La frase per Rossella: “La cerco ma lei non c’è”

La cerco ma non c’ è ( Luca) – di Rossella Gallori

Le cose le inizio bene, calligrafia chiara, quasi leggibile, poi non so svolgere, non so spiegare, il progetto mi cade di mano, si frantuma, non c’è Attak che funzioni, le briciole di me si attaccano sotto le scarpe, quasi mi fanno scivolare nel lungo corridoio lucido di cera…la mano si intorpidisce, lentamente le dita cadono una ad una, per unirsi ai pezzi di racconto, diventando tutt’ uno con i morsi di parole.

Poi…

.. poi, ho visto la porta aprirsi, e…sono entrati i bimbi, tanti tanti bimbi, alcuni buffi dai riccioli rossi, bimbi strabici con gli occhialini rossi.

Occhi verdi di mare.

Bimbe secche come sogliole, con i calzini ciondoloni su gambette magre, senza polpacci.

Bimbi più larghi che lunghi lucidi di ragù, frutto della solitudine, che crea fame, cibo per annientare il  dolore.

Bimbi belli belli così biondi da far luce, che niente può spingerli, nemmeno un blackout.

Fanciulline ben pettinate, le trecce identiche, i fiocchi non sgualciti di un color cielo, così cielo…da sembrare cielo, cielo sereno.

Non li accompagna nessuno, conoscono la strada, sono saliti fin qui, i sicuri con gli incerti, gli eleganti ed i non, i tondi, i rettangolari, i bellini tra i bruttini.

La porta si sta quasi chiudendo, ma lei dove è?

Dove è rimasta?

Ce l’ha fatta ad arrivare fino a qui da sola o ce l’ han portata?

La cerco ma non c’ è!

l’ avevo lasciata, non so dove con un quadernino mencio in mano, ed una penna morsicchiata tra i capelli scomposti.

Era dietro una panchina.

Non ricordo se rideva o piangeva

Se parlava o taceva.

Mi alzo di scatto, blocco la porta, chiamo forte, grido il suo nome.

La  cerco tra i cenci del teatro, in un treno che non parte, in un bagno gelido e vecchio…dietro una scrivania…

La cerco ma non c’è!

È sparita o forse non è mai stata qui, era, lei, l’inizio di qualcosa che non ricordo, un frutto insapore senza né buccia, né semi.

La cerco ma non c’è!

L’ho solo sognata e  la porta non si é mai aperta.

Eppure l’ avrei voluta incontrare, prima di domani.

Ci provo ancora.

Forse è sorda.

Scrivo  un grande cartello con il suo nome…il mio.

Lo espongo alle mareggiate di vento.

La cerco ma non c’è.

Non mi trovo…..Non mi voglio trovare…

La frase per Stefania: “Un pensiero distratto”

Un foto pensiero – di Stefania Bonanni

Photo by Pixabay on Pexels.com

Un pensiero distratto si infilo’ prepotente e di corsa tra i pensieri diritti, quelli quotidiani, ubbidienti, solerti, che non fanno rumore, quelli che si fermano lì, non danno avvio ad altri più complicati, più insoliti, meno decifrabili. Il pensiero distratto di un ricordo luminoso, anzi brillante, indimenticabile, felice e resistente. Non e’ servito cercare di sminuzzarlo, diminuirlo, renderlo cattivo, raccontarsi che non contava. Fu bellissimo, un amore grande, fece tanto male, ma oggi ringrazio la sorte, per aver vissuto quel giorno splendente.

E’ un foto pensiero, quello distratto, distrutto, disfatto, sepolto, riesumato, poi imbalsamato. E mi trovo lì, nel giardino nascosto di una casa sconosciuta, in un mattino di sole che divento’ notte, senza avvertire. Suonava un pianista. Non arrivava proprio un ritmo, più una dolcezza struggente che sembrava magia. Avevo deciso di vivere un sogno. O forse non l’avevo deciso davvero, era l’onda lunga di un mare in tempesta che trascinava, e forse l’unico modo di calmare quelle acque alle quali non era possibile fuggire.

Un sogno. Braccia forti che stringono, ore ed ore di carezze e parole strascicate nei fiati mescolati.

Un sogno che sarebbe rimasto incastonato come un brillante in una collana d’oro. Non lo sapevo, allora, che sarebbe tornato, mascherato da pensiero distratto, ogni volta    che fosse servito sognare, ed anche ogni volta si allentassero le maglie della catena dei pensieri diritti.

Quello distratto era fatto ad uncino. Non faceva più sanguinare, ma mordeva ancora, quando si infilava nella carne.

Ci sono stati milioni di momenti di brillanti, nella mia vita. Sono una donna fortunata. Ma anche i brillanti, con la consuetudine, diventano opachi. Le storie non vissute restano intatte, appuntite, giovani e luminose. Il cuore non dimentica.

Una frase per Nadia: “Il crepuscolo della vita”

CREPUSCOLO DELLA VITA!! – di Nadia Peruzzi

Photo by Bayram Yalu00e7u0131n on Pexels.com


Ho scelto questo. Un titolo che fa pensare a qualche racconto straordinario di E. A. Poe tipo “La caduta della casa degli Usher”, o “Il pozzo e il pendolo”.
O per metterla un po’ più sul divertente all’avvoltoio sul letto della nonna, di una gag di Panariello. . ovvio in attesa che la vecchia passi a miglior vita!
In realtà l’ho scelto per parlare d’altro . Del suo contrario!
Di quel momento della giornata in cui il sole decide che è tempo di cambiare aria, si fa meno potente e va a nascondersi laggiù laggiù, e si traduce in una linea dalle sfumature rosa che accarezza e segna i contorni di tutte le cose.
Quanti ne ho visti ! Per quanto possa ricordare non mi hanno mai incupito. Momento sospeso, di passaggio, in cui a volte anche il cuore sembra fermarsi insieme all’aria attorno. Sembrano affievolirsi i rumori mentre il giorno comincia a cedere il posto alla notte.
E’ un momento di magia. Tutto in fondo lo è in questo rotolarsi senza fine dei pianeti, che girano attorno a sé stessi , ballano attorno al sole mentre gioca a rimpiattino con la luna.
In alto, sopra di noi finalmente le stelle prendono il sopravvento. Quando guardiamo in alto andiamo a cercare loro , non il buio siderale nel quale nuotano. IL carro dell’Orsa maggiore uno dei più gettonati, ma vogliamo mettere Cassiopea o Venere?? 
Come si fa sotto un brilluccichio come quello a pensar male.  Sotto quella coperta escono sogni, progetti. Quante marachelle abbiamo fatto da bambini in quelle notti di primavera che speravamo non avessero fine.  Appuntamento al crepuscolo , obbiettivo un campo pieno di alberi di ciliegie sopra Balatro, sulla via di Tavarnuzze.
Era una festa la camminata per arrivare fino a li’. La musica ce la inventavamo. Ancora il mangianastri non c’era e se ci fosse stato l’imperativo categorico sarebbe stato tradotto così : “Chi lo porta è grullo. Il contadino ci sente!!”
Dominava il silenzio nel momento in cui salivamo sugli alberi per prenderne il più possibile. Poi , erano parlottii a bocca piena e grande sputazzar di noccioli, con le orecchie sempre all’erta. . il contadino poteva arrivare in ogni momento e allora si che sarebbero stati dolori.
Per fortuna la notte ha le sue ali di protezione. Ci rende ombre, come nel teatro giapponese. Sarà per questo, forse, che non ci hanno mai beccati.
Non riesco a pensare in termini di crepuscolo di vita. Preferisco quello di cui ho provato a scrivere.
Anche perché avessi deciso di sviluppare il tema avrei dovuto cominciare a pensare a quanto può ancora restarmi da vivere, secondo le stime di vita in Italia.  Che pensiero deprimente!
Tanto più se accompagnato dagli altri: quante rughe dovrò vedere apparire sul mio viso, quanto cederanno ancora mento e collo e soprattutto , ahimè, a quale strapiombo sarà destinato il mio seno?
Ci mancava proprio che Newton da una mela che cadeva da un albero, scoprisse che la forza di gravità tira verso il basso.
Qui di mele ce ne sono due e sono mie e il rischio grande è di ritrovarsele ancor più in caduta libera puntando verso le ginocchia .
Orrore puro!
Questo si . Altro che “La caduta della casa degli Usher”, pure con tutto lo sferraglio di catene che si sente risuonare in quel racconto.  
Rispetto al pensiero della caduta di queste due mele avvizzite, un film horror farebbe meno paura.
Allora? Che si fa?
Cerchiamo di giocare noi a rimpiattino con la vecchiaia, provando a non prenderla sul serio come vorrebbe!
Guardo oltre la finestra mentre sto scrivendo. Si vede una corona di nuvole bianche compatte come enormi batuffoli di cotone in cui potersi rotolare senza farsi male. Fanno da sfondo a sagome di uccelli che volano ad ali spiegate, la stanchezza della sera ancora sembra non essere arrivata a rallentare i loro volteggi.
La luce si va attenuando. Più che pensare al buio che avanza cerco di far durare il più possibile questo momento di passaggio.
Non è il muro della notte che avanza ma una porta che si apre se si ha ancora voglia di sognare.
Sogni ad occhi aperti , in questo momento sospeso fra giorno e notte, e ti appare un mondo che riesce a ritrovare le sue coordinate di umanità e razionalità e faticosamente ridisegna un cammino più agevole e meno ingiusto per tutti.
Ovvio sogni ad occhi aperti,  ma a TV spenta. Quel che c’è da sapere lo sappiamo da 70 lunghi anni in cui i governi non hanno risolto le spinosità di un mondo fatto di genti diverse , spesso molto diverse fra loro che devono trovare il modo per collaborare e cooperare, è al sogno che ci dobbiamo aggrappare non come rimozione della realtà ma per ridare corpo e fiato e grido alla speranza ! Senza quella altro che pensare al crepuscolo della vita , sarebbe meglio chiedere all’Ispettore Callahan di darci la sua 44 magnum e spararsi subito.
Invece no!
Speranza e sogni fanno risaltare i colori delle piccole e grandi cose che ogni giorno ti danno il coraggio di guardare avanti.
Un fiore, un tralcio di vite americana e un acero rossi come il fuoco e pronti per essere fotografati a memoria di questo autunno che sembrava non arrivare mai. Le risate e gli sguardi dei nipoti.
Immagini colorano i sogni. So di aver sempre sognato a colori. Fin dal tempo in cui sognavo le battaglie degli antichi romani. Anche oggi quando sogno è così.
Qualche volta arrivano aromi inebrianti da nuvole impalpabili di polverine dai colori sgargianti.  Ecco arrivare, la curcuma a braccetto con lo zafferano e il curry.  Qualche altra volta sono il coriandolo, il sandalo e il gelsomino.  E chissà come, sei ad un tavolino a bere ayran e a mangiare un kebab dell’Anatolia. Una marea di genti intorno che vanno e vengono , in file lunghissime, vestite con fogge che non sono le tue ma visto che quel tavolino è a Istanbul ti senti come se fossi a casa.
E gli incontri che si possono fare in questa città da 15 milioni di abitanti.  
Non nei sogni ma in una realtà che a pensarla sembra così impossibile, da farti dire forse ho sognato !
Invece nella frazione di tempo di due fermate di tram, due grandi occhi neri di bambino ti fissano intensamente. Sei quasi a disagio. Temi di averlo colpito con la macchina fotografica.
Il fratello più grande ti guarda allo stesso modo, così anche la giovane madre col velo e il padre. E’ il padre a dire in una lingua che non ricordo :” ti abbiamo già vista!”” Un tuffo al cuore. La paura di essere scortese, non ricordando . Poi un lampo “Palazzo Beylerbey”, dico! 
Loro hanno riso , io ho riso. Una risata non di circostanza, ma di quelle belle , che fanno bene al cuore, spezzano confini e rompono qualsiasi tipo di barriere. Come se ci conoscessimo da una vita e non da quelle tre o quattro parole in turco che son riuscita a spiccicare mentre facevo in complimenti ad un bambino in carrozzina della famiglia che era insieme a loro a visitare il palazzo sulla costa asiatica.
Il mondo puo’ essere così piccolo, anche in una megalopoli come quella.
Una consapevolezza che è in grado di rischiarare anche la notte più scura. Come i nostri sorrisi su quel tram alle 10 di una sera piena di vento e di stelle.
Le ombre e gli angoli bui della notte sai che domani spariranno. La luce riprenderà il suo posto, infilandosi anche nelle fenditure più strette!
Tutto scorre.  Nulla resta mai uguale a sé stesso!
Immagino una grande ruota in cui alba, giorno, crepuscolo e notte giocano a rincorrersi in un magma fluido che li spinge e li accompagna.
E’ la vita, sono le sue scansioni. Corre e scorre.  Viverla è il modo migliore per non pensarci chiusi in un sacchetto circondati da acqua lattiginosa che non ha nulla a che vedere con il liquido amniotico.  Tanto più che su quel sacchetto la prima cosa che vedi è la data di scadenza !
Non siamo mozzarelle, perbacco!!