LEA NEL GIARDINO INCANTATO – di Nadia Peruzzi e Carmela De Pilla

Era un giardino incantato. Di quelli che un tempo impreziosivano ville e castelli della nobiltà europea e non solo di quella.
Era curatissimo, rigoglioso e ricco di statue . Figure fra il mitologico e il mostruoso, piante di un po’ tutte le provenienze .
Felci e cactus si tenevano quasi per mano. Le liane si intrecciavano alla vite americana in amplessi quasi umani.
Cipressi, aceri, salici piangenti, baobab e sequoie stavano lì dentro in bella mostra senza gareggiare in alcun modo fra loro.
Chi ci entrava respirava un’aria particolare . Era come trovare tutto il mondo in un giardino . Non aveva recinzioni, questo era il bello. Ma era veramente prezioso per altro.
Non si sa come e per effetto di quale magia, lo popolavano senza infastidirsi o cercare di prendere il sopravvento una sull’altra, specie diversissime che di solito si trovavano sparse per il globo. Anche i muschi e i licheni che popolavano il grande Nord vi avevano trovato casa, così pure le piante che, quando fiorivano tutte insieme, davano un tocco di vita alla valle della Morte.
Nessuno sapeva, come tutto questo fosse diventato una realtà, anche perché era sconosciuto ai più.
Chi ci si inoltrava, ne usciva cambiato profondamente. Tornava a casa convinto che nulla era impossibile, e che la natura a volte matrigna sapeva organizzarsi e dare lezioni di convivenza agli esseri umani.
Era un giardino incantato .
Forse era un sogno. Oppure una utopia tradotta in realtà! Pensarci rasserenava e rendeva meno tristi.
Peccato che ad un certo punto la villa fosse stata abbandonata e sempre meno persone erano riuscite a trovare quel giardino e ad entrarvi dentro.
Anche Lea, che era nata e cresciuta in quel luogo non ricordava più quando tutto era iniziato.
Era ancora bella Lea, nonostante i suoi 83 anni, sempre sorridente e pronta ad ascoltare la vita di chi si affidava a lei per un consiglio o semplicemente per un’ora insieme e se era in vena prendeva il suo tamburello e suonava. Se l’era trovato tra le mani fin da piccola e, senza sapere come, aveva imparato a suonarlo.
Lo sentiva nelle vene quel ritmo e a volte se ne andava in giro a cercare luoghi ricchi di mistero e si immergeva nella natura, unica sua vera amica.
Una mattina, per inseguire pace e tranquillità, si ritrovò senza volere nel giardino della villa. All’inizio un po’ titubante, poi attratta da quella vegetazione selvaggia si era seduta su un muretto, si era guardata attorno e aveva cominciato a suonare.
Le dita danzavano sulla pelle ben tesa del tamburello e come avvolta da un’aura che rifletteva la sua anima, continuò a suonare e danzare volando tra le piante, mentre il giardino fu avvolto da un ritmo antico che evocava immagini di pace.
A poco a poco Lea cominciò ad accorgersi che le piante stavano apprezzando la melodia che, con leggerezza di tocco, Lea riusciva a trarre dal suo tamburello.
Il giardino aveva trovato la sua voce.