Storie matte – Quattro mani, due di Lucia, due di Luca per una storia sola

La donna dalle lunghe gambe – di Lucia Bettoni e Luca Miraglia

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Aveva gambe lunghe, sottili e leggere come quelle di un fenicottero.

Vestiva di piume rosa come quelle di un fenicottero.

Era alta e girovagava sognante con la sua borsetta rosa in tinta con le piume.

Si trovò di fronte ad un portone anonimo, di quelli in alluminio e vetro anni ’70: si apriva su pochi scalini senza guida che salivano verso un pianerottolo illuminato da una finestrella polverosa e alta.

Pensavi che fosse un uccello? No, lei era una donna e in fondo non era nemmeno così leggera: semplicemente aveva bisogno di luce.

Da quel pianerottolo a destra una scala, a sinistra un’altra, davanti e dietro altre due rampe. Nessuna indicazione sull’eventuale giusta direzione da prendere.

La prima rampa di ciascuna di quelle quattro scale si affacciava su un altro pianerottolo da cui ripartivano otto scale che portavano al successivo da cui si irraggiavano sedici rampe… e così via in una successione apparentemente senza fine. Una ragnatela di gradini e rampe di cui era difficile comprendere la direzione: su, giù, destra e sinistra divengono relativi

Seguirle era difficile perciò lei aveva gambe lunghe.

Aveva bisogno di vento, per questo vestiva di piume.

Aveva bisogno di acqua per lavare la polvere delle strade sassose,

delle strade sconnesse,

delle strade faticose.

Si chiamava Aria ed era una donna.

Storie matte – Quattro mani: due di Rossellina e due di Stefania per una storia sola

Paesi e persone che riemergono – di Rossella Bonechi e Stefania Bonanni

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Dall’alto sono un ammasso di rovine colore sabbia con qua e là sfumature di grigi e ocra. Occorre scendere verso la voragine per cominciare a distinguere: un campanile addossato alla chiesina non si sa se a sorreggersi o a sostenerla, le casupole con ancora qualche gradino e persiane ciondolanti. Avvicinandosi di più ci si può accorgere di uno spiazzo con una specie di vasca rettangolare: una fonte? Un abbeveratoio? Chissà, solo vecchie foto ben nascoste in un archivio possono rivelare che quella specie di presepe disabitato e desolato una volta era un paese brulicante di persone e animali, il campanile e la sua campana, la fontana e le cannelle zampillanti acqua fresca. A quelle finestre ormai orbe c’erano fiori e panni, canti e richiami, e da alcune file di pietre smangiucchiate si capisce che muri e muretti accoglievano rampicanti, chiacchiere, soste ombrose. Ma un giorno, chissà come e perché, si decise che una valanga d’acqua sarebbe stata importantissima per la valle e il circondario, così tutto fu abbandonato in fretta e furia e dopo un tempo concordato ecco pronto l’invaso per la diga, che ogni tanto viene svuotato per la manutenzione e rivela le tracce di quello che non serve più: un ex paese che però non molla, pietre testarde e decise a fare memoria di una vita magari semplice e più dura che ha dovuto piegarsi al progresso ma non ha voglia di scomparire. Era stato un ragazzino pestifero. Di quelli che non danno retta a nessuno, sputano e fanno i dispetti a tutti. Con il senno di poi non sarebbe stato difficile andare a vedere in quella casa, cercare di capire, ma allora non si usava. Così ebbe presto la fama di carognetta, da scansare. Peggio fu alle scuole medie, quando i professori lo mandarono nel banco in fondo, subito. E lui chiuse i libri, per sempre. Gli dicevano ignorante e fannullone, e forse facevano finta di non sapere che lavorava già. Faceva il garzone del macellaio, che a fine settimana lo pagava con un fagotto di bracioline che a casa aspettavano a gloria. Era biondissimo, e già era una fatto raro, e con degli occhi così celesti che era difficile distogliere lo sguardo. Era bellissimo. Chissà se oggi lo sarà ancora, sono passati tantissimi anni. Ed ecco, si materializza. Sempre biondo o, a meglio guardare, bianco….ma era alto, cioè basso, così? No, impossibile, forse è rimpicciolito. Parla bene, è vestito da Signore di campagna molto signorile. Sicuramente ha fatto buona vita, si mantiene bene. Sembra abbia anche studiato. Poi racconta: ha sposato una con i soldi, poi è stato facile metterli a frutto. Sa quattro lingue, ha girato il mondo. È gentile e simpatico. Ha avuto una nuova bella vita. La vita di prima è scomparsa anche fisicamente quando la costruzione della diga ha richiesto l’abbandono del paese che è stato affogato dall’invaso. In quel paese era nato e vissuto, in una vita povera e serena. Tutto questo fa sì che il ricordo rimanga, tutto il resto sembra un sogno che ogni tanto riaffiora quando, svuotando la diga, per magia, il paese riemerge. Ma il solo ricordo e la vista di povere rovine è troppo doloroso. Così sa di poter ben utilizzare i suoi soldi per rendere giustizia alle vite di chi è passato da quel paese. Costruisce un museo dove trasferisce e restaura tutto quello che rappresenta il paese che il mondo voleva cancellare, e riesce a fare sì che ne resti traccia per sempre