Personaggio piuma: Nadia

Il mondo in un piumino – di Nadia Peruzzi

foto Pixabay

Tirava vento fuori. I fiori sul terrazzo stavano perdendo un altro bel po’ delle loro foglie. Ogni tanto una folata impetuosa faceva una sarabanda con i pochi petali di geranio che erano sopravvissuti fino a quel momento.
Guardava attraverso la finestra chiusa. Una piuma bianca si era inserita in quel girotondo di verdi, gialli e rossi. Volteggiò leggera in ogni direzione prima di posarsi sul pavimento della sua terrazza.
Era una di quelle piume da indumenti, quelle che sono costrette una accanto all’altra e che ogni tanto fanno capolino fino a che non riescono ad uscir fuori. Forse per vedere il mondo da un’altra prospettiva, chissà!
Alzò gli occhi verso l’alto e capì subito che era uscita da quel giaccone malmesso, di tipo quasi militare, appeso ad asciugare al piano sopra il suo.
Non aveva idea che ci abitasse qualcuno. Venivano solo silenzi da quell’appartamento.
Quel volo inatteso era lo zampino del destino a cui nemmeno credeva?
A vedere come restasse attaccata al pavimento nonostante le spinte e controspinte del vento, le capitò di pensarci senza la sua abituale incredulità. Se non si stacca da lì nonostante tutto qualcosa vorrà pur dire, si disse.
La incontrò per le scale il giorno dopo, la misteriosa inquilina del terzo piano.
Si era aspettata in verità un gigante corpulento, magari con barba incolta e capelli lunghi ma si trovò di fronte una ragazza magra, filiforme anzi, e quasi eterea nella sua espressione trasognata e un po’ persa.
I capelli corti le davano un’aria da bambina. Trasmetteva candore. Questo la fece tornare col pensiero a quella impalpabile piuma che aveva visto volteggiare fino al suo terrazzo. Un segno, sicuramente.
Le concesse un saluto rapido e sfuggente. Era quasi brusca nei modi, ma le sembrò una maschera indossata al momento per non cedere alla tentazione di fermarsi a parlare con lei.
Solo lo sguardo che si intravedeva sotto la frangetta da adolescente era adulto, di quelli che hanno già visto molto, anzi troppo e di ciò che non si vorrebbe né dovrebbe vedere.
Provò a cucirle addosso una professione, ma senza successo.
La scoprì per caso, all’edicola dove comprava i giornali. Su un quotidiano a tiratura nazionale c’era una sua foto di corredo ad una sua intervista.
Era rientrata da pochi giorni da uno dei teatri di guerra sparsi per il mondo. Nelle sue parole i drammi, il dolore, le distruzioni,  l’orrore che non risparmiava nessuno. Nemmeno i bambini.
Quell’intervista la toccò profondamente. La sconvolse. Nel suo piccolo mondo queste cose non arrivavano. Era uno dei tanti, troppi, che preferivano ignorare e non vedere .
In fondo erano paesi così lontani che gli incendi distruttivi delle loro comunità potevano esser lasciati scoppiare e bruciare nell’indifferenza collettiva. Questo spesso il senso purtroppo comune a moltissimi e fino a quel momento anche a lei.
Si incontrarono nuovamente pochi giorni dopo. In strada davanti al portone. La ragazza aveva uno zaino in spalla, il suo giaccone informe addosso. Stava partendo di nuovo, le disse.
La ringraziò per la sua intervista. Per averle fatto capire molto su situazioni di cui sapeva poco o nulla e che spesso si preferiva tenere sotto traccia nei media più popolari. La salutò con un calore che riuscì a stupirla. Era come se stesse salutando un’amica di vecchia data.
L’abbraccio che le diede fu spontaneo.
“Sei sincera”, le disse!
“ Metti umanità in quello che racconti. Si sente che ti preoccupi veramente del destino e delle condizioni di popoli che sono considerati poco o nulla nei giochi dei potenti. Vorresti che non accadesse ciò che sei costretta a registrare per poi raccontarlo. E racconti perché si possa aprire una speranza di successo per chi nel mondo combatte le ingiustizie e vorrebbe bandire con ogni mezzo la barbarie di ogni guerra. Mi hai fatto aprire gli occhi e non potrò mai ringraziarti abbastanza.   Abbi cura di te. Scrivi, scrivi molto in modo che io e tanti altri come me possiamo comprendere meglio e conoscere ciò che spesso ci passa accanto come se non significasse nulla e non dovesse importare a nessuno!”
Ricambiò l’abbraccio con altrettanto calore e si incamminò sparendo nella luce del mezzogiorno.
In terra era rimasta un’altra di quelle piumette che il giaccone logoro ormai tratteneva a fatica. La prese in mano. Era soffice, tiepida e delicata. Prometteva un ritorno che sapeva avrebbe aspettato con ansia.

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

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