Ombra mancante

Ombra mancante – di Luca Di Volo

Ombra, mia cara ombra

Conforto di luce, fedele compagna

Di giorni assolati

Di dolci d’oro mattine,

sposa del sole divino

Quando impertinenti le nubi

Coprono l’astro

O quando nel cielo di velluto

Nottilucente di stelle misteriose

Per noi mortali il sole si addormenta

Ombra, mia cara ombra

Dove riposi con le tue compagne?

Io non ti vedo e mi smarrisco

Purtuttavia io sono

Ti sopravvivo o mia sorella

Dove tu non puoi essere

Ma quando finalmente

Dal sole baciata, io ti rivedo

Un dolce abbraccio

A te mi unisce, una cosa sola

Io e te e la luce bella

Del giorno che tutto l’orizzonte infiamma.

E io torno a vivere.

Due novembre

MEMENTO MORI – di Vanna Bigazzi

Chiudo gli occhi e fantastico, cosa sto facendo? Non ho certezze ma l’immagine c’e` dentro di me, ombre che vivono in noi. Sono entrate nell’attimo fuggente che libera dal presente, intento a ribadire quello che siamo. Tutto passa ma non le immagini che riescono a farci rimanere con chi non c’e` piu`. Parliamo pure con i nostri morti, ci riuniremo, in questo modo, con quell’energia eterna fuori dal tempo. Integriamoci con il tutto, anche con la realta` di essere finiti. Solo cosi` potremo star bene. Non sta bene chi non sa includere nel proprio percorso di vita la realta` della morte. La non accettazione provoca uno spacco, una frattura nel nostro essere, che spesso l’uomo esorcizza con alcool, droghe e farmaci, triste realta` del nostro mondo giovanile. Insegniamo ai nostri figli, ai bambini, il culto delle tombe.

OMMMBBBBRA VIBRANTE

OMBRA – di Mimma Caravaggi

L’ ombra di solito mi fa paura. Se vedo venirmi incontro un’ombra all’improvviso faccio un salto per la paura percepisco l’ombra più in fase negativa che positiva. Le nuvole fanno ombra e coprono il sole ed è un peccato. Ho visto solo un’ombra e mi sono spaventata. Quindi per me prevale il lato negativo della parola. Se penso al suono che si emette pronunciandola è tutto diverso. E’ un suono armonioso che non mi incute pura ma mi piace ripetere la parola più volte ed è quasi canzone.

Il muro delle ombre

Il pianeta Ombre – di Stefania Bonanni

Foto di Adina Voicu da Pixabay

Ho sempre sognato  che ci sia un posto dove trovino senso le cose che senso comune più non hanno. Le cose che si sono perse, gli orecchini spaiati, le cartoline testimonianze di vacanze da bambini, i grembiuli della prima volta a scuola, uno dei calzini forse mangiato da qualche strana creatura che vive nel cestello della lavatrice, e per l’appunto, le ombre. Quei disegnini che hanno animato mura ed asfalto, e poi non hanno più trovato corrispondenza. Improvvisamente non c’era più chi vi si adattasse perfettamente, non erano ancora replicabili. Milioni di ombre che cercano l’originale. Forse un pianeta sconosciuto, di un’altra galassia, di un’altra dimensione, dove contano i piccoli gesti, dove non si perde nulla, dove le ombre vivono una vita autonoma, anche nel buio anche nel vento, anche nell’acqua. Provocano piccoli soffi, a volte un brivido nell’afa soffocante, a volte il tremito di una tenda, a volte il calore di uno sguardo, a volte l’infinita solitudine di stare con la gente, a volte la voglia struggente di ricordarle, di ricordare le ombre.

Quando la mia famiglia era un’altra, una della quale io sono frutto e si viveva nella casina vicina al fosso, davanti alla porta c’era un grande muro bianco.  Capitava che chi stava sulla soglia con la porta aperta, venisse come fotografato sul muro davanti. Era la finestra di cucina,  sulla parete opposta alla porta, quando c’era il sole. Sul muro si dipingeva una figura nervosa, con tanti capelli  la sigaretta penzoloni alla sinistra delle labbra, le gambe magre nei pantaloni sempre un po’ larghi, pronte a muoversi in passi lunghi ma veloci, nervosi anche quelli. Quest’ombra restava pochissimo,  subito si perdeva nel sole, pronta a farsi rivedere su altre pareti, forse. Poi compariva un’ombra morbida, sinuosa, tranquilla, che aveva tutto il tempo di scrivere un’ombra serena, fatta di gesti lenti e familiari. Un’ombra con in mano un cencio per spolverare, o la scopa per pulire gli scalini, e che poi rientrava in casa, ed in quel momento aveva il sole in faccia, e, sono sicura, gli occhi sorridenti.

Poi arrivava l’ombra lunga lunga e secca secca di una figura con una strana architettura in testa, vesti lunghe, diritte, tutte abbottonate, che non svolazzavano mai. La strana pettinatura era una grossa, lunga treccia grigia, che girava tutt’intorno alla testa, che nell’ombra sembrava un intreccio di paglia, simile a quello che ornava la base dei fiaschi. La nonna usciva svelta, le piaceva essere di corsa. Aveva sempre qualcosa sul fuoco, paura si attaccasse.

C’erano anche due figure piccole, ombre di bambine con i codini. Una un po’ piu’ alta, più magra. Una più biondina, ma le ombre erano simili.

Tutto disegnato su quel muro che ha ripetuto gesti, pettinature, gambe che crescevano, vestitini larghi e ricamati, forse anche ginocchia sbucciate e nasi mocciosi.

Io sono tornata, a guardare il muro, ed è sempre tutto lì,  se ci si ferma e si “vede”, con un pò’ di languore e tanta gratitudine.

Tu chiamale, se vuoi, …ombre.

Ombra allungata

L’ombra – di Stefania Bonanni

foto di Lucia Bettoni

Diffido di chi sembra non avere parti oscure.

 L’ombra definisce i contorni e rende vero, mette nero su bianco e mescola le figure vicine che si penetrano diventando  cosa sola.

L’ombra allungata dal  sole stanco regala gambe lunghe e braccia capaci di abbracciare interi palazzi

E nei giorni in cui ti sembrerà che il mondo intero ti schiacci la schiena nessuno sarà capace di trattenere la tua ombra.

Ombre lontane

OMBRE – di Anna Meli

            Passeggiava lentamente in quella stradina sterrata che conduceva in aperta campagna al limitare fra i campi e il bosco; lei e la sua ombra alla quale confidava i suoi pensieri, sicura di essere ascoltata e compresa in quell’assoluto silenzio. Le raccontava cose che altri forse non avrebbero capito; la considerava la sua anima nuda e con lei si sentiva sempre a suo agio.

            Era stata fedele compagna dei suoi giochi di bambina e, con altri ragazzi, aveva improvvisato mille figure di animali immaginari mettendosi in competizione, su chi riusciva a essere il più alto o a chi riusciva per primo a pestarne i contorni vincendo.

            Quegli antichi, ma sempre stimolanti giochi, erano ripetuti ora dai suoi nipotini che spesso la coinvolgevano facendola sentire per qualche momento ancora giovane e leggera.

            L’ombra però col passare degli anni aveva assunto per lei un significato e una percezione diversi: le piaceva ammirare il tappeto discontinuo e mobile che la grande quercia proiettava sull’erba sbruciacchiata e stendersi là per riuscire a darle un suono: il suono di ombre lontane perse nel tempo. Là era finalmente arrivata.