Il castello e le tazze del ’48 – di Stefania Bonanni
foto e disegno di Stefania Bonanni
C’era una volta…e non c’è piu’… un castello piccino piccino senza torri, né ponti levatoi.
C’era una grande cucina, con una stufa a legna, il pavimento rosso di mattoni lucidati a cera, ed il tavolo di marmo buono per ogni uso. Ma era un castello, questo e’ sicuro, perché era abitato da fatine buone e magiche, che arrivavano per curare, lavare, consolare, abbracciare, riportavano il sereno, sempre.
La fata piu’ grande, guai a dire vecchia, al posto della bacchetta magica, aveva la scopa, sempre a portata di mano. Un pomeriggio, con la Sita, torno’ da Firenze, ed aveva in mano un pacchetto rivestito di carta rosa a fiorellini rossi. Come api sul miele, le bambine cominciarono a girellare intorno al tavolo dove era stato posato il pacco. Lo toccavano piano, avvicinavano gli occhi cercando forellini nella carta, annusavano. Fosse stato un libro, fossero stati quaderni, avrebbe saputo di carta. Fossero state cose da mangiare, dolci o cioccolata, si sarebbe sentito. Invece nulla. Dentro c’era una scatola. Quello si era capito. Ed un pacco contenente una scatola, incuriosiva ancora di più. Allora scatto’ il divieto. “Lo aprirete domani, e l’attesa ve lo farà desiderare ancora di più. E se sarete birbone, nulla!”
A letto di corsa, denti lavati, tutto a posto.
La mattina, al primo “buongiorno” furono in piedi, e giu’ di corsa per le scale, saltando gli ultimi gradini, e arrivando davanti al tavolo scivolando sulle ginocchia.
Le fatine, tutte e due, si davano di gomito ridacchiando: “Guarda cosa ci vuole la mattina: un pacco misterioso”.
“Eh già, disse la fata Mary, queste cose le vendono solo al 48!! E’ un viaggio!!”
Intanto le api ronzavano intorno al pacco sempre piu’ decise a mettere fine all”attesa. Una reggeva il pacco, l’altra tirava il nastrino annodato. Si disfece il nodo, si mostro’, nudo, il pacchetto.
Era una scatola bianca che andava sollevata, per mostrare il contenuto. E dentro, ognuna in una cella di carta precisa perché non sbattessero, c’erano quattro tazzine di ceramica dipinte a fiorellini. Tazzine vere! Di quelle che si rompono!! C’erano anche quattro piattini decorati e con il bordo dorato. Roba di lusso.
La bambina piu’ piccola disse che secondo lei i bordi, di tazze e piattini, non erano dorati, erano proprio d’oro, e che il regalo era preziosissimo. “Sara’ costato tanti soldi!” A bocca aperta, si cominciava a pensare di giocarci, ma con un rispetto inusuale. “Si può fare alle signore. Signore vere, di quelle che prendono il the nel pomeriggio, ed hanno occhiali, anelli, smalto!
Subito ci fu un problema: le tazzine erano quattro, due per uno, lo stesso per i piattini. Ma quali signore ne invitano un’altra, una sola, per il the? No, sarebbe stato brutto. Bisognava giocare insieme. Due noi, due ospiti, si poteva fare.
Allora si andò al fosso, con un secchiello, e si prese un po’ d’acqua. Un the perfetto, per colore. Poi dei sassi colorati e dei legnetti come biscotti, e la cerimonia poteva cominciare. Arrivarono la Sandra e la Lucia, e rimasero abbagliate dalle tazzine. Poi pero’cercarono lo zucchero, ma la zuccheriera non c’era. Poi dissero che il the era acqua sudicia del fosso, e che faceva schifo. Anche se era vero, tra signore non si fa così . Allora noi ci si alzò e si disse che non si giocava piu’. Queste signore non facevano per noi.
Era meglio andare a cantare nella concimaia, dove faceva caldo e non ci ascoltava nessuno.
C’era una volta, e un pochino c’è ancora.
La Bea mi chiama signora Picci Picci, e mi chiede: “signora, vuole uno café?” “Preferisco un the- rispondo” , “Come sei antica, nonna”