Era una donna mesta vestita sempre con colori scuri, senza mai un sorriso, con una pezzola annodata sotto il mento in inverno, mentre in estate i suoi capelli castani erano raccolti in una crocchia, spesso un po’ disfatta.
Povera mamma, viveva sempre all’ombra di quel figlio dal giorno della sua nascita: purtroppo lui aveva sempre bisogno di tutti e di tutto.
Se a volte qualche vicino di casa o parente si offriva per aiutarla, lei rifiutava. Quel bambino uscito dal suo corpo, la faceva sentire responsabile del problema che le aveva trasmesso e nessuno, neppure i medici, riuscirono a convincerla del contrario.
Solo dal marito accettava aiuti, ma raramente lui si offriva. Si riteneva il pilastro della famiglia perché doveva pensare al futuro della famiglia e quindi al suo lavoro che lo teneva molto impegnato, eppure un giorno trovò il modo di andarsene.
Lei invece rimase sempre accanto, fino all’ultimo giorno di vita, di quel bambino che non aveva mai detto mamma.
Adoravo gli ombrelli, ne avevo di tutti i colori, li abbinavo ai cappotti o ai cappellini.
Il mio preferito era quello rosso che abbinavo a un cappellino rosso stile anni trenta.
Amavo molto però anche quello giallo, abbinato a un cappotto con cappellino azzurri.
Mi piaceva anche osservare gli ombrelli degli altri.
Quello fantasia nera ben fatto per l’uomo elegante.
Quello nero con dieci stecche per l’uomo concreto.
Poi c’era quello per i ragazzotti con otto stecche rigorosamente nero e rigorosamente cinese con la prospettiva di una stagione e via!
Quelli colorati erano per le donne.
A dieci stecche con fantasie classiche per le signore.
Quasi tutti gli altri erano ad otto stecche con fantasie coloratissime o tinta unita.
Quelli che trovavo più interessanti e abbinabili erano le tinte unite.
Poi c’erano quelli che mi facevano tanta tenerezza ed era l’accoppiata ombrello vecchio con le stecche di fuori rigorosamente aperto sotto una pioggia incalzante con il suo fratello appena comprato ma tenuto nella sua bustina di plastica al coperto perchè era nuovo!
Ho usato il termine adoravo gli ombrelli perché ora invece ne ho scoperto i difetti che non sopporto.
Quando li chiudi per salire in macchina ti infradici tutto e a tua volta infradici il sedile!
Pozza dell’acqua in macchina dove lo hai riposto.
Non ci dialogo più perché non hanno più cuore, sono tutti cinesi e malfatti ed è un miracolo se durano una stagione.
La mia ombra è come un buffone dietro la regina. Quando lei si alza, il buffone sulla parete balza e sbatte nel soffitto col testone.
Il che forse a suo modo duole nel mondo bidimensionale. Forse al buffone non va la mia corte e preferirebbe un diverso ruolo.
La regina si sporge dal balcone e dal balcone lui si butta giù. Così hanno diviso ogni azione, però a uno ne tocca assai di più.
Si è preso il merlo i gesti liberali, il pathos con la sua impudenza e tutto ciò per cui non ho la forza corona, scettro, mantello regale. Lieve sarò, ah, nell´agitare il braccio, ah, lieve nel voltare indietro il capo, sire, nell´ora del nostro commiato, sire, alla stazione ferroviaria.
Sire, in quel momento sarà il buffone a sdraiarsi sui binari alla stazione.
L’Ombra della sera è una statuetta votiva etrusca, proveniente dall’antica Velathri, ovvero l’attuale Volterra, dove è conservata al museo Guarnacci.
Si dice che sia stato il poeta Gabriele D’Annunzio a darle il nome “Ombra della sera”, poiché nel guardarla gli venivano in mente le lunghe ombre del tramonto, ma in realtà il nome è di origine popolare e compare per la prima volta in un testo nel 1954, la Guida di Volterra del prof. Paolo Ferrini, edita dalla Casa Editrice volterrana Migliorini Gian Piero.
Essa rappresenta una figura maschile nuda, con un’altezza di 57,5 cm, ma ciò che risalta di più è la forma allungata del corpo, eccetto la testa, che mantiene le proporzioni esatte, e questo stile così moderno risulta sbalorditivo per una scultura etrusca;
In questa figura viene sottolineata una bellezza che raggiunge quasi il soprannaturale, grazie ai tratti naturali del volto. I bronzisti di Volterra erano già noti nell’antichità per le grandi capacità manifatturiere e tecnologiche, che permettevano loro di fondere i minerali di rame delle Colline Metallifere in lega con lo stagno, ottenendo il bronzo.
Una versione de L’ombra della sera alta 15 metri è presente nella foresteria del Monastero di Santa Barbara, opera dell’artista Nik Spatari. Raffigura un uomo in marcia ed è dedicata all’artista Alberto Giacometti e alla civiltà etrusca.
La scrittrice Laura Guidi pubblicò un romanzo dal titolo “L’ombra della sera”, che, ambientato nel mondo degli Etruschi, descrive la vicenda amorosa di due giovani, Larth e Thana, nella quale Larth, amante dell’arte pur essendo figlio di un commerciante, realizza e dona a Thana la statua che da il titolo al romanzo (Fabbri editori, 1985).
La riproduzione in bronzo della statuetta ha dato vita al Premio Internazionale di Teatro Arte e Cultura legato al Festival Internazionale del Teatro Romano di Volterra dove ogni anno una giuria di esperti di riconoscibilità nazionale e internazionale assegna la statuetta a chi giudica meritorio di ottenerla. Ogni premio è legato a una figura volterrana del passato che si è distinta nella disciplina premiata. Il premio è stato ritirato da numerosi artisti nazionali e internazionali è diventato per prestigio ed originalità una sorta di “oscar” del teatro italiano.