La valigetta blu di Lucia

Chiavi che aprono – di Lucia Bettoni

Morbido, divertente, piacevole
Un piccolo contenitore
Lo stringo tra le mani e vorrei
stringerlo per sempre
Accogliente come un seno materno
Nasce il sorriso nei miei occhi
L’involucro morbido si apre facilmente
zic zac zic zac zic zac zic zac
Con il suo comodo cinturino mi posso
avvolgere il polso
È un braccialetto sensuale e flessibile
Lo roteo, lo giro e lo rigiro
È troppo piacevole!
Zic zac zic zac zic zac zic zac zic
Si apre e si chiude
Allungo la mano ed esploro dentro
Chiavi ,tante chiavi, è pieno di chiavi!
Brrrrr brrr brrr brrr brrr brrr brrr
Le mie case, tutte le mie case dentro
un piccolo oggetto
e poi tutti in fila porte e portoni
portoni e cancelli
Io corro e apro e apro e apro
senza voltarmi indietro
in un volo a fior di terra
Mi fermo di scatto :
ma le chiavi sono anche per chiudere!
Mi guardo dentro
vedo la gioia e tutto il mio dolore
Alzo la testa
Raccolgo in una mano la mia veste lunga
Continuo a correre
Le mie chiavi aprono e solamente aprono
Tutto è in una piccola valigia morbida
Il mio nuovo viaggio può iniziare

Cuccia per le chiavi di Anna

L’OGGETTO MISTERIOSO – di Anna Meli

            Ore 16,30 circa. Il vagone è quasi al completo. Voci e colori si intrecciano in modo armonioso, mescolandosi a saluti e spostamento di sedie. Ecco, ora ci siamo e…incomincia l’avventura. Siamo invitate a bendarci con una mascherina di quelle che usavamo nel periodo del Covid, poi ognuno di noi si ritrova fra le mani un pacchetto e…indovina indovinello!

            Il mio è piccolo, morbido fra la gomma e la plastica, ha la forma di mezzaluna; all’interno ci sono senza dubbio molte cose: mi sembra di sentire delle chiavi, un rossetto, una piccola matita, un paio di cioccolatini e anche una capsula nel suo involucro forse per un eventuale mal di testa.   Faccio scorrere le mani sul tutto, scopro la cerniera che riesco ad aprire per un piccolissimo tratto e, infilandoci il dito indice scopro che ho indovinato. Ho toccato per prima cosa le chiavi, il mio eterno problema perché io, le mie, le perdo molto spesso e sono alla loro continua ricerca.

            Mi è anche capitato, non solo una volta, di uscire lasciandole in casa e qui scatta il dramma. Presa dal panico, dopo aver controllato se c’era almeno la speranza di una finestra aperta, con grande imbarazzo ho dovuto procurarmi un biglietto bus “ a chiodo” alla vicina tabaccheria e andare a prenderle da mia figlia che lavora in centro a Firenze. Mi è stato suggerito di fare come le monache: tenerle legate con un laccio in vita! Ho deciso di darne una copia alla vicina che però non c’è quasi mai .Vedrò di fare più attenzione.

            Aperti i pacchetti ognuno ha espresso a voce le proprie impressioni. Ora ci stiamo passando osservandola e carezzandola una palla di vetro che Cecilia ci ha offerto. E’ rotonda, liscia, trasparente e all’interno ci sono delle forme argentate che a me suggeriscono un fondo marino e creature strane fatte di gocce d’argento che vogliono riemergere, venire in superficie in cerca di luce.

La palla di vetro di Rossellina

La palla di vetro – di Rossella Bonechi

È bellissima quella palla di vetro trasparente con la sua base blu oltremare, come se ci avessero fatto cascare dentro una goccia d’inchiostro che poi si è spanta atterrando sul fondo. È statica, pesa sulla mano, inamovibile sulle carte che deve tenere ferme. Eppure nel suo interno ci deve essere stato un momento in cui era tutta un ribollire, magari quando era ancora incandescente vetro colato, magma da modellare, perché quelle bolle che vedo dentro, simmetriche e un po’ inquietanti, le ha create qualcuno che ha reso solida l’aria. Mi guardano come sfingi, con il loro ombelico centrale dal quale sicuramente è sfuggita un’altra piccola bolla rotonda che ognuna ha davanti a sé. Quanto lavoro per arrivare a questo oggetto! Merita che venga posto nel luogo migliore dello studio, dove il sole passa dai vetri della finestra apposta per trafiggerlo e illuminarlo fin dentro. Allora pesantezza e leggerezza giocano tra loro e danno vita a quello che in realtà è solo un pezzo di vetro, così come noi aspettiamo un fascio di luce che ci animi quando i pensieri opprimono come un fermacarte.

Un vecchio ricordo di quando abitavo all’Olmo

di Cecilia Trinci

Se esci di casa la mattina presto, ma parecchio presto, diciamo verso le cinque e mezzo, la prima cosa che senti è il rumore dei tuoi vestiti, una specie di fruscio-giubbotto, un po’ aspro anche se tenue e dopo, solo dopo, senti il rumore dei passi perché gli altri rumori sono gentili, le macchine per fortuna sono ancora ferme. Poi senti cantare gli uccellini, ma degli uccelli la cosa più bella è il rumore delle ali, quel “frun” secco e deciso, senza particolare intensità come un taglio che attraversa l’aria che dà un senso della loro potenza e ti fa provare invidia del loro volare e se li guardi li vedi che sanno anche camminare, anzi, camminano, camminano anche volentieri e finché possono preferiscono. Proprio quando sei troppo vicino e potresti diventare un pericolo schizzano via, un po’ a collo torto all’inizio, ma poi a motore spiegato per posarsi un po’ più là, dove si sentono per un po’ irraggiungibili. Qualcuno sta spiaccicato sull’asfalto, beccato dalle prime macchine mattiniere e già la bellezza ti riporta al senso della morte e delle cose che passano e i colori sono ancora belli. Cos’era? Un pettirosso? Ma se prendi la curva a sinistra e ti allontani dalle case senti che fra tutto quello che prevale  è il profumo della terra. La concretezza, la vita che vuole dare frutti, è l’umidità, è l’acqua che prevale. E’ questo il punto in cui cominci a distinguere i canti dei vari uccelli e il merlo è quello più facile ma anche quello che ha più cose da dire e il fringuello è quello più tecnico e più esigente di se stesso.  Ma quando l’orizzonte si allarga allora ti ricordi quello che ti ha insegnato Irene al corso di disegno che le colline non hanno lo stesso colore e ci sono “valori” di intensità diversi secondo la loro distanza da te e quello che hai imparato lo vedi lì, vero, esistente e forse non avevi mai saputo guardarlo davvero e dici chissà quante volte ho guardato e non ho visto e poi ti ricordi una battuta che ti hanno fatto “tu sei variabile anche quando fai la pizza, non è mai uguale la tua, dipende da quello che pensi, da chi hai incontrato, se sei arrabbiata, se stai sognando… tu non dai certezze neppure in cucina” e la vivi come un complimento. Se ti metti a sedere sul prato senti  prima l’umidità, è sempre l’acqua che prevale, come il liquido amniotico della terra e poi un odore di terra e di erba un po’ mischiato e poi le gobbe di quel prato che non è un tappeto di moquette, ma un prato, con le gobbe e i sassi e le croste del terreno che già si sta spaccando per pochi giorni di sole e la tocchi e senti che sotto sotto è dura ma sopra c’è la peluria gentile di trifoglio. Se sei fortunato e senti all’improvviso uno schianto secco come un ramo che si spezza senza motivo e ti giri piano, quasi senza respirare, allora vedi il capriolo che saltella, leggero, curioso, infantile, improbabile come un cartone animato, ogni volta ti sembra Bambi e lo segui con lo sguardo, ma la sua cosa più bella è quel galoppo leggero come un cenno e dopo aver fatto rumore con quello schianto che lo annuncia, poi se ne va in punta di zampe, galoppando come se corresse sulle nuvole e guardi allora la nebbia che si alza dalla Chiesa della Madonna del Sasso e ci credi che lì accadono i miracoli e non c’è bisogno di avere una fede speciale. (28/3/2003)

Occhi chiusi per Patrizia

Ad occhi chiusi – di Patrizia Fusi

Sono bendata, fra le mie mani ho una palla liscia e fredda, inizio ad esplorarla, la picchietto con le unghie, il rumore che fa mi sembra di plastica dura, potrebbe essere una palla del gioco delle bocce, toccandola bene mi rendo conto che non può esserlo perché ha un piccolo lato piatto, rimane ferma sul tavolo.

L’accarezzo ancora, il freddo dell’oggetto entra nelle mie mani, io trasferisco a lui il mio calore il tutto diventa più omogeneo.

Penso che sia un ferma carte, lo vedo su una scrivania di noce massello con sopra tanti fogli lasciati dalla signora che ci lavora, su un gruppo di essi fa bella mostra di sé la palla, dalla finestra in questo momento entra la luminosità della bella giornata i raggi del sole la trapassano formando i colori dell’iride.

Quando mi sono tolta la benda, l’ho vista è una bella palla di cristallo, con in fondo un pezzo di mare blu intenso sopra ci galleggiano delle sfere una dentro l’altra, brillanti.

L’oggetto che io ho portato è il ricordo di un regalo ricevuto dalla mamma di un ragazzo di Sarajevo che la mia famiglia aveva adottato a distanza con l’aiuto burocratico dell’ARCI, diverse famiglie avevano aderito a questa iniziativa.

Nel programma oltre al sostegno economico era previsto che un anno avrebbero trascorso le festività natalizie presso le famiglie affidatarie.

Andammo a riceverli al porto di Ancona, tanta emozione nel vederlo, timore di non essere abbastanza accogliente, timore per la lingua, ci salvammo con i gesti e quel po’ d’inglese che sapevamo.

Il ragazzo portò in dono alcuni oggetti, tutti belli, ma quello che mi colpi di più era un bossolo in ottone che un artigiano ha riutilizzato come porta fiori incidendoci sopra un disegno e la scritta Sarajevo.

Ogni volta che lo vedo penso all’orrore delle guerre, e di come un bossolo che può aver procurato la morte, sia stato trasformato in un oggetto per contenere una cosa bella come i fiori.

Il proiettile nelle parole di Daniele

Un bossolo di ottone – di Daniele Violi

Un bossolo di metallo alto 15 cm, largo 12 mm, sicuramente, da cui il calibro, si legge inciso 122. Un bossolo servito come proiettile per una mitragliatrice, credo. Non amo le armi, mai amato oggetti per il divertimento e che sono gioco per colui e colei (ahimè) per cui raggiungere la potenza di sentirsi ed essere forti ed eterni di fronte alla storia, di chi vuole partecipare a sentire dentro, le proprie sensazioni che si aprono con una verità, quella che cerca nella propria vita e che per Taluni e Talune è rappresentata con la metrica imparata a memoria, impugnare un’arma per la difesa dei deboli. Un semplice oggetto metallico di bronzo, ottone o similari contenente materiale chimico e infiammabile che serve non per un fuoco d’artificio, ma per procurare paura terrore se non la morte. Sono stato nel 1992 e nel 1993 in Bosnia per portare aiuti umanitari con cibo e medicinali. Sono arrivato vicino zone di guerra. Ho visto tante testimonianze di materiale militare abbandonato. Ho visto anche tante famiglie che senza casa con grosse difficoltà si dibattevano tra un rifugio per loro e per le loro bambine/i che caratterizzavano ogni giorno le nostre ore di quei viaggi. Ho raccolto tanto materiale didattico che ho donato a loro, a questa generazione in erba, ho ricevuto poi tante cartoline e lettere a casa mia. Guarda caso, che cosa crea una guerra. Una pioggia di proiettili sono anticipatori di una pioggia di solidarietà.

Nel buio, il seno materno di Carmela

Seno di donna – di Carmela De Pilla

Amato, desiderato, accarezzato, sognato, violentato, sfruttato o disprezzato eppure ovunque sia genera amore, dona vita, sostegno e un ricovero sicuro dove riporre le  proprie paure certi che quell’amore darà vita a sogni belli.

Sarà forse solo il piacere di un momento o solo illusione, ma senza sapere come quella morbida tenerezza lascerà dentro di te la propria impronta e scolpirà un nuovo amore e un altro ancora finché vita ci sarà sulla terra.

Quante storie ha raccontato, sofferte o spensierate, ognuna diversa, ma unite da un filo di seta prezioso e forte come l’amore che lo invoca.

Questo il seno di mia madre e di tutte le donne che siano state mamme o no, non importa, certo è che in esso è racchiuso l’amore eterno.

La verità nascosta di Rossellina

L’orologio – di Rossella Bonechi

Essere privati di un senso, che effetto fa? Avere gli occhi bendati per gioco offre una leggerezza a cui la fantasia aderisce volentieri, senza paure, senza ansie, in libertà, tanto poi si sa che finisce. A questo punto verrebbe da pensare a voli pindarici, immagini di oggetti mirabolanti, cose aliene e sorprendenti. Ma quando le dita toccano, il cervello immediatamente compone un’immagine che riporta al reale: un cinturino elastico di metallo che àncora un qualcosa di rotondo con vetro e pernio non può essere lo strumento che un giocoliere usa per ipnotizzarti e portarti in un mondo magico né la fionda moderna di un inventore geniale che con quella ti lancia nell’iperspazio.

È un orologio, non può essere che un orologio; e allora la fantasia prende una strada diversa, quella che immagina la vita che c’è dietro e che non è la tua.

Una donna pratica che non può scordare degli appuntamenti, una mamma che lo consulta con la coda dell’occhio per paura di far tardi per prendere i bambini a scuola, o una giovane donna che la sera, stanca, lo toglie e lo appoggia sul comodino sapendo che è l’ultimo gesto, finalmente, della giornata.

È stato acquistato e quindi scelto tra tanti? Perché allora quello, con quale motivazione? Oppure è un regalo, sì ma da chi a chi ? E in che occasione? Immaginazione è anche questo: andare a scavare come un archeologo, far nascere tante domande che non avranno mai la risposta giusta. Non sono solo gli occhi ad essere stati bendati ma anche la verità, che rimane nascosta come la piccola farfalla di carta che non ho sentito.

Gli oggetti parlanti di Simone

ASTUCCIO – di Simone Bellini


Klac – era il suono secco e cupo di un astuccio per occhiali con chiusura a molla che rimbombava nella chiesa durante la messa.
Klac – in piedi , Klac – seduti, Klac – cantare l’inno alla madre superiora che arrivava con passo imperioso “ fra le rose e le viole pure il giglio ci sta bene, noi vogliamo tanto bene alla madre superiora “
Klac-tutti in fila per andare in classe . Passavamo ore ed ore a forare con un ago una carta velina posta su un piccolo cuscino, seguendo, foro dopo foro ,la sagoma che vi era disegnata al fine di staccarla per farne un collage natalizio. In questo modo ci tenevano occupati zitti e buoni.
Poi finalmente si andava nel giardino ludico per sfogare la noia accumulata.
Klac- ricreazione finita !
Klac- in fila in classe.
Klac- silenzien !
Klac- Pasta Pampini andaten a kasa kon i genitoren !
Tomani fi aspettiamen all’asilen- KLAC !


PALLA DI CRISTALLO – di Simone Bellini


Palla, palla di cristallo
Dimmi tu chi è il più bello ?
Dirti non so chi è il più bello
Ma son certo che sei il più grullo !!!

Oggetti al buio che parlano a Sandra

METRO – di Sandra Conticini

Il “Pinocchietto” fatto con il metro come si usava fare da bambini

Ho preso l’oggetto dal cestino di vimini ed ho iniziato a toccare il pacchetto che era incartato con la carta velina e poi aveva un fiocco. La mia idea era che ci fosse un vasetto molto piccolo che poteva essere  quello di una crema per le mani, per il viso oppure un vasetto di miele invece quando mi sono tolta la benda ed ho aperto il pacchetto ho trovato un bel metro da sarti.

E’ un oggetto molto utile, e quando vado  in qualche grande magazzino ne prendo uno di carta e lo tengo in borsa perchè può far sempre comodo.

Il metro è un oggetto di precisione perché se sbagli per difetto, qualunque cosa sia, non va bene perché manca un pezzo, se è un vestito non ti sta, se è un mobile non ti entra nello spazio dove devi metterlo, se  un letto è corto e rimani con i piedi fuori. Meglio sbagliare  per eccesso, tutto è più grande e quindi devi tagliare o togliere materiale. Mi succede spesso di misurare gli oggetti diverse volte, la misura non è mai uguale e alla fine sbaglio.

 

Gli oggetti toccati parlano a Sandra

PALLA CRISTALLO – di Sandra Conticini

Una palla di cristallo pesante con il fondo blu e tanti ometti con occhi spalancati che si muovono velocemente a destra e sinistra,  fanno  gli occhiacci pensando di far paura invece sono gnometti buoni un po’ burloni che fanno solo tenerezza.

Di giorno sono trasparenti, stanno tutta la giornata immobili  chiusi nella palla,  ma quando arriva la notte per magia la palla si apre e  loro diventano 10 100 1000 e per sgranchirsi le gambette vanno in giro per  casa.

Si intrufolano nella credenza, saltano tra farina, pan grattato, pasta, entrano negli armadi si insinuano nelle tasche, nei cappucci, e saltano da un cappotto all’altro come se ci fossero delle liane, insomma mettono tutto sottosopra.

Ridono, bisticciano, cantano ma, appena vedono la prima luce, tornano nella palla di cristallo perché si richiuda per riaprirsi la notte successiva.

La mattina la signora in genere si alza  prima di tutti e non capisce cosa sia tutta quella confusione, perchè  lei aveva lasciato tutto in ordine, o almeno così le sembrava.

Poi dice al marito: – Ieri sera avevo lasciato tutto in ordine, ma ora che ci penso stanotte mi sembra di aver sentito confusione, fischiare, cantare, ma te non hai percepito niente?

– Ieri sera hai mangiato troppo lampredotto, poi il passare degli anni fa il suo!   

Sfera magica rispondi alla domanda di Tina

Sfera magica – di Tina Conti

Bella, lucente, misteriosa con le forme rotonde all’interno, per vedere immagini del futuro, del passato e altro. Immaginare, immaginare, sognare………….

I giochi della nostra mente, quanto ci servono, ci aiutano, riempiono la nostra testa, i momenti silenziosi, i giorni grigi e quelli nebbiosi.

A volte ci scrollano le tristezze, a volte ci complicano la vita.

Ieri, nella mia casa si muovevano tutti i bambini, con fare sicuro e padroni delle cose e dello spazio, io mi sono fermata ad osservarli.

Prima, con la luce del pomeriggio, a coppie giocavano a pallavolo, a calcio, salivano e scendevano con le biciclette. Si arrampicavano per provare a fissare una vecchia altalena ad un olivo.

In più occasioni hanno controllato il  pollaio e corso dietro alle galline.

Sono rientrati per la merenda che io avevo già preparato.

In un momento di mia assenza, si erano rifatti nuove fette con olio e sale, annunciando soddisfatti che  avevano finito tutto il  pane.

Fermarmi ad osservare era per me la ricompensa per il lavoro che facevo per loro e la gratificazione nel vederli sicuri e felici di stare insieme e fare belle cose.

Sono dovuta andare a recuperare lana, ferri e uncinetto perché le bambine grandi hanno espresso il desiderio di imparare quel lavoro. Ho frugato e portato tutto il necessario e con mia sorprese ho osservato  con quanto impegno e attenzione provavano e riprovavano a esercitarsi.

Dopo il cucito che abbiamo fatto in precedenza non pensavo che avessero tanto interesse per queste nuove attività, mi sono ricreduta.

Alla sfera lucente vorrei chiedere:  cosa resterà di queste momenti, dei giochi, delle conquiste e marachelle vissute con i cugini nella casa dei nonni?

A noi, oltre  la caccia al tesoro per ritrovare oggetti e attrezzi che  loro hanno usato e la fatica di ripulire le sgocciolature e i colori appiccicati ovunque, resta una grande allegria e una bella gioia.

L’oggetto al buio di Tina

Piccolo cartoccino bianco – di Tina Conti

L’oggetto, incartato con carta stoffa sottile  e resistente, senza fiocchi o nastri di forma quadrata e di medie dimensioni, un po’ stropicciata stava tutto in una mano, sicuramente di metallo, la forma ben definita si faceva toccare bene, rivelava una forma a palettina, con manico rotondo scavato dietro, appariva rugoso, forse una delicata palettina  per lo zucchero, vezzosa, in argento o ottone con un bel manico inciso tutto intorno.

Ero sicura, poteva essere usata per prendere del the in un barattolo, dello zucchero , dei confetti, sentivo la bramosia di scartarlo per sincerarmi delle mie intuizioni, ed ecco svelato il mistero:…. una piccola vanga di ferro rugginoso, ben fatta e senza  nessun vezzo.

L’uovo, la seta e la vita di Carla

A occhi chiusi – di Carla Faggi

foto di Rossella Gallori

A occhi chiusi, tocco l’oggetto che ho scelto dal cestino magico.

È confezionato con della carta lucida come di raso, e legato da qualcosa di ruvido al tatto come lo spago, penso sia un bel contrasto, come una giacca di raso abbinata a dei jeans.

Scarto e sento una elegante scatola di cartone, ne tolgo il coperchio e curiosa mi gusto il contenuto: tessuto in seta che racchiude una piccola sfera di cristallo, grande come un uovo; sento che è trasparente.

L’origine del mondo.

Un uovo, la nudità di una donna.

Una giacca di raso nera, un paio di jeans, simbolo di glamour, di essere di moda, di avere vent’anni.

Voglia di essere guardata!

Togliersi la giacca, gettarla lontano, i jeans ancora più lontano.

Voglia di essere scoperta!

Scalza con solo la biancheria intima ed una maglietta azzurra, una grande maglietta azzurra, ci si sta bene dentro; quasi si vorrebbe tenerla, ma poi come a scoperchiare una scatola per scoprirne il tesoro che racchiude, togliersela di colpo e restare in biancheria intima di seta bianca.

Voglia di essere desiderata!

E poi via anche quella e scoprire il segreto del mondo. Quello da cui tutto è iniziato.

Un uovo. Di cristallo. Fragile. Trasparente.

La nudità di una donna. La bellezza dell’universo. La fragilità della vita.

Poi ancora un altro universo, la grande palla di cristallo di Cecilia, sembra fatta di riflessi di cielo, sembra ci siano le stelle. Ancora la vita che nasce, il mondo che continua. Sembra che tutto nasca da lì, il mare, il cielo, gli alberi…e noi.

…e la palla di cristallo di Rossella G.

Mezzo mondo di vetro – di Rossella Gallori

Riflessi di un mondo girino,

che non riesce ad esser rana.

Una galera trasparente, imprigiona le tue braccia.

Spingi il vetro, pareti fragili, vuoi fuggire, hai paura di tagliarti.

Fermi il silenzio che piange e grida, traballa, ma non cade nel vuoto.

Camaleonte di cristallo, priva di vita, pesa di giorni, leggera di mesi, non permettere ai miei sogni di carta di volare.

Lo scrignonoce di Rossella G.

Scrignonoce – di Rossella Gallori

Freddo, caldo, buio.

Una noce vera, calda di cuore.

Ha un suono, che ha un sapore.

Una musica leggera di latte, latte che consola.

Riesco a “ sentirne” il colore, anche il calore.

Una sua musica lenta, protettiva:

Un po’ mare

Un po’ acqua calma, risacca che lenisce.

Sento che è importante, per pochi attimi è mia:

Un po’ noce

Un po’ cuore

Un po’ sale rosa

Un po’ riso giallo

Un po’ luce di culla, fuga di anni.

Poi ti vedo e scopro che sei quello che sentivo non vedendoti, che rispettavo, mia per minuti, eterni e brevi, un tempo indefinito, sospeso.

Ti ho coccolata, scaldata, stretta, eri forte, sei forte, cassaforte di piccole anime in crescita, smalto color luna.

Ti lascio, ti restituisco, non ti dimentico.

A proposito di tazze, tazzine, tazzette…..una favola di Stefania

Il castello e le tazze del ’48 – di Stefania Bonanni

foto e disegno di Stefania Bonanni

C’era una volta…e non c’è piu’… un castello piccino piccino senza torri, né ponti levatoi.

C’era una grande cucina, con una stufa a legna, il pavimento rosso di mattoni lucidati a cera, ed il tavolo di marmo buono per ogni uso. Ma era un castello, questo e’ sicuro, perché era abitato da fatine buone e magiche, che arrivavano per curare, lavare, consolare, abbracciare, riportavano il sereno, sempre.

La fata piu’ grande, guai a dire vecchia, al posto della bacchetta magica, aveva la scopa, sempre a portata di mano. Un pomeriggio, con la Sita, torno’ da Firenze, ed aveva in mano un pacchetto rivestito di carta rosa a fiorellini rossi. Come api sul miele, le bambine cominciarono a girellare intorno al tavolo dove era stato posato il pacco. Lo toccavano piano, avvicinavano gli occhi cercando forellini nella carta, annusavano. Fosse stato un libro, fossero stati quaderni, avrebbe saputo di carta. Fossero state cose da mangiare, dolci o cioccolata, si sarebbe sentito. Invece nulla. Dentro c’era una scatola. Quello si era capito. Ed un pacco contenente una scatola, incuriosiva ancora di più. Allora scatto’ il divieto. “Lo aprirete domani, e l’attesa ve lo farà desiderare ancora di più. E se sarete birbone, nulla!”

A letto di corsa, denti lavati, tutto a posto.

La mattina, al primo “buongiorno” furono in piedi, e giu’ di corsa per le scale, saltando gli ultimi gradini, e arrivando davanti al tavolo scivolando sulle ginocchia.

Le fatine, tutte e due, si davano di gomito ridacchiando: “Guarda cosa ci vuole la mattina: un pacco misterioso”.

“Eh già, disse la fata Mary, queste cose le vendono solo al 48!! E’ un viaggio!!”

Intanto le api ronzavano intorno al pacco sempre piu’ decise a mettere fine all”attesa. Una reggeva il pacco, l’altra tirava il nastrino annodato. Si disfece il nodo, si mostro’, nudo, il pacchetto.

Era una scatola bianca che andava sollevata, per mostrare il contenuto. E dentro, ognuna in una cella di carta precisa perché non sbattessero, c’erano quattro tazzine di ceramica dipinte a fiorellini. Tazzine vere! Di quelle che si rompono!! C’erano anche quattro piattini decorati e con il bordo dorato. Roba di lusso.

La bambina piu’ piccola disse che secondo lei i bordi, di tazze e piattini, non erano dorati, erano proprio d’oro, e che il regalo era preziosissimo. “Sara’ costato tanti soldi!” A bocca aperta, si cominciava a pensare di giocarci, ma con un rispetto inusuale. “Si può fare alle signore. Signore vere, di quelle che prendono il the nel pomeriggio, ed hanno occhiali, anelli, smalto!

Subito ci fu un problema: le tazzine erano quattro, due per uno, lo stesso per i piattini. Ma quali signore ne invitano un’altra, una sola, per il the? No, sarebbe stato brutto. Bisognava giocare insieme. Due noi, due ospiti, si poteva fare.

Allora si andò al fosso, con un secchiello, e si prese un po’ d’acqua. Un the perfetto, per colore. Poi dei sassi colorati e dei legnetti come biscotti, e la cerimonia poteva cominciare. Arrivarono la Sandra e la Lucia, e rimasero abbagliate dalle tazzine. Poi pero’cercarono lo zucchero, ma la zuccheriera non c’era. Poi dissero che il the era acqua sudicia del fosso, e che faceva schifo. Anche se era vero, tra signore non si fa così . Allora noi ci si alzò e si disse che non si giocava piu’. Queste signore non facevano per noi.

Era meglio andare a cantare nella concimaia, dove faceva caldo e non ci ascoltava nessuno.

C’era una volta, e un pochino c’è ancora.

La Bea mi chiama signora Picci Picci, e mi chiede: “signora, vuole uno café?” “Preferisco un the- rispondo” , “Come sei antica, nonna”

Il pacchetto e la palla di Stefania

A occhi chiusi – di Stefania Bonanni

E’ la volta che si porta, impacchettato, un oggetto da casa.

Ho pensato di portare la cosa piu’ preziosa che ho. Per una volta che mi sono ricordata, e che per dimensione, l’oggetto era giusto, ero molto contenta di parlare della noce che tiene segreti i dentini dei bambini di casa mia. Poi, pero’, quando ho capito che qualcun’altra l’avrebbe maneggiata, che forse al tatto non avrebbe capito, che magari l’avrebbe aperta, ed il contenuto sarebbe finito per terra, sono stata presa da un’agitazione, che di solito non conosco. Mi e’ sembrato di aver sbagliato, che potesse essere una sorta di profanazione. E’ un pezzo di loro, un tesoro che si alimenterà ancora, prossimamente. Poi ho riconosciuto la mia noce nelle parole di Rossella che descriveva il pacchetto capitatole in sorte, ed ho capito che aveva riconosciuto anche il contenuto. Allora l’ho pensato in buone mani, e sono stata certa non avrebbe mai detto “che schifo”, che mi sarebbe dispiaciuto.

I dentini dei miei bambini suonano come chicchi di riso in un bicchiere di vetro. Un suonino da bambini, come suonava Trilli di Peter Pan . Si capisce che e’ materiale fragile, di latte.

Mi sono dovuta fare violenza per non mettere via i primi capelli tagliati. Ad essere sincera avrei messo via anche le unghie. Per l’avidità di tenere tra le mani pezzi di loro, ed anche per la grandissima emozione che provo ogni volta che apro l’astuccio dei dentini.

Hanno poi parlato tutti della palla di vetro. Hanno immaginato tante cose, così tante che mi sembra strano: e’ così evidente cosa sia la palla! E’ la serra di un allevamento di chiocciole, che respirano, si bagnano nel blu, lasciano scie di bava luminosa.

Incontro del 9 marzo 2023 alla Carrozza 10: toccare e parlare con gli oggetti senza vederli

con Cecilia Trinci

foto di Lucia Bettoni, Rossella Gallori, Cecilia Trinci

Giornata fiorita ieri all’Antella, tra le dolcissime mele del cestino di Daniele e i fiori di campo di Patrizia.

Fuori fa quasi caldo, dentro il vagone i tavoli si riempiono di oggetti, di fiori, di frutti colorati, di voci, di sorrisi, di profumo di caffè.

Bendati, analizziamo oggetti portati da molti di noi, incartati e pieni di significati. La benda è una semplice mascherina chirurgica che svolge perfettamente il suo compito. Un compito nuovo e simpatico, e finalmente trasformiamo il vecchio terrore.

Le mani scorrono, il silenzio riposa la mente mentre ci ascoltiamo uno per volta, si immaginano colori e metalli preziosi, si immaginano forme che non si scoprirebbero se ci limitassimo al solo guardare, oggetti che suonano, rievocano altri rumori lontani nel tempo. Alcune verità sono più vere, altre ci portano distanti …..