All’ombra di quel figlio

Vivere all’ombra di quel figlio – di Sandra Conticini

Foto di Tamal Roy da Pixabay

Era una donna mesta vestita sempre con colori scuri, senza mai un sorriso, con  una pezzola annodata sotto il mento in inverno, mentre in estate i suoi capelli castani erano raccolti in una crocchia, spesso un po’ disfatta.

Povera mamma, viveva sempre all’ombra di quel figlio dal giorno della sua nascita: purtroppo lui aveva sempre bisogno di tutti e di tutto.

Se a volte qualche vicino di casa o parente si offriva per aiutarla, lei rifiutava. Quel bambino uscito dal suo corpo, la faceva sentire responsabile  del problema che le aveva trasmesso e nessuno, neppure i medici, riuscirono a convincerla del contrario.

Solo dal marito accettava aiuti, ma raramente lui si offriva. Si riteneva il pilastro della famiglia perché doveva pensare al futuro della famiglia e quindi al suo lavoro che lo teneva molto impegnato, eppure un giorno trovò il modo di andarsene.

Lei invece rimase sempre accanto, fino all’ultimo giorno di vita, di quel bambino che non aveva mai detto mamma.

Ombrelli che passione!

Adoravo gli ombrelli – di Carla Faggi

Adoravo gli ombrelli, ne avevo di tutti i colori, li abbinavo ai cappotti o ai cappellini.

Il mio preferito era quello rosso che abbinavo a un cappellino rosso stile anni trenta.

Amavo molto però anche quello giallo, abbinato a un cappotto con cappellino azzurri.

Mi piaceva anche osservare gli ombrelli degli altri.

Quello fantasia nera ben fatto per l’uomo elegante.

Quello nero con dieci stecche per l’uomo concreto.

Poi c’era quello per i ragazzotti con otto stecche rigorosamente nero e rigorosamente cinese con la prospettiva di una stagione e via!

Quelli colorati erano per le donne.

A dieci stecche con fantasie classiche per le signore.

Quasi tutti gli altri erano ad otto stecche con fantasie coloratissime o tinta unita.

Quelli che trovavo più interessanti e abbinabili erano le tinte unite.

Poi c’erano quelli che mi facevano tanta tenerezza ed era l’accoppiata ombrello vecchio con le stecche di fuori rigorosamente aperto sotto una pioggia incalzante con il suo fratello  appena comprato ma tenuto nella sua bustina di plastica al coperto perchè era nuovo!

Ho usato il termine adoravo gli ombrelli perché ora invece ne ho scoperto i difetti che non sopporto.

Quando li chiudi per salire in macchina ti infradici tutto e a tua volta infradici il sedile!

Pozza dell’acqua in macchina dove lo hai riposto.

Non ci dialogo più perché non hanno più cuore, sono tutti cinesi e malfatti ed è un miracolo se durano una stagione.

Ma forse sono solo invecchiata!

La mia ombra

Foto di Devanath da Pixabay

Poesia di Wislawa Szymbrska
Ombra

La mia ombra è come un buffone
dietro la regina. Quando lei si alza,
il buffone sulla parete balza
e sbatte nel soffitto col testone.

Il che forse a suo modo duole
nel mondo bidimensionale.
Forse al buffone non va la mia corte
e preferirebbe un diverso ruolo.

La regina si sporge dal balcone
e dal balcone lui si butta giù.
Così hanno diviso ogni azione,
però a uno ne tocca assai di più.

Si è preso il merlo i gesti liberali,
il pathos con la sua impudenza
e tutto ciò per cui non ho la forza
corona, scettro, mantello regale.
Lieve sarò, ah, nell´agitare il braccio,
ah, lieve nel voltare indietro il capo,
sire, nell´ora del nostro commiato,
sire, alla stazione ferroviaria.

Sire, in quel momento sarà il buffone
a sdraiarsi sui binari alla stazione.

L’ombra della sera

L’ombra della sera – Volterra

da: https://it.wikipedia.org/wiki/Ombra_della_sera

L’Ombra della sera è una statuetta votiva etrusca, proveniente dall’antica Velathri, ovvero l’attuale Volterra, dove è conservata al museo Guarnacci.

Si dice che sia stato il poeta Gabriele D’Annunzio a darle il nome “Ombra della sera”, poiché nel guardarla gli venivano in mente le lunghe ombre del tramonto, ma in realtà il nome è di origine popolare e compare per la prima volta in un testo nel 1954, la Guida di Volterra del prof. Paolo Ferrini, edita dalla Casa Editrice volterrana Migliorini Gian Piero.

Essa rappresenta una figura maschile nuda, con un’altezza di 57,5 cm, ma ciò che risalta di più è la forma allungata del corpo, eccetto la testa, che mantiene le proporzioni esatte, e questo stile così moderno risulta sbalorditivo per una scultura etrusca;

In questa figura viene sottolineata una bellezza che raggiunge quasi il soprannaturale, grazie ai tratti naturali del volto. I bronzisti di Volterra erano già noti nell’antichità per le grandi capacità manifatturiere e tecnologiche, che permettevano loro di fondere i minerali di rame delle Colline Metallifere in lega con lo stagno, ottenendo il bronzo.

L’Ombra della sera è al centro di Chimaira, romanzo di Valerio Massimo Manfredi.

Una versione de L’ombra della sera alta 15 metri è presente nella foresteria del Monastero di Santa Barbara, opera dell’artista Nik Spatari. Raffigura un uomo in marcia ed è dedicata all’artista Alberto Giacometti e alla civiltà etrusca.

La scrittrice Laura Guidi pubblicò un romanzo dal titolo “L’ombra della sera”, che, ambientato nel mondo degli Etruschi, descrive la vicenda amorosa di due giovani, Larth e Thana, nella quale Larth, amante dell’arte pur essendo figlio di un commerciante, realizza e dona a Thana la statua che da il titolo al romanzo (Fabbri editori, 1985).

La riproduzione in bronzo della statuetta ha dato vita al Premio Internazionale di Teatro Arte e Cultura legato al Festival Internazionale del Teatro Romano di Volterra dove ogni anno una giuria di esperti di riconoscibilità nazionale e internazionale assegna la statuetta a chi giudica meritorio di ottenerla. Ogni premio è legato a una figura volterrana del passato che si è distinta nella disciplina premiata. Il premio è stato ritirato da numerosi artisti nazionali e internazionali è diventato per prestigio ed originalità una sorta di “oscar” del teatro italiano.

L’ombra di se stesso

Le ombre non hanno sangue – di Nadia Peruzzi

Era diventato l’ombra di sé stesso. Non avrebbe mai pensato prima che ci volesse così poco, eppure una volta che il piano aveva cominciato ad inclinarsi era stato fin troppo facile vedere la sua esistenza precedente fatta a brandelli.
Era scomparso tutto. Anche i pochi ricordi felici in quel magma informe in cui era stato preso prigioniero.
Lo specchio gli restituiva l’immagine sfocata a grigia di chi ha perso ogni speranza.
Gli occhi non ardevano più come un tempo, le rughe fatte solchi parlavano di sofferenza a chi volesse vederla.
Lui sapeva di essere ormai diventato un invisibile, uno di quelli che il mondo spingeva ai margini mentre si dava da fare per macinare e stritolare le vite dei più.
E lui era da tempo che viveva seduto dalla parte del tavolo apparecchiata per i poveri cristi.
C’era stato un altro tempo, che ora gli sembrava lontanissimo in cui guardarsi allo specchio non gli faceva male. Anzi, andava fiero di quello che vedeva brillare nei suoi occhi. Anche quando si specchiava prima di uscire di casa con indosso quella sua tuta blu da operaio e dentro di sé si sentiva un principe. Lo aspettava la fatica e lo sapeva, ma sapeva anche che avrebbe trovato un luogo dove poter far valere le proprie capacità e inventiva. Ad aspettarlo ai cancelli i suoi compagni di sempre Giorgio, Luca e Stefano. Ogni mattina un trovarsi e un ritrovarsi diverso dal giorno prima che gli regalava sempre qualcosa che era comunque degno di essere vissuto. La fabbrica nemmeno allora era amica, ma affrontarla alla stregua dei Moschettieri del re faceva meno paura e dava modo di creare legami che non si perdevano nemmeno fuori.
Le lotte poi che avevano fatto tutti insieme li avevano resi forti come l’acciaio che lavoravano.
Che stagione era stata quella. Da quel minuscolo angolo di mondo anche un uomo come lui aveva potuto immaginare di poter cambiare in meglio le cose e sognato di dare un significato alla sua vita. L’aveva attraversata da protagonista quella stagione, ma quanto era durata? Poco. Fin troppo poco.
Se lo diceva ogni volta mentre vedeva scorrere in tv immagini che parlavano di tutto meno che dei problemi reali delle persone come lui. Quelli che venivano sfiorate come un si deve ,ma mai approfonditi per le ferite che aprivano e i segni permanenti che lasciavano.
Ormai evitava di ascoltare anche le parole, tanto più se altisonanti e enfatizzate al massimo. Erano vuote e false come vuoti e falsi sentiva coloro che dichiaravano di farsi carico delle persone per poi abbandonarle a loro stesse.
Il giorno in cui annunciarono i licenziamenti era davanti al cancello della fabbrica. E ci tornò insieme a tutti gli altri in giorni e giorni di resistenza che non servì a nulla.  
Ormai anche una intera fabbrica e gli uomini e le donne che ci lavoravano per il sistema altro non erano che pallide ombre. Valide fino a che servivano, ma cancellabili una volta che altrove puoi pagare il lavoro ancor più miseramente.
Si ritrovò disoccupato e solo. Una solitudine pesante come un macigno. Anche i suoi compagni di lavoro e amicizia erano stati risucchiati in quel vortice di precarietà e ricerca di una occupazione qualsiasi per tirare avanti.
Si chiuse in sé stesso. Ogni giorno vedeva affiorare un capello grigio ed una ruga in più. Il viso sempre più scavato. Lo sguardo stanco e vuoto.
Girava per strade scintillanti, fendeva folle gaudenti senza che nessuno gli rivolgesse nemmeno uno sguardo. Come se già non esistesse realmente.
Aveva perso le parole da dire. Non avevano la forza di uscire. Aveva perso il coraggio, la voglia e la forza di salutare, di raccontare, di ascoltare e farsi ascoltare. Sentiva di essere diventato un fardello inutile. Nessuno ama ascoltare le lagne di un uomo maturo colpito dalla vita e che nemmeno riusciva a ritrovare una strada qualsiasi 
In fondo alla quale poter scorgere una piccola e flebile luce.
Andò al cantiere nel quale aveva iniziato a lavorare da qualche giorno, sopraffatto da questi pensieri. Quelli non si erano mai prosciugati a differenza delle parole.
Salì sul ponteggio per iniziare il suo turno. La struttura cedette al primo passo. Quando arrivò l’ambulanza non c’era già più nulla da fare. Lui era lì riverso nel suo sangue. Era un uomo. Era morto.
Non era un’ombra.
Le ombre non sono in grado di sanguinare come i pensieri e i cuori degli esseri umani.

Ombre sul muro

Ombre cinesi. – di Nadia Peruzzi


Sulla parete bianca due mani si intrecciano facendo apparire la sagoma di un cane. Sembra vivo e la tua piccola mano si allunga per toccarlo.
Sparisce come si è materializzato ma non del tutto perché le mani si muovono ancora e tornano a creare.
L’ucccello muove le ali e si alza. Quasi riesci a sentire il flap delle ali che lo aiutano a spiccare il volo. Un volo regolare e sempre più in alto a toccare il soffitto della stanza in mezzo al manto di stelle che, proiettato dalla lampada vicina al lettino, invita a chiudere gli occhi .
Il pensiero che già si affaccia sul domani.
Le mani della mamma che hanno creato quelle magie ora carezzano e confortano. Aggiustano la coperta perché tu non senta freddo. Ti senti coccolato e felice mentre ti abbandoni al sonno. Nessuna ombra è in grado di farti paura.
Anche quella che in sogno vedi allungata davanti a te. Stai correndo col sole alle spalle. E’ il tuo doppio scuro, lo sai benissimo. Non la temi. Saltelli per schiacciarla mentre pensi che vorresti farci un tuffo dentro in modo da potertela sentire appiccicata addosso come una seconda pelle.

Le nostre ombre

Vedo la tua ombra – di Carla Faggi

Vedo la tua ombra

allora vuol dire che ci sei

perchè se c’è la tua ombra tu sei reale.

Quindi ci sei tu, la tua ombra e ci sono anch’io!

Chissà se c’è pure la mia ombra

guardo ma non  la vedo

che sciocca, ma è mezzogiorno e quindi la mia ombra non la vedo!

Che fare? Forse mi conviene aspettare.

Si sa, io sono paziente e allora aspetto.

Eccola è arrivata! Appena appena ma è arrivata.

Ne arriva ancora un po’.

È bella la mia ombra, è sempre più bella e sempre più lunga.

Quindi ora siamo tu, la tua ombra, io e la mia ombra.

Per quanto tempo ancora?

Il tempo passa e l’ombra si modifica.

Perchè è l’ombra che rende reale il tempo!

L’ombra degli alberi

Foglie – di Daniele Violi

Foglie; sempre generose, per tutte le piante e arbusti, per gli uccelli, per gli insetti, per Noi, Donne e Uomini. Ci donano l’ombra, l’emozione dei colori, l’emozione del movimento. Le foglie sono il vestito delle piante e degli arbusti. Le foglie crescono con l’intelligenza sensoriale di chi li vegeta. Piante e Arbusti hanno un apparato sensoriale che consente loro di vivere e far vivere una moltitudine di esseri viventi. Le foglie stesse sono il cibo per tanti esseri viventi, le foglie ci parlano con le loro mutazioni e ci insegnano ad osservare la natura da ogni posizione. Siamo Fortunate/i che abbiamo come compagne di viaggio queste Emozioni.  Noi tutte/i, siamo foglie di Alberi e Arbusti Antichi e longevi. Parte e nasce spontanea una domanda: a quale Pianta o Arbusto siamo legate/i o apparteniamo o vorremmo discendere?

Colloqui col Gigante: Patrizia

La Cappella della Principessa – di Patrizia Fusi

Sono seduta su una panchina nel chiostro della piccola cappella Buontalenti davanti a un’immagine della madonna in terracotta della famiglia Demidoff.

 Gli alberi mi proteggono, il sole passa fra le fronde e fa giochi di luce sul terreno.

C’è la tomba della Principessa Maria Demidoff, morta nel 1955, bella l’immagine di lei sulla foto della croce, lineamenti delicati, capelli morbidi, raccolti.

Tutto mi parla di storia passata, una scalinata a due gradoni scende dalla cappella e si inoltra nel giardino sottostante.

Una brezza leggera rende piacevole il clima, è una giornata luminosa e tiepida le foglie di alcuni alberi stanno cambiando colore.

 L’odore della vegetazione invade le narici e si confonde con il profumo delle persone che sono passate nel vialetto.

Intravedo, da dove sono seduta, la statua del Gigante fisso nella roccia, grande, maestoso ha dietro le spalle un grosso fardello, il peso gli fa piegare il capo in avanti, si appoggia con forza con le possenti braccia al piedistallo, ha un viso bello nella sua durezza. Quando sono stata davanti al Gigante un raggio di sole rispecchiandosi nell’acqua rifletteva una tremolante carezza luminosa sulla guancia sinistra del volto.

Tante persone visitano il parco, tutti si fermano davanti al Gigante, lui osserva tutto dal suo trono di pietra. Il paesaggio che cambia col mutare delle stagioni, gli uccelli che volano fra gli alberi i loro corteggiamenti amorosi, i nuovi nati.

Gli uccelli di passo che si fermano per riposare e poi ripartono, alcuni li rivede l’anno dopo. Caprioli che si impossessano del parco quando le persone spariscono. Ascolta quello che le persone dicono, se ne fa un’opinione per quello che raccontano e per come si comportano.

Gli piace la bellezza femminile e i profumi.

La cosa che gli piace di più sono i bambini: la meravigli che vede nei loro occhi di fronte a questo Gigante imprigionato nella roccia, il loro correre sui prati, desiderio anche suo.

Ha da aspettare le notti di luna piena, tutte lì le entità che sono racchiuse nelle cose nelle statue, il loro spirito si libera nell’aria del parco, volteggiano come piccole nuvole, si rincorrono, giocano quando si fermano nel grande prato o sotto i maestosi abeti si raccontano i commenti che hanno sentito fare davanti a loro e ne ridono e ne danno dei giudizi divertiti.

Quando la luna è oscurata si indovinano fra di loro ognuno con un leggero suono diverso per riconoscersi, questi tenui suoni sono una dolce musica che si sprigiona tutto intorno.

Tutto questo spettacolo riescono a vederlo solo gli uccelli notturni e la civetta manda il suo canto per questo.

Coppia di ombre

Ombre – di Rossella Gallori

Non ho paura delle ombre, non sono buio, mi spaventano di più le voci improvvise estranee….

Mi siedo accanto a te, lentamente allungo la mano,  non so se ci sei, vedo comunque due ombre riflesse nel grande specchio, piccole macchie del tempo affiorano, nere d’ argento, la cornice sciupata dagli anni costringe i nostri sogni a non fuggire, li stringe in un unico respiro….che appanna un vetro poco pietoso che ci ama ugualmente.

Dal lato opposto a noi, un quadro nascosto alla luce, parla di qualcosa  di surreale ed opaco: un vaso senza acqua, che  bagna fiori freschi che giocano con la luce in un intreccio di ombre….

Ora ti stringo la mano più forte, ora che te ne sei già andato, non ho paura di questo semibuio, profuma di riparo.

In un angolo mille occhi mi guardano nel fumo di Virginia, tabacco buono….

Ricamo d’ombra

Ombra di fiori – di Laura Galgani

Assaporo con calma il profilo di piccoli gerani stampati sull’asfalto di una stradina secondaria, in un paese di montagna grande quanto una manciata di sale.

Vasi di terracotta da cui ricadono grappoli di fiori.

L’ombra per terra non ne svela il colore, ma il loro profilo così ben disegnato mi basta già per intuirne l’essenza, la brillantezza, la copiosità.

Se li avessi sotto le dita ne potrei percepire il morbido velluto dei petali, o la ruvidità inaspettata delle foglie.

Davanti ai miei piedi invece si stende un ricamo delicato che non calpesto – per paura di schiacciare i fiori e le foglie appesi al balcone, poco sopra di me.

Se alzassi gli occhi vedrei una semplice casa fatta di tronchi freschi e scuri, tagliati ad arte per formare una robusta costruzione.

Il balcone si sporge in fuori, prua di una nave che solca sicura un mare di roccia.

I fiori in controluce lasciano balenare raggi di un sole ancora potente, sebbene prossimo al tramonto.

La luce mi arriva dritta negli occhi e non distinguo più i colori delle piante. Anche loro adesso buie, nere, oscurate dalla troppa luce che le picchia alle spalle.

L’ombra per terra, davanti ai miei piedi, si fa ancor più netta: è un gioco delicato, a momenti violento, diventa lotta senza scampo.

Il sole proseguirà la sua corsa verso l’orizzonte, l’ombra dei gerani verrà risucchiata dalla materia e sparirà.

Sull’asfalto ne rimarrà solo un fresco ricordo.

Ombra come la vita

L’ombra – di Lucia Bettoni

foto di Lucia Bettoni

Ombra come la vita
Ombra, doppio di ogni cosa
Ombra, riflesso di ogni istante

Fuggire nell’ombra, sparire, trasformarsi, ritornare ed essere
Essere la donna che vuoi
gambe lunghe e braccia larghe
per tagliare il buio delle tenebre
e poi un sorriso così luminoso per
squarciare il cielo e salire oltre la chioma degli alberi
Guardare dall’alto un mondo pieno di gioia dove l’ombra della donna fata svolazza lentamente senza che nessuno possa afferrarla

Ombra, ombrello, saltello, fringuello

Sasso, sassso, sasssso
Il sasso ha un’ombra?
Vogliamo guardare l’ombra di un sasso?
Io vedo il tuo volto, tu vedi il mio

Ognuno ha la sua ombra da guardare
Guardiamo l’ombra
è un grande gioco
Il gioco dell’ombra
Giochiamo bambini
giochiamo e parliamo
giochiamo e corriamo
l’ombra è sempre la più veloce
dai corriamo, andiamo ad
acchiappare l’ombra
ma che gioco bellissimo!!!

Non abbiamo bisogno di nulla

Incontro 27 ottobre 2021

Abbiamo parlato di…….

OMBRA

Ispirandoci al titolo della raccolta di poesie: Come l’ombra di un vaso di fiori, di Leda Erente, abbiamo condiviso impressioni e sentimenti legati all’OMBRA, alle OMBRE, alle locuzioni “all’ombra” e “nell’ombra”, con implicazioni positive o negative.

Ombra come “prova di esistenza”

ombra come presenza che accompagna

ombra come “giochi d’ombra” e riflessi sui muri

ombra come compagna di giochi da saltare e rincorrere

ombra come esorcismo di paura

da Oscar Wilde: Quello che gli uomini chiamano l’ombra del corpo non è “l’ombra del corpo, ma è il “corpo dell’anima”.

Bellissime osservazioni di ogni partecipante che si possono riassumere molto brevemente in:

  • presenze intangibili (Anna, Rossella, Mimma, Simone)
  • definizione di sé, dei contorni (Stefania)
  • mettersi in ombra rispetto a qualcuno, magari per amore (Anna, Sandra)
  • riflesso di ogni istante (Lucia)
  • zone d’ombra, la parte sconosciuta di noi stessi (Stefania)
  • il piacere di un’ombra fresca che consola (Patrizia)
  • ombre cinesi e giochi d’ombra (Anna, Nadia, Carla, Lucia)
  • l’ombra come ricamo delicato da non calpestare (Laura)
  • ancoraggio alla realtà e definizione del reale (Carla, Stefania)
  • ironia di giochi di parole (Simone)
  • il suono ipnotico, vibrante della parola (Mimma, Laura).

L’osservazione della parola si è aperta a molte interpretazioni, accompagnata da alcune citazioni.

Il concetto prevalente, un po’ per tutti è stato:

ombra come vita, senso di presenza: finché ho un’ombra esisto.

  • Che mai farebbe il tuo bene se non esistesse il male, e come apparirebbe la terra se vi scomparissero le ombre? (Michail Bulgakov)
  • Dove c’è molta luca l’ombra è più nera (Johann Wolfgang Goethe)
  • Ecco l’unica cosa che mi piacerebbe avere in pugno, il suono dell’ombra (Alda Merini)
  • C’è qualcuno seduto all’ombra oggi perché qualcun altro ha piantato un albero molto tempo fa (Warren Buffett)

Colloquio col Gigante: Sandra

Gigante malinconico – di Sandra Conticini

Tutti i visitatori del parco ti passano a trovare e rimangono estasiati dalla tua imponenza, ma te rimani li immobile da centinaia di anni. Nemmeno le grida e lo stupore dei bambini con i loro occhi sgranati ti aiutano a sopportare la solitudine che in tutti  questi anni hai accumulato.

Intorno a te il paesaggio è bellissimo, con laghetti, prati verdi ed alberi secolari di querce, ippocastani , cedri, ma questo ti fa sentire responsabile del loro futuro ed il tuo sguardo è diventato pensieroso e triste.

Speri sempre nell’arrivo dell’inverno per avere la possibilità di riflettere e riuscire a trovare un po’ di pace ed avere la forza  di ricominciare una nuova stagione.

Solo le rane con il loro gracchiare, e le ninfee con i loro bei colori  estivi ti fanno gioire, ma quando in autunno inizia a regnare il silenzio e i fiori avvizziscono ti senti malinconico, ma in pace con te stesso. 

Colloqui col Gigante: Cecilia

Lo specchio – di Cecilia Trinci

La mano appoggiata  a terra per darsi una spinta, per sollevarsi e scrollarsi l’ombra invisibile che incombe sulle spalle.

Guarda giù, nell’acqua che gioca col suo sguardo sbeffeggiando la tristezza e promettendo una luce diversa sulla consuetudine.

Sa già tutto, conosce le bugie e le illusioni, gli si è rivelato il sapore della sorpresa come un certo  gusto di ruggine e sale.

Eppure le ginocchia scatteranno ancora, forse lentamente ma inesorabili. Solleverà i capelli che spagosi scenderanno sulle spalle e  gridando spezzerà i rami che vorrebbero incastrarlo. In piedi sarà maestoso e fragile, nudo e infreddolito, anchilosato da quel suo inginocchiarsi pluricentenario. Ma ritroverà il verticale sul lago, farà in tempo a guardare il tramonto rosso sull’appennino, farà in tempo a intrecciare la barba nel sole. Farà in tempo a guardarsi intorno, con il grosso collo dolorante, a scendere dallo scranno di pietra, a farsi scivolare nel prato a conchiglia. Farà in tempo a ricordarsi una capriola e appoggerà le grosse spalle in terra, dandosi una spinta per una, due, tre giravolte nell’erba. Non c’è nessuno a guardarlo, è solo mentre la notte sale e la luna piano piano si accende.

Arriverà fino alla siepe, dove da tanto voleva affacciarsi e guarderà le stelle, e sotto, accesa, la città misteriosa, il traffico assurdo, il fumo dell’ignoranza.

Canterà. Non c’è nessuno ad ascoltare.

Impronte immense, profonde come frane resteranno nel prato stanotte.

Alzerà le bracciona al cielo, respirando la solitudine piena, non quella sofferente dei secoli passati, ma quella consapevole dei secoli presenti. Sentirà il profumo dei pini che viene da ovest, dal mare, proprio a diritto del suo sguardo cieco. Sentirà il vento di ponente che gli pettinerà i capelli dimenticati.

C’è ancora futuro per me, penserà e solo allora potrà girarsi per tornare al suo posto, sapendo che esiste ancora, che c’è ancora tempo.

Che farà in tempo.

La poesia di Leda Erente – da “Come l’ombra di un vaso di fiori”

Durante la nostra esperienza a Villa Demidoff ci hanno accompagnato i versi di Leda Erente, poetessa fiorentina

La poesia ha un’anima d’acciaio che riflette l’universo,

ha una folta pelliccia che la copre da inverni freddi.

Si muove obliqua tra la terra e l’acqua come il granchio

e scava buchi nella sabbia entro cui rifugiarsi

durante la risacca.

Cresce in terreni abbandonati e inconsueti

come fiori di borragine radicati nell’alcova di un io disabitato,

svuotato,

in cui la natura riprende selvaggia i suoi spazi

Colloqui con il Gigante: Luca

Ritorno a Villa Demidoff – di Luca Di Volo

Primavera lunga e difficile. Estate lunga e tormentata. Poi l’Autunno , fiammeggiante di oro e di rosso piropo, e anche lui traditore perché quelle struggenti suggestioni lasceranno il posto alle scheletriche braccia dell’imminente Inverno.

Ma ora il Sole è ancora generoso e stende le sue dita raggianti sul  disarmante verde degli immensi prati e sugli alberi che ancora emanavano l’ultima gloria dell’Estate morente.

E su tutto sorveglia un Gigante. Così lo chiamano. E tutti ne sono atterriti, almeno al primo sguardo.

Una figura senza tempo…enigmatica e potente nel suo dinamismo ambivalente…

Ma quella massa immensa, soffusa dal verde intenso dei prati senza fine, apparentemente informe, scatena un simbolismo senza freni.

Chi è. . cosa evoca quella figura straziata, sofferente. . forse l’umanità sconfitta schiacciata dal peso del tempo?

Ma c’ è un’altra suggestione: quelle membra tese, sofferenti,  non potrebbero  invece appartenere non ad un uomo  che cade senza speranza  ma piuttosto ad una figura che si rialza, appoggiandosi su membra indebolite dal lungo Inverno, barba ancora coperta di ghiaccio, e  che stia gettando  la sfida al buio e al freddo in un cosmico risveglio senza tempo?

O forse tutte due le cose erano nella mente dell’artista che le ha concepite?!

E nello stesso Paradiso ci sono anche figure che sembrano uscire dal nulla. . dal ventre generoso della madre terra. . una rinascita? Un simbolismo per la Primavera?!

Non lo sapremo mai con sicurezza, però è difficile sottrarsi  a queste spinte emotive.

A me piace pensare che quella figura massiccia, che sembra guardarti dovunque tu sia, possa rappresentare l’eterno ciclo  sconfitta e poi rinascita , rinascita e sconfitta. . che sembra essere il destino dell’uomo in ogni tempo e in ogni luogo.

E anche le Matite, incantate di fronte a tanto splendore…cadono e si rialzano. . ma  non si arrendono…forse si riconoscono con molta umiltà in quell’enigmatico Gigante.