Tante piazze per Daniele

La piazza – di Daniele Violi

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Da piccolo la piazza era lo spazio nostro, poco interessante per gli adulti. Giocare a pallone senza orari e regole, solo quelle che si ricordavano dalle telecronache di partite che ci incollavano alla scatola di legno con un vetro davanti, lasciato per vederci dentro, figure poi mitiche che in bianco e nero, incantavano le nostre curiosità. Ho frequentato poi tante piazze. Nella mia città, in tante altre città, piazze arredate di alberi, di siepi, di panchine, di edicole, di fontane. Piazze che alle 2 di pomeriggio brulicavano di giovani con le bandiere, alle 2 e 30 piazze colme, gremite di umanità. Piazze rumorose, parlanti e canzoni e cori che dialogavano e riempivano di gioia e speranza, ci e mi rafforzavano la vista del nostro orizzonte. Le piazze dove tutte e tutti entravano per riempirle della propria soggettività che voleva costruire la vita e la felicità. Ho voluto frequentare sempre le piazze. Ho voluto conoscere sempre i luoghi le città e i paesini dalle loro piazze.

Ho cercato nel mio peregrinare e con le mie scelte di raggiungere sempre luoghi dove ho potuto poi immaginare di realizzare spazi di dimensioni plateali, con le persone e con le visioni legate alle scelte che potevo condividere e propagare. Le piazze che sono state propellente delle e dei giovani che hanno ripreso le scelte di vita dei loro antenati, creando comunità per condividere una vita con l’ambiente e la natura ricordando e riprendendo tutte le conoscenze che la storia dell’uomo e della donna hanno realizzato.

Da anni vivo in un borgo e ho trovato finalmente la nuova piazza da vivere.

Commento di Cecilia sulle piazze

di Cecilia Trinci

Alla fine sono uscite le vostre “piazze”.

Cautela nel dire di voi, nel dire a un Qualcuno astratto, in piazza, appunto, di un pensiero impellente che vi affolla la mente. A questo pensavo quando ho lanciato la scintilla….ma….

A volte le cose prendono una strada imprevista eppure migliore.

Dunque bellissime le vostre piazze personali, che vi rivelano comunque.

Il primo appuntamento rimasto impresso, un desiderio segreto di sapere di più dei nostri giorni recenti, la casa di Mino, la chiazza pugliese….Ma anche lo sfogo di utopie perdute, di solitudini infrangibili, di sagome di persone perdute che si attardano a rimanere ancora un po’ nei ricordi di chi resta….e incontri che sembrano marginali e non lo sono, e corde che ci impediscono di affogare del tutto.

Grazie di questo ventaglio ancora una volta magico.

L’abbraccio della piazza di Rossellina

Piazza – di Rossella Bonechi

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Vorrei una Piazza che si presti a contenere tutti i bisogni più semplici; una Piazza verde circondata da alberi a fare ombra dal Solleone e riparo dalla pioggia, dove sia obbligatorio giocare a pallone e a campana, dove non ci sia copertura wi-fi e piena di sedute: panchine sì, ma anche muretti, alti e bassi, su cui sedersi a giocare a carte o a scacchi; una Piazza che inviti, che rammenti e rammendi, dove le chiacchiere si rincorrono e dove ci si preoccupi se la Signora col bastone non si vede da diversi giorni.

Vorrei in Piazza un gazebo di legno per fare la merenda o la maglia, i compiti o aggiustare col nonno una macchinina che non va più; una Piazza che sia sempre lì, dove si possa contare di trovare sempre qualcuno, anche disteso a dormire con un cartone addosso.

Magari ci può venire in mente, in quella Piazza, di chiedere il suo nome. 

Il cuore di Carla in piazza

Utopie – di Carla Faggi

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Si grazie signora, sto bene. Pure lei vedo.

Sto bene, dicevo, anche se a momenti sono triste. Lo divento a volte all’improvviso senza un motivo, come per un pensiero distratto. Come posso spiegare cos’è  la tristezza, quella improvvisa, quella che ti arriva dentro lo stomaco senza ragione oggettiva, quella che è solo malessere diffuso perché quel pensiero distratto che te l’ha procurata forse non l’hai neppure percepito, è arrivato, si è insinuato ed è svanito, ne è rimasta solo la sua impalpabile ombra.

Credo che si sia provata tutti quella tristezza lì, ogni volta che non hai certezze, a quando pensi a quanto tempo sprecato, all’avrei potuto fare, a quel che succederà.

Mi chiedo a cosa sia servito crederci, imparare, lottare, provare a cambiare.

 A cosa sia servito affrontare, spiegare e cercare.

Come posso spiegare la parola crederci, perché ognuno di noi un tempo, convinti di essere speciali, avevamo la convinzione di poter incidere, che la ragione avrebbe vinto. Che anche le guerre le avrebbero vinte coloro che avevano ragione. Per noi esistevano i buoni ed i cattivi e noi eravamo i buoni e la nostra generazione era quella che si meritava essere la meglio gioventù.

E la parola imparare. Chi è che non ha creduto che solo con la conoscenza si potesse arrivare la dove credevamo esserci l’orizzonte.

E che solo lottando , imparando e credendoci ci saremmo avvicinati a quella fiaccolina che pur non sapendo cosa fosse ci sembrava l’unica che valeva la pena raggiungere.

E pensare che quella fiaccolina non l’abbiamo raggiunta mai.

Abbiamo anche provato a cambiare, sembrava l’unico modo per salvarsi e con noi diversi, sentendosi ancora speciali, avremmo influenzato in meglio il nostro di mondo, questo però viaggiava per conto suo a dispetto di noi. E noi ci siamo adattati.

C’è chi dice che un battito d’ali di una farfalla può influenzare l’intero pianeta.

Io le ho battute tante volte ed insieme a me tanti altri le hanno battute.

Forse è perché le abbiamo battute male che il mondo è così?

Guerre, tante e ovunque.

Sopraffazione, ingiustizia.

Il pianeta che implode.

Si, mi scusi signora, non è divertente quello che dico, ma è stato quel pensiero distratto che mi ha resa triste.

Ma che dice? Aprono un nuovo locale qui in piazza? “La cage au folle”? Che bel nome, si può ballare?! E allora balleremo!

Perché se la piazza, quella piazza a cui affidiamo i nostri soliloqui con la scusa di un vicino di panchina che non conosci, se la piazza dicevo ti crea leggerezza, visto che ci siamo adattati, allora che leggerezza sia!

Però smetterò di battere le ali, perché citando Forrest Gump arriva il momento in cui uno si sente un po’ stanchino.

La “chiazza” pugliese di Carmela

Parole amiche – di Carmela De Pilla

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Da tempo il quartiere si era svuotato, i vecchi troppo vecchi non c’erano più e non c’erano nemmeno i giovani, partiti per lavoro o per studio.

In quelle strade troppo silenziose erano rimaste Rosetta, Grazia, Maria e Antonietta, erano lì da una vita e col tempo avevano imparato a conoscersi e a volersi bene, i ricordi impregnati di tradizioni e affetti avevano tessuto un solido legame, bastava sentire per la strada la voce di una di loro che come calamite si ritrovavano fuori.

Nei pomeriggi estivi dopo la calura soffocante della giornata quando il sole ormai stanco si allontanava, spinte da un tacito accordo s’incontravano in uno dei quattro cantoni, la “chiazza”, la padrona di casa era ben felice di offrire la sedia e iniziava così il resoconto della giornata, si passava di palo in frasca secondo le ultime notizie, le voci si accavallavano tra una risata e una chiacchiera e intanto il tempo passava e loro non si sentivano mai sole.

Quella sera Rosetta non aveva voglia di scherzare, si rivolse a Grazia sapendo che anche le altre ascoltavano:

– Grà, dobbiamo andare a fare un po’ di compagnia a Pina, poverina tutto il giorno da sola con la badante!-

-È vero, dobbiamo andare…da quando sta sulla sedia a rotelle non esce più di casa! In quelle condizioni… al secondo piano non è facile…

-Domani faccio le frittelle, se ci vogliamo andare gliele porto.

-E io le porto un po’ di noci.

-Allora veniamo anche noi…

Quanti momenti belli passati con Pina, i vestiti di carnevale, la festa del patrono, lo struscio sul corso, le giornate al mare…era la più timida, la più buona e ora la più sfortunata.

Non c’erano panchine, nè alberi in quel piccolo spazio, c’era solo una gran voglia di stare insieme e darsi una mano nel momento del bisogno, lì, in quella “chiazza” ogni sera s’incontravano tanti cuori e quella sera c’era anche quello di Pina.

La piazza di Anna e la “casa” di Mino

LA PIAZZA – di Anna Meli

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            Posso dire di aver visto nascere la piazza di fronte a casa mia, al di là della strada provinciale. Prima c’era un muro vecchio quasi antico segnato da ghiri-gori che sembravano eseguiti con  qualche attrezzo speciale forse un grande compasso: cerchi, girandole, archi. Mi è dispiaciuto quando l’ho visto atterrare da una grossa benna.

            Al di là i campi si sono velocemente trasformati in uno spiazzo aperto che lentamente e divenuto piazza: la piazza del mio paese con grandi alberi cresciuti nel tempo e panchine verdi, scivolo e altalena per bimbi. C’è un continuo via vai di persone sconosciute che al capolinea scendono o salgono sull’autobus: per lo più stranieri.

            Qualche coppia un po’ attempata arriva per una passeggiatina e si ferma magari a osservare il panorama seduta sulla panchina centrale, al sole. Una volta, all’uscita della scuola, la piazza si riempiva di bambini e mamme ed era bello essere lì, scambiare due parole e partecipare a quella gioia di vita.

            Una volta chiusa la scuola, la piazza è diventata silenziosa; ci sono solo quelle tre o quattro persone, sempre le solite, che conversano o discutono. Un po’ distante c’è Mino silenzioso, assorto nei suoi pensieri. Uscendo per godermi un po’ di sole l’ho incontrato e l’ho salutato.

“ Buon giorno Mino, come va?”

“ Buon giorno “ (laconica risposta)

Sapendo per esperienza che ai nonni piace molto parlare dei nipoti, ho continuato:

“I nipotini , tutti bene ?”

“ Sì, si sono con la loro mamma”

            La conversazione non ha avuto seguito perché lui, continuando pian piano a camminare si è spostato vicino ai tre seduti sulla panchina che gentilmente gli hanno fatto posto stringendosi fra loro.

            Stavano parlando e facendo delle critiche su qualcuno. Mi sono avvicinata anch’io e………..

“La colpa è del sindaco” diceva l’Argia perché promette sempre e non fa mai niente”

“Non è vero, fa del suo meglio, immaginati quanta gente deve accontentare!” ribatteva Pietro.

“Ma via, non si può vedere una piazza così, coperta di cacche!”

“Ma secondo te, sono del sindaco le cacche, c’è anche un cartello che dice niente cani ma ognuno fa quello che gli pare!”

“Vero, ma è lui che deve far pulire!”

“Noooo, sono le persone sporche e maleducate perché chi porta il cane, deve pulire e avere con sé il sacchettino; se no una bella multa non gliela leva nessuno!

            La conversazione ha continuato cambiando con argomenti vari mentre Mino, seduto accanto, ma distante, guardava altrove perso in pensieri solo suoi accontentandosi forse della sola presenza fisica degli altri.             Questa è la piazza che di solito vedo ma…dimenticavo: Mino c’è sempre e se piove prende l’ombrello l’ importante è non stare in casa.                  

Piazza di gente con Rossella

Piazza, la mia… – di Rossella Gallori

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Nasce una parola, chi la grida, chi la sussurra, chi la mastica o la sputa, chi benedice, chi bestemmia.

Rimbalza da madonna a muro, da muro a portone a finestra, da finestra a fogna…da bar a pisciatoio, da siepe ad albero.

Scappavo

Scappo

Scapperò fino a che le mie gambe avran  fiato.

 Prima sbattevo  la porta, vacillavano i soprammobili, ora è socchiusa, per far respirare le discussioni.

 Fuggo quasi veloce, verso un posto un po’ estraneo, senza negozi, con un verde da soffocare, un silenzio da strangolare.

Gente che non riconoscevo in me, che non volevo conoscere…tanto, mi raccontavo, sarebbe stato per poco e da poco…case basse, aperte sul marciapiede, stessi cognomi dal civico 5 al civico 17…parenti anche per me che quasi non ne ho.

Poi, poi, ora, lascio la porta aperta ed esco, il portachiavi oscilla nella toppa che sembra dirmi: torna.

Ma la voglia di fuggire è sempre la stessa.

Non corro, forse non cammino nemmeno, scanso buche, cercando, occhi, saluti, frasi mozze, canti mezzi, nipoti veri, vecchi sani dentro, animali con la coda bella, in un posto che c’è ed è solo mio.

Le panchine ci sono, solo tre, un tappeto di cicche per terra, frutto di notti che non  conosco, un kilim fra l’ avorio ed il giallo.

C’ è chi c’è da sempre.

“ il solito” che dice: allora?

Ed hai pochi secondi per decidere la risposta, scegli tra:

Allora icchè?

Ciao non ti avevo visto

Scusa è tardi

Tempo per un caffè?

E se “il solito” dice no, c’è un altro che dice si è se non prendi il caffè è uguale, ne senti il profumo, il sapore in bocca…

Passa un cane con la coda mozza

Ti cade l’ acqua addosso, sputata da un vaso di geranei

Stai per pestare un topolino morto, schiacciato da un’ Ape.

Tutto monotono e protettivo, stavamo dicendo?

Non ce la faccio più

ed una mano che non è la  tua, ti scosta i capelli dal viso.

Il respiro torna regolare, ed i miei pensieri restano nelle dita dell’ altro, che le passerà ad un altro ancora che li farà volare…

Ė PIAZZA

FA PIAZZA

LA MIA….