Personaggi e storie – Luca

Ispirato agli elementi:

Un biglietto di sola andata Roma-Torino

Uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro

Un fazzoletto di carta con un indirizzo e-mail

Una fede d’oro

Una carta socio dell’Accademia La Colombaria

Una foto di gruppo spezzata in quattro

Un tacco a spillo di una scarpa da donna.

Paura curiosa (personaggio) – di Luca Di Volo

Foto di Reto Gerber da Pixabay

Quello che voglio descrivere è un personaggio complesso o, meglio, non è un personaggio unico..sono almeno due..e chissà quanti altri si agitano nel maelstrom profondo di questa persona. .nella fisicità che la incarna.

Eppure quello che descriverò non è uno schizofrenico…anzi..la dialettica dei due spiriti(chiamiamoli così..) che lo animano si risolve sempre in energia propulsiva.Un traguardo sempre difficile da raggiungere..ma che produce molta più energia di quella che consuma.

Ma quali sono questi due “spiriti”?!

Uno potremmo chiamarlo “paura”…paura di tutto….una paura cosmica.., c’era voluto del tempo per riconoscerla..ma lui doveva sempre  venirci a patti..

Vedremo poi come questo personaggio fosse riuscito ad esorcizzarla…anche se solo per intervalli di tempo  limitati.

L’altro “spirito”  : la curiosità…insaziabile…crudele, quasi..doveva capire..decifrare..andare alle fonti ..che spesso erano anche deludenti e lo lasciavano ancora più incerto.

La conseguenza  di questo conflitto..semplificando molto, era che la vita di questo personaggio era costituita   da misteri, bivi infiniti che il tempo gli presentava…e per tutti..per tutti bisognava scegliere..attingendo all’energia che scaturiva dalla  feroce dialettica interna..

La paura  cercava  di sbarrare la strada alla curiosità…due forze uguali ed opposte…ma lui non poteva rimanere fermo..

All’esterno ben poco traspariva di questi conflitti..

Era considerato un uomo di aspetto forse più che gradevole..qualcuno diceva anche che fosse un bell’uomo..distinto, colto, raffinato..

Lui non si vedeva così…però si vestiva sempre in modo elegante..forse era un modo per rassicurarsi sull’effetto che faceva sulle persone, visto che i suoi occhi interiori non gli davano conferme..

Comunque era un narcisista..di questo si rendeva conto.

Nei rapporti con l’altro sesso, aveva la profonda convinzione che le donne fossero davvero il sale della vita…

Non fraintendiamo..lui non era assolutamente gay…anzi li detestava..per un momento aveva avuto il sospetto di esserlo anche lui…ma gli era passata subito…confermata dai fatti..

Gli piacevano tutte…e non era solo questione di sesso..

Gli piaceva il “femminile”..quel modo di muoversi..di ruotare con grazia la testa….il modo di ragionare..così profondo..solo a volte reso banale per la troppa cura dei particolari…Intendiamoci..non era un ingenuo..sapeva benissimo che c’erano donne stupide, cattive..almeno come gli uomini…però il suo pensiero dominante era questo..Forse la causa era la figura della nonna materna tanto amata, da cui era stato adorato..e soprattutto che gli aveva insegnato ad amare..

Avrebbe avuto quindi tutte le carte in regola per essere un Don Giovanni..o un Casanova strepitoso, non ci fosse stato quello scomodo spirito di paura che a volte lo bloccava sul più bello..

Si era laureato in fisica…meravigliato che nessuno vedesse i miracoli che avvenivano tutti i giorni…bastava guardare il Sole..e non riusciva a credere che in tanti i miracoli andassero a cercarli dove proprio non c’erano..

Camminava per i corridoi dell’Istituto sempre elegante…con le spalle un po’ ingobbite ma col passo sicuro..adorava quell’odore di polvere antica e quei mobili un po’ vecchiotti..che insieme all’attività ultramoderna che vi si svolgeva gli assomigliavano tanto..

Ma lui continuava ad investigare..

Paura curiosa (storia) – di Luca Di Volo

Ormai era diventato il Direttore dell’Istituto….stava invecchiando..ma era ancora un bell’uomo..almeno a detta delle sue studentesse….

Ma forse lo dicevano per ruffianeria..si sa come vanno queste cose..

Perciò non si scompose più di tanto quando gli mandarono quella giovane neo dottorata per assisterlo nelle sue ricerche.

Una biondina..mascherata da un paio di occhialoni più grandi di lei..giovane.., ma non giovanissima…Però un’aria infantile, ingenua..che lo commosse subito..

In quell’ambiente…ma aveva già deciso che lui l’avrebbe protetta.

Però già dai primi giorni aveva capito che non sarebbero stati lui e il suo staff ad essere assistiti da lei..ma che loro avrebbero aiutato lei nella ricerca…

Era appena arrivata che aveva trovato un errore nella sua ultima pubblicazione..che non faceva tornare più nulla, indicandogli anche come rimediare.E gliel’aveva detto con la sua vocina timida..che l’aveva fatta subito perdonare per l’insolenza..Comunque..gli aveva evitato una brutta figura, sostituita invece da un largo apprezzamento..

E questo non era che il principio..le sue idee, il modo di affrontare le difficoltà..erano talmente inedite ed originali che spesso, per capirle, ci voleva parecchio tempo…per scoprire poi che aveva sempre ragione lei..

Insomma, dopo appena un anno il suo contributo era stato tale da far avanzare le conoscenze di almeno un decennio, per i poveri scienziati mortali.

La fama del suo Istituto era cresciuta a tal punto che si parlava già di Nobel..per lui, non per lei..forse era ingiusto..ma a lei sembrava non importare granchè…

Ma c’era di più..molto di più…Era noto quanto a lui piacessero le donne, in generale…anche se il suo comportamente all’interno dell’Istituto era stato sempre irreprensubile..e sì che le sue dottorande gliene avevano date di occasioni di peccare..Ma lui non voleva essere ricattabile…gli era costato parecchio, inutile dirlo..ma c’era riuscito..Invece fuori..fuori era fuori..e lì non si faceva pregare..

Però un giorno…un fatale giorno…un giorno in cui l’aveva sorpresa in un’aula davanti ad una lavagna piena di simboli che lui nemmeno riconosceva..come si alzasse un velo l’aveva vista come veramente era…Una splendida donna..la sorpresa era stata abbagliante e aveva tolto la parola anche a lui…che  con le donne era stato sempre di poche parole..ma qui era rimasto muto completamente,  perso in un’adorazione sospesa in un tempo senza tempo..

Va beh…non facciamola troppo lunga…Finì per sposarla…inevitabile..

Da quel momento non guardò più le altre donne..sì..continuavano sempre a piacergli..il suo vecchio spirito non l’abbandonava

ma erano solo donne e non “la donna”..una differenza sottile ma importante..

Conobbe finalmente la felicità..o almeno quella accessibile agli esseri umani…

Passarono anni..lui ebbe il suo Nobel…e lei due…E il suo modesto Istituto faceva invidia ad Harvard, Yale, Heidelberg…immerso nella splendida cornice delle colline di Arcetri…

Ma tutto deve avere una fine.

Era tornato da un viaggio..e a casa non l’aveva trovata..ancora sereno l’aveva cercata all’Istituto..nulla…

Mentre vagava disperato nei giardini dell’Istituto, aveva colto con la coda dell’occhio una cosa che non avrebbe dovuto esserci..

Già..che ci faceva una sua vecchia giacca distesa su una panchina sotto un olivo?!

Si avvicinò, guardando da vicino vide solo una busta bianca in bella vista..

Dentro c’era una lettera, a mano..con la sua grafia nitida delicata, molto femminile…

La lettera diceva:

“Amore mio,

non preoccuparti per me..ti amo ancora e ancora…ma dovevo andarmene..Non posso dirti “dove”..perchè tu non puoi seguirmi..

Anche per me è un grande dolore..appena attenuato dalla certezza che ti rivedrò…

Ti lascio delle cose care..che ho conservato gelosamente..profumano di noi due..controlla..

C’è il mio biglietto di sola andata di quando ti venni a trovare a Torino per portarti una borsa con i documenti che avevi dimenticato per il tuo convegno..mi avevi detto che al ritorno mi avresti portato in macchina con te..sento ancora il profumo di quella primavera..

Poi lo scontrino del bar davanti allo Stadio, dove in maniera ridicola ma tenerissima mi dicesti che, insomma..sì..ti sembrava di esserti innamorato..E insieme il tuo indirizzo e-mail segreto..che mi dicesti che avevo solo io..non era vero, ma mi piacque crederci..

E la mia fede d’oro..col mio nome…conservala sempre..è magica…per mezzo di lei mi rivedrai sempre..

Ti lascio anche  la tessera..ti ricordi?!Di quando ci era presa la frenesia letteraria e c’eravamo iscritti al club della Colombaria?!Quanto abbiamo riso insieme..

C’è anche la foto in cui ero ritratta con i miei compagni nel giorno della laurea..un accesso violento di gelosia..perchè quelle maligne delle tue assistenti ti avevano sussurrato che tra me e un certo Leandro…certo che come sanno colpire le donne…

L’ultima cosa..la più divertente..ti ricordi quando, mentre correvamo per prendere l’aereo per il viaggio di nozze, mi si spezzò un tacco…e ti toccò portarmi quasi in braccio a bordo?!L’ho conservato  ….sa ancora di felicità.

E ora, amore mio, devo lasciarti..ti chiedo solo di aver fede in me…Ci ritroveremo..e mi racconterai dei tuoi successi ed io dei miei..

Sei stato il mio più grande e unico amore..quel Leandro non c’entra per nulla..

Ti bacio “alla sveltina” come piace a te..e aspetto il momento in cui ci incontrremo di nuovo”

Non c’era firma..non ce  n’era bisogno…

Prese la giacca..se la mise sulla spalla e, mentre il mondo si dissolveva come in un sogno psichedelico..ripensò alla fine della Tempesta” di Shakespeare..”Siamo fatti della stessa materia dei sogni..e intorno a noi c’è solo un infinito sonno” Lui aspetta ancora…ma è ancora felice

Personaggi e storie – Nadia

Ispirato agli elementi:

Un biglietto di sola andata Roma-Torino

Uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro

Un fazzoletto di carta con un indirizzo e-mail

Una fede d’oro

Una carta socio dell’Accademia La Colombaria

Una foto di gruppo spezzata in quattro

Un tacco a spillo di una scarpa da donna.

Vita da invisibile (personaggio)- di Nadia Peruzzi

Foto di Free-Photos da Pixabay

Il personaggio. . . prima della sua storia.
Ha attraversato la sua vita da invisibile, fino da bambino.
Per questo non ha un nome. Il suo, vero, lo ha rimosso. Ora non si sente molto dissimile dagli identikit che girano su di lui .
Un abbozzo d’uomo in bianco e nero, prosciugato di sentimenti e vita, non certo uno fatto e finito.
Uno come tanti. In realtà uno come nessuno.
Sapeva come sparire in mezzo ad una folla sfiorando le persone senza che nessuno fosse in grado di ricordarsi di lui.
Gli era venuta utile la convinzione, fattasi certezza nel corso degli anni, che i soprammobili di casa valessero molto più di quanto non valesse lui.
Il disinteresse di una madre troppo centrata su sé stessa, e troppo esigente lo aveva forgiato al negativo.
Autostima sottozero, senso di inadeguatezza perenne, incapacità di provare amore non avendolo mai sperimentato e riconosciuto negli altri verso di lui.
L’affetto materno non sapeva cosa fosse, la figura paterna bistrattata e cancellata come figura di riferimento non gli era stata di aiuto. Era cresciuto con l’idea di sua madre che aveva evirato suo padre per colpevolizzarlo di aver generato con lui un figlio totalmente indesiderato.
Insicurezza e solitudine sue compagne di vita, man mano hanno virato in rancore, odio, voglia di sangue per lavare via il disamore provato sulla sua pelle.
Ossessionato dal ticchettio dei tacchi a spillo che sua madre indossava ogni giorno,  anche per andare al lavoro all’Accademia la Colombaria, ne era diventato collezionatore ossessivo e compulsivo.
Il motore delle azioni che hanno determinato un salto di qualità e un passaggio di fase nella sua vita, un click. Un semplice e quasi impercettibile click che ha funzionato come interruttore e molla per il suo cervello malato.
Il click del sospetto era stato il primo. Lo aveva indotto a seguire sua madre trascurando il resto, anche la scuola.
Il click della ineludibile necessità di cancellarla dalla sua vita e di annientarla ne aveva fatto ciò che era diventato.
Un serial killer determinato, freddo, insensibile al dolore altrui. Uno che provava il massimo delle sue emozioni solo nel momento in cui spegneva gli occhi di donne belle e provocanti come lo era stata sua madre. Le sceglieva seguendo il ticchettio dei tacchi a spillo su cui caracollavano ignare del destino che le attendeva.

Vita da invisibile – di Nadia Peruzzi

Davanti al ristorante la Piada di Galla Placidia c’era il mondo.
Curiosi, giornalisti, volanti della polizia. Tutto nella norma, si disse, comprendendo che ormai non c’era più nulla da fare.
Aveva fatto l’errore madornale, quello che non si dovrebbe fare mai.
La maledetta giacca dimenticata all’attaccapanni quando se n’era andato appena mezz’ora prima.  Un pessimo segno !
Era bastata quella piccola svista per far crollare tutta la ragnatela di coperture, depistaggi, inganni con cui di solito si proteggeva.
Si avvicinò al gruppo dei curiosi per poter sbirciare dentro il locale. Si sentiva tranquillo tutto sommato . Il suo identikit non era ancora arrivato in città di provincia come quella. Era all’attenzione della polizia nelle grandi città dove metteva in atto i suoi delitti.
Fece appena in tempo a vedere i carabinieri che repertavano il tacco a spillo e la tessera di socio dell’Accademia La Colombaria e il brilluccichio della fede d’oro su cui erano incisi i nomi di sua madre e suo padre, mentre veniva riposta in uno di quei sacchettini trasparenti da passare a chi si occupava di DNA.
La consapevolezza arrivò in un lampo. Era finito! Era finita!.
Sapeva di esser giunto al capolinea . Qualunque carica di adrenalina era svanita. Lo aveva percepito nel momento stesso in cui al terrore che traspariva dagli occhi della sua ultima vittima non era seguita nessuna reazione da parte sua.
Né compiacimento, né appagamento, tanto meno piacere sadico. Solo indifferenza, disinteresse, freddezza.
Il corpo martoriato, ancora tiepido sotto di lui non gli era sembrato che una bambola di pezza su cui esercitare tecniche di offesa sperimentate e affinate nel corso degli anni. La furia che lo aveva accompagnato fino ad allora la scoprì spenta, come se l’interruttore si fosse girato su off senza che lui se ne fosse reso conto.
Imperturbabile compì il gesto abituale di toglierle le scarpe, metterle vicine al corpo dopo aver staccato ad una il tacco a spillo che era il suo trofeo, fino da quando aveva ucciso sua madre in un vicolo a due passi da La Colombaria.
Lei ci lavorava come segretaria . Lui aveva cominciato a seguirla furtivamente,  condizionato oltre ogni misura dal ticchettio fastidioso dei tacchi a spillo che indossava ogni giorno per andare a lavoro e dopo che aveva saputo il nomignolo che aveva scelto di darsi . Era d’obbligo alla Colombaria trovarsene uno. Lei aveva deciso per “Cinciallegra”. Lui lo aveva trovato fuori luogo e di cattivo gusto e aveva cominciato a esserne ossessionato.
Era solo un ragazzino quando aveva sentito il primo click nella sua testa. Il click del sospetto. Osservava suo padre sempre più triste, lei sempre più insofferente, spregiudicata, arrogante, talora perfida.
Era fredda anche con lui. Nessun gesto di affetto madre figlio, solo sgridate, offese. Lo trattava male quasi ogni giorno per la sua mancanza di sicurezza, per la sua inettitudine, per la sua scontrosità.
“L’esatta copia di quell’idiota di tuo padre. Incapaci, senza palle, noiosi. Il peggio del peggio e siete capitati tutti e due a me!”
Una volta che l’idiota era passato a miglior vita le cose erano pure peggiorate.
In una delle sue scorribande da investigatore la vide uscire dal lavoro accanto ad un bellone palestrato. Stavano appiccicati in maniera oscena e ridevano sguaiatamente. Il tic tic dei tacchi a spillo sull’asfalto lacerava le orecchie e riduceva l’anima a brandelli.
Non gli ci volle molto per passare dal click del sospetto a quello della certezza e dell’atto estremo tanto più giustificato, secondo lui,  da come aveva trattato suo padre e da come continuava a trascurarlo e umiliarlo,  per portarsi a letto ragazzi poco più grandi di lui.
Con lucidità mise a punto il piano. Con freddezza preparò il tutto studiando tempi e modi possibili. Con determinazione e assenza di pentimento in una fredda sera di autunno affondò un coltello per dieci volte nel cuore di sua madre.
Spegnere quel cuore arido e privo di amore per lui, lo ripagò delle angherie subite in tutti quegli anni.
La scossa che provò mentre staccava il tacco a spillo dalla scarpa sinistra lo destabilizzò dandogli la certezza che il viaggio era solo all’inizio. Altre donne ci sarebbero state. Non da amare, visto che aveva maturato una impotenza di sentimenti decisamente più forte di quella che si manifestava ogni volta che aveva provato a fare i conti con una donna che gli piaceva.
Altre donne da uccidere, per placare la sua sete di sangue, la sua voglia di rivalsa la sua eterna sete di vendetta rispetto alla immonda Cinciallegra che aveva avuto per madre.
Pian piano aveva affinato i modi del suo agire. Non si fermava mai troppo tempo in una città. Solo quello necessario per scovare una preda, colpirla sparendo dalla visuale di chi cercava le sue tracce.
Dai giornali man mano aveva scoperto di esser diventato un caso nazionale.
La polizia del paese era in allerta. Fu creata una squadra speciale per braccarlo.  E una volta che diventò chiaro che non si trattava di casi sporadici e di atti scollegati fra loro ma che si svolgevano secondo una trama organizzata da una mente estremamente lucida, pericolosa e molto molto malata a dirigerla fu chiamato il noto cacciatore di serial killer, l’ispettore Dado Derrick.
Fu fin da subito uno scontro di intelligenze.  Il gioco diventò quello che il gatto abitualmente fa con il topo.
Ogni volta dopo averlo braccato, Dado Derrick aveva accorciato i tempi nei quali era arrivato ai suoi covi. Una delle ultime volte si erano incrociati appena fuori del portone principale del palazzo in cui si trovava il suo appartamento.
Lo sentiva incombere. Sapeva che mancava poco al momento in cui sarebbe riuscito ad anticiparlo e a coglierlo in flagrante.
L’errore, la giacca dimenticata malamente in quel ristorante nascevano da questa consapevolezza che aveva iniziato a minare la fredda determinazione con cui agiva di solito. Del resto ormai si sentiva stanco, svuotato e c’erano momenti in cui sperava di trovarselo al primo angolo di strada sotto casa sua per farla finita davvero.
Quella sera decise. Mentre si stava liberando dei guanti che usava e degli abiti lordati dal sangue della sua ultima vittima.
Si sentì stranamente pacificato quando prese la penna e iniziò a scrivere la sua confessione.
La lettera era indirizzata all’ispettore Dado Derrick.
Con carattere fermo enumerò tutti i delitti commessi. Senza esitazione descrisse le ragioni, i sentimenti perversi che lo avevano accompagnato nel suo percorso di morte.
All’errore madornale commesso attribuì il significato di una catarsi. Era in cerca di una purificazione anche se fuori tempo massimo e probabilmente del tutto immeritata.
Perché non ci fosse alcun dubbio ricostruì con precisione tutto quanto era successo il giorno prima.
Era partito da Roma per Torino la mattina alle prime luci dell’alba. Sola andata, visto che per depistare la polizia di Torino si era diretto poi verso Ravenna.
L’email scritta in fretta e furia sul fazzoletto di carta era quella della ragazza che abitava alle Molinette in via dei Cipressi n 23, e che ora giaceva in un lago di sangue con 10 pugnalate al cuore.
Chiudeva il cerchio delle ultime quattro vittime. I quattro pezzi della foto che si trovavano nella giacca erano altrettanti squarci di una macabra verità.
L’aveva scattata lui quella foto solo qualche mese prima. A Firenze. Il gruppo delle amiche si era rivolto proprio a lui per immortalarle in Piazza della Signoria.
Per ricordare il momento dell’incontro aveva deciso di conservare lo scontrino del bar al cui tavolo si era seduto proprio per tenerle d’occhio e farsele amiche.
Mentre scattava la foto, era scattato pure il suo click e la voglia disumana di spegnere uno ad uno quei sorrisi. Tanto più che quelle facevano le turiste caracollando impunemente su improbabili scarpe con i tacchi a spillo, oltretutto leopardate.
La foto che le ragazze gli avevano mandato era stata strappata man mano che ne uccideva una. Adesso i pezzi erano quattro. Missione compiuta.
Infine le cose a cui teneva di più.
La tessera di socio dell’Accademia la Colombaria, regalo di sua madre per il suo decimo compleanno. Unico nel suo genere come regalo e unico davvero perché dopo quello non ne aveva mai più ricevuto un altro da lei.
Uno dei tanti motivi, scrisse, per cui l’aveva uccisa.
La fede nuziale d’oro con incisi i nomi dei suoi genitori, unico frammento di una normalità agognata, di una voglia di famiglia e di calore di affetti mai sperimentati in tutta la sua vita.
Infine, il maledetto tacco a spillo. Il feticcio che strappava alle scarpe delle sue vittime. Il tic tic tic che le scarpe di sua madre facevano nel corridoio e sulle scale oltre la porta di casa mentre usciva, era stato all’origine di tutto. Una lama penetrata nel suo cervello giorno dopo giorno, anno dopo anno fino a diventare ossessione e voglia di annientamento.
Terminò la sua lettera consegnandosi al più intelligente degli investigatori che si erano messi alle sue costole .  Fu l’unica gratificazione che concesse al suo ego malato prima di avvicinare la pistola alla tempia.

Nota:

L’Accademia toscana di scienze e lettere “La Colombaria” è un’istituzione culturale di Firenze, originariamente ospitata nella “torre colombaria” del Palazzo Pazzi a Firenze. Fu fondata nel 1735 da Giovanni Girolamo de’ Pazzi, studioso che si circondò di persone colte, dedite allo studio dell’antichità, della storia, appassionate di filologia e anche di scienze. Dopo la guerra e la quasi totale distruzione del suo patrimonio l’Accademia si è trasferita e il suo indirizzo attuale è via Sant’Egidio 23, nel complesso delle Oblate (bda Wikipedia)

Personaggi e storie – Lucia

Ispirato agli elementi:

Un biglietto di sola andata Roma-Torino

Uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro

Un fazzoletto di carta con un indirizzo e-mail

Una fede d’oro

Una carta socio dell’Accademia La Colombaria

Una foto di gruppo spezzata in quattro

Un tacco a spillo di una scarpa da donna

Stella – di Lucia Bettoni

foto e disegni di Lucia Bettoni

Era bella , era volante, era un sorriso
si chiamava Stella
Un vestito rosso a palloni bianchi
vita stretta e gonna a ruota
Stella era la luce
la bellezza pura

Stella volante – di Lucia Bettoni


Era bella, era volante, era un sorriso
si chiamava Stella
Un vestito rosso a palloni bianchi
vita stretta e gonna a ruota
scarpe rosse e tacco a spillo
Stella non portava la fede, non ne aveva bisogno, la vita era la sua fede, le sue labbra il desiderio, le sue gambe la giostra con la quale galoppare
Con un sorriso tra i suoi più grandi aveva fatto in quattro pezzi una vecchia foto, erano volti pesanti, non voleva più quella zavorra
Stella voleva essere leggera per tuffarsi a strapiombo dalle vette e nuotare in fondo al mare, volteggiare tra le nuvole e correre impazzita nei campi di papaveri
Stella era la luce, era la bellezza pura
Accarezzava il mondo senza lasciarsi prendere, stringeva mani e guardava negli occhi
Non aveva memoria perché tutto era presente, il futuro la sua sorpresa più bella
Un giorno di sole Stella incontrò un’anima bella che insieme a due fiori di campo le diede un fazzoletto di carta con un indirizzo email
Stella sventolò nell’aria fresca del mattino il suo fazzoletto di carta e sventolando scrisse a lui, anima bella, la più struggente poesia d’amore: voglio vivere con te perché vivo con te da sempre e sempre con te vivrò
Dammi la mano amore ho un biglietto per Torino in tasca da tanto tempo e un’altro l’ho appena comprato per te
Seguimi amore, andiamo al parco del Valentino, lì c’è un castello che ci aspetta e se il castello è troppo stretto andremo a Venaria a volteggiare nel giardino delle rose e se anche Venaria è troppo stretta le montagne sono vicine, andremo sulle montagne in un rifugio caldo dove il fuoco scoppietta sempre
Basteranno € 5.80 per comprare uno strudel che ti porterò in camera amore mio e sarà il più dolce e il più profumato, sarà uno solo perché lo mangeremo insieme
Ho perso un tacco disse Stella, non è importante rispose lui , noi possiamo volare 

Personaggi e storie – Vanna

Ispirato agli elementi:

Un biglietto di sola andata Roma-Torino

Uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro

Un fazzoletto di carta con un indirizzo e-mail

Una fede d’oro

Una carta socio dell’Accademia La Colombaria

Una foto di gruppo spezzata in quattro

Un tacco a spillo di una scarpa da donna

Un maritino malandrino – di Vanna Bigazzi

“Più che altro mi dispiace per la Fede d’oro, ora cosa racconto a mia moglie, non certamente che l’ho persa, mi era strettissima al dito che per toglierla dovevo aiutarmi con l’olio o con la saponetta… Capirà subito che me ne sono liberato per nascondere che sono sposato, gelosa com’è! E chi la convince… Non avrei fatto niente del genere se non avessi notato che quella bionda mi guardava, ammiccante, pur da lontano, in quel bar a Firenze vicino alla stazione, fra l’altro caro: un cappuccino 5,80 per sedersi un attimo in quella poltroncina di finta pelle… Eppure me lo immaginavo che si sarebbe avvicinata sfoderando un bel sorriso, l’occasione fa l’uomo ladro, altrimenti, col cavolo avrei fatto quello sforzo disumano per togliermela e infilarla subito nella tasca della giacca. Accidenti, mi fa ancora male il dito… Firenze, volevo fare una piccola sosta prima di Torino, del resto Roma-Torino, è lunga e Firenze merita una sosta. Però, ripensandoci è stata una bella avventura, quando mi ricapita una ragazza a quel modo! La giacca, la giacca… Accidenti, dove l’avrò lasciata, su quella panchina alla Fortezza, faceva caldo, altrimenti non me la sarei tolta. Certo che non capivo più nulla, fissavo le sue lunghe gambe accavallate con quei tacchi a spillo… E chi poteva resisterle? A proposito nella tasca della giacca, dovrebbe esserci anche uno di quei tacchi; lei faceva la smorfiosa, alla Fortezza, mi provocava saltellando su quelle gambe da gazzella, per farmi intravedere la coscia da quello spacco galeotto della gonna… E’ stato così che il tacco si è rotto ed io l’ho raccolto promettendole di accompagnarla da un calzolaio. Meno male che in borsetta aveva delle cenerentole di riserva! Ah… Potessi ritrovare la mia giacca! Nella tasca avevo anche segnato il suo indirizzo e-mail, mi aveva detto che da un poeta, come mi ero spacciato per farmi bello, si aspettava di ricevere poesie, altro che poesie… Non mi ha lasciato neanche il numero di telefono, chi la rivede quella, devo anche rifare il biglietto per Torino, mia moglie mi aspetta: ‘Prendi un biglietto di sola andata, caro, non sappiamo se ci viene voglia di trattenerci di più in quella bella città, è come un secondo viaggio di nozze! Altro che viaggio di nozze, quando mi vedrà scamiciato, con un dito gonfio, nell’impossibilità di portarla a quella Accademia, la Colombaria, con tutto il rispetto per l’Accademia, perché anche la carta socio avevo, in quella maledetta giacca… La odio quella donna, quando si veste da villanella per unirsi al suo gruppo di Danze Popolari. Avevo in tasca anche una foto di lei con i suoi amici ballerini. Lei era venuta malissimo in quella foto, più grossa il doppio e con quel sorriso ebete sotto il cappellone di paglia, mi è preso rabbia a vederla e ho strappato quella foto, sì, l’ho strappata e i ‘reperti’, anche quelli nelle tasche della giacca… In fondo però, poco male per questo, se me la chiede, le dirò che era venuta sfocata e che il suo bel visino era del tutto irriconoscibile, un oltraggio alla sua bellezza, per questo l’ho buttata…”

Pippo

Pippo detto Pippone – di Cecilia Trinci

Sembrano enigmatici, sfuggenti, a volte passano da distratti innamorati di se stessi. Ma lui senza di te si annoia e si sente anche perduto se il distacco si fa lungo. Non piangerà uggiolando come fa un cane, ma di certo spierà la luce che cala sulla tua assenza e ti verrà incontro distrattamente  quando torni, come dicendo “ah sei qui…..stavo in pensiero!”

Ma chi vive con un gatto impara a leggere i suoi pensieri, qualche volta  a prevenirli. Si leggono le increspature delle loro espressioni che sembrano  sempre uguali. Se arriccia il musetto in un certo punto, vicino alla bocca, se guarda con occhi lontani, leggermente piegati alla tristezza, se cammina poco poco più lentamente, si percepisce che qualcosa non va per il verso giusto. Sembra dorma tutto il giorno eppure quando davvero lo fa si vede la differenza. Perché non è vero che sparisce nella sua poltrona e non ti vede. Ha una sua vitalità notturna, lo senti zampettare  mentre dormi, sai che va in salotto a guardare gli uccelli notturni dalla porta finestra, lo senti che si sprimaccia le unghie sul divano quando sa che non dirai niente, lo senti scivolare guardingo sul parquet e tornare nella sua poltrona. Tu dormi eppure sai che lui c’è, vive con te. Lo senti che raspa la lettiera alla stessa ora, e allora puoi rigirarti nel letto e tornare a dormire ancora un po’. Più tardi viene a svegliarti, senti le sue fusa sul viso, lo accarezzi  e le seta purissima della sua pelliccia ti rassicura, è come una carezza gentile reciproca. Ti alzi e il primo pensiero è la sua colazione. Non la pretende ma se l’aspetta. Bocconcini diversi, mi raccomando, perché la noia è la peggior nemica a tavola, anche di un gatto. Sai quando devi cambiare gusto, non c’è bisogno che lui ti guardi deluso voltandosi verso di te dal bordo della ciotola.   Poi giratina in terrazza, per pulirsi i baffi nell’acqua fresca e nelle punte verdi dell’erba gatta. Sonnellino, ma vigile per uno spezza digiuno prima di mezzogiorno e un po’ di sole prima che sia troppo caldo. Ti guarda, dal bordo della poltrona, vedi i suoi orecchi vigili e dritti, la sua facciona tonda che si chiede cosa stai facendo, se lo fai nello stesso modo o stai tramando qualcosa, senti i suoi enormi occhi su di te, giudicano ma ti vogliono bene. Lo guardi e lui sa che lo adori. Poi una mattina non ti viene a svegliare, resta  a dormire oltre l’orario, non fa colazione, non ha la solita fame. Oddio ecco il panico, perché lo sai che  oggi non è lui. Allora sei tu che lo spii e lui si spaventa del tuo spavento, si isola, va sotto il letto, non vuole sentire che hai paura. Ecco allora accesa la catena del terrore. Aspetti, lo guardi, lui mangia dalla tua mano ma non dalla ciotola. Lo sai che invecchia, più velocemente di te, sai che vi lascerete prima o poi. Non vale lo stupido “è solo un gatto”, perché la sua pelliccia trasuda delle tue carezze, nei suoi occhi ci sei tu con i tuoi pensieri, e lui c’è sempre stato quando avevi paura di morire o eri stanca o forse anche solo un po’ felice, quando eri sul divano a pensare o forse solo a guardare la tv, c’era, e veniva ad appoggiarsi a te, pesandoti sul collo e facendoti calduccio proprio dove avevi bisogno di carezze. Sentendoti vicina accende i motori delle fusa e le vibrazioni insieme al suo velluto sono meglio di qualsiasi impensata consolazione. Perché le sue zampette sono state tanti giorni accanto a te seduta. Perché si è sempre messo in disparte quando c’erano i bambini in giro per poi tornare, accanto a te, appena usciti.

Perché è lui che mi accarezza sempre, più di quanto abbia mai saputo fare io.

Dove sono stata questi tre giorni

di Cecilia Trinci

Ero con i miei bambini.

Nonna assoluta. Tempo pieno. Minestrine e bocconcini buoni, giochi per terra, nel parco, tra l’erba, sui tappeti, in cucina, un brulicar di “nonna nonna, dov’è nonna?” E pannolini e fughe a piedi nudi per non farsi acchiappare e cambiare e nanne non fatte per giocare di più e segreti tra fratellini solidali per organizzare qualche dispettuccio “a squadra”, e fagottini abbracciati in collo e “vieni giù” e “salta su….tanto nonna ce la fai!” Nascondino! Pallone! acchiappino! e poi notti ad ascoltare il respiro regolare, a coprire braccini scoperti cercando di capire da che parte è la testina bionda.

Momenti rari, che restano impressi, che ci divertiamo a rivivere anche dopo che sono spariti di nuovo nelle loro case, con una scia di sacchetti e giocattoli imperdibili e grida per sentire l’eco delle loro vocine per le scale…..

La pandemia è stato un attentato a questa ricchezza. Dovremmo pensarci, dopo, ricordare. I nonni non durano molto, lasciano la strada….. eppure in qualche modo restano sempre.

Momenti, giornate, incontri, abbracci…che nel ricordo saranno le figure dei loro nonni, quei personaggi strani a metà tra genitori e amici.

Momenti da non perdere perché in loro non si perderanno mai.

Un oggetto, un amore

Amoremio – di Rossella Gallori

foto e anello di Rossella Gallori

L’ho visto andare, tornare, riandare e ritornare, nascosto nel seno poco evidente di mia madre, non capivo bene per dove, perchè se ne separava  così a lungo, afferravo poco, quell’ aria di trionfo…quando lo riportava a casa ed appoggiandolo sul tavolo in salotto, diceva: ce l’ho fatta….l’ho  riportato a casa!… Poi prendeva un batuffolo di cotone, un po’ di alcool, ed accarezzandolo con lo sguardo, lo strofinava con rabbia e gioia…riapriva il portagioie e lo rimetteva a “nanna” sperando che la “prossima volta” non arrivasse mai…

Ed arrivava, la volta, inesorabile, puntuale…ed io mi innamoravo sempre di più di lui….e più capivo e più soffrivo, nell’attesa, tra un viaggio e l’ altro, i miei dubbi crescevano a dismisura..e se non fosse tornato?..e se lo avessi visto a passeggio per strada su mani estranee, no non avrei retto al dolore.

Lui, era, ed è, l’anello di fidanzamento che mia madre aveva regalato a mio padre, in quel famoso “38 nuvoloso” . Bello, solido, maschio, uno zaffiro per bocca, due brillantini, per occhi…

Credo sia stata la prima cosa che ho visto appena ho aperto gli occhi, la mano abbronzata del babbo, quell’anello, ed i suoi occhi…

Per molto tempo ho creduto di averglielo regalato, in fondo la sua fidanzata, ero io, mica lei…baciavo la sue dita “turmaccose”  e l’anello mi strizzava l’occhio ammiccando amore…

Quando le mani del babbo non hanno accarezzato più la mia testa vuota e piena  di onde ramate, lui, l’anello  è rimasto con noi…ogni tanto andava in vacanza al banco dei pegni, ma tornava…ed io lo amavo sempre più…un amore morboso, non per il gioiello, ma per quel che mi ricordava, per il profumo che immaginavo avesse, per le carezze lontane, ma ancora tiepide  d’amore.

Quando sono andata via di casa, la mamma lo ha dato a me…Non doveva più fare strani viaggi, erano finiti, quei tempi…

Lo amo è un rapporto fisico, vivo, sempre nuovo, di meraviglia, io invecchio, lui no, lui brilla, io sempre meno, ne sono gelosa al punto tale, di portarlo raramente, di nasconderlo agli altri, in fondo non sono una bella cornice le mie mani, non lo valorizzano, ma quando lo metto mi batte il cuore, ed ho, in bilico sull’ anulare, un sogno, miliardi di parole, centinaia di canzoni, una casa, una voce, un profumo, certezze….sogni veri, sogni inventati…ed il mio cuore batte, forte e parla…parla..ripete in coro, con il magico anello, quasi gridando: ti amo! Ti amo..io lo bacio e rispondo: Io di più, di più…

PS: l’ultima volta l’ ho messo quattro anni fa…al matrimonio di mia figlia…lui: testimone di tutto…

Innamorarsi perdutamente

Folle amore – di Lucia Bettoni

foto e orologio di Lucia Bettoni

Erano gli anni ottanta, la metà degli anni ottanta
Ero innamorata e mi innamoravo
Ero felice, avevo fatto una scelta importante e coraggiosa
Avevo attraverso il dolore ed ero ancora viva
Ero orgogliosa di me; libera e in libertà amavo, amavo anche gli oggetti
Non ero interessata al loro uso o al perché erano stati concepiti, io amavo la loro forma, la loro forza estetica
Era la forma che mi rapiva , che mi faceva sciogliere il cuore, che mi faceva tremare un po’ le gambe e sentire un impulso irresistibile che mi diceva: sei bello , voglio fare l’amore con te
Quando volevo rilassarmi e perdermi andavo spesso al mercato delle Pulci
Giravo e giravo tra gli stretti corridoi tra un negozietto e un altro ma soprattutto guardavo tra le cose messe alla rinfusa davanti alle porte: erano le cose meno importanti, meno costose
Io avevo pochi soldi e quelli che avevo non potevo destinarli a cose superflue
Mi accontentavo di comprare vecchie cartoline un po’ ingiallite raffiguranti svenevoli signorine anni trenta che fumavano sigarette con lunghi bocchini e lanciavano sguardi sensuali da sotto i cappellini con piume e perline
Le mettevo in bagno, avevo tappezzato il bagno con le mie vecchie cartoline
Un giorno di questi lo vidi: non era fuori tra le cose da niente ma dentro appoggiato in bella mostra sopra un mobile d’epoca
Era un orologio, un orologio da tavolo grande, strano, particolare, ingombrante, elegante, colorato, un po’ kitch, era un orologio di ceramica.
Non avevo mai amato un orologio, lui era il mio primo.
Fu amore al primo sguardo, il colpo di fulmine che non lascia via d’uscita.
La sua forma e il suo colore mi erano entrati negli occhi e nella pelle, mi guardava ed emanava una forza magnetica.
Era a portata di mano, mi voleva, lo volevo ma non avevo soldi e costava tanto, costava centonovantamila lire, lo ricordo come se fosse ieri.
Era una cifra astronomica, non potevo, non era possibile, dovevo rinunciare
Sono tornata a casa ed è  passata una notte.
Il giorno dopo ero di nuovo lì con centonovantamila lire in mano: i miei risparmi, praticamente tutti.
L’ho portato a casa, l’ho pulito, lavato, guardato e guardato ancora
Era proprio lui che volevo, era proprio di lui che avevo bisogno.
Uno strano orologio che non misurava più il tempo che non avrebbe mai misurato il tempo perché lui era bello così, senza misura.
Da più di trentacinque anni è con me e si lascia guardare oggi come allora, a ricordarmi quanto è bello fare una pazzia per ciò che si ama

Incontro virtuale – 30 marzo 2021

con Cecilia Trinci

Incontro dedicato alla discussione sugli scritti della settimana e sulle implicazioni psicologiche di alcuni temi, come quello del risveglio notturno alle quattro, ora molto difficile anche dal punto di vista biologico, e del tradimento come fuga dalla morte splendidamente espressi da Vanna a cui si è aggiunto il tema dei talismani e degli oggetti carichi di energia.

Ci si può innamorare di un oggetto? Secondo Lucia è possibile, mentre secondo altri pareri non è proprio facile…

Questo potrebbe essere comunque un bello spunto letterario.

Intanto ci impegneremo sulla descrizione di un personaggio, partendo da elementi definiti e uguali per tutti:

CHI E?

In una giacca unisex abbandonata si sono ritrovati nelle tasche i seguenti indizi:

Un biglietto di sola andata Roma_Torino

Uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro

Un fazzoletto di carta con un indirizzo email

Una fede d’oro

Una carta socio dell’Accademia La Colombaria

Una foto di gruppo spezzata in quattro pezzi

Un tacco a spillo di una scarpa da donna

Il tempo e gli oggetti

L’ADDIO A XARA – di Mimma Caravaggi

foto di Mimma Caravaggi

E’ andata! Ieri 29 marzo abbiamo accompagnato Xara nel suo ultimo viaggio in PARADISO a Vallina. E’ si, Xara verrà demolita dopo 22 anni  di onorato servizio . Nonostante non mi sia mai piaciuta molto anzi direi per nulla, devo ammettere che la Supposta, così la chiamavo per via della sua forma allungata, ha fatto un onorato servizio e avrebbe potuto continuare a farlo per ancora chissà per quanto tempo perché tolti alcuni difetti tipo graffi alla carrozzeria qualche ammaccatura e l’usura dei 22 anni il suo motore non ha mai perso un colpo. E’ stata eroica sopportare il mio peso per così tanti anni senza lamentarsi troppo a parte qualche cigolio mentre salivo o scendevo ! No devo proprio ammettere che è stata più che brava. Mentre eravamo al Paradiso per la sua demolizione quasi ci dispiaceva lasciarla lì sola soletta a farsi sbudellare pezzo dopo pezzo. Ho pensato comunque che avrebbe finito in gloria la sua carriera visto che gran parte dei suo pezzi serviranno ad altre Xara in giro per il mondo. Contribuirà come noi Cristiani ai pezzi di ricambio lei come noi. In fondo non mi sembra ci sia una grande differenza ! Ok Xara ti ho salutata come fossi stata umana e mi è dispiaciuto lasciarti fare a pezzettini ma ho subito pensato che era una buona azione la nostra di averti portata e la tua che servirà a molti.

Ciao Xara domani mi arriva Dacia e spero riesca a fare almeno la metà di quanto hai fatto e dato tu. Non avvilirti ho diverse foto che mi ricorderanno di te.

Il tempo per contare il tempo

Il tempo e l’orologio – di Tina Conti

Foto di Arek Socha da Pixabay

Le campane  sono da sempre  l’orologio di tutti.

Per noi italiani, ovunque andiamo, siamo rallegrati dai rintocchi del Mezzogiorno: suoni forti e argentini intonati o sgarbati, ma che indicano una tappa importante: la pausa dal lavoro, il pranzo, il cambio delle occupazioni. Poi abbiamo avuto un segnatempo personale, l’orologio, il primo agognato e tenuto con grande cura, poi, oggi,una moltitudine di oggetti che possono dirci tutto.

Nella vita abbiamo percorso tutte queste tappe per poi dire:-mi regolo con il sole!

La natura ci insegna a leggere il tempo e le stagioni.

Come è  bello sperimentare questa condizione e poter rischiare  di non essere in orario. Aspettando l’ingresso ad uno spettacolo serale, ai cancelli in attesa, una bimba chiede alla mamma  quanto manca all’inizio. La mamma non si raccapezza,   tergiversa, non porta l’orologio, deve  essersi orientata con la luce del sole, la bambina lo sa  e poiché  non vede il sole, dice alla madre, guarda la luna !

A me piacciono gli orologi, di tutti i tipi, eleganti e sportivi, grandi e piccoli, quelli tecnologici mi affascinano  ma non sempre sono capace di usare tutte le loro potenzialità e poi mi dimentico i passaggi.

Sono incantata dai meccanismi, che a volte si vedono in quelli storici  che vengono mostrati  nelle visite  ai campanili  o alle torri.

Ho avuto una sveglia dedicata da mio fratello che di lavoro fa il design, era molto carina, di metallo, ma è piaciuta in famiglia e quella regalatami  è stata  trafugata dai miei figli, era la sveglia TINA.

Sul tempo si discute tanto e si riflette, da bambini si vorrebbe crescere veloci, poi, vorremmo riacchiappare il tempo passato.

Come non passa mai il tempo nei momenti di difficoltà’ e in quelli  della paura, quanto è veloce invece il tempo della gioia,della bellezza, del piacere.

La sirena che indicava l’inizio del turno di lavoro mattutino nella miniere gelava il sangue quando suonava fuori dagli orari stabiliti, avvertiva di una disgrazia. Ci sono  paesi che per molto  tempo hanno avuto le giornate scandite dalle sirene  dei turni nelle fabbriche, hanno abituato a ritmi condivisi.

Mi piace regalare ai bambini orologi tradizionali, per imparare i numeri, il tempo e le frazioni :- ,è ora di pranzo, ecco perché ho fame, mi ha sollecitato TEA  leggendo il suo primo orologio alle 12 esatte.

Se fossimo nella nostra stanza a ANTELLA mi sederi vicino  a Mirella

Regalerei a Mirella  un orologio  da cucina, grande e allegro.

Lei che ha dovuto  ripensare  i giorni, le pause, i ritmi.

Si è arrabbiata all’inizio, poi, ha cominciato a prendere visioni nuove, come reinventarsi gli spazi nella casa, progettare il giardino e sperimentare accostamenti di piante, usare materiali recuperati per arredare  angoli esterni costruire relazioni a lunga distanza di tempo e spazio.

Preparare marmellate, sciroppi, salse , da inviare in giro per la terra.

Avere un tempo personale  lungo, rilassato, creativo, è ritornata quella di sempre, ma più ricca e fantasiosa, con una nuova energia  che brilla da lontano. Cosa  si inventerà di nuovo? ……..aspettiamoci sorprese.

Orologio a ritmo fiorito

Orologio per sognare – di Patrizia Fusi

In questo periodo adopero un orologio da polso di colore nero e di foggia maschile molto semplice.

Se potessi vorrei stare senza, gestire le mie giornate con le necessità che il mio corpo richiede, e con la luce del giorno, come fanno alcuni piccoli fiori.

La mattina si aprono al giorno che arriva, nel pieno giorno sono luminosi e attivi, mano a mano che arriva la sera si richiudono e si preparano per la notte. Anche se recisi seguono questo ritmo

Ma è solo una fantasia perché la mia vita è scandita dagli orari che il vivere in una comunità richiede.

Se fossimo stati nella stanza al teatro di Antella sarei andata nel posto libero che avrei trovato.

Con alcuni mi sento più vicina, però vorrei cercare di stare con tutti anche con un po’ di timore, penso che in ogni persona ci sia del positivo da scoprire.

La scelta di oggi l’ho fatta sull’immagine dei miei compagni che mi apparivano sullo schermo.

 Mimma mi è sembrata stanca e vorrei regalare a lei un bell’ orologio a cucù, che con il suo ticchettio e le ore annunciate da un uccellino colorato faccia compagnia a lei e ad Alberto e gli faccia trascorrere giornate serene.