Incontro virtuale – 27 aprile 2021

con Cecilia Trinci

Ultimo, generoso, commosso incontro in videoconferenza di questo anno, così importante e diverso dagli altri, così partecipato e condiviso.

Un tempo che è stato meno giocoso ma più “utile” (Tina), un “tempo bello, di qualità” (Stefania), che ha dato respiro in un periodo difficile (Anna), che ci ha concesso la malinconia (Gabriella), che ci ha permesso e richiesto maggiore concentrazione ( Luca) e intimità (Nadia, Carmela, Patrizia), che ci ha dato la possibilità di osservare noi stessi (Rossella), che ci ha permesso di ascoltarci di più (Carla), che ci ha sollecitato e risvegliato (Vanna), un tempo di empatia e rispetto (Lucia, Laura), che ci ha permesso di conoscerci di più tra noi (Sandra), un tempo in cui i nostri dolori sono stati accolti dagli altri e sostenuti come da tanti palloncini colorati (Gabriella) , un tempo in cui, con questo mezzo, le Matite si sono reciprocamente ospitate in casa propria.

Un tempo di Umanità.

La cosa più bella di questo anno insieme è stata la capacità di restare uniti e aver saputo scrivere pagine importanti. Non solo per noi stessi, perché scrivendo  abbiamo liberato pieghe dell’animo e aperto nuove finestre, ma anche per chi ci ha letto con interesse e affetto.

Sono felice di questo nuovo traguardo, che dietro ne promette altri, ancora da inventare.

Sono felice del chiarore che si intravede, dei legami che ci hanno fatto compagnia.

Da soli siamo qualcosa di unico e possiamo volare come un palloncino leggero, ma insieme siamo forti, come un mazzo di palloncini, capace di sollevare pesi che altrimenti sarebbero rimasti a terra.

disegni di Carla Faggi e Lucia Bettoni

Mi dispiace per chi si è perso per strada, auguriamo loro un buon cammino,…. se non un possibile ritorno.

Case: Patrizia

Odori di case – di Patrizia Fusi

La mia famiglia era composta da cinque persone e lasciare la mia prima casa è stato bello, era un semi interrato di due stanze e mezzo, con il gabinetto per le scale che serviva per le sei famiglie che ci abitavano.

 Un piccolo quadrato, da un lato c’era uno scalino alto con al centro un grande buco che veniva richiuso da un tappo che aveva sopra una maniglia, per noi bambini avevano fatto un piccolo foro alla base del pavimento per la pipi, all’inizio non c’era la luce elettrica e quando era buio si andava con la candela.

Mio babbo mise la luce che si accendeva da dentro casa, fu una bella cosa.

 Era situato alla prima rampa di scale e aveva lo sfiato dell’aria che usciva sopra il tetto, quando alzavo gli occhi vedevo questo lungo rettangolo pieno di ragnatele con una luce fioca alla sommità.

 Non c’era acqua e l’odore pungente invadeva le scale, quella era la normalità.

La mattina si poteva incontrare le massaie con i vasi da notte che andavano a svuotarli.

Noi bambini quando eravamo fuori a giocare nel campo i nostri bisogni li facevamo dietro i cespugli e ci pulivamo con i ciuffi d’erba.

Traslocare in un appartamento di cinque stanze grandi al primo piano, con la mia prima stanza da bagno molto piccola ma dove c’era tutto e era solo nostra.

Avere la luce e il sole che entravano nelle stanze fino a tardi, senza le inferiate che c’erano nell’altro appartamento.

Nel primo appartamento ho lasciato tanti ricordi della mia infanzia, sensazioni, odori, paure.

E ho visto la mia crescita da bambina a ragazza e lì, in quel contesto del mio paese e dentro quell’abitazione, ho preso la consapevolezza di cosa voleva dire classe sociale, mi sono anche fortificata come persona.

 Ricordo ancora tutto il periodo trascorso dentro quelle piccole stanze, il bello e le difficoltà incontrate, gli oggetti, la moscaiola un piccolo rettangolo con ai lati della rete per far circolare l’aria, dove la mamma metteva il burro, la marmellata o altri cibi per proteggerli dalle mosche. Quando è arrivato il frigo è sparita.

 Le mezzine di rame per l’acqua, l’acquaio in pietra serena un po’ consunto.

La vetrina con il sotto che serviva a contenere pane pasta e altro, c’era un vaso di terracotta con dentro dello strutto che la mamma comprava al forno dove cuoceva la carne di maiale, con questo grasso arricchiva le verdure stufate con il pomodoro

 A me piaceva stenderlo sulla fetta di pane, le goccioline di succo di carne con l’aroma del rosmarino nell’inverno era una merenda golosa.

 Nel lato superiore aveva in bella mostra le tazzine da caffè, i piccoli bicchieri da rosolio, la trina che pendeva dai ripiani.

 La sveglia a cipolla che con il suo ticchettio rumoroso ci accompagnava tutti i giorni e ci faceva compagnia.

Il grande camino che non si è mai adoperato dove era posizionato il fornello a gas.

La stufa a legna che serviva per riscaldarsi e cucinare nei periodi freddi.

Il prete con lo scaldino che veniva messo nel letto per riscaldarlo e per levare l’umidita dalle lenzuola.

 L’odore del mangiare che mamma preparava, odore di cavolo, di minestra di verdura, tutto questo mi abbracciava e mi accoglieva a differenza di quello che  provavo quando andavo nella casa di una mia zia che abitava nello stesso paese che profumava di borotalco, per me odore sgradevole che mi faceva sentire diversa e respinta.

Case: Tina

La  casa tra i fiori- di Tina Conti

foto di Tina Conti

Oggi è il mio giorno libero, (il martedì), sono contenta da quando scendo dal letto.

Mentre preparo la colazione sbircio fuori dalla finestra: tempo mezzo  e mezzo, il letto lo faccio subito, ieri sera mi sono avvantaggiata in casa per esser libera, i bambini ieri erano solo in tre e hanno giocato quasi sempre fuori.

A parte le merende continue, il più grande  mangia come un lupo, il pane che  ho comprato ieri , quasi un chilo e’finito., divorato  in fette con il pesto di baccelli che doveva essere  per la cena, insieme a banane, nespole  e mini schiacciate. Le minacce che spingevano a pulirsi le scarpe quando rientravano in casa hanno dato buon esito, sembra  tutto  in buono stato.

Esco, vado nella mia palestra  privata, camminata veloce sul vialetto, con sacco del differenziato al seguito, piegamenti davanti alle piante di rose per estirpare  le erbette che le vogliono soffocarle, visita all’orto.

Controllo delle semine e poi leggera zappatura alle cipolle.

Ascolto mentre il mio corpo rallenta il galletto mattutino che mi saluta energico  e squillante, la tortora, che gongola morbida e ondeggiant mentre, libera dalla cova, si  accovaccia nell’erba bagnata.

Mentre respiro mi beo del verde  che e’ spuntato ovunque, tante tonalità, che quasi mai riesco a cogliere nei miei acquerelli.

Le gocce di pioggia sui baccelli sono perle ondeggianti, lucide e  incantate.

Zappetto leggermente  la terra appena bagnata e mi piego per liberare le  fragole dai fili d’erba che si sono intrufolati.

Le lumache questa volta non hanno fatto danni, tutto è rigoglioso, sono contenta.

Riprendo la camminata per rientrare a prendere lo spago, per formare piccole fascine con le potature degli  olivi lasciate a terra.

Serviranno per il forno  e le cotture autunnali conservate al riparo  nella legnaia.

Allungamenti, respiri consapevoli, ginnastica con gli occhi per scrutare il bello che la primavera ci regala..il canto degli uccelli e’musica melodiosa  e ginnastica  per il cuore, e poi fruscii, brezzoline, odori, sprigionati dalle erbe calpestate.

 Godo  nel vedere gli uccelli avvicinarsi alla casa per mangiare le briciole e i semi che nascondo vicino ai vasi perché indugino e si facciano vedere.

Si alternano cinciallegre e pettirossi, qualche volta anche tortore, le upupe arrivano nel prato, si fermano alla ricerca di vermi, poi volano via.

La ginnastica e’finita, dopo aver riportato le biciclette  lasciate dai bambini

sotto la tettoia, raccolto monopattini e palette rientro.

La casa che abito da venticinque anni è arrivata dopo  le altre tre della mia vita.

La casa di famiglia, tanto amata e che mi ha fatto sentire sicura e protetta insieme a quel grande contesto di luoghi e persone che l’animavano. Non volevo lasciarla e anche dopo, quando ci tornavo, sentivo che qualcosa si distendeva. L’orto non lo abbiamo venduto, è un pezzo di casa che è rimasto di tutti e se anche non ci vado più so che c’è, che serve a qualcuno, che è fonte di amore e di vita. L’orto della nostra “casa delle cose” ci metteva in comunicazione, perché lì, all’aperto, si stava insieme e c’era sempre qualcosa da raccontare, da scambiare.

La casa di due anni in via dell’Arione, non mi ha lasciato grandi ricordi e affetti.

Poi la casa nuova, organizzata in modo giovane, con spazi aperti, luce e tanta  famiglia, dove si era ricreato un mondo caldo e pieno di vita. Abitata per mezza vita e lasciata con trepidazione.

La casa di oggi, per tutti i figli, fratelli, amici, grandi tavoli per ospitarli dentro e fuori, aperta, felice degli ospiti che si presentano, con sempre qualcosa da regalare.

Un po’ di radicchio, una pianta, la frutta degli alberi, un piatto cucinato, e tanti mazzi di fiori. Si mi piace regalare e ricevere fiori. Sparsi in giro nel campo e nel giardino sono stati piantati cespugli e piante perenni che regalano fioriture nelle varie stagioni e ancora ne verranno piantati, ci sono tanti nuovi progetti.

Una casa per  sentirsi accolti, dove i bambini hanno giochi, abiti vecchi, consoli, oggetti, spazi per stare, giocare, lavorare e divertirsi, riposarsi, dormire.

Una casa con poche pretese, da usare,  senza paura di rovinare, tanto io dico non si finisce una casa  in una vita , tanto vale sfruttarla bene.

Case: Carmela

Le case del cuore – di Carmela De Pilla

Fino alla maggiore età, e una volta si diventava maggiorenni a ventun anni, la mia casa è stata il mio cuore, un cuore calpestato da un’inquietudine che mi avvolgeva nel silenzio di mille notti scure e malinconiche.

Ho vagato per infiniti anni, così mi sono parsi, tra muri invalicabili e stanze abitate da sconosciuti, ho soggiornato in più collegi o in casa di zie che “mi tenevano per un po’ di tempo”, mi sentivo forzatamente abbandonata, ma per fortuna amata perciò il calore di una casa l’ho sentito solo quando ero già una giovane o quando una volta l’anno la famiglia si incontrava in un affetto che attenuava quella solitudine che si infiltrava nell’anima.

Una casa ha impresso dentro il mio sangue il marchio dell’amore che ci legava e ci sosteneva nonostante tutto, era la “casa del mare” costruita da mio padre negli intervalli di tempo in cui rientrava in Italia “Questa deve essere la casa del cuore, quella che ci permetterà di stare insieme, ognuno avrà la sua camera e ci sarà una grande sala dove potremo mangiare e ballare anche quando sarete sposati e saremo più numerosi” così dicevano papà e mamma.

La semplicità della casa contrasta con la bellezza del luogo, essenziale nella struttura, un unico pian terreno con quattro camere, per i miei due fratelli, per me e per i miei genitori, una piccola cucina e un’ampia sala centrale che si affaccia su una grande veranda che guarda il mare…quel mare con le isole Tremiti che ci osservano giorno e notte.

Lo conosco bene il mare, ne conosco l’ odore a volte delicatamente profumato, a volte così intenso da dar fastidio, ne conosco il suono, dolce musica spinta e accompagnata dalla brezza o il frastuono del mare mosso che di notte lascia spazio alla paura, conosco la sua trasparenza che non tradisce mai e i mille colori sempre diversi, ho imparato lì a scoprire le innumerevoli sfumature  dell’alba e del tramonto che invitano a sognare, è lì che sento l’odore acuto del giglio marino e quello delicato del mirto.

Nel silenzio e nel blu intenso della notte sembra di toccarla la luna e le stelle che sembrano più luminose e più vicine ci indicano senza fatica l’orsa maggiore, l’orsa minore, il carro…e ti lasci rapire da tanta bellezza.

Nel tempo è diventata più bella, ma è rimasta sempre “la casa del cuore” che ha custodito quell’amore che ci ha unito a dispetto di un destino che ci ha voluto separare, tuttora è la casa del mare dove si sono divertite anche le mie figlie e i miei nipoti e ora anche i loro figli.

Ho percorso tante strade affollate di paure, dubbi, silenzi, ma via via si faceva sempre più spazio dentro di me una forza che mi ha spinto a trovare la voglia di una rinascita ed è proprio in questo momento che ho incontrato l’amore e un’altra “casa del cuore”, finalmente la mia casa! Quella che mi ha vista moglie, mamma e donna sempre più sicura e più desiderosa di conoscersi e di realizzarsi.

Era una bella casa, nella zona di Rifredi a Firenze, un terratetto su due piani, arredato con mobili semplici ed eleganti, con un piccolo giardino dove le mie bambine, ora donne sono nate e cresciute e dove ho vissuto momenti importanti della mia vita.

L’ultima “casa del cuore” è quella dove vivo attualmente, ora che sono una donna matura, per così dire  vedo le stelle più luminose perché ho imparato a costruire una strada fatta di amore, di amicizia, di passioni e questa casa rappresenta la sintesi di tutto ciò, è la casa dei miei sogni, la volevo proprio così!

Abbiamo sempre desiderato vivere in campagna così tra rinunce e un mutuo da pagare siamo riusciti a comprare una porzione di colonica immersa nel verde, anche questa come la casa al mare ha una grande sala per la convivialità, è piena di cianfrusaglie come dice mio marito che a me invece piacciono un sacco e poi c’è un grande giardino, luogo di incontro e di feste con gli amici e l’orto, ultime mie passioni.

Soprattutto in primavera, quando le piante hanno bisogno di me, passo molte ore della giornata fuori a trapiantare, potare, seminare e la fatica che faccio è ampiamente ripagata dalla gioia immensa di vedermi circondata dai colori, dai sapori, dalla musica e dal profumo della terra.

Case: Simone

LE CASE DEI RICORDI – di Simone Bellini

Infanzia: la noia dei mesi estivi si consumava in una villa padronale dei miei avi, vecchia, stravecchia, ma contenente in sé un’antica dignità. Una marea di stanze affrescate in stile grottesco e camini mai utilizzati.

Tre mesi di vacanza scolastica di una noia mortale per un ragazzino confinato nel nulla. Fu così che trovai sfogo imparando a suonare la chitarra in maniera autodidatta.

 Solo dopo che fu venduta  capii quanto quella casa mi mancava.

La casa di città; ci sono nato io e i miei figli che, una volta venduta, hanno sentito molto il distacco da quelle mura, dagli amici, da una vita accertata nei suoi piccoli agi, accusandomi poi, una volta tornati all’ Antella, di averli portati in mezzo ai lupi.

Adesso non andrebbero più via da questa zona. Mia figlia, che è tornata in città, aspetta a gloria di fare a cambio con noi, e recuperare la nostra casa all’Antella.