24 giugno: San Giovanni per Rossella Gallori

24 GIUGNO SAN GIOVANNI di Rossella Gallori

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…sto cercando di chiamarti, di raggiungerti, non so da quanto tempo sono qui, non ne conosco il motivo, so che non so, che non ricordo, mentre cerco di chiamarti, una signora, apparentemente giovane, mi sta sorridendo, il vestitello azzurro, non sembra un abito, ma un’ altra cosa, anche qui, ho dubbi, forse un camice?

Sorridendomi, anche troppo, mi dice, che non ho telefono e che sto digitando numeri immaginari sul palmo della mano sinistra, con l’indice destro, credo che stia scherzando le porgo la mano e le dico: senta, stupida, c’ è la segreteria…

Mi  accarezza i capelli, scomposti, mi ritraggo, non sono mica una bimba, …socchiudo gli occhi,  nella speranza di cancellare il suo volto.

Era qualche giorno fa, un caffè del quale non ricordo il sapore, mattina presto, qualche uccello che fischiettando, caca a sproposito, i soliti incontri, gente che conosco bene, che credo di  aver visto sempre.

Mi sono ritrovata in quella macchina con la sirena, scomposta, sudata, delirante,  su di un lettino che mi conteneva appena.

Non ho saputo dire niente di me, per un attimo ho pensato di chiamarmi Laura, non l’ ho detto non ne ero sicura, mi hanno dato un bicchiere d’acqua, che poco  ne ha il sapore

Ho dormito, tanto, troppo, ho sognato te, non solo te, c’ era lei,  una chiesa un campanile storto, campane brune di bronzo.

Signora, il dottore l’ aspetta!

Quale dottore?

Quello che l’ ha ricoverata  ieri!

Ma, ma non sono a  casa mia?

Per il momento no!

Quando?

Presto!

Io, quel dottore non l’ho mai visto, guardo i miei vestiti, non li riconosco, io non vesto così, credo.

La solita e  scimunita, quella del telefono, mi accompagna dal dottor: NONLOCONOSCO. Sinceramente le gambe non mi reggono.

Fuori è buio, un buio non reale, improbabile, fa caldo, i corridoi sono lunghissimi. Ho fame, lo grido, qualcuno dall’ aria imbambolata con il lecca lecca in mano mi saluta, hanno tutti i capelli a caschetto, tagliati, con la pentola…gli abiti verdini  tutti della stessa foggia.

Ho fameeee.

Signora ha appena mangiato!

Quando verranno a prendermi i miei genitori, si faranno sentire, spero. Non ho mangiato

Già i miei genitori, ma li ho ancora? Si, mi racconto, pur sapendo che non è vero, di essere stata con loro, a vedere i cigni, una volta,  un giorno…

Mentre aspetto il medico, vedo passare la mia gatta ed i miei tre fratelli, non mi riconoscono, li chiamo, nemmeno si voltano, ho sbagliato forse, non sono loro.

Signora si accomodi, si sieda

La voce è carina, il viso no, una lunga cicatrice deturpa un viso banale, non vedo bene i suoi occhi sembrano fessure, finestre semichiuse.

Quindi lei è….?

Non lo so!

Quindi apparente età, 65? 70?

Sta scherzando?

 Reagisco, pensando alla bimbagomma che sono, ai miei quaderni con le righe grandi, alle mie casette disegnate storte, così come le vedo, alle mie ninnenanne, alla mollica di pane calda, al profumo dei miei sogni piccoli, a quei garofani rossi che rinforzavo con il film di ferro, per renderli forti ed “ adatti”

Sa cosa le è successo?

Abbasso voce, sguardo, vedo per la prima volta quei brutti segni sulle braccia…sulle mie braccia.

C’ erano i “fuochi” era ieri, una sera, mi sono spaventata, mi sono voluta spaventare, ho lasciato quel ponte non sicuro, sono fuggita dalla gente, verso il buio senza rumore….poi

Bene vedo che ricorda, sa che è passata una settimana?

Vorrei prenderlo a calci in culo, ripetergli che era ieri sera, che voglio andare a casa, non so quale, ma come, una casa che non abbia le pareti verdastre, le finestre  con le sbarre, la luce sempre accesa, il cibo cattivo, ora ricordo ho mangiato, male, ma ho mangiato,  prego che qualcuno mi porti via prima che lui faccia un’altra domanda…

Non arriva nessuno, il medico tace, mi domanda come mi sento, rispondo, mordendomi le labbra a sangue: come una che non sa dove è, una che non conosce il proprio nome, né quelli di chi ama… una persa.

Richiama l’ ebete, che arriva sorridendo, scrive due righe,  gliele porge, mi da la mano che io rifiuto, tirandomi indietro.

Ho sete, ho voglia di caffè, di baci, di carezze, di parole scritte bene, dedicate alla luna, ed a me che sono Luna.

La  sua camera, signora, le ho messo una camicia da notte sul letto, spero le vada bene, tranquilla è nuova, torno con l’ acqua, ed una pasticchina.

 Chiude la porta a chiave, non riesco ad uscire dai 50 cm di mattonella grigio topo, non voglio pestare le fughe, porta male.

Vedo nel piccolo specchio pezzi di stoffa preziosa e quelle forbici con la punta, che vorrei infilarmi nel cuore, per smettere di soffrire piano, per provare un dolore forte, che abbia un senso.

 Marianna rientra: acqua, pasticca, nasconde un cioccolatino nel taschino me lo da  dopo la terapia, un premio, amo i premi, che merito, forse così scema non è…..buonanotte Marianna, cerco di sorriderle!

Non mi chiamo  Marianna cara, sono Lucia, lei come si chiama?

Apro la bocca, non ne esce suono, mi scende una lacrima sa di sale amaro, penso al vento caldo, che mi ha fatto crollare per strada, mentre  sparavano fuochi di artificio, ricordo per un secondo: una bimba, un giardinetto,  un letto grande, poi di nuovo il vuoto, evitando le fughe, raggiungo il letto, che  ha sbarre cancellasogni, saluto mariannalucia….domani non sarò più qui, farò la valigia di nebbia e fuggirò.

Sono quasi sicura di trovare un postoguscio che mi contenga, che abbia voglia di ospitarmi, poi andrò per mare, porto la bimba con me? È bella bella, ha la pelle di porcellana, non so più quanti anni ha , se si è accorta che non ci sono, che ho perso gli anni per strada, ricordo, che qualcuno gli aveva amati i miei anni, più di quanto lo abbia fatto io.

San Giovanni… i fuochi, il fiume, quei ponti così belli da togliere il fiato, che, ora ricordo, ho attraversato solo per amore, con le gambe rigide, i capelli chiari non di biondo, un cuore in gola…sacrificio inutile… Sento un rumore è pioggia d’ acqua estiva, tiepida e grossa…guardo la mia camicia da notte non la riconosco, mi si appiccica addosso, grido: rivoglio i mie vestitiiiiiii!!!

Passano gli occhi di mio marito, attraverso il vetro opaco da cesso vecchio, di una finestra che sembra affacciata sul nulla…

La chiave fa un sibilo da serpentello, girando nella toppa, si affaccia uno che non è né Marianna né Lucia: buongiorno!

Penso: buongiorno un cazzo, prendo la rincorsa, lo urto facendolo sbattere contro la porta, corro senza scarpe, ho le ali, abbatto un carrello, che grida cadendo, scusa carrello….

Scendo le scale, togliendomi di dosso la mostruosa camicia compagna di una notte invernale di fine giugno…mi trovo nuda per strada, sono sudata scarruffata, disorientata, qualcuno   cerca di rallentare il mio volo, mi ferma, cado, in lontananza sento tonfi paurosi, i fuochi, di nuovo, i fuochi, mi nascondo, dentro un portone, aspetto mia madre che non arriva…..San Giovanni ancora una volta…