel mezzo dei cespugli della savana, mi colpì. Incuriosito mi avvicinai: c’era un oggetto attaccato ai rami spinosi. Al buio lo presi, quando l’ebbi in mano vidi cos’era. Una sciarpa gialla, gialla gialla come…non come, era la stessa. Ne ero sicuro. Faceva quasi parte di me…. .

Alzai gli occhi a quel cielo così straniero…e mi venne da pensare se tra tutte quelle nebulose, quelle stelle, quelle galassie, ci fosse qualcosa che mi desse una spiegazione.

Uno strano pensiero, ardito e superbo. .  La verità l’avrei saputa…ma solo molto molto tempo dopo.

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Voci nel freddo di Anna

VOCI NELLA NEBBIA – di Anna Meli

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            Si avvicina il tempo di Natale, lo si può notare guardando fuori, non è buio, è solo nebbia. Una nebbia fitta, umida, che attenua i rumori esalta il silenzio e copre di mistero ogni cosa.

            Lo so, è strano ma a me piace camminare, immergermi in quella fredda bambagia, sentirmi abbracciata  e tendere l’orecchio per ascoltare ogni lieve movimento, dall’incedere dei miei passi allo stroncarsi di un ramo secco. E poi mi sembra di sentire voci, tante voci lontane e confuse che riempiono un nulla che fu presenza e si trasformano in ricordi.

            Volti e persone riemergono dal passato e mi fanno compagnia nel mio andare solitario: una in particolare e risento la sua voce forte piacevolmente ironica e gentile che mi parla e mi consola.      Un soffio di vento mi accarezza il viso, sento un brivido. Mi abbraccio e non sono sola.

Voce del babbo per Sandra

Voce di babbo – di Sandra Conticini

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La tua vociona squillante si riconosceva da lontano, un po’ come la mia. Incuteva paura e rispetto, ma non per me che ti conoscevo così bene.

– Sandra sono i’ babbo –  dicevi quando mi chiamavi al telefono, ma con il tuo tono forte e chiaro potevo sentirti anche da un’altra stanza.

Me la ricordo benissimo e, ancora oggi, ogni tanto mi sembra di sentirla e ti sento vicino. Mi da sempre sicurezza e felicità, perchè insieme a lei, mi arrivano tanti bei ricordi di bambina. Ti ricordi quando mi portavi al giardino di Boboli e si correva giù per la discesa, oppure la domenica mattina mi portavi a visitare le Cappelle Medicee o gli Uffizi e mi illustravi le tombe o gli autori dei quadri, sempre con il tuo tono alto e chiaro. E’ la voce della mia infanzia, che mi ha insegnato a stare al mondo, che mi ha aiutato a capire il bene ed il male, è la voce delle mie radici, ed ora, non può che mancarmi insieme alla tua presenza.

Voci di paese per Carla

Voci da lontano – di Carla Faggi

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Sono nata e cresciuta in un Comune della provincia di Firenze, in un paesino ai margini di quel Comune.

Non mi piaceva vivere lì, non mi piacevano le persone che si interessavano di tutti e che, secondo me sparlavano di tutti.

Non amavo che parlassimo un pessimo fiorentino, quasi pratese, non amavo il perbenismo che condizionava obbligatoriamente tutte le mie azioni.

Non sopportavo il circolo del Prete proprio di fronte a casa mia, non sopportavo che mia madre lavorasse e quindi non poteva prepararmi la merenda; che non mi facesse la zuppa inglese come la mamma della mia amica.

Non amavo la mia maestra che faceva preferenze ed era molto ossequiosa verso la figlia della signora con due cognomi.

Sono tanti i “non amavo” nei ricordi delle mie emozioni di allora.

Ora che sono grande, molto grande un mio desiderio è tornare a vivere là, in quello splendido paesino sotto Monte Morello dove si conoscono e mi conoscono tutti. Dove la strada diventa una piazza di incontri e commenti. Dove ancora ci si occupa e ci si prende cura di tutti. Dove al circolo del Prete, proprio di fronte a casa dei miei ci si ritrova ancora nel pomeriggio a fare due chiacchiere.

Dove purtroppo non c’è più la maestra unica ma una chat di genitori e tanti insegnanti.

Dove c’è il sole e invece nei miei ricordi di bambina c’era la nebbia.

25 novembre – Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le donne

La VOCE della Matita Per Scrivere il Cielo

Il CORAGGIO di LUCIA Bettoni

disegno di Lucia Bettoni

Bisogna avere coraggio ed essere più forti della paura o semplicemente non poter più tornare indietro
Ci sono momenti in cui guardi la tua vita con i piedi ben saldi, anzi seduta a gambe incrociate sulle pietre al centro di una vecchia strada
Guardi avanti, sei sola e non hai paura
Sei così straordinariamente consapevole che niente e nessuno potrà farti tornare indietro
È quella forza che può tutto perché puoi lasciare tutto
Sei nuda ,sola, intoccabile
Mi vuoi uccidere?
Vuoi farmi male?
Vorresti portarmi via?
Fai pure quello che vuoi
Pensa pure quello che vuoi
Io sono qui
Seduta a gambe incrociate sulla vecchia strada di pietre
Sono inamovibile
Fai pure
Io ho deciso
Fai pure
Non mi spezzerai
Ci vuole coraggio
Ho avuto coraggio
Da quelle pietre mi sono alzata
Tu non avevi più nessun potere su di me
Io ero libera
Avete mai avuto la sensazione di essere veramente liberi?
È un sentimento unico
un sentimento che vale la vita
Si vale la vita
Non avere niente e non sapere niente di quello che sarà domani
Senza niente, ne’ case, ne’ cose, niente
Sola con la tua libertà
Il respiro di un momento
Quella è la vera forza, quella che conosce il cammino
Quella forza è fatta di te
È fatta di quello che sei
di quello che veramente sei
È un sorriso che non teme

Le voci di Picille per Tina

Ispirato al testo della canzone Voci

La strada si racconta e si raccontava – di Tina Conti

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Salendo dalla piazza del paese, a piedi o con altro mezzo, ho sempre cercato di capire e entrare in relazione con i luoghi e le persone che incontravo sul mio percorso e che facevano parte della mia nuova vita all’ Antella.   Ero appena arrivata  in via di Picille e visto che la casa era  da restaurare  avevo  la necessità di una bombola del gas. Ho domandato ad un signore che  si trovava  nel suo giardino, sotto un albero di ciliegie maestoso. Lui, gentilmente  mi ha dato tutte le indicazioni e un benvenuto nella via.

Buon auspicio,  ho pensato!

Incontravo nel pomeriggio e anche in estate  nella frazione di Balatro rosso un folto gruppo di persone che  con la loro sedia portata da casa, facevano salotto e frescheggiavano. Mi sono fermata tante volte, ho conosciuto delle persone sorridenti, semplici e serene. Fra queste, una brava sarta che mi ha aiutata a modificare dei vecchi abiti.

Via via salendo, cambiava il paesaggio, apparivano case nuove, il terreno coltivato si mescolava a tratti di bosco, ai miei occhi e al mio sentire, appariva un territorio amico, ormai conosciuto. Il mio andare spesso a piedi o in bicicletta, mi permetteva di entrare  nella vita  e nella realtà privata delle persone, osservavo i giardini, gli animali, gli odori della cucina.

Dal laboratorio del fabbro dove  una volta ho portato  a saldare un attaccapanni, uscivano scintille e rumore di metalli battuti. Prima del recinto dei cavalli, in autunno il profumo delle bocche di leone selvatiche mi stordiva ,mi soffermavo per godere a pieno di questa sensazione e l’aspettavo.

Che piacere scoprire piante nuove lungo il percorso, il kiwi di Mauro ,piantato vicino alla recinzione, mi ha informato di tutta la sua crescita fino alla produzione dei frutti. Che tensione nel vederlo stento in estate , temendo che stesse per seccarsi a causa della siccità.

Era la mia disposizione a relazionarmi con le persone e con e i luoghi mi sono chiesta oppure si trattava di una cosa consueta e normale in quella realtà?

Voci di nebbia per Patrizia

Ispirato al testo della canzone Voci: (voci di radici, di nebbia e di pioppi. Che parlano agli argini e che parlano ai matti. Voci nella testa, voci contro il tempo)

Nebbia – di Patrizia Fusi

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Odore pungente di umidità, una leggera nebbia che avvolge quello che ci circonda, noi ragazzi che corriamo spensierati nei campi, ci divertivamo con giochi semplici, fatti di nulla, ma quasi sempre di gruppo, ognuno di noi diverso, chi più fragile, chi con più capacità, ma sempre un gruppo, giornate piene di vicinanza.

Spaccato di vita passata, forse rapporti umani più solidali, ma anche a quel tempo  non mancavano le cattiverie fra le persone, gelosie, maldicenze. La diversità di chi aveva più si faceva sentire.

Verso il mondo femminile era più incisivo questo modo di pensare e più restrittivo e più bigotto.

Nel tempo attuale  la cosa che mi colpisce di più e la velocità del vivere quotidiano, credo che questo influisca sulla nostra psiche in maniera negativa.

Il vivere attuale per alcuni di noi è molto più facile.

 In questo tempo è predominante l’io e non il noi.

Per il mondo femminile si stanno formando altri problemi.

Chi ha il potere della tecnologia ci sta dominando.

Resta muta la voce per Carmela

Ispirato al testo della canzone Voci

Voci contro il tempo – di Carmela De Pilla

Photo by JYOTI PRAKASH SINGH on Pexels.com

Ora è muta la sua voce, ingoiata da un tempo lungo una vita, la sento nel silenzio dei ricordi, la sento nelle sue radici a cui mi sono aggrappata inconsapevole della forza che mi trascinava dentro di lui.

Resta muta la sua voce, non suona più, è nascosta nelle mie stesse radici e continua a vibrare, inconfondibile tra mille altre voci.

Ricordo bene quel giorno.

Ero ritornata a casa raggiante, una mia amica mi aveva invitata alla festa che avrebbe fatto a casa sua e io appena sedicenne, catapultata in un mondo arido, privo di qualsiasi relazione che non fosse quella familiare ero al settimo cielo.

-Devi venire Carmela, ci divertiremo vedrai e poi c’è un mio cugino che ti vuole assolutamente conoscere, da quando ti ha vista all’uscita della fabbrica non fa altro che chiedermi di te!

Gli occhi si riempirono di gioia e il cuore incominciò a ballare.

-Papà, domenica Maria fa una festa a casa sua, io vorrei andarci, mi piacerebbe tanto.

-Non se ne parla nemmeno! E chi è quest’amica? Non conosco questa gente! Non ti mando a casa di sconosciuti!

-Ma papà mi ha detto che…

-Non lo voglio nemmeno sapere, non ci vai e basta!

-Ti prego papà, non faccio niente di male e poi uno deve mettere la mano sul fuoco per capire!

Lui mi guardò diritta negli occhi e con voce ferma mi disse:

-Guarda che tanti prima di te hanno messo la mano sul fuoco e tutti sappiamo che brucia, devi ascoltare chi ha più esperienza di te!

Quella voce mi era entrata nelle vene e il sangue incominciò a scorrere come fiume in piena e per diversi giorni non gli ho rivolto la parola.

Poi ho saputo che quel cugino era molto più grande di me e chissà…forse mi voleva conoscere, ma a modo suo.

Lui aveva capito, grazie papà.

Voci in barattolo per Stefania

Barattoli di voci – di Stefania Bonanni

Ispirato al testo della canzone Voci:

“voci nella testa , Voci contro il tempo, Che riempiono la vita restando nel silenzio.”

Photo by Alexey Demidov on Pexels.com

A che serve il silenzio, se non a far parlare quello che non ha voce, ma che da dentro rimbomba come tuono.

Dentro, in fondo, nella cantina, insieme ai tesori, alle cose da conservare perché preziose, ci sono milioni di barattoli pieni di voci. Voci sommesse e gentili che cantano ninnenanne, voci nervose che comandano ordini e comportamenti, e poi le stesse voci che si scambiano le parti, ma tutte raccontano il mondo di bene che hanno costruito per te.

Poi, voci di bambini, e non riconosco la mia, credo di essere stata molto in silenzio, anche se poi ho molto recuperato.

Ci sono voci da uomo, profonde e raschianti la gola, gola di vino e sigarette. Ci sono voci di donne giovani, squillanti, carnose e colorate come fiori maturi. Donne amate, ma relegate a parlare tra donne, abituate piu’ a chiacchierare, che a parlare.

Ci sono barattoli pieni di voci di vecchie e di canzoni di chiesa, ed ascoltando si rivede il profilo con il collo tremolante di corde vocali che vibrano tra la pelle ciondoloni di colli ormai rugosi.

Ci sono barattoli di voci di uomini vecchi, catarrose, raccolte nel bar dove perdevano le ore dei pomeriggi troppo caldi o troppo freddi. Voci cavernose, interrotte da colpi di tosse e boccate di fumo. Voci tonanti bestemmie, fantasiose bestemmie che tiravano in ballo santi dileggiati, ma sempre presenti in quelle bocche. ‘

Poi, voci di canti di bambini, di ambasciatori e Madame Dore’, che volevano dare le figlie a qualcuno, e mi sembrava già un po’ inquietante.

Ma le voci dei bambini sono per sempre. Ieri, oggi, domani, i bambini a cui si permette di giocare hanno le stesse voci, nuove, acute, ancora da arrotare tra i denti, non sono ancora “quella voce”, eppure inconfondibili di meraviglia.

Piccola storia di Simone

Attenti al collo (versione completa) – di Simone Bellini

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Allungai il collo per osservare la situazione, quando la mano dell’uomo accanto a me mi fece abbassare il capo :

– Cosa fai, sei impazzito? Giù la testa presto prima che sia troppo tardi-

Non capivo! Perché stavano tutti con la testa reclinata, sguardo a terra, ammassati l’uno accanto all’altro. Cosa stava succedendo? Perché mi trovavo in quella situazione?

 Sopra di noi una luce accecante che non permetteva di alzare lo sguardo. Un ronzio ritmico spostava folate di vento come le pale di un gigantesco ventilatore. Ogni tanto si sentiva un “toc” come di una pacca sul capo, seguito da un “ohi “ di chi era stato colpito.

-Ma dove siamo – chiesi

-Mah … saperlo … nessuno lo sa, perciò zitto e guarda in terra !-  Se c’era una terra, perché in tutto quel riflesso bianco non si capiva.

“CrocoTook”, una testa rotolò su di noi.

-Visto? … Ha allungato troppo il corpo …. Giù, sta’ giù…

Cristo, ma che cavolo di situazione è questa!

Non esiste che io resti ancora qui, devo trovare una via d’uscita.

Rifletti ….. se non puoi alzare il capo, puoi fare l’opposto ….. strisciare in terra !

Mi abbassai e strisciando cercai di farmi largo tra centinaia di gambe, quando mi sentii afferrare per i piedi. Mi voltai, era lui, il mio compagno di sventura :

– Che cazzo fai , lasciami andare ! –

– Stai scappando vero? Voglio venire con te ! –

– No, non se ne parla ! Devo essere solo per riuscirci –

– Dai , in due ci proteggeremo a vicenda, me lo devi, se non ti avessi avvertito la testa non l’avresti più ! –

– Va bene, ma stai attento mi raccomando.-

Strisciammo insieme verso non so dove, spostando le gambe di quella marea sottomessa che, sentendo minacciato il loro precario equilibrio, mugugnavano impauriti.

Man mano che avanzavamo i mugugni aumentavano sempre più fino a far scattare la sirena dell’allarme.

– Dai, presto, striscia più veloce.-

L’agitazione dei soprastanti rendeva difficile la fuga.

 Strisciando ci allontanammo più velocemente possibile da quel frastuono, senza accorgersi che il pavimento stava andando in discesa,.. una discesa ghiacciata. Scivolammo senza un appiglio a cui potersi aggrappare. L’inclinazione diventava sempre più ripida e noi acquistavamo sempre più velocità.

D’un tratto … il vuoto …. Precipitammo nel buio non so per quanto tempo,… sembrava non finire mai !!!

Era la fine, me lo sentivo, non saremmo sopravvissuti.

Questi pensieri affogarono nell’acqua gelida che ci accolse salvandoci.

Nuotammo sfiniti fino a che una melma rocciosa si palesò sotto i nostri piedi. Esausti svenimmo.

– Ehi svegliati, svegliati ! – Un paio di schiaffi mi aiutarono ad aprire gli occhi

– Siamo ancora vivi?- dissi bloccandogli la mano pronta per il prossimo schiaffo- dove siamo ?-

– Ne so quanto te ! Non si vede niente.-

 A queste parole, d’ improvviso apparve una fiammella su di una roccia

– Guarda!… com’è possibile che scaturisca del fuoco da una roccia –

Un’altra fiammella spuntò su un’altra roccia e poi altre ancora fino ad illuminare quella tetra grotta.

– Guarda quelle fiammelle in fila, sembrano indicare una via, un sentiero !-

– Andiamo ! –

– Aspetta …. Non mi piace …. È troppo invitante …. E se fosse una trappola ! –

– Bèh non mi sembra che abbiamo molta scelta ! –

Seguimmo le fiammelle su di un sentiero reso scivoloso dall’umidità persistente. I nostri passi cauti avanzavano incerti in quel tunnel di fango, quando d’un tratto   una lastra di roccia calò fragorosamente fino a chiudere il sentiero alle nostre spalle.

– Cristo ! Lo sapevo, me lo sentivo che era una trappola ! –

– Guarda …. Il tunnel si sta chiudendo davanti a noi !! Corri, corri ! –

Il fango rendeva difficile accelerare la corsa, ma ci aiutò a scivolare sotto la lastra che stava per chiudersi.

– Aiuto! Mi sono fermato proprio sotto il lastrone, aiutami !-

Lo presi per i piedi e lo tirai a me un attimo prima che la roccia finisse la sua corsa.

– Cavolo c’è mancato proprio poco ! –

Neanche il tempo di riposarsi un po’ che un rombo scosse il terreno. Una folata di vento caldo ci investì rendendo l’aria irrespirabile e torrida.

 Il terreno era diventato rovente.

 Una seconda scossa aprì una voragine sotto i nostri piedi dividendoci fra le due sponde dove sotto scorreva un fiume di lava.

– Salta, ti prendo io, salta! –

– Non ce la faccio, ho paura! –

– Dai salta ! –

Radunò tutte le forze per spiccare il volo, ma la spinta fu a malapena sufficiente perché riuscissi ad afferrargli una mano, mentre i suoi piedi sfioravano la lava incandescente.

– Dammi l’altra mano, presto, non riuscirò a tenerti per molto ! –

Al terzo tentativo afferrai l’altra mano e lo tirai su in salvo.

– Che facciamo? Siamo bloccati qui adesso ! –

Guardai intorno.

– Dobbiamo arrampicarci su questa roccia, sperando che in alto ci sia una via di uscita. –

-Ma io non sono un rocciatore, non l’ho mai fatto !-

– Dai Sali. Metti la mano su quella sporgenza. –

– Quale ? –

– Quella roccia lì a muso di muflone. –

– Cos’è un muflone? –

– Dai Sali, pensa di essere uno stambecco!-

– Stambecco ? –

– Sali perdio !!! –

Sporgenza dopo sporgenza riuscimmo ad allontanarci dal calore infernale.

– Ehi sento del vento lassù! –

Arrivammo in alto su una spianata che portava ad una grotta, il vento arrivava da lì.

Ci addentrammo, il vento arrivava a folate intermittenti e regolari.

– Guarda, guarda laggiù, ….. una porta! –

Giungemmo alla porta e quando l’aprimmo una luce accecante invase i nostri occhi.

– Ce l’abbiamo fatta, siamo liberi !!! –

Corremmo felici assaporando quelle folate sul nostro viso.

Una voce ci avvertì :- Giù la tes  ……CLOTOCLOK !!! –

Due teste rotolarono per terra.

– Lo dicevo io, hanno allungato troppo il collo !!! –

Attenti al collo (epilogo) di Simone

Attenti al collo 3 – di Simone Bellini

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– Andiamo ! –

– Aspetta …. Non mi piace …. È troppo invitante …. E se fosse una trappola ! –

– Bèh non mi sembra che abbiamo molta scelta ! –

Seguimmo le fiammelle su di un sentiero reso scivoloso dall’umidità persistente. I nostri passi cauti avanzavano incerti in quel tunnel di fango, quando d’un tratto   una lastra di roccia calò fragorosamente fino a chiudere il sentiero alle nostre spalle.

– Cristo ! Lo sapevo, me lo sentivo che era una trappola ! –

– Guarda …. Il tunnel si sta chiudendo davanti a noi !! Corri, corri ! –

Il fango rendeva difficile accelerare la corsa, ma ci aiutò a scivolare sotto la lastra che stava per chiudersi.

– Aiuto! Mi sono fermato proprio sotto il lastrone, aiutami !-

Lo presi per i piedi e lo tirai a me un attimo prima che la roccia finisse la sua corsa.

– Cavolo c’è mancato proprio poco ! –

Neanche il tempo di riposarsi un po’ che un rombo scosse il terreno. Una folata di vento caldo ci investì rendendo l’aria irrespirabile e torrida.

 Il terreno era diventato rovente.

 Una seconda scossa aprì una voragine sotto i nostri piedi dividendoci fra le due sponde dove sotto scorreva un fiume di lava.

– Salta, ti prendo io, salta! –

– Non ce la faccio, ho paura! –

– Dai salta ! –

Radunò tutte le forze per spiccare il volo, ma la spinta fu a malapena sufficiente perché riuscissi ad afferrargli una mano, mentre i suoi piedi sfioravano la lava incandescente.

– Dammi l’altra mano, presto, non riuscirò a tenerti per molto ! –

Al terzo tentativo afferrai l’altra mano e lo tirai su in salvo.

– Che facciamo? Siamo bloccati qui adesso ! –

Guardai intorno.

– Dobbiamo arrampicarci su questa roccia, sperando che in alto ci sia una via di uscita. –

-Ma io non sono un rocciatore, non l’ho mai fatto !-

– Dai Sali. Metti la mano su quella sporgenza. –

– Quale ? –

– Quella roccia lì a muso di muflone. –

– Cos’è un muflone? –

– Dai Sali, pensa di essere uno stambecco!-

– Stambecco ? –

– Sali perdio !!! –

Sporgenza dopo sporgenza riuscimmo ad allontanarci dal calore infernale.

– Ehi sento del vento lassù! –

Arrivammo in alto su una spianata che portava ad una grotta, il vento arrivava da lì.

Ci addentrammo, il vento arrivava a folate intermittenti e regolari.

– Guarda, guarda laggiù, ….. una porta! –

Giungemmo alla porta e quando l’aprimmo una luce accecante invase i nostri occhi.

– Ce l’abbiamo fatta, siamo liberi !!! –

Corremmo felici assaporando quelle folate sul nostro viso.

Una voce ci avvertì :- Giù la tes  ……CLOTOCLOK !!! –

Due teste rotolarono per terra.

– Lo dicevo io, hanno allungato troppo il collo !!! –

Voci di alberi di Vittorio

Ispirato al testo della canzone Voci (la frase: Voci di radici di nebbia e di pioppi che parlano agli alberi)

Voci di alberi – di Vittorio Zappelli

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Cosa si diranno gli alberi quando il vento porta loro le voci e muovono le cime?

Questo mi chiedo ricordando passeggiate nel bosco da ragazzo quando tutto era grande, ricco di mistero e anche un po’ pauroso?

Forse gli alberi parleranno di noi ,piccoli visti da lassu’.piccoli che si affannano sulle piccole cose e  che hanno smesso di guardare verso di loro con rispetto e con la dovuta meraviglia.

Ma ,quando arriverà l’uomo a loro caro ,subito lo riconosceranno e tra le cime sarà tutto un sussurro ed uno stormire di foglie; aspettando che a terra l’ospite si decida nella scelta  e compia il gesto tanto atteso ….un lungo abbraccio riconoscente al tronco di uno di loro.

Voce di casa di Rossella

Ispirato alle parole della canzone “Voci”

Voci di radici, di nebbia e di pioppi
Che parlano agli argini e che parlano ai matti
Voci nella testa, voci contro il tempo
Che riempiono la vita restando nel silenzio
Voci che non sento più
Voci che sai solo tu
Manca la tua voce, sai
Mama don’t cry
Mama don’t cry

Non piangere mamma – di Rossella Gallori

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…NON PIANGERE MAMMA……se invento storie per sopravvivere…

…la luce azzurra illuminava la stanza, la sirena accendeva la casa , bleu, tutto bleu, il cibo, le facce, le parole, le risate, le voci.  Tutto pareva ed “appariva altro”  e poco sembrava, ripeto sembrava importare se chi viaggiava a bordo era quasi morto o ferito molto.

Voci di autoambulanze.

NON PIANGERE MAMMA

Il treno cantava la sua canzone la mia, la tua, la loro: tu tu tutuuuuuu,  una marcia: io  il tamburo, tu la fisarmonica, il babbo il violino: un mondo.

…MAMMA…

Il bar davanti, che poi tanto davanti non era, tuonava di risate, politica, pettegolezzi, Coca-Cola e vino.

…NON PIANGERE…

Il profumo delle peonie ero, esplodeva nei nostri cuori e se dalla finestra  spalancata entravano petali, erano carezze, se si infiltravano tarantole, erano pizzicotti e risate.

Polpette blu, pane arrostito al fischio del treno, twist, musica bella…finta ricchezza.

MAMMA NON PIANGERE

Sogni a righe, cielo a quadretti, la veranda Liberty, non aveva né caldo, né freddo, nemmeno io.

Nessuno era morto, c’era quello, quell’altro ed altro ancora, la porta aperta, sempre, in una casa senza chiavi.

Tante scarpe, tanti vestiti, cani finti, qualche gatto quasi vero.

Un gelataio bello da morsi, un cono da trenta lire, profumo di vaniglia e caffè, di noi.

PIANGERE, NO, MAMMA!

Il bus sotto casa,  He era il venti, l’otto e il due, che poi venne declassato….o promosso a uno, che quando si fermavano: splash…splash sembrava una doccia.

Ed il generale, con la sua bimba bruttina, piena di merende e balocchi: gnam, gnam.

E la professoressa che mi portava al Bargello ed io capivo tutto o quasi.

San Martino a Montughi, con le sue campane, c’ era la Chiesa mamma?  Gli alberi verdi di foglie, si, è certo.

NON PIANGERE MAMMA….

 Se sono diventata pazza, pazza no, bugiarda forse, se parlo di una casa che non era proprio così, se sento la sua voce, voce di una casa che ancora “urla piano” ed ha un suono dolce e cullante.

ED INVENTO STORIE, PER SOPRAVVIVERE, NON PIANGERE…..