In questa lunga vita – di Gabriella Crisafulli
Girava e rigirava pensando che lo voleva a tutti i costi.
Lo voleva proprio, non ne poteva fare a meno.
Sentiva che gli altri ce lo avevano: possibile che mancasse solo a lei?
No, non era proprio che non ce l’avesse.
Anzi, nel corso della sua lunga vita erano stati davvero tanti gli episodi felici che l’avevano portata a vivere a mezzo metro da terra, ma quando li raccontava stava male perché appartenevano ad un passato morto e sepolto.
C’era quel bacio a Mondello sugli scogli de “La Torre” mentre era stesa ad arrostirsi al sole e si stagliava solo lui su quello sfondo di cielo blu cobalto.
C’era quel matrimonio fatto di festa, in barba a tutto e tutti, con il cicaleccio dei quattro cuginetti che le giravano intorno festosi sollevando il velo.
C’era quella bellissima bambina che era nata dopo una gravidanza complicata. Aveva temuto di aver causato danni alla sua piccina e l’aveva sfasciata per poter guardare bene il suo corpicino. Invece eccola lì, fra le sue braccia, con il suo carnato roseo, il faccino tondo, mentre si attaccava tranquilla al seno.
C’erano state le vacanze in un camper che di caravan aveva solo il nome. Era un furgone con attrezzature di fortuna ma a lei sembrava una reggia anche se, di notte, la più piccola cadeva dalla sua amaca su di loro stesi a dormire. Una scusa in più per abbracciarla!
C’erano stati gli anni di poesia in cui il dialogo si arricchiva della scrittura dell’uno e dell’altra in uno scambio che riguardava solo loro due.
Episodi di una vita vissuta e goduta intensamente.
Tutto si era interrotto sull’ultima poesia scritta al CTO in un doloroso finale di partita.
E adesso, cosa c’era adesso?
Non c’erano più episodi belli da ricordare e da vivere in questa vecchiaia solitaria?
Non c’era più alcuna occasione di volare a mezzo metro da terra?
Girava e rigirava cercando cos’era quel qualcosa che accendeva ancora una luce nella sua vita e la portava sulle nuvole.
Sì, c’era e si chiamava Olga.
Era l’ultima arrivata della serie con la quale condividere il letto, il divano, …
L’aveva incontrata on line nei suoi giri sul web alla ricerca di qualcosa di intenso, appassionato, intrigante.
Olga Tokarczuk.
L’aveva vista e ascoltata.
E si era sentita trasportare in quel mondo chiamato Polonia all’incrocio di culture diverse intrecciate fra loro in uno scambio di nutrimento reciproco.
La sua affabulazione l’aveva ammaliata.
Così era andata in biblioteca e aveva preso un suo libro: “Guida il tuo carro sulle ossa dei morti”.
Appena aperto il modo di scrivere l’aveva attirata, catturata, trascinata.
Ancora una volta si ripeteva il miracolo che la faceva sognare.
Era capitato con tanti: Saramago, Primo Levi, Bufalino, Vasilij Grossman, Morante, Musil, Pessoa, Pamuk, …
La lista era lunga, il percorso avvincente: doveva tornare ai compagni di viaggio di questa lunga vita.
Anche lei aveva tanti episodi belli da raccontare senza patire, in una Timbuctu dove si riannodano i fili della storia, la sua.