Il fuoco delle paure: Patrizia Fusi

Il fuoco e il fantoccio – di Patrizia Fusi

Quando ero piccola nel borgo dove abitavo, si fece una festa.

Prepararono dei festoni con delle lunghe corde dove incollarono dei triangoli di carta velina di tutti i colori, che misero attraverso la strada legandoli dalle finestre delle abitazioni agli ulivi del campo di fronte, formando cosi un tunnel colorato e festoso.

A noi bambini tutti questi preparativi  piacevano: vedere le donne mentre formavano come per magia quelle roselline di carta crespa di tutti i colori, mentre noi continuavamo i nostri giochi.

 Fu fatto anche un fantoccio di paglia a forma di uomo vestito con pantaloni, giacca e un cappellaccio a falda larga.

 Le donne abbellirono le loro finestre con quelle roselline di carta crespa colorata formando dei disegni, ad una finestra c’era una falce e un martello fatto da roselline rosse (per me senza nessun significato a quel tempo)

 Il giorno della festa in mezzo alla strada alla fine dell’edificio fu fatto un cumolo di fascine di legna, dove fu posizionarono il fantoccio.

 Noi bambini la sera eravamo tutti fuori in attesa che venisse bruciato il fantoccio con tante altre persone, l’aria era tiepida.

Quando gli dettero fuoco tutto si illuminò intorno a noi, la fioca luce del lampione all’angolo del fabbricato dove ci radunavamo nelle serate estive sparì per l’intensità delle fiamme del falò.

Il crepitio che facevano le fascine nel bruciare veniva accompagnato dai canti degli adulti a dalle nostre grida festanti alla vista delle fiamme, le scintille saltavano come piccoli coriandoli di luce.

Quando le fiamme si abbassarono alcuni uomini iniziarono a fare dei lunghi salti da una parte all’altra delle braci rimaste, noi bambini guardavamo con meraviglia, continuammo a giocare mentre gli adulti cantavano e parlavano fra loro.

Il gruppo della festa piano piano dolcemente si spense come il fuoco e ognuno tornò alle  proprie abitazioni.

Gli adulti dando fuoco al fantoccio avevano cercato di bruciare le proprie paure.

In questo periodo il fuoco che non riesco a togliermi dalla testa sono le immagini di case che bruciano in Ucraina, dietro ogni casa una storia una vita.

Pazzia dell’essere umano.


Il fuoco passione: Stefania Bonanni

Il fuoco – di Stefania Bonanni

Il fuoco non esiste. Va cercato e voluto, come un desiderio che viene dal profondo e non si può evitare. È affascinante, caldo, suadente, infiamma e rasserena. È pericoloso, come tutto quello che nasce dentro e trascina, consapevoli, ma incapaci di resistere. Non si può distogliere lo sguardo, dalla fiamma che ipnotizza. Accendere un fuoco è scatenare una forza immensa, è avere potere, perché da solo il fuoco non esiste. Per nascere, per esistere, ha bisogno di inghiottire qualcosa che si lasci bruciare, nel deserto non c’è fuoco. Per crescere, lascia ceneri.

Il fuoco è rosso, come il sangue, come il cuore. È il sangue che scorre nelle vene al centro della terra, tra i sassi. Nacque dai sassi e forse dalla curiosità di qualcuno che sarà sembrato matto, quando per giorni e giorni, accovacciato nella grotta, continuò a strusciare sassi l’ uno contro l’altro, e non sapeva cosa cercava. Poi, una scheggia di sole, o forse la coda di un fulmine, ma non c’ era il temporale. Da allora la notte non fu più solo buio, ed il buio non fu più un destino. La curiosità del matto aveva inventato stelle private. Da quel momento ognuno ebbe la sua stella privata. Quella che rischiarava la grotta ed intorno alla quale sedevano i cuccioli aspettando di mangiare.

Il fuoco ha creato il focolare, ed il focolare la casa, la famiglia. Nella notte quando vedo luci in lontananza, penso che sia una cucina, che qualcuno sia intorno ad un tavolo, davanti ad un piatto cucinato sul fuoco, o con le mani vicine ad altre mani, aperte sul piano del tavolo, davanti a un camino, insieme per parlare, per guardarsi, mentre gli occhi luccicano di scintille che volano in alto e si riflettono, moltiplicandosi, negli occhi e nei ricordi.

Fuoco è passione. L’amore è passione. Il fuoco è amore. Tra amati, amanti, genitori, figli, nipoti, amici. Per lavorare, leggere, scrivere, sognare, cucinare, giocare, sperare, vivere, ci vuole passione.  L’esempio di giornate vissute con passione è eredità preziosa. Si rischia molto, si vive.

Il fuoco benedetto: Anna Meli

FUOCO BENEDETTO – di Anna Meli

            Sabato Santo. Sono circa le 23 e noi stiamo andando verso la chiesa. E’ un buio veramente nero e la strada in salita. Abbiamo solo una piccola torcia ad illuminare i nostri passi. Il vento fresco ci accarezza il volto trasmettendoci profumi di erbe e fiori primaverili. Passo dopo passo siamo arrivati.

            La chiesa è affollata di gente che partecipa ad alcune letture preparate da un gruppo cui seguono riflessioni, preghiere e canti in un clima di grande serenità. Fuori, al lato della chiesa, c’è un ampio spazio dove è stata preparata una piccola catasta di legna e arbusti secchi, è lì che mio marito accenderà il fuoco. Lui vorrebbe che raggiungessi gli altri, ma io mi rifiuto con la scusa di tenergli compagnia e poi… la notte è magica e ti avvolge come un abbraccio e ti senti straordinariamente viva!

            Un po’ di carta, un accendino, un soffio di labbra e il fuoco si accende, prima timido e dubbioso poi, più vivace e crepitante, si alza verso il cielo in lingue danzanti e faville che si dissolvono velocemente lasciando il posto ad altre in un gioco continuo. Il mio sguardo stregato da quella scena si sposta all’immensità del cielo, alle migliaia di stelle che risplendono come tanti piccoli fuochi lontani e mi stringo a mio marito. Ci sono emozioni che si esprimono solo in silenzio di fronte a tanta bellezza!

            La gente sta uscendo dalla chiesa insieme al parroco in ordinata processione: ognuno ha in mano una candela spenta, il parroco il cero pasquale. Ancora preghiere e canti poi a seguire la benedizione del fuoco culminante con l’accensione del cero. La fiammella brilla vivace, candele si accostano prendono fuoco ne accendono altre ed è un tripudio di piccole fiammelle. E’ una notte di luce che riscalda il cuore!

            Ora tutti si dirigono in chiesa, rimasta la buio, a seguito del parroco che innalza il cero pasquale. Le candele vacillano, qualcuno inciampa, ma non c’è la minima possibilità di cadere tanto siamo stretti e vicini.

            Un attimo ancora e la luce centrale si accende mentre il suono dell’organo si mischia con quello festoso delle campane annunciando la Resurrezione. Ognuno spegne la propria candela che viene riposta per l’anno a venire mentre il cero viene collocato sul candelabro.

            Questo avveniva fino allo scoppiare del covid e spero che si ripeterà ancora, anche se il fuoco verrà acceso da altri. Sentirò comunque in quel momento vicino a me una presenza amorevole. Guarderemo ancora il fuoco e le stelle insieme.

Il fuoco del camino: Lucia Bettoni

Il canto del “foco” – di Lucia Bettoni

foto di Lucia Bettoni

Nella foto una pagina del mio diario a nove anni

Ho fatto lunghi viaggi in uno spazio piccolo piccolo

Mi sono raccontata tante storie nel posto più caldo che conoscevo: il canto del foco

Era una casa nella casa, era accoglienza e protezione, calore e riposo

Il luogo dove tutto si fermava in una quiete serena alla fine di ogni giorno

Nel cuore il sentimento più vicino alla pace che io abbia conosciuto

C’era uno scalino da salire, uno scalino un po’ alto: forse non era così alto, ma lo era per me bambina piccola piccola

Il fuoco nel centro, a destra e sinistra dei sedili in mattoni e cemento

Quattro persone potevano sedersi in questo posto speciale

Spesso il sedile di destra era solo per me: un po’ principessa e un po’ cenerentola

Era il luogo magico per le mie storie

Era la mia televisione, il mio videogioco, era tutto quello di cui avevo bisogno per inventare

Guardavo il fuoco e dalle fiamme e dalle faville uscivano i personaggi come da un cappello magico: folletti, fatine, conigli, uccelli, stelle…

In un attimo i personaggi salivano sul muro crepato e nero di fumo

Le crepe erano strade, case, laghi, fiumi: erano il palcoscenico e la scenografia dei miei personaggi

E poi gli applausi delle scintille che salivano, salivano su per il camino per raggiungere il cielo

Le mie guance calde e le mie mani e i miei piedi che finalmente si scaldavano dopo il freddo di una giornata senza calore

A volte la mamma mi diceva – metti le mani sotto le ali – e io mettevo le mie mani sotto le sue ascelle e le mie manine viola dal freddo si riscaldavano

Ricordo così bene quel calore!

Un calore tenue come una rosa

Spesso le mani sotto le ali le potevo mettere proprio la sera quando la mamma si sedeva davanti al fuoco con me in collo perché i posti dentro il focolare erano già occupati dal nonno, dal babbo, dalla zia, lo zio, dal fratello del nonno o dal…

Allora eravamo tanti, una grande famiglia intorno al fuoco

Il fuoco dell’incendio: Sandra Conticini

FUOCO – di Sandra Conticini

Mi dispiace non conoscere le tradizioni o le storie contadine perchè sono una cittadina e non ho avuto nessuno che me le ha tramandate.

L’unica che  ricordo è  che, quando si arrivava dopo Pasqua, la mamma cercava sempre qualcuno che aveva un camino o una stufa economica per poter bruciare l’olivo benedetto e i gusci delle uova, perchè diceva che non si potevano buttare nella spazzatura. E’ stato  sempre più difficile, a volte li teneva anche diversi mesi in giro per casa, così alla fine si è dovuta rassegnare. 

Stare seduta davanti a un camino a guardare la legna che piano piano si consuma  mi piace, mi fa sognare, mi riscalda, mi rilassa ,  ma dopo un po’ mi rintontisce e preferisco  allontanarmi.

Comunque in tutti gli altri casi  il fuoco mi mette paura, perchè per me è distruzione. Gli incendi di grandi, ma anche piccole dimensioni non perdonano, distruggono quello che trovano, boschi, alberi, case e persone, c’è solo la speranza che riescano a domarlo prima possibile.

Ricordo una vacanza in Corsica negli anni 90, eravamo in campeggio con mia figlia che avrà avuto 3 anni. Dalla spiaggia si vedeva in lontananza una nuvola di fumo. Nel giro di due ore l’incendio era arrivato vicino a noi, per fortuna riuscirono a fermarlo, ma per il resto della vacanza mi rimase la paura addosso ed ogni volta che vedo un incendio provo inquietudine.

Il fuoco nel letto: Rossella Gallori

Il fochino piccino – di Rossella Gallori

Seguiva quella scintilla ad altezza un metro e ottanta circa…prima di vederla, ne avvertiva  l’ odore, si annunciava nel corridoio di una casa, che forse era solo nei suoi ricordi…poi appariva sulla soglia di camera, un fuoco piccolo che si appoggiava sul cassettone riflettendosi  sullo specchio,  dove l’immagine per magia si allargava, poi raggiungeva il comodino, per appoggiarsi su una conchiglia di ottone consumato dalla cenere, era la fine di un’ attesa bella,  l’ora di dormire, il respiro regolare della bimba, quello un po’ difficile di un babbo…e quella sigaretta che si consumava lenta, è quel “ fochino piccino” che faceva da ninna nanna….

Poi una notte, un temporale forte forte, che faceva paura, con i lampi, che sembravan  nastri di fuoco…e quella richiesta che non aveva mai: no.

E quella signorina piccola che chiede: si accende un fochino piccino????

Ed il temporale finì, si acquietò l’ acqua, il fuoco, il tuono ed il lampo…si addormentarono tranquilli, in attesa del giorno…

Un forte odore di fumo li svegliò di colpo, ed il lenzuolo  bruciava,  cercarono di spengerlo quasi ridendo e non era il caso, con l’ acqua con le mani, con la gioia che il peggio non era successo… con ancora la voglia di abbracciarsi e di ridere piano…

Arrivò un altro giorno felice, nel silenzio la luce si faceva spazio,   una bimba osservava i buchi sul bordo del lenzuolo, con lo  voce impastata di sonno e fumo e lo sguardo cupo sentenziò: io babbo volevo un falò!!!!

Vortice di fuoco – Laura Galgani

Fuoco – di Laura Galgani

Fuoco vortice tempesta, ti osservo rotolare, immergerti, guizzare, mi lascio avvinghiare dai tuoi tentacoli di luce, mi lambisci, mi sfiori, poi mi stringi e mi scavi, toccandomi nel buio più profondo di quei meandri che nemmeno io conosco.

Là dove arrivi ti temo, a tratti ti detesto, perché vuoi sapere tutto di me, vuoi portare la luce là dove non è mai arrivata, e allora mi oppongo, mi ribello, mi intestardisco in un linguaggio di guerra, di difesa, di negazione.

Non serve. Lo so, da sempre, che sarai tu, ad avere la meglio.

Sulla mia ragione, sulla ferrea logicità che guida ogni mia azione, sul controllo che vorrei avere ma non posso, sul credere ogni evento determinato, mentre è la tempesta a travolgere ogni piano.

Ti temo, fuoco, nelle tue spire più sapienti, nelle passioni che sai scatenare. Quell’unica volta in cui ti ho lasciato vincere hai stravolto la mia vita. Fredda, sì, incasellata come un ordinato cruciverba, ma tranquilla.

Nulla è stato più come prima. Sono saltati tutti i parametri, come un piede che calpesta una mina sepolta sottoterra. Tutto vola via, a brandelli. Chi c’è, ne fa le spese. Anche ingiustamente.

Ma il tempo è passato, e quel fuoco di passione l’ho domato. Dalle sue ceneri sono nate nuove visioni, orizzonti limpidi adesso mi attraggono.

Ti vivo con una sapienza diversa. So che puoi far male, ma lo accetto.

Quando le lacrime solcano il mio viso e tutto il mio essere geme e si stringe in sé stesso come a volersi attorcigliare soffocando e scomparire, arrivi tu, e mi scuoti. Non è lento il tuo sorgere dentro di me. E’ improvviso, e grandioso. E’ lacerante. Un urlo sgorga dalle viscere e ti lascia lavorare il mio essere come creta. Mi impasti, per farmi nuova. Fa male, ma è necessario.

Dopo il passaggio delle fiamme ardenti, una nuova forza, cristallina e pura, mi fa rialzare e accettare me e il mondo intorno a me. Mi guardo dentro e scopro piccole gemme preziose: un rosso rubino, un verde smeraldo, un turchese e un quarzo rosa. Brillano, mi consolano, se le ascolto mi suggeriscono note, parole, disegni che cerco di tradurre nel linguaggio della mia vita. Sono il frutto della trasformazione operata da te.

Ora, una piccola fiamma mi basta per ritrovarti. Mi concentro su quell’unica fiamma che assume contorni sempre nuovi e che cambia colore col crescere. Violetta alla base, e trasparente, si fa opaca al centro per poi guizzare di una luce quasi bianca verso l’alto e spingersi in un vertice che punta dritto al cielo. E danza, danza, danza, in un dono di sé infinito.

Voglio essere come te.

Amico fuoco – Daniele Violi

IL MIO AMICO FUOCO – DI DANIELE VIOLI

Il FUOCO mi accompagna come un amico da quando lo conosco. Da piccolo in quel di Coverciano con la stufa e la legna che amo e che già allora, virgulto di  curiosita’, trasportavo dalla cantina fino al 4 piano, in quantità morigerate e profumate di bosco. Io stesso poi alimentavo il mio amico FUOCO.

Poi 44 anni fa il nostro rincontro ha sancito definitivamente tale amicizia, rinsaldando questo rapporto. Da allora sempre con Lui. Mi ha sempre riscaldato,  continua a riscaldarmi e con il suo calore mi dà anche cibi profumati, sopratutto per il mio Cuore. La Sua presenza é protettiva é ineguagliabile. A tuttoggi fedele. Ma quale sporco, ma quale sudicio; tutto trasforma il fuoco, dalla legna bruciata potassio e calcio per le nostre piante! che bella sincronia  La Natura, gli Alberi ci vogliono bene, anche quando non sono vitali, restano vitali, lasciano il segno del loro passaggio. Meraviglioso. Al Fuoco ho dedicato e dedicheremo sempre considerazione. Ho cercato di poter ricavare, possibilmente da piante morte o cadute,  la legna per riscaldarmi. Il FUOCO ti riscalda e annulla l’aggressività e la follia.  Lasciando nel dimenticatoio il FUOCO abbiamo negato a noi stessi, parte della nostra anima.

Incontro 2 marzo 2022 – Il Fuoco

con Cecilia Trinci

Il fuoco come potenza, come forza di purificazione, come energia, come conforto, fisico e morale.

Il fuoco nelle sue derivazioni: rogo e falò, ma anche scintille e faville

Il fuoco nei riti di carnevale e non solo, come capace di difendere dal male, o come distruttore di forze malefiche

Il fuoco come calore, luce, conforto, coraggio, lampi e presagi.

Il fuoco delle candele, delle torce, dei ceri...

e……

da La Cantatrice Calva di E. Ionesco:

Il Fuoco – legge Simone Bellini

Regali: Carmela a Vanna

Lettera a Vanna – di Carmela De Pilla

Così dolce, sempre attenta a usare le parole giuste Vanna, con la sua compostezza e delicatezza propone il suo pensiero in maniera pacata e rassicurante.

Sarà perché il suo mestiere di psichiatra la porta ad entrare in empatia con gli altri o forse fa la psichiatra perché entra in empatia con gli altri facilmente?

La semplicità e la sicurezza evidenti nelle sue parole le trovo anche nel suo vestire, principalmente di nero o comunque scuro, ma sempre con qualche nota originale che personalizza con i suoi gioielli veri o di bigiotteria.

Oggi viene a prendere un caffè da me e io cercherò di farlo buono perché so che le piace molto, ho preparato anche un piccolo dono per lei che ho avvolto amorevolmente in una cartavelina verde prato legata da un nastro viola per ricordare gli anemoni che proprio in questo periodo stanno alzando timidamente il capolino.

Quando ho saputo della sua visita ho pensato di regalarle quella spilla che ho fatto per lei, una farfalla con le ali spiegate pronta a spiccare il volo, il corpo realizzato con piccole pietre azzurre ricordano il mare.

 Eccole…eccole volare insieme verso la libertà.

Regali: Carla a Patrizia

Per Patrizia – di Carla Faggi

Un pacchetto di carta verde perchè il verde è un colore che sento adatto a Patrizia, il verde è tranquillità, è appagamento, è esserci dopo tanta pazienza, ricerca, ma è anche il colore della continuità e dell’appartenenza.

All’interno del pacchetto verde un mazzo di fiori di campo, che mi ricordano un bello scritto di Patrizia che mi aveva colpito molto ed anche perchè i fiori di campo sono semplicità, bellezza e varietà.

Un po’ come lei che è tante cose, tanti interessi, e soprattutto tanta spontaneità.

Ci saranno margherite che come Patrizia sono fiori del popolo con misteri di magie amorose che ci ricordano come si può essere regine e belle con pochi fronzoli.

Ci saranno i crochi gialli che ci annunciano che l’inverno sta finendo ed è arrivata la primavera. Ora  si gode cara Patrizia di quello che si è costruito, con tranquillità e saggezza.

Poi ci saranno tanti altri fiori di ogni colore e specie, perchè tanti sono i tuoi interessi e tante le tue sensibilità.

Nel pacchetto c’è anche un libro di Casprini su Fonte Santa con l’intenzione di ripercorrere insieme quei sentieri sulle colline della tua Antella perchè Patrizia è attaccata al suo paese, ci racconta nello scrivere i suoi ricordi, la storia dell’Antella, delle sue genti, le tradizioni ed il carattere degli abitanti.

Regali: Stefania a Sandra

Una miscela esplosiva – di Stefania Bonanni

Vorrei regalare a Sandra una miscela esplosiva. Un insieme di sostanze che fosse possibile racchiudere in una scatolina per poi schizzare fuori all’apertura, che quei giochi antichi che liberavano burattini che scattavano srotolandosi.

Nella miscela metterei: due atomi della registrazione di una risata lunga e sonora della Sandra stessa, che è sempre un regalo per chi ride e per chi ne gode, due idrogeni di lettura dell’ “ode della patata” di Neruda, registrata mentre legge, per esempio, Simone Rovida, infine il video girato durante una mattinata serena, dal titolo “riso a crepapelle”, ed erano frittelle.

Poi nella scatolina ci metterei il regalo vero e proprio, che secondo me deve avere queste caratteristiche: essere una cosa che fa stare bene, essere qualcosa che la persona a cui si dona non si comprerebbe mai da sola. Io a Sandra comprerei un abbonamento per una decina di giri sulla giostra di Piazza della Repubblica, quella dorata con i cavalli e le carrozze. Una decina di giri dovrebbero bastare per un pomeriggio indimenticabile, da far girare la testa.

Definizione del nostro incontrarsi:

“Un posto dove ognuno parla ed ognuno ascolta: e già questa è una rivolta.”

Regali: Anna a Stefania

Orchidea per Stefania – di Anna Meli

Ti ho conosciuta negli anni 70.

            Eri una ragazzina vivace e sbarazzina, molto graziosa con due occhi neri stellati che esprimevano tanta voglia di vivere e felicità.

            Non avevamo ancora rapporti di amicizia, la nostra era solo una conoscenza superficiale e nonostante provai subito verso di te una grande simpatia

            Lavoravo vicino casa tua e ti vedevo spesso quando ti incontravi con i tuoi amici allegra scherzosa e spontanea: così ti sei mantenuta.

            Per un po’ di tempo, avendo avuto un trasferimento di lavoro, non ti ho più incontrato; ma un giorno uscendo da Messa ti trovo lì sullo spazio davanti alla chiesa, te col tuo Paolo, io col mio Mario.

            Ci siamo abbracciate commosse ed è stato come se il tempo non fosse passato, anzi la lontananza ci aveva unito ancora più forte e si manifestava in quel momento come non mai.

           Oggi ti ho invitata a casa mia e sapendo quanto ti piacciono i fiori, voglio regalarti una delle mie orchidee. Le più belle stanno già per sbocciare.

            Sarà di colore rosa a fiori grandi, rosa sfumato come quei tramonti che tu ammiri tanto, rosa come la speranza, come l’amicizia e so già da ora che lo gradirai e aspetterai ogni anno il suo rifiorire come la nostra amicizia.

Commento sui “Regali” tra Matite

di Cecilia Trinci

Anche se i “Regali” non sono stati ancora tutti inviati (perchè le Matite sono così, chi arriva prima, chi dopo, chi ha impegni e rimanda, chi si riduce all’ultimo minuto….e ormai le conosco tutte e ci sorrido, su tutte queste modalità) mi sento di farvi anche io un regalo.

Pagine dolcissime queste su questo “gioco”, inattese, nonostante mi sia abituata alle vostre sorprese. Quelle spinte a scrivere che ora chiamiamo “giochi” voglio che restino così, quasi carezze non troppo impegnative, un sussurro in un orecchio, per ricordare che il cuore non è solo un muscolo, che i nostri incontri non sono abitudini, che vedersi e cercarsi non è obbligatorio.

Qualcuno ha detto che per conoscere noi stessi occorre il confronto con gli altri, come se la nostra immagine ci apparisse dall’impronta che lasciamo su chi ci sta accanto, da come ci aiutano, loro, a vederci. Nessuno più di me ne è convinto: il confronto, l’incontro ci fa specchio, ci rende consapevoli, oltre che “non soli”.

Non è stato facile raggiungere Rossella, trovarla attraverso i rovi che lei stessa ha per tanto tempo messo a sua “difesa”, come dice Nadia e come ognuno di noi può confermare. Ma nessuno, in questo gruppo è facile da trovare, comprendere senza sapere tutto della sua vita. Abbiamo condiviso profondità da abissi oceanici. Questo unisce.

Vorrei regalare a Rossella un paio di occhiali rosa. Ieri mio nipote piccolo si è messo i miei occhiali da sole e mi ha chiesto “perché ti vedo nera, nonna?” Ecco io vorrei trovare occhiali con le lenti rosa perché Rossella si guardasse intorno e un paio di forbici da giardino per potare i rovi dietro cui si nasconde. Un rossetto fucsia per camminare al sole e essere orgogliosa di sé.

Vorrei regalare a Carla un sacchetto di biglie di vetro, per giocare come fossimo tornate bambine in un giardino della mia infanzia. Vorrei giocarci a “campana” e a palla prigioniera come facevo da piccola con una certa Gianna, che non ho più rivisto e che cerco da 60 anni.

Vorrei regalare a Carmela una gonna a ruota di seta blu perché indossandola facesse volare la stoffa e il blu in un girotondo felice, confondendo passato e presente, e vorrei che anche il suo collegio si colorasse di blu, e con quella gonna ci potesse tornare a volare, lungo i corridoi, cantando canzoni antiche.

Vorrei regalare a Sandra una chiave che apra tutti i cassetti e che da uno di questi saltasse fuori, come una magia da prestigiatore, la potenza dei suoi anni più belli. La chiave dovrebbe aprire anche gli altri dove ha riposto il suo passo veloce, l’ottimismo, lo sguardo sereno e i capelli rossi del primo giorno.

Vorrei regalare a Stefania un bastone nodoso di legno di faggio. Di faggio era la camerina di mia figlia, un legno chiaro, solido, ottimista, costruttivo e sereno. Il legno delle foreste con le foglie dentellate, profilate, gentili. Il legno delle foreste abruzzesi, di gente generosa e sincera, che sa ascoltare e capire e ricambiare qualsiasi piccolo piacere con sorgenti di riconoscenza e calore.

Vorrei regalare a Gabriella un cappello di paglia, con ampie tese, piene di ogni bellezza: veletta, uccellini, frutta rigogliosa e colorata, perché so che la sua enorme femminilità reggerebbe il peso di decorazioni mai troppo cariche per lei. Una donna con tante donne dentro, misteriose e sconosciute, una matrioska di donne emozionanti e passionali. Una veletta per l’educazione, uccellini per il suo canto in gabbia, frutta per la passione che nasconde.

Vorrei regalare a Tina il cestino da lavoro di mia nonna, con le forbici da ricamo di gusto liberty, gli aghi di tutte le fogge per ogni tipo di filo e per cucire qualsiasi stoffa, vera, cercata o inventata, aghi per seta volante, aghi per lana amorosa, per canapa grezza, per lenzuola di lino, per tende, o per attaccare bottoni e ferite aperte, per cucire dolori o paure, per ricomporre fratture, per costruire ponti e case e villaggi e piccole tane sicure.

Vorrei regalare a Patrizia una finestra sul mondo, senza tende, dove soltanto affacciandosi, potesse vedere sentieri e case, ponti e oceani, città, storie passate, prati e spiagge, grandi famiglie riunite e panchine con mamme e vecchi, con bambini e passeggini, e con tutti e a tutti lei parlasse di pace.

Vorrei regalare a Nadia una macchina del tempo perché potesse passeggiare in su e in giù per la sua storia rivivendo a suo piacere qualsiasi attimo o periodo della sua vita, viaggiando in un luogo dove è difficile andare senza un biglietto speciale. Con la sua valigia minimale, con le carte su cui ha segnato i punti più importanti, con il suo sorriso rarissimo e le sue lacrime ancora più segrete. Ma con l’obbligo di tornare sempre perché la vogliamo qui.

Vorrei regalare a Vanna un diario con la copertina verde prato e una penna d’oca del Giardino delle Esperidi perché ci racconti chi è, chi vorrebbe essere, e, da esperta di ascolto, si dedicasse a se stessa e alla gioia di una vita lucida, “verde” di fiori e di erba bagnata, profumata di fieno e di mare.

Vorrei regalare a Simone un megafono per raccontarci, a tutta voce, davvero Firenze, in tutti i modi e in tutti i cieli, in tutte le ore e con tutti le stagioni. La “città più bella del mondo” come sempre ci dice e un piedistallo su cui potesse salire per sovrastare la media dei cantori e dei narratori. Da lì tutti lo ascoltaranno. Anche lui stesso si ascolterà.

Vorrei regalare a Mimma una collana di perle. Bianca come la sua anima bimba, ogni pallina un desiderio realizzato e primo fra tutti tornare a ridere di pancia, con la testa indietro, gli occhi brillanti e la sua curiosità saziata, con la generosità nelle mani. Il suo ridere senza invidia, senza conoscere malizia, senza rimpianto, senza paura del futuro. Il ridere dell’amicizia non contaminata dal dovere.

Vorrei regalare a Anna una lampada a petrolio di mio nonno. Un oggetto raro, antico, molto bello, che illumina con discrezione, che sta su un tavolo di legno massiccio come la sua storia, che rischiara la via davanti a noi, per andare sempre, per non fermarsi, ma con garbo, con delicatezza, con l’immortalità di un oggetto d’arte che viene dalla vita vera, vissuta, dalla vita guadagnata.

Vorrei regalare a Lucia il mio mazzo di tarocchi perché sono immagini simboliche dipinte, sono personaggi e segni, numeri e presagi. Sono carte piene di anni e anni di divinazione fatta di buon senso e fantasia, di ascolto e sostegno. Sono ciò che resta di tante storie, racconti e cammini. Sono lo sguardo vicino e quello che si ha.

Vorrei regalare a Laura la mia piramide di cristallo. Spande intorno una luce multipla, prismatica, che si divide in mille linee colorate, ognuna va per la sua strada, toccando e tornando indietro. Il centro resta immobile, osservatore, dispensatore di un sicuro punto di vista incrollabile. Il cristallo pieno di minerali, ma purificati da un fuoco vivace, che trasforma gli spigoli in luce.

E a chi ci ha lasciato per vari motivi regalo le nostre parole e il mio ricordo grato.

Regali: Patrizia a Mimma

La collana magica – di Patrizia Fusi

Vorrei regalare un cosa mia a Mimma, sono indecisa su cosa, penso e giro lo sguardo intorno a me su quello che mi circonda.

 Le tre mezzine di rame di dimensioni diverse?

 La brocca in rame con beccuccio, coperchio a punta con disegni floreali e sbalzi,  imperfetto, ma lavorato e martellato a mano?

O un carillon a forma di mulino con la lanterna che illumina?

No sono oggetti troppo ingombranti so che deve cambiare casa, dovrà separarsi di cose a lei care.

Per questo motivo ho deciso di donarle una mia collana di vetro di colore turchese che non occupa posto.

La vedo adatta a lei, e vorrei che quando la indosserà  faccia la magia di farla essere più serena.

Questo piccolo pensiero e per ringraziarla di avermi portata nel gruppo tanti anni fa, e per la persona cara che è.

 Grazie Mimma

Regali: Nadia a Lucia

Intrecci per Lucia – di Nadia Peruzzi


Mi dispiace, cara Lucia, non avere qui con me la cosa a cui ho pensato subito dopo aver scoperto che eri tu la persona a cui avrei dovuto fare un dono.
Pur non avendolo, lo considero prezioso anche perché è figlio di un intreccio e di una relazione ulteriori. E’ Rossella che mi ha fatto scoprire, al mercato di Antella,  il banco che è origine di tutto.
E a proposito di intrecci, il dono è lui stesso un intreccio.  Intreccio di vimini che lasciano intravedere il lavoro di mani esperte nella raccolta di ciò che serve e di ingegno e inventiva per dare la forma dovuta rispetto al caos iniziale di stecchi apparentemente senza vita.
Perché questo cestino di vimini proprio a te, Lucia?
Perché nei tuoi scritti sempre si ritrova un ambiente che io non ho vissuto dall’interno, ma sento come parte irrinunciabile di me, dei miei pensieri, dei miei sentimenti. Ho nostalgia per quel contesto . Una nostalgia da groppo in gola ogni volta che ricordo le famiglie contadine che ho conosciuto nelle campagne attorno all’Antella da bambina e da adolescente. Una nostalgia che riaffiora fino a farmi commuovere ogni volta che ricordi il tuo babbo, rievochi il mondo contadino, e anche per soli accenni fai intravedere la sua essenza, la sua forza, il suo stare con i piedi per terra, quell’essere solido pur nella semplicità, e solida espressione di grande civiltà anche laddove non supportato da tanta scuola o da titoli particolari.
Cara Lucia mi fai pensare ad una casa di campagna in una giornata di sole, con attorno tanti alberi pieni di frutta, fiori dappertutto, un pozzo in mezzo all’aia, e persone indaffarate ma che si muovono in tranquillità e pace in scambio con una natura madre e non matrigna.
Sull’orlo del pozzo, o su quel muretto che delimita a destra il confine dell’aia,  il cestino di vimini potrebbe starci benissimo.  Magari con un geranio rosso dentro.