Per Stefania la piazza di chi non c’è più

La piazza – di Stefania Bonanni

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L’ultima volta che mi e’ capitato di pensare di essere in una piazza e’ stato poco tempo fa, quando mi sono accorta di essere circondata da persone conosciute. Volti familiari tutti intorno, dappertutto.

Erano tutti personaggi di un mondo scomparso, animatori di giorni ed ore di tempi passati, quando la piazza era il piazzale davanti alla chiesa del paesino di un tempo. Un paese che adesso risulta estraneo, popolato da estranei, straniero nei modi e nei discorsi, persino irriconoscente, verso la memoria che si sta perdendo, di personaggi strani e particolari. C’era chi parlava in rima, e lo chiamavano strano. Chi passava la vita in chiesa, ed era bigotta, o beghina. C’erano donne belle, alcune disinvolte, e non lo dico come le chiamavano. C’era chi mi chiamava Pasqualina, o più banalmente morina, e sono io che non ricordo i loro nomi. O forse erano conosciuti con i soprannomi. Nomignoli dovuti a caratteri fisici, o  a stranezze.

Forse avrebbe reso giustizia che sotto il nome ed il cognome ci fosse il soprannome, anche se curioso o poco rispettoso, perché comunque era familiare ed affettuoso, e ricordare il motivo per cui era stato inventato, era ricordare la vita di quella persona. Vedere tutti quei volti insieme, tutti intorno, però mi rincuora, me li riporta tutti nel cuore, e forse per la prima volta penso che un cimitero abbia un senso. Se si nasce, e si celebra la vita, si sa anche come va a finire. Ma se poi finirà tra “Chicchirichì” e “Il canterino”, sono sicura che ci sara’ da chiacchierare, in questa piazza. E oggi, proprio oggi, e’ arrivato un personaggio nuovo, ed era l’ultimo a parlarmi ancora del mio babbo, della mamma, dei miei nonni, di me piccina. Allora abitava nella casina accanto alla mia, e si condivideva lo scalino davanti alla porta. La sua era la famiglia dei renaioli di cui mi piace parlare. Non ci sono altri che ci fossero allora. Tocca a me,  ricordare