Candido lino – di Carmela De Pilla
Quando l’ombra della notte cala riaffiorano i ricordi, all’inizio un po’ confusi poi sempre più nitidi e nella grande sfera di cristallo appaiono figure un po’ velate da un tempo troppo lontano, ma solide e potenti come quelle sculture che resistono al trascorrere dei secoli senza mai perdere la loro antica bellezza.
Era una ragazzina quando Grazia andò per la prima volta dalle suore a scuola di ricamo, così timida e impacciata venne travolta dalla decisione della madre, era il tempo in cui la vita, soprattutto quella delle bambine veniva decisa con autorità dagli adulti e lei si lasciò trascinare senza opporre alcuna resistenza.
All’inizio si dedicò al ricamo malvolentieri poi sempre con più piacere tanto da diventare la più brava del gruppo “ Hai un mestiere tra le mani, se continui così farai il corredo a tutte le ragazze del paese” diceva Suor Adelina e fu proprio così, se ne appassionò così tanto che in breve dall’imparaticcio passò a ricamare le tovaglie.
Non era molto alta Grazia, la sua figura minuta e snella la faceva sembrare ancora più giovane, aveva un volto che incantava, i lunghi capelli neri li teneva spesso raccolti in una coda di cavallo perché, come diceva sua madre, era disdicevole portarli sciolti, col tempo aveva perso un po’della sua timidezza e ancora sedicenne si fece notare per la sua bravura e incominciò a ricamare non solo per i parenti, ma anche per le donne del paese.
Aveva proprio ragione Suor Adelina, ben presto le mamme si misero in lista per farsi fare il corredo per le figlie ancora bambine, chilometri di candido lino correvano tra le mani esperte e preziose di Grazia, l’avvolgevano quasi a proteggerla da un mondo inafferrabile e a volte incomprensibile.
Stavo delle ore a guardarla mentre con grande destrezza tagliava quei lunghi teli di lino, solo bianchi che svolazzavano nella piccola stanza dove ricamava, conosceva a menadito la trama e l’ordito di ogni tessuto e con le sue mani leggere lo tastava, lo stropicciava, ne sentiva lo spessore e capiva immediatamente quale fosse il ricamo più adatto.
Mi incantavo a vedere quelle mani che danzavano su quei teli immensi che lei teneva raccolti in una grande federa per non sporcarli e mentre sfilava, contava i fili, tagliava, infilava l’ago o ricamava il suo sorriso spiccava tra quella nuvola bianca che metteva ancora più in evidenza la sua carnagione olivastra.
Amava ricamare sul lino sottile, quasi trasparente perché il ricamo risaltasse ancora di più, ma nello stesso tempo fosse parte integrante del tessuto come la schiuma del mare, era diventata abilissima nel “pizzo rinascimento” di cui realizzava perfino i disegni “Una bella sposa deve avere nel suo corredo almeno un lenzuolo con un ricamo che sia solo suo”.
Era il tempo in cui le cose belle venivano apprezzate da tutti, anche dalle persone più semplici.
