La cartolina: i guanti francesi di Lucia

Trentacinque anni fa – di Lucia Bettoni

foto di Lucia Bettoni

Parigi 1950
Ho guardato e riguardato questa immagine
decine di volte nel corso della vita
Ho questa cartolina da 35 anni

Lei e la Senna
Lei e il suo cappello
Lei e il suo vestito
Lei e le sue scarpe
Lei e i suoi GUANTI

Quante volte ho guardato
la sua gestualità e il suo sorriso!

Sensualità, eleganza, nostalgia
Profumo di un tempo passato
Il respiro della femminilità

Un vestito che copre tutto ma
mette a nudo il “dentro”
Non c’è bisogno di mostrare
quando tutto è così perfettamente semplice

Incompatibilità: i guanti di Rossella

GUANTI – Rossella Gallori

Ci incontrammo casualmente, mi accorsi subito della nostra  evidente differenza di mani, le mie grandi, solcate da mille tropici sul palmo, abbronzate di aria chiusa, di polvere mai tolta…mani grosse le mie.

Le tue,  fragili , lunghe dita, falangi delicate, dal colore di un opale australiano, dalle piccole venature leggere, morbide.

….ti accarezzai senza togliermi i guanti

mani da nascondere le mie

 pranzai con i guanti

 cercando di non sporcarli con il creme caramel

venni a letto con te…. con i guanti

Ti salutai da lontano togliendoli, quei paramano inutili

Agitavo il braccio,  finalmente libera

Non ci siamo visti più…

Morbidezza: i guanti di Lucia

Guanti pulcini – di Lucia Bettoni

foto di Lucia Bettoni

Ho qui tanti guanti
li ho indossati tutti
ma sulla mia mano sono rimasti questi:
guanti rosso ramato,morbidi,particolari,
teneri,divertenti, eleganti, vivi

Vi voglio bene piccoli guanti rosso caldo
Vi voglio tanto bene
Vi guardo e so che mi proteggerete
So che mi scalderete il cuore
So che mi darete la forza
So che ci siete
dolci come pulcini
a farmi sorridere

Senza guanti: il tocco di Pablo Neruda

Le tue mani– Pablo Neruda

Quando le tue mani muovono,
amore, verso le mie,
cosa mi portano in volo?
Perché si sono fermate
sulla mia bocca, all’improvviso,
perché le riconosco
come se una volta, prima,
le avessi toccate,
come se prima di esistere
avessero già percorso
la mia fronte, la mia cintura?

La loro morbidezza giungeva
volando sul tempo,
sul mare, sul fumo,
sulla primavera,
e quando tu hai posato
le tue mani sul mio petto,
ho riconosciuto quelle ali
di colomba dorata,
ho riconosciuto quella creta
e quel colore di grano.
Per tutti gli anni della mia vita
ho vagato cercandole.

La bellezza di ridere insieme: i guanti di Stefania

Guanto – di Stefania Bonanni

L’argomento della serata erano i guanti. C’era scritto nella convocazione. Come al solito eravamo stati avvertiti che saremmo stati registrati. Il commissario partì con l’interrogatorio del sospettato numero 12, e le domande, che si sapeva sarebbero state uguali per tutti, sembrarono innocue e generiche. Alla fine delle deposizioni, quando il tenente riascolto’ le conversazioni, scoprì che il teste numero 9 si era tradito. Metteva i guanti per non lasciare impronte.

Bel colpo, commissario Ceci!!

Coppia di amici: i guanti di Laura

I miei due guanti quotidiani – di Laura Galgani

I primi li infilo ancor prima di uscire dalla porta di casa al mattino presto, come ultimo accessorio del mio complicato abbigliamento da ciclista in inverno: sciarpa, piumino, mantellina di lana, cappellino fatto a mano con sopra il caschetto giallo, infine guanti.

Arrivata giù, afferro saldamente il manubrio della bici e mentre nuvolette di respiro sbuffano dalla mia bocca, mi infilo decisa giù per la piccola discesa che conduce alla via principale.

La luce del mattino, a volte nebbiosa, talora dorata, si riflette sui piccolissimi brillantini incastonati nel tessuto pile color tortora.

Quei riverberi mi fanno compagnia lungo tutto il tragitto da casa al lavoro; sembra quasi vogliano essere un faro, una guida per il mio andare su due ruote.

Se mi fermo al semaforo, in genere alla fine del ponte, me ne tolgo uno in fretta e furia per soffiarmi il naso, che inevitabilmente a quel punto del percorso gocciola già.

Me lo rinfilo mentre scatta il verde compiendo manovre azzardate e per poco non casco giù – magari col guanto ben stretto fra i denti!  E continuo la mia corsa inesorabile verso il dovere quotidiano.

Arrivata in vista dell’edificio di cemento armato dagli infissi rossi – quasi degli occhi di brace – nel quale trascorrerò buona parte della giornata, sento il tessuto indurirsi, trasformandosi. I brillantini argentei si allargano, si deformano, si gonfiano, diventano squame di metallo, lucide e affilate ai bordi. E’ questione di attimi: quando arrivo all’alto cancello d’ingresso le punte delle dita sono avvolte da una robusta corazza snodata che mi permette di muoverle agilmente e di stringere ancora il manubrio. Al polso si apre un ventaglio di ferro, freddo e levigato, venato da decori raffinati. Sulle nocche noto dei rinforzi, utili per difendermi in caso d’attacco. Non sento freddo alle mani. Tutt’altro. Sento un calore potente irradiarsi da quelle che sembrano appendici non mie, ma che in realtà ho sempre portato con me. Erano invisibili, prima. Adesso le vedo. Il calore sale, mi invade le braccia, il collo, il volto. La mia testa è un fuoco, mi sento piena di luce.

Sono pronta per affrontare un’altra normale giornata di lavoro.  

Incontro del 10 novembre 2021

I guanti – con Cecilia Trinci

Da sempre presenti nella storia dell’uomo, i guanti sono stati ritrovati anche nelle tombe dei faraoni, con vari scopi e regole per indossarli, modificati nel corso dei secoli.

Indispensabili per le donne di certe categorie sociali, da togliere in chiesa, ma non nei salotti, utilizzati per il freddo, sicuramente, ma non solo.

I guanti sono due, come le mani, possono proteggere o allontanare, difendere o aggredire, possono essere comodi e morbidi o scomodi e duri. Armatura o elemento di eleganza e seduzione.

Non solo accessori di abbigliamento ma anche simbolo e presenza in modi di dire ben radicati nel linguaggio:

calzare come un guanto, pugno di ferro in guanto di velluto, trattare con i guanti, un damerino in guanti bianchi, combattere senza guanti, gettare il guanto (della sfida), raccogliere il guanto.……

Presenti in circostanze varie della vita: in giardino, in sala chirurgica, in cucina….

Di cotone per allergie, di lana per il freddo, di seta o di pizzo per giorni speciali.

Bianchi per cerimonie

Neri per la sera, ma anche in altre occasioni del giorno.

Rossi per la gentile trasgressione.

Gialli, di gomma, per le faccende di casa.

Ruvidi o sottili, con dita o tagliati sulle punte per lasciare libero il tatto, corti, lunghi, addirittura manopole senza dita.

I guanti avvicinano come carezze o allontanano come corazze.

Rappresentano ceti sociali ben caratterizzati, almeno un tempo non troppo lontano o ruoli e mestieri.

I guanti evocano gentilezza e diplomazia, fino ad arrivare al tranello e al tradimento, da cui l’uso di togliere il guanto per “dare la mano”, secondo il miglior galateo.

Si sono estinti come i guanti da estate e i guanti da auto in pelle, senza dita.

I guanti di pekari evocano padri lontani, degli anni ’50.

I guanti si perdono, si dimenticano, rimangono in borsa o in tasca, rimangono soli e spaiati……Si portano o non si portano eppure si possiedono……

Ci sono poi i guanti tecnici: da bicicletta, da boxe, da sci o da trekking, da moto…. e i guanti da teatro.

Ci sono i guanti in lattice di medici o vari operatori sanitari.

I guanti del dolore della pandemia. I guanti della solitudine e della paura.

I guanti trasparenti del supermercato che scivolano e non danno aderenza.

Nei primi cartoni animati di Walt Disney i personaggi avevano i guanti per far guadagnare tempo ai disegnatori dell’epoca, dal momento che le mani sono la parte più impegnativa da riprodurre.

La piuma presagio. In ricordo di Gigliola Franceschini la sua Piuma del 2016

Donna leggera – di Gigliola Franceschini

Accadde una mattina, alle prime luci del giorno. Dopo un’altra notte di respiro pesante, ansia diffusa e sensazioni di inutile lotta, l’aria le sembrò più fine, sempre più fine e cominciò a lasciarsi andare e lasciare il suo corpo ormai inerte al di sotto di sé. Alzò lo sguardo verso qualcosa che l’accarezzava e diventò uno piuma leggera come l’ala di un angelo. Senza peso né pena, sola nell’essenza dell’infinito, sola ma non infelice, si abbandonò all’ultimo abbraccio e finì la sua storia senza lasciare impronte.

Il compagno della sua vita cercò un’ultima cosa di lei in quel groviglio di lini dove si era addormentata, ma non trovò traccia. Forse qualcuno aveva rassettato un po’, ma a lui questo sembrò fuori della realtà e pensò e lo disse che lei si fosse portata via tutto per trasferirsi altrove e non restava niente. L’uomo pensò che fosse una punizione per lui, che non gli spettasse nemmeno l’immagine di lei e sentì che le sue lacrime erano amare, senza conforto. La sua vita continuò senza che nessuno si accorgesse del vuoto che aveva dentro, tanto lavoro, tanti soldi, le solite ferie in agosto.

L’unico segno del suo viaggio interiore fu l’abbandono della pittura, l’altro grande amore della sua vita. Niente marine bruciate dal sole, niente viali alberati, niente più odore di acqua ragia per casa. Tutto fu rinchiuso in un pugno di ricordi.

Restò vivo a metà senza saperlo.

foulard con piume, di Gigliola

Personaggio piuma: Stefania (parte prima)

Mara in su – di Stefania Bonanni

foto Pixabay

Il suo nome era Mara, ma cominciarono presto a chiamarla “Mara in su”. Era una bambina rosa e tonda, con le gote colorate e le mani appiccicose. Faceva merenda sullo scalino davanti alla porta, e guardarla faceva venire in bocca sapore di dolce, lei masticava con un’aria così estasiata che avrebbe potuto sciogliersi come un cioccolatino al sole. La chiamavano in quel modo perché i suoi occhi erano sempre rivolti al cielo. Quando mangiava sembrava in estasi, ma anche in altri momenti si perdeva guardando il cielo. Non parlava molto, o perlomeno non con le altre persone. Tra se’e se’, molti avevano sentito che parlava da sola. In realtà,  ragionava con le nuvole, che le piacevano tanto, con le foglie che coloravano il vento, con gli uccelli che volavano lassù ma capitava che proiettassero la loro ombra vicino a lei, sullo scalino, ed in giorni speciali capitava perfino che si strappassero delle piume e gliele buttassero. Facevano piroette, capriole, sembravano fiocchi di neve, di zucchero, erano cosa dolcissima. E lei guardava e si perdeva. Il resto avrebbe potuto sparire, fu evidente anche agli altri, ad un certo punto. Diventò un problema quando arrivo’ l’eta’ della scuola. C’era vicino al suo banco un finestrone….e lei non resisteva. Guardava sempre fuori, in su, non stava attenta. La spostarono, nulla, sentiva il richiamo, addirittura si girava…………

Personaggio piuma: Nadia

Il mondo in un piumino – di Nadia Peruzzi

foto Pixabay

Tirava vento fuori. I fiori sul terrazzo stavano perdendo un altro bel po’ delle loro foglie. Ogni tanto una folata impetuosa faceva una sarabanda con i pochi petali di geranio che erano sopravvissuti fino a quel momento.
Guardava attraverso la finestra chiusa. Una piuma bianca si era inserita in quel girotondo di verdi, gialli e rossi. Volteggiò leggera in ogni direzione prima di posarsi sul pavimento della sua terrazza.
Era una di quelle piume da indumenti, quelle che sono costrette una accanto all’altra e che ogni tanto fanno capolino fino a che non riescono ad uscir fuori. Forse per vedere il mondo da un’altra prospettiva, chissà!
Alzò gli occhi verso l’alto e capì subito che era uscita da quel giaccone malmesso, di tipo quasi militare, appeso ad asciugare al piano sopra il suo.
Non aveva idea che ci abitasse qualcuno. Venivano solo silenzi da quell’appartamento.
Quel volo inatteso era lo zampino del destino a cui nemmeno credeva?
A vedere come restasse attaccata al pavimento nonostante le spinte e controspinte del vento, le capitò di pensarci senza la sua abituale incredulità. Se non si stacca da lì nonostante tutto qualcosa vorrà pur dire, si disse.
La incontrò per le scale il giorno dopo, la misteriosa inquilina del terzo piano.
Si era aspettata in verità un gigante corpulento, magari con barba incolta e capelli lunghi ma si trovò di fronte una ragazza magra, filiforme anzi, e quasi eterea nella sua espressione trasognata e un po’ persa.
I capelli corti le davano un’aria da bambina. Trasmetteva candore. Questo la fece tornare col pensiero a quella impalpabile piuma che aveva visto volteggiare fino al suo terrazzo. Un segno, sicuramente.
Le concesse un saluto rapido e sfuggente. Era quasi brusca nei modi, ma le sembrò una maschera indossata al momento per non cedere alla tentazione di fermarsi a parlare con lei.
Solo lo sguardo che si intravedeva sotto la frangetta da adolescente era adulto, di quelli che hanno già visto molto, anzi troppo e di ciò che non si vorrebbe né dovrebbe vedere.
Provò a cucirle addosso una professione, ma senza successo.
La scoprì per caso, all’edicola dove comprava i giornali. Su un quotidiano a tiratura nazionale c’era una sua foto di corredo ad una sua intervista.
Era rientrata da pochi giorni da uno dei teatri di guerra sparsi per il mondo. Nelle sue parole i drammi, il dolore, le distruzioni,  l’orrore che non risparmiava nessuno. Nemmeno i bambini.
Quell’intervista la toccò profondamente. La sconvolse. Nel suo piccolo mondo queste cose non arrivavano. Era uno dei tanti, troppi, che preferivano ignorare e non vedere .
In fondo erano paesi così lontani che gli incendi distruttivi delle loro comunità potevano esser lasciati scoppiare e bruciare nell’indifferenza collettiva. Questo spesso il senso purtroppo comune a moltissimi e fino a quel momento anche a lei.
Si incontrarono nuovamente pochi giorni dopo. In strada davanti al portone. La ragazza aveva uno zaino in spalla, il suo giaccone informe addosso. Stava partendo di nuovo, le disse.
La ringraziò per la sua intervista. Per averle fatto capire molto su situazioni di cui sapeva poco o nulla e che spesso si preferiva tenere sotto traccia nei media più popolari. La salutò con un calore che riuscì a stupirla. Era come se stesse salutando un’amica di vecchia data.
L’abbraccio che le diede fu spontaneo.
“Sei sincera”, le disse!
“ Metti umanità in quello che racconti. Si sente che ti preoccupi veramente del destino e delle condizioni di popoli che sono considerati poco o nulla nei giochi dei potenti. Vorresti che non accadesse ciò che sei costretta a registrare per poi raccontarlo. E racconti perché si possa aprire una speranza di successo per chi nel mondo combatte le ingiustizie e vorrebbe bandire con ogni mezzo la barbarie di ogni guerra. Mi hai fatto aprire gli occhi e non potrò mai ringraziarti abbastanza.   Abbi cura di te. Scrivi, scrivi molto in modo che io e tanti altri come me possiamo comprendere meglio e conoscere ciò che spesso ci passa accanto come se non significasse nulla e non dovesse importare a nessuno!”
Ricambiò l’abbraccio con altrettanto calore e si incamminò sparendo nella luce del mezzogiorno.
In terra era rimasta un’altra di quelle piumette che il giaccone logoro ormai tratteneva a fatica. La prese in mano. Era soffice, tiepida e delicata. Prometteva un ritorno che sapeva avrebbe aspettato con ansia.

Personaggio piuma: Carmela

Non era un sogno – di Carmela De Pilla

Foto di Yuri_B da Pixabay

Quando arrivò era un bambino timido, con lo sguardo già adulto e le spalle ricurve dal peso della sua storia, i suoi grandi occhi neri e impenetrabili non lasciavano intravedere alcuna emozione, era diventato molto abile a nasconderle tanto che nessuno immaginava quanto fosse immensa la sua solitudine.

Da quando aveva lasciato il Brasile si sentiva sempre nel posto sbagliato, ancora di più quando varcò la soglia di quella casa sconosciuta, tutte quelle persone in piedi nella grande sala che spargevano sorrisi e carezze lo mettevano a disagio, avrebbe voluto essere una piuma, leggera e innocente per poter volare lontano, volteggiare spensierato tra le nuvole e lasciarsi accarezzare dall’aria gelida per capire che non era un sogno.

Una mano affettuosa gli accarezzò i suoi neri capelli di velluto e un sorriso accogliente gli scaldò il cuore e per un attimo percepì un’emozione sconosciuta.

Era stato adottato all’età di nove anni e da un orfanotrofio brasiliano si ritrovò in una bella casa in collina alla periferia di Firenze circondato da persone che davvero gli volevano bene.

Ci volle del tempo per sostituire i suoi vecchi stracci con vestiti nuovi e sempre più colorati e così pian piano incominciò a dipanare la sua storia per tesserne  una nuova e una forza irrefrenabile lo spinse sempre di più a riconoscersi e a ritrovare se stesso.

Dimostrò subito di avere una tenacia sorprendente, un’energia vulcanica lo spingeva ad affrontare la nuova vita con curiosità e meraviglia così in breve tempo imparò l’italiano e diventò amico di tutti, dai suoi pori sprigionava quell’innato spirito brasiliano allegro e festoso, lo si vedeva da come camminava, sembrava che ballasse seguendo un ritmo che gli batteva nelle vene.

La tenacia dentro la piuma

Tenacia – di Carmela De Pilla

Sarà il caso?

Forse…

Sarà quell’innata forza che smuove il groviglio delle emozioni e degli eventi?

Forse…

Sarà quel gene scolpito nel sangue fin dai tempi lontani?

Forse…

O sarà tutto questo?

Ogni volta che devo fare i conti col destino incontro la tenacia, sempre più decisa, più ostinata, penetra dentro con una  forza prepotente che a volte mi divora e mi logora finché non è soddisfatta.

Sono alla sua mercé, quasi soggiogata, come un servitore obbediente eseguo gli ordini senza opporre resistenza e vado avanti coraggiosa e temeraria finché non raggiungo la meta, poi appare la luce e mi sento viva. 

Piuma flash

Piuma tra le piume – di Carla Faggi

Piuma tra infinite piume

ci lasciamo  trasportare da sospiri

per caso mi posano da mamma Elena e babbo Vasco

ho avuto tanta fortuna

l’altra piumettina di colore diverso dal mio che avevo vicino

si dice che per caso sia stata sospinta in un continente grande e lontano che si chiama Africa

speriamo che anche lei abbia tanta fortuna

Personaggi piuma: Simone

CANDORE – di Simone Bellini

Mi sei passata davanti leggera, ondeggiando al vento, trascinando il mio sguardo meravigliato dal tuo leggiadro candore, mi sei venuta incontro con piccole allegre piroette e ti sei seduta accanto a me, il tuo candido sorriso armonioso si posò sui miei occhi come un dono della vita.

Mi scusi la disturbo se mi siedo qui accanto a lei ? – Era una bella ragazza, sui venticinque anni, una donna ormai, aperta alla vita, senza timore di affrontarla, certa di dominarla, rispettandola.

 Le sorrisi annuendo- Prego !-

-E’ una giornata così bella che invita ad una pausa ristoratrice per godersi questo sole, questa bell’aria fresca e questi meravigliosi colori autunnali. Che bellezza!!! – continuò lei – Questi momenti sono sempre più rari, non perché non ci siano tutti i giorni , ma perché non abbiamo più il tempo per accorgercene, apprezzarli !-

Aspirò profondamente l’aria frizzantina del mattino alzando le braccia, congiungendo le mani dietro la nuca, chiuse gli occhi ed accompagnò il tutto con un sorriso.

Che bella la gioventù se la si sa godere !

Se riesce a trasmettere questa gioia ad un vecchietto come me, che un minuto fa si arrovellava nella tristezza dei ricordi di una vita senza più speranza.

– Giulia, mi chiamo Giulia –tendendomi la mano

– Sandro – dissi accogliendo la sua mano tenera ma decisa – Hai proprio ragione sai, avevo smesso di apprezzarli questi momenti e non me ne sono accorto ! Con tutto il tempo a mia disposizione, ho lasciato che la monotonia ingrigisse la mia vista. Poi sei arrivata tu ed hai tolto quel velo, donandomi tutti i colori del mondo, festanti nei miei occhi. Grazie per questo !

Io ? Io non ho fatto niente! Forse ti ho trasmesso un po’ del mio entusiasmo ! Se è così sono contenta, tienilo stretto, coltivalo e se puoi trasmettilo per migliorare il mondo.-  Si alzò allegramente e piegandosi verso me mi diede un bacino sulla fronte – Ciao nonnino ! –

 La guardai allontanarsi con una lacrima di commozione.

Un colpo di vento e la piuma accanto a me riprese a volteggiare leggera, armoniosa nell’ aria frizzantina di un giorno autunnale !

Personaggi piuma: Anna

Il vagabondo – di Anna Meli

Foto di cocoparisienne da Pixabay

            Nell’aria una piuma leggera si muoveva nel vento, a tratti sembrava fermarsi per riposare per poi riprendere il volo come dopo un breve respiro. Vagava nell’aria libera e leggera ma, nello stesso tempo, dipendente da qualcosa che non si vedeva e che condizionava i suoi movimenti. Danzando nel sole mostrava tutto il suo candore e la sua eleganza; accarezzava l’aria, precipitava e si rialzava nel tentativo di non cadere al suolo, si riabbracciava con tenacia al vento e continuava a volare.

            C’era qualcuno che la osservava ospite di una panchina di quel giardino di periferia. Non sembrava avere l’aria di un disperato, ma di uno ormai abituato a quella vita di vagabondo. I raggi di un pallido sole d’autunno lo avevano svegliato. Si era alzato stiracchiandosi le membra indolenzite e sfregandosi le braccia per comunicarsi un po’ di calore.

            Quella piuma volteggiante gli era venuta incontro quasi a sfiorargli il viso e lui aveva soffiato per ridarle forza, quella forza di cui ora lui aveva estremo bisogno. Aveva fatto una scelta che chiunque avrebbe giudicato avventata. Ma chi erano quei chiunque? Nessuno, non erano nessuno!

            Imprigionato nella vita frenetica in cui la moderna società lo aveva costretto facendolo vivere in continua competizione con tutti i suoi “ chiunque”, si era ribellato e aveva scelto la sua “libertà”.

            Un mattino con l’indispensabile chiuso in uno zaino era partito verso l’ignoto, verso una vita diversa. Non voleva pensare, ma solo abbandonarsi al caso. Ci sarebbe riuscito? Chi lo sa?

            Socchiuse leggermente gli occhi per ripararli dalla luce del sole e continuo ad osservare quella piuma bianca e leggera che gli era venuta incontro. Respirò profondamente e si sentì libero.

La piuma in volo

PIUMA – di Nadia Peruzzi


Le foglie quasi le arrivarono sul viso spinte da un colpo di vento impertinente.
Riuscì a scorgere a malapena, in mezzo ai gialli e agli arancioni resi vivi dai raggi del sole autunnale, la minuscola piuma candida che liberata dal peso che la schiacciava a terra aveva cominciato a danzare nell’aria.
Sembrava senza gravità, quasi immateriale per come volteggiava senza dare accenni di stanchezza o di caduta.
Era leggiadra nei suoi movimenti e tenace al tempo stesso.
Chissà chi l’aveva persa e dove era diretto il suo volo.
Alzò gli occhi verso l’alto. La V della formazione era magnifica nella sua perfezione.
Si muoveva verso orizzonti e paesi lontani con voglia di tornare appena la stagione lo avesse permesso.
La piuma finalmente planò sul palmo della sua mano come una carezza.
La prese con sé come fosse un saluto o la promessa di un incontro ravvicinato in un futuro non lontano.

Il grande Caso

Casualità e tenacia – di Sandra Conticini

Per lei non era una persona qualunque. Lo aveva incontrato per caso in una sua passeggiata solitaria  alla ricerca di un po’ di leggerezza, che trovava soltanto a contatto con la natura. Quando poteva andava  in quel prato al sole, con il suo panino,  un pò di musica e li stava bene perchè c’era tanta pace e tranquillità.  Quel giorno, quando si accorse di non essere sola, si alzò di scatto impaurita. Trovò davanti a sé un uomo che  la salutò cordialmente. Era una persona di mezza età, alto,  magro con un bel sorriso. Gli piaceva viaggiare, amava l’arte, la musica, il teatro, faceva lunghe camminate in montagna. Insomma una persona dai mille interessi e le sembrò una persona normale, cosa non facile, lei che aveva conosciuto persone sempre molto particolari,  era giunta alla conclusione che si trovava bene solo con sé stessa. Gli amici l’avevano tradita, non credeva più nell’amicizia, e nel tempo libero si trovava  sola e i pochi interessi che poteva coltivare li aveva abbandonati.

Si vedevano spesso su quel prato, passavano ore a parlare, ridere e scherzare, perchè Gianni era una persona veramente piacevole, ma lei non  dava segno di cedimento,  non aveva fiducia in nessuno ormai. Andarono avanti così per diverso tempo. Lui era un tipo molto tenace, non lasciava andare la sua preda, ed ebbe ragione perchè la casualità di quell’incontro fece nascere un amore che  durò nel tempo.