Il pacco FRAGILE di Gabriella

Fragilità – di Gabriella Crisafulli

Da quando aveva dieci anni era preda di una grande inquietudine che la teneva sotto scacco. Nel passaggio fra l’infanzia e l’adolescenza si era trovata a navigare fra religione, ideali e sogni ma l’ortodossia in vigore nella sua famiglia costituiva un ostacolo alla riflessione. Non poteva più leggere “Il monello” perché era all’indice. Le mancavano molto le avventure di Nadir. I libri arrivavano con il contagocce. Non ci si rivolgeva alle biblioteche.

Si trovava stretta fra regole ferree, paure alte come muri, convinzioni enunciate a mo’ di dogmi. Un po’ si era ribellata ma alla fin fine si era conformata al modello imposto, viaggiando con la mente al di sopra di tutto.

“Mi spezzo ma non mi piego” diceva suo padre: oltre a questo non si andava. Viveva la lotta, non importa quale, come un segno di forza. Era forse sintomo di fragilità?

Serrava le labbra e andava avanti a testa alta.

Per tutto il resto riteneva che fosse meglio chiudersi in sé.

La moglie lo aizzava quel tanto che era sufficiente a portare avanti la campagna del momento: “Ho bisogno di un nemico” sosteneva. Anche questo era forse sintomo di fragilità?

In casa non c’erano dibattiti o discussioni: di volta in volta veniva definito un assioma con tutte le argomentazioni a sostegno della tesi e si andava avanti. Soprattutto niente dubbi.

Erano lotte che facevano da paravento e da difesa alle difficoltà personali e al ruolo di genitori.

Lotte alimentate dalla grande diffidenza nei confronti degli altri che potevano attentare al loro buon nome e all’integrità morale, fisica, economica, sociale del nucleo familiare. Bisognava essere accorti, tenere le distanze, muoversi con circospezione.

Per gli adulti c’erano alcune – poche – deroghe relazionali, non per la figlia che non poteva andare ai giardinetti con l’amica (c’erano i cagnoli]*), né frequentare la parrocchia (troppo bigotti) e tantomeno i circoli (gente del popolino).

In quel periodo dell’età evolutiva, all’interno di questo meccanismo familiare, si radicavano in lei idee sovrapposte, intrecciate, contraddittorie, conflittuali che impedivano la crescita e lo sviluppo di una sicurezza emotiva e della riflessione oggettiva. Non c’era nessuno con cui confidarsi, confrontarsi, né adulto né coetaneo e i pensieri vagavano sull’onda di una emotività esasperata. Si era generata all’interno della cornice stabilita ed era diventata la sua struttura portante. In famiglia non veniva contemplato di prestare attenzione alle sfumature dell’empatia, ai misteri degli affetti, ai meccanismi del dolore, agli attimi di tenerezza, alle tonalità dell’allegria e della tristezza, alle modalità della gioia e della speranza. Non veniva preso in considerazione l’allargamento di relazioni umane che facessero uscire dai confini del nucleo ristretto. Le emozioni venivano incanalate in una regione calcolante e organizzativa il cui scopo era la massima efficienza con il minimo costo. In occasioni particolari, in presenza di un pubblico, le emozioni venivano ritualizzate, spettacolarizzate ma non messe in contatto con sé stessi. Era un sistema funzionale ma distaccato, distante, quasi robotico, che evitava di entrare in contatto in maniera profonda con ciò che avveniva dentro e intorno. Le parole venivano limitate a disposizioni schivando le possibilità di conciliare emozioni e ragione, riflessione e intuizione, uscendo dall’io per incontrare gli altri sul piano più intimo e profondo. Si preferiva giocare sulla denigrazione, sullo scherno, sul ridicolizzare e il giudicare: le scarpe bianche, quelle con il tacco, San Remo, la televisione. A mala pena le veniva concesso di guardare Rin Tin Tin alla Tv dei ragazzi e Carosello alle 20.

Era tutto mascherato, nascosto perché le preoccupazioni e i timori su quello che succedeva in casa erano davvero a livelli molto alti.

Lei non si rendeva conto di cosa si stava verificando: non poteva averne coscienza data l’età ma ne sentiva tutto il portato di ansia e angoscia. Era semplicemente infelice e la solitudine la angustiava da morire.

Aveva provato a ribellarsi ma la sua protesta era indiretta e la metteva in una posizione di colpa. Giorno dopo giorno una rabbia inconsapevole si incistava a sua insaputa dove meno se l’aspettava mentre l’infelicità si trasformava in sofferenza e generava assenza di pensiero.  Avrebbe smarrito la sua interezza. Avrebbe creato il vuoto mentale.

E la vita le avrebbe presentato il conto colpendola in ciò che aveva di più caro.

Solo in vecchiaia sarebbe tornata su quei fatti e ne avrebbe percepito la potenza disgregatrice. Solo in vecchiaia aveva colto l’occasione per entrare in contatto con le sue fragilità, macerie sul campo di una guerra persa.

Non si era accorta con quanta forza nel suo intimo si ribellava ad un regime autoritario provocando dentro di sé rigidità pari alle fragilità che aveva generato.

Non si era accorta di quanti conflitti le si erano radicati dentro.

Faticava a liberarsi da agiti generati in automatico, senza riflessione e ripensamento, che avevano causato a loro volta fragilità in coloro a cui lei voleva più bene.

Così, giorno dopo giorno, si era messa a bonificare un territorio devastato, pezzo a pezzo, strato a strato, con meticolosità e pazienza certosina.

Era una cosa che doveva a sé stessa e ai suoi cari.

Era un dovere morale.

Era un viaggio alla scoperta della gioia.

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

4 pensieri riguardo “Il pacco FRAGILE di Gabriella”

  1. Un percorso accidentato e una strada man mano verso la consapevolezza di sé .
    la chiusura tende alla speranza che ruota attorno al lavoro di bonifica .Faticoso ma tendente alla gioia.Bello.

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  2. Perso tante battaglie, pur vincendo la guerra, tante medaglie sul campo, troppe per un anima sola, un medagliere che è vita, sogno ed incubo, pesante e prezioso.

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