Ho paura ma vorrei….: Patrizia

Che fine hanno fatto i riflessi della sera – di Patrizia Fusi

Sento il mio corpo che sta cambiando, che dura più fatica a fare tutto, la mente alcune volte mi tradisce e questo mi turba e mi fa paura, sento una leggera malinconia dentro di me, come quando ero piccola e vedevo l’ombra degli alberi nel tardo pomeriggio, io le chiamavo le ombre lunghe, producevano struggimento e malinconia dentro il mio piccolo cuore di bambina, perché voleva dire che il giorno stava finendo e si avvicinava la notte e non si poteva più giocare. Se ero dai miei zii sentivo la mancanza struggente di casa e della mia famiglia,  è la stessa sensazione che provo in questo periodo dentro di me, mi sento nel settembre della mia vita.

Mentre camminavo lungo il borro e facevo queste riflessioni sul mio stato d’animo mi è venuto in mente quel giovane alto e biondo, sempre in compagnia del suo cane: è da questa estate che non li incontro, ho provato il desiderio di sapere dove fossero andati. Questo giovane bello come un arcangelo deve avere dei problemi di comunicazione con le persone, ho notato in varie occasioni strani comportamenti: riesce a comunicare solo con il suo cane.

Lo lascia libero di andare dove il vuole, lui lo segue sempre.

 Il cane si avvicina anche alle abitazioni, lui lo segue, non ho mai visto il giovane salutare o parlare con qualcuno.

Un giorno, mentre camminavo, il cane mi è venuto incontro tranquillo, mi ha annusata, come avesse voluto dire, “guarda come sono affabile io e anche il mio padrone è dolce come me, ma non riesce a comunicarlo te lo dico io per lui”.

Mi sono chiesta dove fossero andati, spero tutto bene per l’arcangelo biondo e per il cane. Sarebbe una gioia rincontrali.

L’altro desiderio che provo in questo periodo è quello di liberarmi di alcuni oggetti che sono in casa, mi sento stretta fra loro, e come mi soffocassero, non hanno più importanza o forse mi rendo conto che non riesco più a tenerli in ordine essendo rallentata nel fare le cose, cerco di scegliere, di dedicare il mio tempo a cose che mi piacciono di più, come quello di stare con le persone.

 Non riesco a gettarli, perché sarebbe come cancellare un po’ del mio vissuto.

Quando riesco a farlo sono sempre piccole quantità.

Se sono oggetti buoni li porto ad alcune associazioni.

Forse è la mia infanzia di ristrettezze che fa capolino.

Non riesco staccarmi dagli oggetti, inconsciamente penso che possono essere ancora utili.

Vorrei….: Mimma

DESIDERIO DIVERSO – di Mimma Caravaggi

foto pixabay

Mi piacerebbe molto volare. Librarmi leggera in aria non troppo in alto ma abbastanza per dare un’occhiata in giro, posandomi su tetti ed alberi per riposarmi e poi ricominciare a volare con la leggerezza di un velo da sposa o con le stupende movenze di una manta. Un grande desiderio, forse per immaginare di alleggerire un po’ tutto questo peso che mi porto addosso da così tanti anni che non riesco più ad immaginarmi normale, eppure lo sono stata a costo di tanti sacrifici per tante diete lungo tutto il percorso della mia vita. Penso di aver iniziato a fare diete fin da quando ero in pancia. Infatti sono nata molto minuta, le mie sorelle insieme ai miei cugini  si divertivano  mettermi nella carrozzina delle bambole, incredibile  vero ? Poi con lo sviluppo e dopo l’operazione delle tonsille, sono cresciuta molto in altezza iniziando però anche ad ingrassare. Per cui, sì, mi piacerebbe molto volar leggera spostandomi in ogni dove visitando posti e paesi senza paure terrene che hanno sempre impedito la mia libertà e sicurezza. Potrei in alternativa visitare qualche bel posto sott’acqua dove la mancanza di peso è esemplare ma è certo più temibile dell’aria.

Vorrei ….: Stefania

Un giorno tutto per me – di Stefania Bonanni

Vorrei un giorno tutto per me, tutte e 24 le ore.  24 ore per stare da sola, e leggere tutto il tempo, senza interruzioni, ed essere capace di leggere tanto, di finire le vicende che ho a metà da un po’, di camminare col pensiero su altre strade, di incontrare sconosciuti di cui so tutto perché l’ho letto, di viaggiare nel Messico di Frida, di sognare ribelli, di partecipare a rivoluzioni, di conoscere Garibaldi a Montevideo, ed anche Anita, di rileggere di Vronsky e di Anna Karenina, e magari salterei la fine. Vorrei vivere di più,  Come succede quando si legge,  e conoscere parole altre, e ricordarmele tutte, e sentirmi riempita di mondo, di storie, di vita

Volevo….: Rossella

Volevo chiamarmi Giordana – di Rossella Gallori

Premesso che quello che desidero davvero non lo direi nemmeno sotto tortura, pensando poi che desiderare quello che non si ha non è peccato, riflettendo, poi, che poteva andarmi peggio…sempre…

Alla mamma l’avevo chiesto per ben nove mesi.

L’ho gridato con il mio megafonino immaginario:

 voglio chiamarmi Giordana

Voglio essere bionda ramata, una massa di riccioli.

Voglio avere gli occhi bleu.

Voglio essere moooolto intelligente.

Mooooolto sorridente.

Moooolto istruita già dalla nascita.

Voglio avere una casa bellissima, grandissima, tutta MIA, solo MIA.

Una ricca da far invidia……

Voglio, voglio…

…forse mi sarei accontentata di chiamarmi, se non Giordana, anche Georgia…

Più che altro non avrei voluto una mamma “sorda”

Una che ha partorito un fagotto piombato di 5kg e mezzo…chiamandola poi ROSSSELLLLAAAA

E ritonfa Via col ventooooo.

Volevo chiamarmi GIORDANAAAAAAAAAAA

Vorrei…..: Lucia

Un desiderio leggero – di Lucia Bettoni

Foto di Lucia Bettoni

Desiderio di leggerezza
un immenso bellissimo desiderio
di leggerezza
Vorrei accompagnare per mano
quella parte di me
che freme per ballare
che freme per volteggiare
come una piuma, come una foglia
con il sorriso più bello sulle labbra
Camminare a un metro da terra
in un ambiente naturale primordiale
Accarezzare un gatto, annusare un fiore
meravigliarmi di ogni bellezza
Incontrare altri esseri umani
che fanno il mio stesso percorso
anch’essi leggeri, con le mani morbide
e i vestiti comodi, con le scarpe senza
tacco per spiccare il volo in una corsa
verso il prato più verde
Vorrei incontrare due occhi e una
bocca bella e sciogliermi in
un bacio dolcissimo e andare avanti
Questa non è la sensazione di un sogno,
è la sensazione di benessere
dove niente ha un prezzo
dove niente si può comprare
Ciò che si può comprare ha sempre
un peso e io non desidero nessun peso

Ti ricordi quando eri in piedi sulla grande pietra in quel bosco così vicino a casa?
Esattamente così mi vorrei sentire:
in piedi sulla grande pietra sulla collina

Avrei voglia….: di M.Laura

Una casa in campagna – di M.Laura Tripodi

Pixabay foto

Avrei voglia di vivere in una casa di campagna.

Vorrei leggere un bel libro seduta su una sedia a dondolo davanti ad un camino acceso.

Vorrei potermi distrarre dalla lettura  per osservare il danzare delle fiamme  e le ombre che si muovono sulle pareti come guidate da una bacchetta magica.

Vorrei guardare l’arrivo del buio che come una marea inarrestabile finisce col  fondersi con il prato che circonda la casa.

Vorrei osservare la neve che cade lenta e avvolge tutto nel suo magico gelo e poi distogliere lo sguardo per farmi accarezzare dalla luce e dal calore del camino.

E’ un’immagine povera a me particolarmente cara perché evoca pace, silenzio, semplicità.

So che non realizzerò mai questo desiderio ma la sua forza è tale che a volte mi sembra di sentire il crepitare delle fiamme e l’odore pungente della legna che brucia.

Suggestione dedicata a Vanna

Il gomitolo – di Cecilia Trinci

Vorrei riavvolgere in un gomitolo solo, sfilacciato dalle giunte e dai nodi, tutta quanta la vita che ho passato. Vanna dice che “bisogna studiare quello che accade nel tempo per capirlo”

Sarebbe un gomitolone goffo, un po’ di filo grosso e un po’ di filo fine, colori a chiazze, dal rosso al verde, passando per pozze grigie e a strisce bianche e blu. Vorrei avvolgere il filo e arrotolarlo, passando dai giorni verdi, con i bambini brutti e belli, i loro sorrisi aperti sui denti nuovi, i pantaloni corti sulle ginocchia rosse, gli “indiani” con le penne di pollo tra i capelli. Rivedrei quella frangia solita. F di frangia e di farfalle, di ferro e fuoco e di follie e falene, fossi e fantasmi.

Rivedrei la suora con gli occhiali, la stufa in classe senza caldo e la mia, in  casa, rossa di fuoco nella cucina piena, mio nonno biondo con grandi mani  tremule, mia nonna che canta mentre cuce.

Il filo corre e struscia sopra i nodi. Chissà se mi vorrei rivedere davvero tutta intera, se il filo potrebbe reggere a rivedere il dolore e la paura. Se avrei il coraggio di salutare ancora la mia mamma e di nuovo di lasciarla andare. Se avrei il coraggio di ritornare indietro.

Chissà di che colore è il filo di quando ho partorito una bambina bella. Un po’ per vivere e un po’ per dimenticare. Non ho pensato a nessuno in quel momento e a niente. Solo a lei e a me che vivevo.

Poi il filo si è sporcato, intrugliato, spezzato. Eppure lo annodo e lo annaspo nel gomitolone grosso come un sacco di iuta da caffè. E giro il filo che diventa blu.

Non sembrava di sentirsi stanchi quando la porta si chiudeva sul palcoscenico dei giorni, la sera, ogni sera, contro la luna piena. Il filo scorreva e diventava fucsia e giallo e argento e viola scuro….

Si fa quasi fatica ora ad annaspare il filo, a girarlo in una palla grezza. Son gli ultimi giri magari, chissà, e prima di finire il filo mi viene voglia di buttare il gomitolo giù, verso il fiume dove vanno a giocare i nipotini……..lanciarlo e lasciarlo rotolare e…. guardarlo correre ….per inseguirlo, sotto un cielo blu.

Vorrei…: Carla

Vorrei …..- di Carla Faggi

Vorrei essere una donna atletica, una che corre, che nuota, che scia.

Non ho mai corso nella mia vita neppure da bambina, potevo e posso al massimo camminare velocemente.

Ho fatto mille corsi di nuoto, da bambina, da adolescente e da adulta: promossa con il 5– ora sto nell’acqua anche dove non tocco, ma la testa rigorosamente all’aria.

Odio la neve, è umida, appicicosa, si può facilmente scivolare.

Avrò mai provato a sciare? Si! noblesse oblige se lo fanno tutti i tuoi amici.

Ci sarò riuscita? Assolutamente No!

Eppure nell’immaginazione sogno di essere atletica, sportiva.

Alta, snella, perchè così sono questo tipo di donne.

Pantaloni aderenti, glutei sodi, capelli al vento, abbronzatura da vera donna fitness.

Naturalmente elegantissima con completino da neve griffato, magari rosso, o forse va bene anche giallo.

Sorridente sempre, denti bianchissimi.

Perchè così sono le donne sportive!

Incontro 17 novembre 2021 – Il desiderio nascosto

con Cecilia Trinci

Da La Storia Infinita di Michael Ende:

“I desideri non si possono evocare, né soffocare a piacimento. Essi nascono dalle profondità più remote del nostro animo, più nascosti di ogni altra intenzione, siano essi buoni o cattivi. E a nostra insaputa.”

“Si può essere perfettamente convinti di desiderare una cosa, magari per anni interi, fintanto si sa che il desiderio non è realizzabile. Ma nel momento stesso in cui, all’improvviso, ci si trova di fronte alla possibilità che esso si trasformi in realtà, allora non si ha più che un solo desiderio: non averlo desiderato mai,”

“FA’ CIO’ CHE VUOI: questo vuol dire che posso fare tutto ciò che mi pare? NO! Vuol dire che devi fare quel che è la tua vera volontà e nulla è più difficile.”

DESIDERARE è una parola senza anagrammi, unica, deriva dal concetto di “stelle” (sidera, latino), alla lettera significa interrogare le stelle.

Il desiderio è qualcosa di legato alla volontà di fare, ma anche al sogno ineffabile, è una guida e uno stimolo a proseguire. Distinto da obiettivo, è legato alla parte più segreta di noi. Spesso il percorso che facciamo per realizzare un desiderio è più affascinante della sua realizzazione.

Personaggio guanto: Paolo, di Nadia

Il personaggio guanto – di Nadia Peruzzi

pixabay foto


Si erano incontrati in una fredda giornata di inverno, luminosa e piena di sole.
Il vento forte sollevava turbini di polvere e di foglie secche orfane i qualcuno che si occupasse di loro e le raccogliesse.
Una folata più forte delle altre fece volare via il suo cappello e Lucia dovette fare una piccola corsa per recuperarlo prima che un giovanotto che stava arrivando con passo svelto e deciso, lo calpestasse.
Riuscì ad arrivare per prima. Lui quasi la travolse. Si guardarono non appena lei si alzò dopo aver raccolto il suo cappello.
Si piacquero al primo sguardo.
Aveva occhi caldi e profondi, Paolo. Occhi che fanno sognare orizzonti lontani e luoghi magici. Un sorriso aperto e accattivante e modi gentili. Emanava una sensazione di protezione nella quale era facile perdersi sentendosi fin troppo coccolati.
Sembrava uscito da una sartoria di gran moda, per come era vestito. Lucia, che era solita stilare classifiche di chiunque incontrasse, non ebbe dubbi. Lo collocò ai primi posti, quelli che destinava ai migliori incontri, e alle migliori occasioni che la vita riusciva a regalarle di tanto in tanto.
Conoscendolo meglio, dopo che al primo incontro del tutto fortuito ne erano seguiti altri voluti, cercati, attesi con impazienza crescente, Lucia aveva dovuto ammettere con sé stessa che le immagini colorate e le fantasiose elucubrazioni che aveva proiettato su schermo gigante,  risultavano un filino esagerate. Fu un attimo e anche le sue aspettative subirono un tracollo sotto l’incalzare della realtà che si prendeva la rivincita sui suoi sogni ad occhi aperti.
Quello che di primo acchito le era sembrato un rampollo dell’alta società dai bei modi, educato, divertente senza essere lezioso, altro non era che un impiegato del catasto di livello medio basso e questo ci poteva stare, in fondo. Mica giudicava gli uomini dai lavori che facevano o dalla posizione sociale che occupavano. Il problema era un altro. Paolo era così dentro la sua parte da non riuscire a liberarsi, anche con lei, del suo piglio di burocrate, perfettino, attento alle minuzie, ai punti, alle virgole e pure ai punti e virgole.
Al ristorante guardava e riguardava il conto e aveva sempre da obbiettare col cameriere per qualcosa che non andava secondo lui. Una volta si fece addirittura portare nuovamente il menù per verificare voce per voce rispetto a ciò che avevano ordinato.
Una situazione di grande imbarazzo a cui non era abituata e alla quale non si voleva abituare di certo. Quell’uomo le piaceva, ma quel suo fare da precisino cominciava a disturbarla parecchio.
Anche le sue attenzioni, prese per calde e protettive all’inizio, si fecero fin troppo avvolgenti tanto che finirono per sembrarle addirittura soffocanti.
Aveva cominciato a riprenderla sempre più spesso mentre lei parlava.
La correggeva come si fa con i bambini. Come se lui fosse un maestro di cui si dovesse seguire la scia perché aveva sempre e comunque ragione su tutto.
Molte volte criticava il suo modo di vestire, cercando di piegarla al suo stile senza tener conto della sua volontà.
Cercava di schiacciarla per farne una persona diversa da quella che era.
Lucia aveva cominciato a tormentarsi così tanto da vederselo apparire anche in sogno mentre la rimproverava per qualcosa che aveva fatto o detto. Una volta le apparve come una sciarpa pitone avviluppata al proprio collo e via via più stretta.
Fu quando, una domenica sera,  le apparve trasformato, per effetto di una metamorfosi alla Kakfa, in un enorme paio di guanti pronti a ghermirla alla gola che non stette a pensarci due volte.
Non rispose più alle sue telefonate. Cancellò il suo numero dalla rubrica del telefono, mettendogli un blocco appena vide che la stava chiamando con insistenza. Pensò a lui tutto sommato per poco tempo. Quanto le bastava per imparare a non ricadere di nuovo dentro una situazione come quella.

Guanti da Piccola Fiammiferaia: i guanti di Nadia

I guanti di Nadia – di Nadia Peruzzi


All’apparenza sono guanti poveri e da poveri. Te li puoi immaginare alle mani di Elisa Doolitle mentre vende i suoi mazzolini al Covent Garden o a coprire malamente quelle della Piccola Fiammiferaia ormai allo stremo delle sue forze .
Non te li immagini certo di corredo per signore che vestono firme e sono avvolte in nuvole glamour.
Sembra che sia finita la lana mentre qualcuno li stava confezionando e non avesse nemmeno un soldino per comprarne ancora e portarli a termine.
Guanti incompiuti insomma, eppure assolvono ben alla loro funzione. Avvolgono e proteggono gran parte della mano e hanno il pregio della praticità. Non impediscono di sentire e farsi sentire. Essenziali per chi voglia imbracciare una macchina fotografica scattando foto anche col sottozero! 

Personaggio guanto: Pino, di Carmela

Pino – di Carmela De Pilla

foto pixabay

Forse non era stato bello nemmeno da giovane e sicuramente con l’età che avanzava era diventato ancora più brutto.

Non troppo alto né troppo grasso, i capelli sempre arruffati di un colore rosso sporco e sul viso stretto e lungo ricoperto da una barbetta incolta si affacciavano due occhietti insignificanti.

Nel quartiere tutti si chiedevano come avesse fatto la Nina a sposarlo, lei così carina e sempre con la battuta pronta! Quando lo incrociavo dal fornaio avrei fatto volentieri fatto a meno del pane pur di non incontrarlo.

Sapete di quelli che hanno l’ironia sotto le suole delle scarpe, ma che vogliono essere simpatici a tutti i costi?

Ecco, lui  era proprio così! Appariva ancora più antipatico quando ad ogni sua freddura seguiva la sua risata sguaiata.

Ma più che per la sua bruttezza e la sua antipatia tutti parlavano di Pino per quell’assurda vanità che come un marchio indossava dalla primavera fino all’autunno.

Non appena si sentiva il primo caldo tirava fuori dall’armadio un paio di guanti, ormai vecchi anch’essi, di quelli senza dita, da auto o da moto, di cotone avorio traforato sul dorso e il resto di pelle marrone chiaro che lui sfoggiava in ogni memento della giornata così da accentuare ancora di più il contrasto tra la sua figura trasandata e quella nota di eleganza fuori posto.

La mattina lo incontravo spesso mentre portava a spasso il cane e non appena mi vedeva esasperava quel lasciarsi trascinare dal guinzaglio per mettere ancora più in evidenza il guanto come fosse un trofeo.

Quante volte mi sono detta “ Povera Nina!”

Carezze: i guanti di Carmela

Morbida pelle -di Carmela De Pilla

Fanno fatica a muoversi le dita diventate col tempo troppo cicciottelle e rugose, manca l’aria lì dentro, si sentono prigioniere, quasi soffocate, vorrebbero liberarsi da quella stretta, ma poi si lasciano andare…sanno che lì sono protette e al sicuro e la mano avvolta da una morbida pelle rossa , scorre sul tuo viso in un gesto rassicurante, ignara di questa costrizione e ti lascia una morbida carezza.

Non importa se all’interno c’è una mano ormai vecchia, sofferta, stanca…è però una mano sicura, pronta a proteggerti e a sfoggiare un’insolita raffinata eleganza.

Calore di gatto: i guanti di Anna

GUANTI – di Anna Meli

            Ricordo vari guanti che ho avuto fin da piccola: muffole con solo il dito pollice, guantini bianchi della prima comunione, lunghi in raso delicato delle nozze, ancora lunghi rossi di lana dono di un’amica cara di un lontano Natale.

            Attualmente ho solo due paia di guanti di lana neri caldi e morbidi. I miei preferiti hanno sul dorso la faccia di un gatto, il mio animale adorato. Occhi verdi con pupilla allungata e baffoni bianchi.

            Li notai l’anno scorso in uno di quei negozietti dove si trovano le cose più strane e li comprai perché mi ricordarono il mio bellissimo Gatto Nero scomparso misteriosamente, cercato e ricercato senza risultato. Era dolcissimo e liscio come un velluto e quei guanti me lo ricordano ogni volta che li indosso e li accarezzo cercando quel calore che lui mi dava.

La cura delle mani: i guanti di Patrizia

Difesa – di Patrizia Fusi

Guanti come difesa da sostanze irritanti, mani malate da dermatite da contatto, la pelle irritata irta come una grattugia, mani secche doloranti non adatte ad accarezzare.

Lentezza a indossarli e difficoltà, protezione, movimenti difficoltosi perdita del tatto, cercare di imparare ad avere un nuova sensibilità nelle mani, imparare ad afferrare le cose senza farle cadere, sensazione strana nel tenere la penna fra le dita.

Sentire le mie mani come in una corazza, l’uso dei guanti col tempo mi hanno fatto guarire, come segno di quel brutto periodo mi sono rimaste delle scanalature sulla pelle, ma ora sono morbide e pronte alla carezza.

Grazie anche a quella corazza di guanti, ora non ho bisogno di indossarli: ne sono felice.

Protezione e utilità: i guanti di M.Laura

I guanti – di M.Laura Tripodi

Non amava i guanti. Come i cappelli le ricordavano la signora Regina, benestante della posta accanto che non sarebbe mai uscita senza quegli accessori. 

Quando la vedeva apparire nello specchio della porta i suoi occhi si riempivano di stupore: la signora era sempre molto elegante e lasciava dietro di sé una scia di profumo che poco aveva a che vedere con l’odore del sapone con cui sua madre la strofinava energicamente.

Guanti e cappello rappresentavano  simboli di un mondo diverso e sconosciuto.

Irraggiungibile.

Invece no.

FORSE NO.

Forse fu per quello che crebbe con una gran voglia di bello, con un gran bisogno di eleganza, con l’entusiasmo di dover raggiungere obiettivi apparentemente impossibili.

Non volle guanti nemmeno il giorno del matrimonio. Eppure era un gran freddo!

Semplicemente non ci aveva pensato e stranamente nessuno glielo aveva suggerito.

Poi accadde che durante una lunga passeggiata sulla neve fu sorpresa da una tormenta.

Aveva le mani intirizzite e quasi non riusciva più a stringere i bastoncini.

Una sua amica, sempre prudente ed equipaggiatissima, le prestò un paio di North Face.

La sua antipatia per i guanti non se ne andò però rimase la riconoscenza per quel tiepido involucro che non fu mai restituito alla legittima proprietaria.

Guanti che proteggono, ma impediscono il tatto

Guanti che rappresentano un mondo antico di feste luminose e gran bella gente.

Guanti da lavoro simbolo di fatica

Guanti da chirurgo simbolo di vite salvate

Guanti da armatura

Guanti di una vecchia pubblicità: Petrus Boonekamp, l’amarissimo che fa benissimo.

L’immagine era quella di un pugno inguantato nell’acciaio che si abbatteva violentemente su un tavolo.

Niente a che vedere con i guanti di velluto della signora Regina.

I personaggi: l’uomo guanto di Carla

L’uomo guanto – di Carla Faggi

foto Pixabay

Lo evitavano tutti, era fastidioso  attaccava bottone e non smetteva più, parlava, parlava, si lamentava.

Anche chi si prestava ad ascoltarlo dopo un po’ si doveva dipanare per allontanarsi perchè la sua era una invadenza anche fisica, si avvicinava quasi a toccarti e tanta era la veemenza delle sue lagnanze che il suo fiato ti bagnava e ti stordiva.

La gente del quartiere lo chiamava l’uomo guanto perchè se non potevi evitarlo e si inseriva nel tuo tempo e nel tuo spazio difficile era toglierselo di dosso, occorrevano mille acrobazie e dipanamenti per riuscirci. Proprio come un guanto che ti sta stretto.

Eppure Ettore era una brava persona, cercava solo un po’ di attenzione dopo la morte della moglie, santa donna , lei si che gli calzava proprio come un guanto della sua misura. Era perfetta per lui.

Ora ,solo, si sentiva semplicemente spaiato.

Non solo guanti: un “elefantuz” nascosto in muffole di bimba (Rossella)

Non solo guanti – di Rossella Gallori

Le mie mani cicciute e bianche nelle sue olivastre e forti.

Guanti di pekari, maschi e protettivi…mio padre

Le mie mani macchiate d’inchiostro, sfioravano le sue in  un cammino incerto.

Guanti di vellutino nero, femminili e stanchi…mia madre.

Le mie mani  adolescenti e già gonfie di lavoro.

Guanti di pelle viola macchiati di “alluvione”

Le sue mani belle, difficili da afferrare

Guanti da trekking, il mio compagno.

Muffoline  rosa,   manine d’avorio, tenere e morbide, toglieva il guantino destro, lei, Alice,  io il sinistro…ed i nostri  indici diventavano piccole proboscidi…elefanti immaginari, noi due insieme!

Mamma facciamo: “elefantuz”?

Ed era vita, ed è vita!

Parola nostra, incomprensibile agli altri.

Guantini rosa, mia figlia.

Bianco matrimonio: i guanti di Sandra

Guanti bianchi – di Sandra Conticini

Non ho molta abitudine a portare i guanti, perchè sono scomodi. E’ tutto un levare e mettere, e la mancanza di tatto  mi fa sentire un’incapace.

Solo a un  paio,  bianchi  traforati e di raso, sono molto affezionata.

Sono sempre lì, in quell’angolo del cassettone dentro quella bustina, ed ogni tanto mi appaiono  e mi fanno ricordare la bella giornata trascorsa insieme. Comunque anche in quell’occasione non mi sono smentita, vi ho usato il meno possibile, perchè non riesco a portare i guanti se non per bisogno.

Purtroppo devo stare attenta a mettervi perchè vi state sciupando, ma io vi terrò sempre con me, perchè fate parte di un  giorno speciale.