Personaggi e storie – Rossella

Ispirato agli elementi:

Un biglietto di sola andata Roma-Torino

Uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro

Un fazzoletto di carta con un indirizzo e-mail

Una fede d’oro

Una carta socio dell’Accademia La Colombaria

Una foto di gruppo spezzata in quattro

Un tacco a spillo di una scarpa da donna.

Senza un perché (Il Personaggio) – di Rossella Gallori

Alto quel tanto che non è troppo

Un viso ossuto dalla carnagione di un oro bronzeo, frutto di un sole buono…quasi lontano.

Lo sguardo tra l’intrigante ed il poco invitante, forse causato da un astigmatismo trascurato ed i solchi sulla fronte ne davano conferma, incorniciati da fili, come anelli d’argento, nascosti da un selva nera…quasi corvina di capelli.

Le labbra imbronciate, semichiuse.

Un filo di barba un po’ voluta, un po’ cialtrona.

Mani grandi, segnate qua e la da graffi vecchi, piccoli segni bluastri sulle falangi, le unghie, solo anonime falci mangiate dalla terra.

Gambe lunghissime fasciate da jeans così consunti, da sembrare trasparenti, anche l’ immaginazione arrossiva al suo incedere lento, quasi dondolante, scandito ad ogni passo dai camperos  polverosi.

Un maschio senza ombra di dubbio.

 Dalla camicia quasi pulita, aperta fino all’indecenza, dondolavano vecchi Rayban dalle stanghette  sgangherate.

Sulle spalle larghe, una sahariana senza più ombra di colore …dalle mille tasche gonfiate da strane e non ignote forme, sembrava cadere pesantemente da un momento all’altro.

Sorrideva!! Sorrideva?…  al suo arrivo il sole per primo abbassò la guardia,  su una sensazione….di freddo…

Dopo il personaggio “ la storia” – di Rossella Gallori

…svegliarsi di colpo, credendo di essere in un letto e trovarsi su di un treno, pieno di gente, maleodorante, con un caldo asfissiante, non fu piacevole, il biglietto piegato tra le dita, recitava  traballante “andata Torino” non sapeva nemmeno lui perché avesse lasciato Roma così in fretta.

Si guardò intorno, cercando di riavviare quel suo cesto incolto di capelli, sempre meno neri,   di  assumere una postura più corretta, le sue gambe oggi gli sembravan più lunghe del solito, cercò di battere i piedi per terra, per togliere un po’ di polvere ai camperos inguardabili, tolse uno scontrino appiccicato sotto la suola “bar Consoli via aretina Firenze “ corrugò  la fronte per mettere a fuoco l’ importo, la sbronza del giorno prima aveva tolto decimi al suo già grave astigmatico, cinque euro e ottanta…lo gettò nel cestino giá colmo, urtandone il coperchio, si accorse solo allora di avere mani sporche, graffiate, l’ anulare sinistro segnato da piccoli lividi…..

Sudava   e piano piano ricordava, cercò un fazzoletto nella tasca della camicia, sembrava nuovo ed usato al tempo stesso una mail scritta in rosso in  un angolo, non era la sua scrittura…..eppure….piccoli tasselli tornavano alla sua mente…che ancora non trovava il bandolo della matassa….ricordava di essersi tolto a fatica la fede, ricordava una voce cantilenante….quella mail scritta con una matita per labbra.

La voglia di pisciare, lo distolse dal pensare, si alzò di scatto, quasi investì il controllore che tranquillo transitava nel corridoio….il cesso dove è?  Non ebbe risposta verbale, se non un cenno della mano che gli indicava di malavoglia la destra.

La toilette era così piccola da farlo sentire più alto della media, dopo aver fatto la cosa più urgente, si guardò allo specchio, notò di se il colorito giallognolo, la barba incolta, la camicia troppo aperta, e quel tacco rosso appeso ad un laccetto di cuoio al suo collo a mo’ di ciondolo…

L’ acqua gelata sul viso lo riportò  bruscamente alla realtà….aveva usato la carta socio di quella strana Accademia, trovata nel portafoglio, rubato ad un  malcapitato…per entrare in quel posto elegante…si lo ricordava bene, aveva allacciato la giacca dalle mille tasche,  sfoderato un sorriso, eluso la sorveglianza , digitato un codice maldestramente scritto dietro la card ed era entrato in un sogno dal profumo esotico, dall’ arredamento sontuoso, quello che sembrava  un hotel a 5 stelle, non era altro che un postribolo d’alto bordo….perchè non approfittarne…si guardò intorno entro nella prima camera aperta, trovò lei mezza nuda ed invitante un letto, liquori, strisce di coca…un immensa gigantografia sul soffitto riproduceva una foto spezzata in quattro, appoggiata su uno specchio enorme..…Bevve, sniffò, in un caleidoscopico kamasutra, poi, poi, non ricordava più niente…o quasi.

Un colpo forte ed una voce  stridula, lo fece sobbalzare: occupato…ma quanto ci sta…

Tirò su la lampo dei vecchi jeans ed uscì!  Ricercare lo scompartimento fu un’ impresa, ricordava di aver lasciato sulla poltrona la sahariana…una voce metallica annunciava “Torino Porta Nuova”

Alzò lo sguardo si trovò di fronte una pistola ed un distintivo : è sua questa giacca?……

Annuì, nel silenzio di un treno che si stava svuotando…

Ecco vedendo le macchie di sangue sul tessuto sbiadito aveva completato il puzzle….si arrese porgendo le mani assassine ad un modesto poliziotto sabaudo….sapeva di averla uccisa, pur non ricordandone  il perché….

Personaggi e storie – Luca

Ispirato agli elementi:

Un biglietto di sola andata Roma-Torino

Uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro

Un fazzoletto di carta con un indirizzo e-mail

Una fede d’oro

Una carta socio dell’Accademia La Colombaria

Una foto di gruppo spezzata in quattro

Un tacco a spillo di una scarpa da donna.

Paura curiosa (personaggio) – di Luca Di Volo

Foto di Reto Gerber da Pixabay

Quello che voglio descrivere è un personaggio complesso o, meglio, non è un personaggio unico..sono almeno due..e chissà quanti altri si agitano nel maelstrom profondo di questa persona. .nella fisicità che la incarna.

Eppure quello che descriverò non è uno schizofrenico…anzi..la dialettica dei due spiriti(chiamiamoli così..) che lo animano si risolve sempre in energia propulsiva.Un traguardo sempre difficile da raggiungere..ma che produce molta più energia di quella che consuma.

Ma quali sono questi due “spiriti”?!

Uno potremmo chiamarlo “paura”…paura di tutto….una paura cosmica.., c’era voluto del tempo per riconoscerla..ma lui doveva sempre  venirci a patti..

Vedremo poi come questo personaggio fosse riuscito ad esorcizzarla…anche se solo per intervalli di tempo  limitati.

L’altro “spirito”  : la curiosità…insaziabile…crudele, quasi..doveva capire..decifrare..andare alle fonti ..che spesso erano anche deludenti e lo lasciavano ancora più incerto.

La conseguenza  di questo conflitto..semplificando molto, era che la vita di questo personaggio era costituita   da misteri, bivi infiniti che il tempo gli presentava…e per tutti..per tutti bisognava scegliere..attingendo all’energia che scaturiva dalla  feroce dialettica interna..

La paura  cercava  di sbarrare la strada alla curiosità…due forze uguali ed opposte…ma lui non poteva rimanere fermo..

All’esterno ben poco traspariva di questi conflitti..

Era considerato un uomo di aspetto forse più che gradevole..qualcuno diceva anche che fosse un bell’uomo..distinto, colto, raffinato..

Lui non si vedeva così…però si vestiva sempre in modo elegante..forse era un modo per rassicurarsi sull’effetto che faceva sulle persone, visto che i suoi occhi interiori non gli davano conferme..

Comunque era un narcisista..di questo si rendeva conto.

Nei rapporti con l’altro sesso, aveva la profonda convinzione che le donne fossero davvero il sale della vita…

Non fraintendiamo..lui non era assolutamente gay…anzi li detestava..per un momento aveva avuto il sospetto di esserlo anche lui…ma gli era passata subito…confermata dai fatti..

Gli piacevano tutte…e non era solo questione di sesso..

Gli piaceva il “femminile”..quel modo di muoversi..di ruotare con grazia la testa….il modo di ragionare..così profondo..solo a volte reso banale per la troppa cura dei particolari…Intendiamoci..non era un ingenuo..sapeva benissimo che c’erano donne stupide, cattive..almeno come gli uomini…però il suo pensiero dominante era questo..Forse la causa era la figura della nonna materna tanto amata, da cui era stato adorato..e soprattutto che gli aveva insegnato ad amare..

Avrebbe avuto quindi tutte le carte in regola per essere un Don Giovanni..o un Casanova strepitoso, non ci fosse stato quello scomodo spirito di paura che a volte lo bloccava sul più bello..

Si era laureato in fisica…meravigliato che nessuno vedesse i miracoli che avvenivano tutti i giorni…bastava guardare il Sole..e non riusciva a credere che in tanti i miracoli andassero a cercarli dove proprio non c’erano..

Camminava per i corridoi dell’Istituto sempre elegante…con le spalle un po’ ingobbite ma col passo sicuro..adorava quell’odore di polvere antica e quei mobili un po’ vecchiotti..che insieme all’attività ultramoderna che vi si svolgeva gli assomigliavano tanto..

Ma lui continuava ad investigare..

Paura curiosa (storia) – di Luca Di Volo

Ormai era diventato il Direttore dell’Istituto….stava invecchiando..ma era ancora un bell’uomo..almeno a detta delle sue studentesse….

Ma forse lo dicevano per ruffianeria..si sa come vanno queste cose..

Perciò non si scompose più di tanto quando gli mandarono quella giovane neo dottorata per assisterlo nelle sue ricerche.

Una biondina..mascherata da un paio di occhialoni più grandi di lei..giovane.., ma non giovanissima…Però un’aria infantile, ingenua..che lo commosse subito..

In quell’ambiente…ma aveva già deciso che lui l’avrebbe protetta.

Però già dai primi giorni aveva capito che non sarebbero stati lui e il suo staff ad essere assistiti da lei..ma che loro avrebbero aiutato lei nella ricerca…

Era appena arrivata che aveva trovato un errore nella sua ultima pubblicazione..che non faceva tornare più nulla, indicandogli anche come rimediare.E gliel’aveva detto con la sua vocina timida..che l’aveva fatta subito perdonare per l’insolenza..Comunque..gli aveva evitato una brutta figura, sostituita invece da un largo apprezzamento..

E questo non era che il principio..le sue idee, il modo di affrontare le difficoltà..erano talmente inedite ed originali che spesso, per capirle, ci voleva parecchio tempo…per scoprire poi che aveva sempre ragione lei..

Insomma, dopo appena un anno il suo contributo era stato tale da far avanzare le conoscenze di almeno un decennio, per i poveri scienziati mortali.

La fama del suo Istituto era cresciuta a tal punto che si parlava già di Nobel..per lui, non per lei..forse era ingiusto..ma a lei sembrava non importare granchè…

Ma c’era di più..molto di più…Era noto quanto a lui piacessero le donne, in generale…anche se il suo comportamente all’interno dell’Istituto era stato sempre irreprensubile..e sì che le sue dottorande gliene avevano date di occasioni di peccare..Ma lui non voleva essere ricattabile…gli era costato parecchio, inutile dirlo..ma c’era riuscito..Invece fuori..fuori era fuori..e lì non si faceva pregare..

Però un giorno…un fatale giorno…un giorno in cui l’aveva sorpresa in un’aula davanti ad una lavagna piena di simboli che lui nemmeno riconosceva..come si alzasse un velo l’aveva vista come veramente era…Una splendida donna..la sorpresa era stata abbagliante e aveva tolto la parola anche a lui…che  con le donne era stato sempre di poche parole..ma qui era rimasto muto completamente,  perso in un’adorazione sospesa in un tempo senza tempo..

Va beh…non facciamola troppo lunga…Finì per sposarla…inevitabile..

Da quel momento non guardò più le altre donne..sì..continuavano sempre a piacergli..il suo vecchio spirito non l’abbandonava

ma erano solo donne e non “la donna”..una differenza sottile ma importante..

Conobbe finalmente la felicità..o almeno quella accessibile agli esseri umani…

Passarono anni..lui ebbe il suo Nobel…e lei due…E il suo modesto Istituto faceva invidia ad Harvard, Yale, Heidelberg…immerso nella splendida cornice delle colline di Arcetri…

Ma tutto deve avere una fine.

Era tornato da un viaggio..e a casa non l’aveva trovata..ancora sereno l’aveva cercata all’Istituto..nulla…

Mentre vagava disperato nei giardini dell’Istituto, aveva colto con la coda dell’occhio una cosa che non avrebbe dovuto esserci..

Già..che ci faceva una sua vecchia giacca distesa su una panchina sotto un olivo?!

Si avvicinò, guardando da vicino vide solo una busta bianca in bella vista..

Dentro c’era una lettera, a mano..con la sua grafia nitida delicata, molto femminile…

La lettera diceva:

“Amore mio,

non preoccuparti per me..ti amo ancora e ancora…ma dovevo andarmene..Non posso dirti “dove”..perchè tu non puoi seguirmi..

Anche per me è un grande dolore..appena attenuato dalla certezza che ti rivedrò…

Ti lascio delle cose care..che ho conservato gelosamente..profumano di noi due..controlla..

C’è il mio biglietto di sola andata di quando ti venni a trovare a Torino per portarti una borsa con i documenti che avevi dimenticato per il tuo convegno..mi avevi detto che al ritorno mi avresti portato in macchina con te..sento ancora il profumo di quella primavera..

Poi lo scontrino del bar davanti allo Stadio, dove in maniera ridicola ma tenerissima mi dicesti che, insomma..sì..ti sembrava di esserti innamorato..E insieme il tuo indirizzo e-mail segreto..che mi dicesti che avevo solo io..non era vero, ma mi piacque crederci..

E la mia fede d’oro..col mio nome…conservala sempre..è magica…per mezzo di lei mi rivedrai sempre..

Ti lascio anche  la tessera..ti ricordi?!Di quando ci era presa la frenesia letteraria e c’eravamo iscritti al club della Colombaria?!Quanto abbiamo riso insieme..

C’è anche la foto in cui ero ritratta con i miei compagni nel giorno della laurea..un accesso violento di gelosia..perchè quelle maligne delle tue assistenti ti avevano sussurrato che tra me e un certo Leandro…certo che come sanno colpire le donne…

L’ultima cosa..la più divertente..ti ricordi quando, mentre correvamo per prendere l’aereo per il viaggio di nozze, mi si spezzò un tacco…e ti toccò portarmi quasi in braccio a bordo?!L’ho conservato  ….sa ancora di felicità.

E ora, amore mio, devo lasciarti..ti chiedo solo di aver fede in me…Ci ritroveremo..e mi racconterai dei tuoi successi ed io dei miei..

Sei stato il mio più grande e unico amore..quel Leandro non c’entra per nulla..

Ti bacio “alla sveltina” come piace a te..e aspetto il momento in cui ci incontrremo di nuovo”

Non c’era firma..non ce  n’era bisogno…

Prese la giacca..se la mise sulla spalla e, mentre il mondo si dissolveva come in un sogno psichedelico..ripensò alla fine della Tempesta” di Shakespeare..”Siamo fatti della stessa materia dei sogni..e intorno a noi c’è solo un infinito sonno” Lui aspetta ancora…ma è ancora felice

Personaggi e storie – Nadia

Ispirato agli elementi:

Un biglietto di sola andata Roma-Torino

Uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro

Un fazzoletto di carta con un indirizzo e-mail

Una fede d’oro

Una carta socio dell’Accademia La Colombaria

Una foto di gruppo spezzata in quattro

Un tacco a spillo di una scarpa da donna.

Vita da invisibile (personaggio)- di Nadia Peruzzi

Foto di Free-Photos da Pixabay

Il personaggio. . . prima della sua storia.
Ha attraversato la sua vita da invisibile, fino da bambino.
Per questo non ha un nome. Il suo, vero, lo ha rimosso. Ora non si sente molto dissimile dagli identikit che girano su di lui .
Un abbozzo d’uomo in bianco e nero, prosciugato di sentimenti e vita, non certo uno fatto e finito.
Uno come tanti. In realtà uno come nessuno.
Sapeva come sparire in mezzo ad una folla sfiorando le persone senza che nessuno fosse in grado di ricordarsi di lui.
Gli era venuta utile la convinzione, fattasi certezza nel corso degli anni, che i soprammobili di casa valessero molto più di quanto non valesse lui.
Il disinteresse di una madre troppo centrata su sé stessa, e troppo esigente lo aveva forgiato al negativo.
Autostima sottozero, senso di inadeguatezza perenne, incapacità di provare amore non avendolo mai sperimentato e riconosciuto negli altri verso di lui.
L’affetto materno non sapeva cosa fosse, la figura paterna bistrattata e cancellata come figura di riferimento non gli era stata di aiuto. Era cresciuto con l’idea di sua madre che aveva evirato suo padre per colpevolizzarlo di aver generato con lui un figlio totalmente indesiderato.
Insicurezza e solitudine sue compagne di vita, man mano hanno virato in rancore, odio, voglia di sangue per lavare via il disamore provato sulla sua pelle.
Ossessionato dal ticchettio dei tacchi a spillo che sua madre indossava ogni giorno,  anche per andare al lavoro all’Accademia la Colombaria, ne era diventato collezionatore ossessivo e compulsivo.
Il motore delle azioni che hanno determinato un salto di qualità e un passaggio di fase nella sua vita, un click. Un semplice e quasi impercettibile click che ha funzionato come interruttore e molla per il suo cervello malato.
Il click del sospetto era stato il primo. Lo aveva indotto a seguire sua madre trascurando il resto, anche la scuola.
Il click della ineludibile necessità di cancellarla dalla sua vita e di annientarla ne aveva fatto ciò che era diventato.
Un serial killer determinato, freddo, insensibile al dolore altrui. Uno che provava il massimo delle sue emozioni solo nel momento in cui spegneva gli occhi di donne belle e provocanti come lo era stata sua madre. Le sceglieva seguendo il ticchettio dei tacchi a spillo su cui caracollavano ignare del destino che le attendeva.

Vita da invisibile – di Nadia Peruzzi

Davanti al ristorante la Piada di Galla Placidia c’era il mondo.
Curiosi, giornalisti, volanti della polizia. Tutto nella norma, si disse, comprendendo che ormai non c’era più nulla da fare.
Aveva fatto l’errore madornale, quello che non si dovrebbe fare mai.
La maledetta giacca dimenticata all’attaccapanni quando se n’era andato appena mezz’ora prima.  Un pessimo segno !
Era bastata quella piccola svista per far crollare tutta la ragnatela di coperture, depistaggi, inganni con cui di solito si proteggeva.
Si avvicinò al gruppo dei curiosi per poter sbirciare dentro il locale. Si sentiva tranquillo tutto sommato . Il suo identikit non era ancora arrivato in città di provincia come quella. Era all’attenzione della polizia nelle grandi città dove metteva in atto i suoi delitti.
Fece appena in tempo a vedere i carabinieri che repertavano il tacco a spillo e la tessera di socio dell’Accademia La Colombaria e il brilluccichio della fede d’oro su cui erano incisi i nomi di sua madre e suo padre, mentre veniva riposta in uno di quei sacchettini trasparenti da passare a chi si occupava di DNA.
La consapevolezza arrivò in un lampo. Era finito! Era finita!.
Sapeva di esser giunto al capolinea . Qualunque carica di adrenalina era svanita. Lo aveva percepito nel momento stesso in cui al terrore che traspariva dagli occhi della sua ultima vittima non era seguita nessuna reazione da parte sua.
Né compiacimento, né appagamento, tanto meno piacere sadico. Solo indifferenza, disinteresse, freddezza.
Il corpo martoriato, ancora tiepido sotto di lui non gli era sembrato che una bambola di pezza su cui esercitare tecniche di offesa sperimentate e affinate nel corso degli anni. La furia che lo aveva accompagnato fino ad allora la scoprì spenta, come se l’interruttore si fosse girato su off senza che lui se ne fosse reso conto.
Imperturbabile compì il gesto abituale di toglierle le scarpe, metterle vicine al corpo dopo aver staccato ad una il tacco a spillo che era il suo trofeo, fino da quando aveva ucciso sua madre in un vicolo a due passi da La Colombaria.
Lei ci lavorava come segretaria . Lui aveva cominciato a seguirla furtivamente,  condizionato oltre ogni misura dal ticchettio fastidioso dei tacchi a spillo che indossava ogni giorno per andare a lavoro e dopo che aveva saputo il nomignolo che aveva scelto di darsi . Era d’obbligo alla Colombaria trovarsene uno. Lei aveva deciso per “Cinciallegra”. Lui lo aveva trovato fuori luogo e di cattivo gusto e aveva cominciato a esserne ossessionato.
Era solo un ragazzino quando aveva sentito il primo click nella sua testa. Il click del sospetto. Osservava suo padre sempre più triste, lei sempre più insofferente, spregiudicata, arrogante, talora perfida.
Era fredda anche con lui. Nessun gesto di affetto madre figlio, solo sgridate, offese. Lo trattava male quasi ogni giorno per la sua mancanza di sicurezza, per la sua inettitudine, per la sua scontrosità.
“L’esatta copia di quell’idiota di tuo padre. Incapaci, senza palle, noiosi. Il peggio del peggio e siete capitati tutti e due a me!”
Una volta che l’idiota era passato a miglior vita le cose erano pure peggiorate.
In una delle sue scorribande da investigatore la vide uscire dal lavoro accanto ad un bellone palestrato. Stavano appiccicati in maniera oscena e ridevano sguaiatamente. Il tic tic dei tacchi a spillo sull’asfalto lacerava le orecchie e riduceva l’anima a brandelli.
Non gli ci volle molto per passare dal click del sospetto a quello della certezza e dell’atto estremo tanto più giustificato, secondo lui,  da come aveva trattato suo padre e da come continuava a trascurarlo e umiliarlo,  per portarsi a letto ragazzi poco più grandi di lui.
Con lucidità mise a punto il piano. Con freddezza preparò il tutto studiando tempi e modi possibili. Con determinazione e assenza di pentimento in una fredda sera di autunno affondò un coltello per dieci volte nel cuore di sua madre.
Spegnere quel cuore arido e privo di amore per lui, lo ripagò delle angherie subite in tutti quegli anni.
La scossa che provò mentre staccava il tacco a spillo dalla scarpa sinistra lo destabilizzò dandogli la certezza che il viaggio era solo all’inizio. Altre donne ci sarebbero state. Non da amare, visto che aveva maturato una impotenza di sentimenti decisamente più forte di quella che si manifestava ogni volta che aveva provato a fare i conti con una donna che gli piaceva.
Altre donne da uccidere, per placare la sua sete di sangue, la sua voglia di rivalsa la sua eterna sete di vendetta rispetto alla immonda Cinciallegra che aveva avuto per madre.
Pian piano aveva affinato i modi del suo agire. Non si fermava mai troppo tempo in una città. Solo quello necessario per scovare una preda, colpirla sparendo dalla visuale di chi cercava le sue tracce.
Dai giornali man mano aveva scoperto di esser diventato un caso nazionale.
La polizia del paese era in allerta. Fu creata una squadra speciale per braccarlo.  E una volta che diventò chiaro che non si trattava di casi sporadici e di atti scollegati fra loro ma che si svolgevano secondo una trama organizzata da una mente estremamente lucida, pericolosa e molto molto malata a dirigerla fu chiamato il noto cacciatore di serial killer, l’ispettore Dado Derrick.
Fu fin da subito uno scontro di intelligenze.  Il gioco diventò quello che il gatto abitualmente fa con il topo.
Ogni volta dopo averlo braccato, Dado Derrick aveva accorciato i tempi nei quali era arrivato ai suoi covi. Una delle ultime volte si erano incrociati appena fuori del portone principale del palazzo in cui si trovava il suo appartamento.
Lo sentiva incombere. Sapeva che mancava poco al momento in cui sarebbe riuscito ad anticiparlo e a coglierlo in flagrante.
L’errore, la giacca dimenticata malamente in quel ristorante nascevano da questa consapevolezza che aveva iniziato a minare la fredda determinazione con cui agiva di solito. Del resto ormai si sentiva stanco, svuotato e c’erano momenti in cui sperava di trovarselo al primo angolo di strada sotto casa sua per farla finita davvero.
Quella sera decise. Mentre si stava liberando dei guanti che usava e degli abiti lordati dal sangue della sua ultima vittima.
Si sentì stranamente pacificato quando prese la penna e iniziò a scrivere la sua confessione.
La lettera era indirizzata all’ispettore Dado Derrick.
Con carattere fermo enumerò tutti i delitti commessi. Senza esitazione descrisse le ragioni, i sentimenti perversi che lo avevano accompagnato nel suo percorso di morte.
All’errore madornale commesso attribuì il significato di una catarsi. Era in cerca di una purificazione anche se fuori tempo massimo e probabilmente del tutto immeritata.
Perché non ci fosse alcun dubbio ricostruì con precisione tutto quanto era successo il giorno prima.
Era partito da Roma per Torino la mattina alle prime luci dell’alba. Sola andata, visto che per depistare la polizia di Torino si era diretto poi verso Ravenna.
L’email scritta in fretta e furia sul fazzoletto di carta era quella della ragazza che abitava alle Molinette in via dei Cipressi n 23, e che ora giaceva in un lago di sangue con 10 pugnalate al cuore.
Chiudeva il cerchio delle ultime quattro vittime. I quattro pezzi della foto che si trovavano nella giacca erano altrettanti squarci di una macabra verità.
L’aveva scattata lui quella foto solo qualche mese prima. A Firenze. Il gruppo delle amiche si era rivolto proprio a lui per immortalarle in Piazza della Signoria.
Per ricordare il momento dell’incontro aveva deciso di conservare lo scontrino del bar al cui tavolo si era seduto proprio per tenerle d’occhio e farsele amiche.
Mentre scattava la foto, era scattato pure il suo click e la voglia disumana di spegnere uno ad uno quei sorrisi. Tanto più che quelle facevano le turiste caracollando impunemente su improbabili scarpe con i tacchi a spillo, oltretutto leopardate.
La foto che le ragazze gli avevano mandato era stata strappata man mano che ne uccideva una. Adesso i pezzi erano quattro. Missione compiuta.
Infine le cose a cui teneva di più.
La tessera di socio dell’Accademia la Colombaria, regalo di sua madre per il suo decimo compleanno. Unico nel suo genere come regalo e unico davvero perché dopo quello non ne aveva mai più ricevuto un altro da lei.
Uno dei tanti motivi, scrisse, per cui l’aveva uccisa.
La fede nuziale d’oro con incisi i nomi dei suoi genitori, unico frammento di una normalità agognata, di una voglia di famiglia e di calore di affetti mai sperimentati in tutta la sua vita.
Infine, il maledetto tacco a spillo. Il feticcio che strappava alle scarpe delle sue vittime. Il tic tic tic che le scarpe di sua madre facevano nel corridoio e sulle scale oltre la porta di casa mentre usciva, era stato all’origine di tutto. Una lama penetrata nel suo cervello giorno dopo giorno, anno dopo anno fino a diventare ossessione e voglia di annientamento.
Terminò la sua lettera consegnandosi al più intelligente degli investigatori che si erano messi alle sue costole .  Fu l’unica gratificazione che concesse al suo ego malato prima di avvicinare la pistola alla tempia.

Nota:

L’Accademia toscana di scienze e lettere “La Colombaria” è un’istituzione culturale di Firenze, originariamente ospitata nella “torre colombaria” del Palazzo Pazzi a Firenze. Fu fondata nel 1735 da Giovanni Girolamo de’ Pazzi, studioso che si circondò di persone colte, dedite allo studio dell’antichità, della storia, appassionate di filologia e anche di scienze. Dopo la guerra e la quasi totale distruzione del suo patrimonio l’Accademia si è trasferita e il suo indirizzo attuale è via Sant’Egidio 23, nel complesso delle Oblate (bda Wikipedia)

Personaggi e storie – Lucia

Ispirato agli elementi:

Un biglietto di sola andata Roma-Torino

Uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro

Un fazzoletto di carta con un indirizzo e-mail

Una fede d’oro

Una carta socio dell’Accademia La Colombaria

Una foto di gruppo spezzata in quattro

Un tacco a spillo di una scarpa da donna

Stella – di Lucia Bettoni

foto e disegni di Lucia Bettoni

Era bella , era volante, era un sorriso
si chiamava Stella
Un vestito rosso a palloni bianchi
vita stretta e gonna a ruota
Stella era la luce
la bellezza pura

Stella volante – di Lucia Bettoni


Era bella, era volante, era un sorriso
si chiamava Stella
Un vestito rosso a palloni bianchi
vita stretta e gonna a ruota
scarpe rosse e tacco a spillo
Stella non portava la fede, non ne aveva bisogno, la vita era la sua fede, le sue labbra il desiderio, le sue gambe la giostra con la quale galoppare
Con un sorriso tra i suoi più grandi aveva fatto in quattro pezzi una vecchia foto, erano volti pesanti, non voleva più quella zavorra
Stella voleva essere leggera per tuffarsi a strapiombo dalle vette e nuotare in fondo al mare, volteggiare tra le nuvole e correre impazzita nei campi di papaveri
Stella era la luce, era la bellezza pura
Accarezzava il mondo senza lasciarsi prendere, stringeva mani e guardava negli occhi
Non aveva memoria perché tutto era presente, il futuro la sua sorpresa più bella
Un giorno di sole Stella incontrò un’anima bella che insieme a due fiori di campo le diede un fazzoletto di carta con un indirizzo email
Stella sventolò nell’aria fresca del mattino il suo fazzoletto di carta e sventolando scrisse a lui, anima bella, la più struggente poesia d’amore: voglio vivere con te perché vivo con te da sempre e sempre con te vivrò
Dammi la mano amore ho un biglietto per Torino in tasca da tanto tempo e un’altro l’ho appena comprato per te
Seguimi amore, andiamo al parco del Valentino, lì c’è un castello che ci aspetta e se il castello è troppo stretto andremo a Venaria a volteggiare nel giardino delle rose e se anche Venaria è troppo stretta le montagne sono vicine, andremo sulle montagne in un rifugio caldo dove il fuoco scoppietta sempre
Basteranno € 5.80 per comprare uno strudel che ti porterò in camera amore mio e sarà il più dolce e il più profumato, sarà uno solo perché lo mangeremo insieme
Ho perso un tacco disse Stella, non è importante rispose lui , noi possiamo volare 

Personaggi e storie – Vanna

Ispirato agli elementi:

Un biglietto di sola andata Roma-Torino

Uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro

Un fazzoletto di carta con un indirizzo e-mail

Una fede d’oro

Una carta socio dell’Accademia La Colombaria

Una foto di gruppo spezzata in quattro

Un tacco a spillo di una scarpa da donna

Un maritino malandrino – di Vanna Bigazzi

“Più che altro mi dispiace per la Fede d’oro, ora cosa racconto a mia moglie, non certamente che l’ho persa, mi era strettissima al dito che per toglierla dovevo aiutarmi con l’olio o con la saponetta… Capirà subito che me ne sono liberato per nascondere che sono sposato, gelosa com’è! E chi la convince… Non avrei fatto niente del genere se non avessi notato che quella bionda mi guardava, ammiccante, pur da lontano, in quel bar a Firenze vicino alla stazione, fra l’altro caro: un cappuccino 5,80 per sedersi un attimo in quella poltroncina di finta pelle… Eppure me lo immaginavo che si sarebbe avvicinata sfoderando un bel sorriso, l’occasione fa l’uomo ladro, altrimenti, col cavolo avrei fatto quello sforzo disumano per togliermela e infilarla subito nella tasca della giacca. Accidenti, mi fa ancora male il dito… Firenze, volevo fare una piccola sosta prima di Torino, del resto Roma-Torino, è lunga e Firenze merita una sosta. Però, ripensandoci è stata una bella avventura, quando mi ricapita una ragazza a quel modo! La giacca, la giacca… Accidenti, dove l’avrò lasciata, su quella panchina alla Fortezza, faceva caldo, altrimenti non me la sarei tolta. Certo che non capivo più nulla, fissavo le sue lunghe gambe accavallate con quei tacchi a spillo… E chi poteva resisterle? A proposito nella tasca della giacca, dovrebbe esserci anche uno di quei tacchi; lei faceva la smorfiosa, alla Fortezza, mi provocava saltellando su quelle gambe da gazzella, per farmi intravedere la coscia da quello spacco galeotto della gonna… E’ stato così che il tacco si è rotto ed io l’ho raccolto promettendole di accompagnarla da un calzolaio. Meno male che in borsetta aveva delle cenerentole di riserva! Ah… Potessi ritrovare la mia giacca! Nella tasca avevo anche segnato il suo indirizzo e-mail, mi aveva detto che da un poeta, come mi ero spacciato per farmi bello, si aspettava di ricevere poesie, altro che poesie… Non mi ha lasciato neanche il numero di telefono, chi la rivede quella, devo anche rifare il biglietto per Torino, mia moglie mi aspetta: ‘Prendi un biglietto di sola andata, caro, non sappiamo se ci viene voglia di trattenerci di più in quella bella città, è come un secondo viaggio di nozze! Altro che viaggio di nozze, quando mi vedrà scamiciato, con un dito gonfio, nell’impossibilità di portarla a quella Accademia, la Colombaria, con tutto il rispetto per l’Accademia, perché anche la carta socio avevo, in quella maledetta giacca… La odio quella donna, quando si veste da villanella per unirsi al suo gruppo di Danze Popolari. Avevo in tasca anche una foto di lei con i suoi amici ballerini. Lei era venuta malissimo in quella foto, più grossa il doppio e con quel sorriso ebete sotto il cappellone di paglia, mi è preso rabbia a vederla e ho strappato quella foto, sì, l’ho strappata e i ‘reperti’, anche quelli nelle tasche della giacca… In fondo però, poco male per questo, se me la chiede, le dirò che era venuta sfocata e che il suo bel visino era del tutto irriconoscibile, un oltraggio alla sua bellezza, per questo l’ho buttata…”