Orologio sempre

OROLOGIO di Sandra Conticini

Foto di Jan Cabanik da Pixabay

Una cosa è certa…non potrei vivere senza orologio. Per me è una sicurezza sapere che il tempo passa e vorrei sfruttarlo al meglio facendo cose che mi fanno star bene e mi piacciono, per non avere poi rimpianti. Ne ho diversi e, secondo il periodo o le mode, li cambio e, anche se smettono di funzionare, ci vuole del tempo perchè mi decida a buttarli perchè sono ricordi o regali fatti in qualche occasione. Gli orologi ai quali sono più affezionata è uno d’oro del babbo che ho fatto accomodare, quello d’oro della mamma avuto in occasione della mia nascita e uno di mio marito in acciaio automatico che spesso lo metto. Ora è il periodo che preferisco gli orologi colorati o, visto che spesso vado a camminare, ho un bracciale fitness, regalato da mia figlia, con diverse funzioni, ma in genere uso solo il contapassi e le calorie bruciate, che per la fatica che faccio sono sempre troppo poche.
Anche in casa, in ogni stanza, c’è una sveglia, un orologio da parete o da tavolo, che, con il loro ticchettio, mi fanno compagnia ma, con il loro movimento sempre uguale, segnano il trascorrere delle ore, dei giorni e dei mesi e spesso mi viene da pensare per quanto tempo ancora girerà il mio orologio.

Dedicherei un orologio a Cucù a Gabriella, perchè è sempre cortese e tranquilla e con la voglia di ridere e scherzare.

Orologio rosso e una rosa bianca

Orologi – di Carla Faggi

foto di Carla Faggi

Rosso, grande, ingombrante, leggero. Per quando ho voglia di mostrarmi, di farmi notare, per quando ho coraggio, per quando cazzeggio.

Di titanio, leggero, pratico, da tutti i giorni, lo metto sempre quando mi sento semplicemente io.

Senza orologio, al mare, al sole, per sentirmi libera, pronta a tutto e sempre. Per osare senza tempo e senza orologio.

Nella stanza all’Antella mi siederei accanto a Laura G., le regalerei un non orologio perchè la sento una donna libera, e insieme mi metterei a meditare davanti ad una rosa bianca. La sento una donna sensibile, fragile ma forte, profonda e mistica, mi incuriosisce, per questo mi siederei vicino.

Perchè una rosa bianca? Perchè la rosa è il fiore che Laura preferisce ed il bianco è il colore della meditazione, credo che osservare un fiore, sentirne il profumo, sentirne l’energia sia la forma più semplice di meditazione, almeno per me lo è stata.

Dal passato: Scritture ispirate al convegno sul tempo del 4 aprile 2017

Sogno senza tempo – di Carla Faggi

Il sogno è senza tempo, emozioni di ieri insieme a personaggi di oggi in ambienti fino ad ora sconosciuti ma che forse ci saranno familiari domani. Tempi spazi e storie che si plasmano insieme in un composito mosaico. Poi apri gli occhi sei quasi sveglio ti occorre del tempo per capire in che spazio sei. Ancora nel tuo tempo onirico o già nel tuo qui e ora. L’emozione del tuo sogno impiega però più tempo per lasciarti. Solo quando sei completamente sveglio ricomincia a scorrere e si colora.

Allora c’è il tempo verde dei bei ricordi e dell’armonia, il tempo rosso dell’allegria e del fare. Poi quello azzurro del riposo e del lasciar stare. Quello giallo del disordine e del non allineato infine arriva quello dell’arcobaleno che è il tempo della quotidianità vissuta bene. (Carla) .

Una sillaba di tempo – di Stefania Bonanni

Una sillaba di tempo tra il principio e la fine. Una sillaba di nulla, perché il tempo non esiste. Il tempo non esiste. Esistiamo io e te punto ora, in questa sillaba in questo balbettare di parole senza storia. Ora, forse non esiste. Domani dirò ieri. Ieri c’eravamo, insieme. Questo è il nostro tempo. Domani lo sapremo. Se esiste domani, se ci sarà ancora tempo, domani, per sillabare di ieri. Ma lo sapremo domani se ieri esisteva, forse. (Stefania)

Tempo veloce – di Tina Conti

Andare veloci, correre, sentire l’aria fresca sul viso e quella gelida che ti entra sotto la giacca. Che emozione la bicicletta, oggi è il mezzo più veloce nel traffico rispetto a qualsiasi altro punto ma per andare dove? Perché andare veloci? Per guadagnare tempo! non si guadagna niente se non ci si siede ad ascoltare il cuculo che è appena arrivato. E’ tornato Aprile è il tempo del cuculo. Il ritmo delle stagioni ti dà il passo, Spesso è un tempo più lento di quello moderno. Non ci siamo più abituati, non è facile ascoltare il tempo. A volte si hanno delle sorprese: sono due anni che abito in questa casa! La mia nipotina ha quattro anni sembra ieri che è nata. Quando andavo in vacanza dalla scuola in estate mi toglievo l’orologio. Mi meritavo la libertà, l’ andare con il sole e con i miei bisogni punto adesso virgola che in teoria sarei sempre libera, vivo il tempo in un modo diverso, spesso è pieno e devo difendere i miei attimi . (Tina)

Tempo martellante – di Rossella Gallori 

Non ti tocco, ma ti sento, sei alle mie spalle, sei sulle mie spalle, mi sbarri il cammino, ti taglio, mi ritagli, inafferrabile nella tua trasparenza. Sei il cerchio in cui sto, sei il cerchio in cui non entro, l’asse di equilibrio da cui cado, la linea dritta su cui risalgo passo dopo passo. La testa di un grosso chiodo di ferro martellato a mano vecchio ma mai arrugginito. Sei la scelta che non faccio, la molla con il dardo. Sei la mia notte luminosa, il mio giorno buio, la mia questione irrisolta. Sei campanile che non mi vede, sei la campana che scandisce i miei passi, la mia gioia, le mie ore che non so. Sei il mio non saper leggere non saper scrivere, una scatola, un racconto, una grande vertigine di tempo, tempo.. tempo… tempo  di onde che non sanno di me, che non mi appartengono se non nel tiepido sogno della vita di questo orologio senza lancette. Avrò stampelle, clessidre, ali, cani fedeli ma potrò raccontare tutto dopo, dopo quando tutto sarà finito e nel trionfo di Rubens capirò quale frode, quale contratto senza firma sia il tempo. (Rossella)

Orologio…non più

Non porto orologio – di Lucia Bettoni

foto di Lucia Bettoni

Non porto più l’orologio, non lo porto più da diversi anni, quasi cinque per l’esattezza.
Ho fatto un lavoro “pieno”.
Ho vissuto con i bambini per quarantacinque anni: responsabilità, attenzione, continuo movimento, mille voci, mille richieste mi hanno dato e preso tutto.
Da quando non lavoro più, per me il tempo ha assunto una nuova dimensione. I primi mesi vivevo in uno stato di beatitudine come sospesa nello spazio; piano piano ho imparato a innamorarmi della lentezza e dell’assenza del rumore.
Nella lentezza il mio tempo scorre veloce, ho fame di tempo, ho sete di tempo, di questo mio tempo. Posso allungarlo all’infinito, posso abbandonarmi e lasciarlo scorrere, posso stringerlo sulla punta delle dita e guardarlo da vicino.
Senza orologio e senza anelli è come mi fossi spogliata, è come se fossi finalmente nuda.
Ho tutto il tempo e ne vorrei ancora come una bambina che corre dietro al suo aquilone.


Scelgo un orologio da taschino per Luca, qualcosa che non si vede ma c’è per un “signore” come lui.


L’orologio da taschino mi parla del passato, di un tempo lontano, mi parla di storia e conoscenza … contemporaneamente  lo trovo moderno, intrigante, particolare, diverso…legato all’eleganza di un gesto

Orologio con e senza anima

Gli amici del tempo – di Gigliola Franceschini 

foto di Gigliola Franceschini

Gli orologi non sono solo oggetti, possono rappresentare molto di piu’ , possono richiamare alla mente episodi cari alla nostra memoria, farci rivivere momenti anche non vissuti. Un piccolo orologio d’argento degli anni trenta mi fa immaginare fatti solo raccontati: un regalo di nozze per una giovane sposa da parte della sua madrina di battesimo, o meglio, da parte della ” commare”  per esprimerci nel cantilenante dialetto molisano. Un dono gradito e conservato con cura  nel tempo. Erano poche le giovani che possedevano  un orologio,  mi figuro le uscite domenicali con quel monile, il riguardo con cui e’ stato conservato nel tempo mi fa pensare a quanto rispetto si avesse allora per le cose. L’era di usa e getta non era  neppure nella fantasia piu’ fertile, sarebbe venuta molto dopo e avrebbe distrutto molti valori. Quando si e’ fermato non e’ stato possibile ripararlo ed io l’ho conservato con affettuosa memoria. Sara’ il ricordo di una nonna dolce e sorridente  per una creatura che so essere sensibile a certi valori. Poi, l’orologino d’oro, arrivato il giorno del mio compleanno che coincideva  con il primo giorno di scuola alle superiori. Piccolo e prezioso, mi ha accompagnato per tanti anni , troppo lento quando si aspettava il suono della campanella  a liberarci dal pericolo di un’ interrogazione molto pesante. I minuti non passavano mai e lui, tic tic, sembrava rallentare il suo cammino e alimentare la mia ansia. Troppo veloce a contare le ore concesse alle uscite serali, tanto veloce che dovevo quasi correre  per rientrare all’ora promessa . Sempre un occhio al piccolo amico che era diventato una cosa sola con me. Mi seguiva ovunque, ogni atto della mia vita lo trovava vicino, fedele per tanti anni fino a quando si esauri’ la sua energia e dovetti staccarmi da lui. Vennero allora altri orologi di tecnologia sempre piu’ avanzata, comprati, usati, rinnovati ma non mi rappresentavano per niente. Lui, l’orologino d’oro, era stato testimone del mio crescere  e conoscere la vita, cresceva con me, si caricava di ricordi ed emozioni, mi accompagnava nel mio cammino verso futuro. Non era solo un oggetto prezioso, era il mio tempo che passava  e la vita che si snodava tra tante vicissitudini. Un orologio ora mi serve solo  per contare le ore, ha una veste intercambiabile per seguire i colori dell’abbigliamento, dentro non ha i piccoli zaffiri e rubini a energizzare il meccanismo, ha una pila in acciaio  che gli permette molteplici funzioni, e’ un gelido cuore, non e’ piu’ il mio orologio, e’ un oggetto senz’anima.

Il tempo insieme

Tempo intorno a un tavolo – di Nadia Peruzzi

ll tempo delle “persone” con cui condividere un tavolo.
Un tempo che potrebbe essere utilmente scandito da un pendolo.
E’ sempre difficile operare delle scelte. Quando le si fanno si trascurano alcuni per eleggerne altri.
Scelgo tre fra le mie compagne di viaggio non me ne vogliano le altre.
Rossella perché considero bello l’esserci trovate dopo un bel periodo di studio reciproco. Diverse, dovevamo prender le misure prima di arrivare a comprenderci meglio e ad apprezzarci. E perché col fluire delle sue parole riesce sempre a stupire superandosi ogni volta.
Maria Laura di cui ho apprezzato il modo placido di porsi di fronte alle cose. Che sia la traduzione scritta di pensieri profondi o il colore con cui fissa nei suoi quadri scene e scorci di vita. E per la ricchezza e il rigoglio della sua terrazza regno di piante grasse di ogni tipo che invidio più di un po’.
Patrizia per l’ancoraggio e il richiamo di un mondo ormai passato di cui anche io porto in me più di una traccia. Atmosfere contadine, calore dei camini in quelle grandi cucine e delle persone semplici e vere che le abitavano e che lei nei suoi scritti ci fa sentire vive e reali. 

Il pendolo

Il pendolo – di Nadia Peruzzi

Il pendolo era lì in bella mostra da sempre. Almeno da molto, molto prima che lei lo vedesse davvero per la prima volta. Era piccola, ma già nell’età in cui i ricordi non sono più materia così indistinta da perdersi in un pulviscolo di sensazioni. Si trovò a guardarlo da sotto in su un po’ intimorita da quell’incombere austero.
Era stato messo in un angolo un po’ buio fra salotto e cucina in modo che i suoi rintocchi potessero arrivare ovunque, allo scoccare delle ore.
Aveva un suono profondo e armonioso al tempo stesso. Ogni volta la catturava e insieme alle oscillazioni dei lunghi bracci le dava quasi un senso di vertigine costringendola a fermarsi per un attimo.
Quel vecchio orologio era arrivato lì non si sa come. Pare venisse dall’eredità di una zia lontana che lei non aveva mai conosciuto. Sistemato al suo posto pian piano si era fatto indispensabile.
Aveva iniziato scandendo il tempo di quando la nonna era giovane e ancora il mito della velocità era di là da venire. Poi il suo suono si era intrecciato a quello dei motori delle prime auto e dei primi trattori che avevano cominciato a percorrere la campagna lì attorno. Aveva segnato il tempo lieto delle attese degli eventi felici come la sua nascita e quella di sua sorella. Era il tempo in cui si partoriva in casa, ad assistere c’era solo una levatrice e spesso il dottore arrivava a cose fatte.
I suoi rintocchi avevano accompagnato anche le lunghe, lente e dolorose ore degli estremi saluti. Laura ne aveva sentito il rimbombo in cadenza con i sussulti del suo cuore nelle lunghe notti che avevano preceduto la morte di sua nonna.
Aveva sperato fino all’ultimo istante che la malattia non fosse così cattiva come il medico aveva detto. La notte fatale Laura si era svegliata all’improvviso in un bagno di sudore. I cinque rintocchi che aveva sentito poco dopo le erano sembrati particolarmente cupi, quasi funerei come se anche il pendolo avesse compreso. Cinque rintocchi e poco dopo il pianto sommesso di sua madre e suo padre. La notte stava per lasciare posto ad un nuovo giorno ma di tempo per la sua nonna non ce n’era rimasto più. Si sentì stringere il petto in una morsa gelida. Provò spavento prima di tutto. Il dolore sarebbe arrivato dopo, nutrito a profusione da una assenza che piegava l’anima. Anche la casa non sembrava più la stessa senza sua nonna. Cambiò a poco a poco una volta che lei e la sua famiglia andarono ad abitarci.  L’insieme cedette al colore. Dei vecchi mobili di legno scuro tennero solo il pendolo. Spostato nello studio vicino alla grande libreria a poco a poco divenne il guardiano delle lunghe serate passate a studiare, delle letture fino a tarda notte, delle lettere scritte a mano al primo amore e dei baci più o meno innocenti dati di nascosto mentre i suoi rintocchi segnavano un tempo che sembrava correre sempre troppo veloce mentre il desiderio era che si fermasse e rimanesse sospeso il più a lungo possibile,  ritardando il momento in cui sua madre annunciava che la mezzanotte era arrivata.
Quando nella sua vita era comparso Luca il suo vecchio mondo era passato in secondo piano. Lei si era trasferita in città e il suo tempo aveva preso un ritmo che nella casa in cui era cresciuta sembrava quasi impossibile.
Era la città a dettare le regole col suo traffico, i suoi rumori, le sue urgenze.
Il lavoro, l’ansia di arrivare in ritardo, poi l’ansia di non riuscire a far quadrare i tempi con le necessità della famiglia che nel frattempo si era allargata dopo l’arrivo della piccola Ada.
Il pendolo era scomparso piano piano dal suo orizzonte e non ci fece più gran caso nemmeno quando le capitava di tornare dai suoi genitori.  Tanta era la confusione in casa quando si ritrovavano tutti insieme e Ada giocava con i suoi cugini, che non c’era modo di prestare attenzione a quel reperto che sembrava ormai del tutto inadeguato al tempo presente.
Dovette tornare a farci i conti una volta che i suoi genitori ormai molto anziani avevano deciso che la vita nella vecchia casa di campagna non faceva più per loro. Troppo grande, troppo lontana dalle comodità e dai servizi necessari. La casa che avevano scelto era molto più piccola e per questo molti mobili dovevano essere sacrificati. Non c’era modo di portarli nel nuovo appartamento.
Anche il vecchio pendolo stava per essere lasciato ai nuovi proprietari e alla sorte che loro avrebbero deciso .
Fu Ada, già grande, inaspettatamente a porsi il problema.
“ Ha un modo così particolare di segnare il tempo, mamma, non lasciamolo qui. Non so dire come, ma infonde calma. Nella sua mole e nei suoi rintocchi l’urgenza scompare e tutto sembra scorrere placidamente con gran beneficio per l’anima. ”
Fu ancora Ada a trovargli un posto in salotto vicino alla libreria, come nella casa dei nonni.
E’ ancora lì il pendolo, ormai colorato con una tinta pastello che gli regala un tocco di allegria. Ada ride mentre guarda suo figlio Enea che gioca sereno ai suoi piedi e osserva con occhi curiosi le lente oscillazioni dei lunghi bracci in attesa di sentire la sua voce armoniosa allo scoccare delle ore.  

Tempo lento

La clessidra – di Luca Di Volo

Foto di moritz320 da Pixabay

Per me scelgo un orologio a sabbia..chiamato anche clessidra. Questo modo di misurare il tempo, secondo me è un modo per essere fuori..non “dal” tempo ma da “questo”tempo ..La sua lentezza è la sua precisione ma dà anche quasi il senso di poter intervenire sullo scorrere del tempo stesso quando siamo costretti a rovesciare la clessidra che ci suggerisce l’illusione di esserne in qualche modo padroni.

Tempo e illusione

Attesa eterna, attesa lunga

La clessidra si svuota goccia a goccia

E le gocce sono pietruzze

Tra due dolci parentesi di nulla

E io qui aspetto..aspetto

E ora vedo il tempo

Che m’illude ch’io ne sia padrone

Quando la capovolgo lui

Continua uguale a sempre

Non inverte il suo fluire

Io non l’avverto ma ci sono dentro

Illuso prigioniero.

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Scelgo poi di dare a Carla un orologio a cucù. Un oggetto che dà un’immagine di tradizione e al tempo stesso originale..per i tempi che corrono..

In parte rappresenta anche la fisicità di un tempo che “si vede”, accompagnato da una forte manifestazione di una certa sensualità

Allegra, qualcosa che si ridesta e ci richiama allo scorrere della vita che si rinnova ad ogni cucù..

Dedicato ad una musa

Un giorno, per scherzo, volli dedicare ad una Musa

Uno strano oggetto casalingo

che segna il tempo e canta con voce inconfondibile

scandendo ore o minuti

non saprei dire il perché di questa dedica

esso giace al di là della ragione

ma proverò a tradurlo come posso

Quest’oggetto è fisicità d’un tempo che si vede

E ci richiama ad una bella sensualità ed anche allegra

Che ad ogni cucù ci ricarica la vita

Quasi che ad ogni cucù si ridestasse

Come avviene quando la Musa amica

Parla o ride e si rinnova il tempo.

Tempo variabile

Orologi opposti – di Cecilia Trinci

foto di Cecilia

Pesante, molto grande, da uomo, sempre al polso, come un guinzaglio che mi tenga a terra, un compagno, non un padrone. Lancette luminose che si possono vedere di notte. Le quattro, l’ora terribile, l’ora a metà tra la notte e il giorno, ma anche tra la vita e la morte, se superi le quattro sei salvo. L’ora in cui i gatti vogliono uscire, forse per sottrarsi alla paura di morire. I gatti in fuga da  ciò che non possono controllare hanno occhi fatti apposta per vedere di notte e vanno, saltano muretti, scendono dai terrazzi e la strada buia li ingoia senza rumore. Noi restiamo nei nostri letti e se ci svegliamo alle quattro siamo perduti, fantasmi di rimpianti e paure si affacciano da dietro l’armadio, strisciano sopra le coperte e ci guardano. Se ci svegliamo alle quattro la notte è perduta, il sonno non basterà per il riposo, ma un orologio basta per farsi compagnia.

Restano tutti gli infiniti giri che hanno fatto le lancette sorelle, giornate lente, giornate svelte, sole e pioggia sopra quelle cifre segnate da una tacca, la posizione basta a farle riconoscere. “Mettiti a ore 3″….”Colpito a ore 11″….si è imparato l’orologio prima di saper contare. Il digitale con le ore scritte è un’altra cosa, è informazione senza posizione. Le lancette ce lo fanno toccare, il tempo e come il tempo non si vedono muovere. Si vede il tempo passato, non quello che sta passando.

L’altro, all’opposto, è leggero, sottile, non si sente sul polso, ha un’immagine tratta dal Piccolo Principe, il disegno che i “grandi” non capiscono e solo tra bambini si può capire cosa dice: un boa che ha mangiato l’elefante. Non è un guinzaglio né una zavorra, ma qualcosa con cui si può volare, giocare, raccontare storie. Un cerchio nero per entrarci dentro e trovarsi in una strada sterrata con voci sconosciute. Un baobab verde fa da ombrello, bambini scalzi in lontananza, se ascolti in silenzio c’è il rumore dell’oceano, la risacca su e giù canta, un boa ha ingoiato un elefante, ma poi lo sputa e lo lascia libero. Se lo metti all’orecchio non senti il tic tac ma il vento caldo che muove le foglie. Non contiene fantasmi ma giochi.  Un orologio che si ricarica con il movimento, ballando, cantando, scrivendo, pensando….. La sera si toglie, non ha luci, è fatto apposta  per chi si ferma la notte, come fanno i bambini, che dormono senza fantasmi e alle quattro sono nel pieno dei sogni.

Orologi, regali amati,…..intercambiabili, secondo le stagioni, secondo l’umore, il momento….

Il tempo.

Tempo sospeso

Tempo sospeso – di Vanna Bigazzi

Ci sono situazioni temporali in cui si sta fra la vita, come proiezione della speranza e lo spengersi ancora vivendo; momenti in cui ci aggrappiamo a quel poco di sicuro che possediamo, dando uno sguardo fugace ad un futuro incerto. E’ questo un mondo di mezzo dove il tempo non ha peso. Un tempo che ha un punto di partenza senza conoscere la direzione. Un tempo malato che per guarire, necessita del ricongiungimento con quella parte di sè ove risiede la vita vera, quella dell’Amore. Un tempo che è interruzione emotiva di una vita altra… Nei pensieri vi è tutto il mio attaccamento, non triste, non felice, per  ciò che il tempo ha stratificato nel subconscio: reperti archeologici dove mondo dei vivi e culto dei morti si intrecciano e poi si fondono in nuvole incerte ad accarezzare l’anima.

Senza orologio

Senza orologio – di Rossella Gallori

foto e orologio di Rossella Gallori

Io, senza orologio, figlia di un tempo che non c’è più, figlia di ore altrui.

Amante di minuti, per pochi minuti, nel silenzio della notte, vestita di luna, non di sole.

Conto secondi di non ricordo  quale giorno, quale istante…stamani è un po’ ieri, adesso è già tardi, dopo, dopo…non so.

Che fare con te, stringeresti il mio polso, ed io non voglio, ho i miei braccialetti, catene senza lancette….le una, le due, le tre, le quattro…ora è oggi ventiquattro gocce di sale….

***

La nostra stanza…le 17…. mi siederei accanto a……

Nei giorni più difficili mi siederei accanto a Laura, saprebbe proteggermi….con le parole, lei piccolo bijoux  di oro e smalto bleu, un microscopico spillo: un nodo d’amore ed un orologino…appeso…sospeso.

***

e un pensiero (e un orologio) per: Mimma

Mi siedo accanto a te, al tuo tintinnare di ninnoli abbondanti.

So cosa mi dirai: sorridi, cucù !

Amorevolmente martellante: non dire così, cucù!

Non fare così, cucù!

Perché mai, cucù!

….e sorriderai  tu, cercando di contagiarmi, tra fiori, viaggi, sorelle…e giorni e ore e cucù,  cucù, cucù..

Vieni da me Rò?

 Nooooo, risponderò io,  sorridendo mi sposterò…cucù cucù cucù

C’è tempo

Dicono che c’è un tempo per seminare
e uno più lungo per aspettare
io dico che c’era un tempo sognato
che bisognava sognare.

Dicono che c’è un tempo per seminare
e uno che hai voglia ad aspettare
un tempo sognato che viene di notte
e un altro di giorno teso
come un lino a sventolare.

C’è un tempo negato e uno segreto
un tempo distante che è roba degli altri
un momento che era meglio partire
e quella volta che noi due era meglio parlarci.
C’è un tempo perfetto per fare silenzio
guardare il passaggio del sole d’estate
e saper raccontare ai nostri bambini quando
è l’ora muta delle fate.

C’è un giorno che ci siamo perduti
come smarrire un anello in un prato
e c’era tutto un programma futuro
che non abbiamo avverato.

È tempo che sfugge, niente paura
che prima o poi ci riprende
perché c’è tempo, c’è tempo c’è tempo, c’è tempo
per questo mare infinito di gente.

Dio, è proprio tanto che piove
e da un anno non torno
da mezz’ora sono qui arruffato
dentro una sala d’aspetto di un tram che non viene
non essere gelosa di me
della mia vita
non essere gelosa di me
non essere mai gelosa di me.

C’è un tempo d’aspetto come dicevo
qualcosa di buono che verrà
un attimo fotografato, dipinto, segnato
e quello dopo perduto via
senza nemmeno voler sapere come sarebbe stata
la sua fotografia.

C’è un tempo bellissimo tutto sudato
una stagione ribelle
l’istante in cui scocca l’unica freccia
che arriva alla volta celeste
e trafigge le stelle
è un giorno che tutta la gente
si tende la mano
è il medesimo istante per tutti
che sarà benedetto, io credo
da molto lontano
è il tempo che è finalmente
o quando ci si capisce
un tempo in cui mi vedrai
accanto a te nuovamente
mano alla mano
che buffi saremo
se non ci avranno nemmeno
avvisato.

Dicono che c’è un tempo per seminare
e uno più lungo per aspettare
io dico che c’era un tempo sognato
che bisognava sognare.

Tempo antico

Orologio da taschino – di Mimma Caravaggi

foto e oggetti di Mimma Caravaggi

In casa, appesa ad una parete del salotto c’è una piccola bacheca artigiana, se così si può chiamare, con diversi vecchi orologi da taschino che, di anno in anno, ho regalato ad Alberto per i suoi compleanni. Qualcuno è d’oro di marca, altri d’argento di varie forme e di varie epoche. Poiché mi piacciono moltissimo Alberto ha pensato di costruire usando una scatola di legno per il salmone affumicato, una piccola bacheca da attaccare al muro. In mostra ce ne sono stati messi soltanto 8 ma ce ne sono diversi altri non esposti. Diverso tempo fa usavo portare un orologio da polso del tipo moderno, tipo Swatchs che usavo giornalmente ma per le rare  uscite serali ho un piccolissimo orologio antico, prezioso e di marca, degli anni 20/30 regalatomi da mia suocera e completamente integro e funzionante. Ora non porto più nulla e uso il cellulare quando mi serve. Tutti i tipi di orologi mi piacciono molto basta non siano troppo moderni. Qualche vota porto ancora un orologio da collo in argento molto carino che mi ha regalato la mia mamma.

Al nostro tavolo vorrei avere accanto a me la M. Laura perché mi ispira calma e fiducia e alla quale abbinerei una clessidra dove il tempo è scandito da granelli di sabbia e tanta precisione.

Un fiore gracile: la Deutzia

Cascata di fiori – di Mimma Caravaggi

Deutzia gracilis- Fiorisce presto nel mese di Aprile con una cascata di fiori bianchi, semplici e con un leggero profumo. Ogni anno spio la ripresa, i suoi germogli, i suoi piccoli bocci che esplodono in un nuvola banca e che ogni giorno godo nel guardarla attraverso la finestrina del bagno. Non ho tende in casa quindi godo della sua completa bellezza che ha il piacere di convivere accostata ad una rosa quasi selvatica dai petali semplici e di un particolare color rosa che accetta  quelli bianchi della deutzia creando un contrasto molto bello, contesto per un dipinto.

E SE FOSSI UN FIORE……

A prescindere che amo ogni specie di fiori e piante, trovo siano come la funzionalità del nostro corpo, perfetti meccanismi di architettura e ingegneristica stupendi, ma se dovessi rivolgermi come fiore a qualcuno, amica, sorella, conoscente che sia, sceglierei un fiore semplice come il fiordaliso ormai quasi dimenticato ed in estinzione.

Potrei raccontare loro dei bei fiori semplici che siamo molto spesso in  simbiosi con i papaveri che una volta, insieme, ricoprivano gli appezzamenti di moltissimi campi di grano di legumi e altro. Siamo fiori che ricordano un tempo ormai trascorso che vorrei  ricordassero le tante passeggiate trascorse in compagnia di sorelle e amici attraverso i campi coltivati. Che altra e bella maniera di vivere.

Tempo senza orologio

Tempo senza orologio – di Laura Galgani

Per me stessa ho scelto di vivere senza orologio.

Sono talmente calata nel fluire del tempo da non averne bisogno.

So sempre che ore sono, il mio orologio interiore scandisce i secondi senza che io nemmeno senta

il tic tac.

Qualche volta però non mi fido e allora abbasso lo sguardo sullo schermo del computer o sul cellulare. Ma raramente vengo smentita.

Non sono molto contenta di questa precisione non cercata. Mi piacerebbe lasciarmi andare ad un sempre o ad un mai senza confini, ma non posso. Almeno, non adesso.

Per questo dedico una breve riflessione ad una compagna di scrittura anche lei senza orologio: Rossella. Nemmeno lei ne ha bisogno, ma per motivi opposti ai miei. Mentre io sono schiava del tempo e devo obbedire alle sue leggi che conosco così bene da poter fare a meno di punti di riferimento – direi che il tempo si è impadronito di me – lei, Rossella, è padrona del tempo e lo domina.

Lo piega, lo curva e lo indirizza come più le piace. Lo allunga, lo accorcia e lo comprime.

Lo allunga se sta bene dov’è e vuole godersi il momento. Lo accorcia se è infastidita e vuole cambiare scenario perché quello in cui si trova ha esaurito la sua funzione.

Lo comprime se ripensa al passato e le fa troppo male.

Allora anni diventano una pillola piccolissima, un concentrato di un attimo soltanto che può anche dimenticare in una minuscola scatola preziosa.

Incontro virtuale – 24 marzo 2021

con Cecilia Trinci

Incontro di mercoledì in via eccezionale e comunque molto partecipato. Il tempo è anche un atto di scelta e per questo si ringrazia particolarmente chi ha fatto di tutto per non mancare.

I temi erano molti e particolarmente intensi: la bellezza delle cascate di fiori dei giorni precedenti, le storie e i pensieri che i fiori hanno sollevato, persone evocate dai fiori, oppure situazioni del passato dove i fiori mancavano o erano invece particolarmente presenti. Altro argomento da considerare il video di Vanna sui tarocchi, su Jung e sull’intuizione, collegato al nostro lavoro di scrittura proprio per l’elemento “intuizione”. Il ricordo dell’intervento di Simone Rovida sul tempo avrebbe meritato più tempo per la discussione, ma il nostro “gioco sull’orologio” ha unito un po’ tutte le tematiche: l’intuizione dei sentimenti degli altri, la rappresentazione di noi stessi attraverso un oggetto speciale come l’orologio, un pensiero al nostro modo di stare insieme quando eravamo in presenza…..tutti stimoli intensi che si possono ritrovare nella registrazione di ieri.

Il tema della settimana dunque riguarda gli orologi, le persone del gruppo con cui ci piacerebbe condividere un tavolo, come intendiamo lo scorrere del tempo, come lo valutiamo e se ne abbiamo o no bisogno.

Fiori e filastrocche

VIOLETTE DI PRIMAVERA – di Anna Meli

foto di Lucia Bettoni

Giro, giro tondo

il pane cotto in forno,

un mazzolin di viole

per darle a chi le vuole,

le vuole la Sandrina

si inginocchia la più piccina

la più piccina e la più grande

ne faran tante ghirlande.

            Questa la filastrocca che cantavano, tenendosi per mano, Maria e Paolina. Maria la più piccola e Paolina, più grande di solo due anni, andavano spesso insieme alla ricerca  di questi piccoli fiori viola che nei primissimi giorni di primavera spuntavano lungo la riva del ruscello  vicino casa loro.

            Succedeva che nel primo pomeriggio, libere dalla scuola, si recassero là dove l’acqua cristallina del ruscello scorreva rimbalzando di sasso in sasso in un eterno gioco e avvertissero quell’odore particolare di fresco, di buono che faceva dilatare loro le narici ed esclamare un “ahh” di gradevole piacere.

            Le viole erano là, timide fra quelle foglie verdi come a ripararsi dall’ultimo gelo che ancora conservava qua e là fazzoletti di neve ancora aggrappata alla terra umida. Forse era l’aria ancora fredda e pungente che esaltava quel profumo che a loro piaceva tanto.

            Sempre tenendosi per mano per non cadere in acqua, si chinavano su quei timidi ciuffetti ad osservare più da vicino la loro delicata bellezza. Una volta le avevano colte per portare a casa, ma si erano appassite, erano morte.

            Da allora avevano deciso di non coglierne mai più e di andare a trovarle ogni primavera al loro rifiorire. Non ne avrebbero mai fatte ghirlande come quelle del loro gioco.

In viaggio nel tempo

Tempo paradossale – di Luca Di Volo

Foto di Pexels da Pixabay

Prima di iniziare la lettura, penso sia opportuno chiarire (almeno a chi non lo sa già) cos’è il cosiddetto “paradosso dei gemelli”..una delle verità più sconcertanti venuta alla luce con la Relatvità di Einstein..Sostanzialmente consiste nel fatto, abbastanza controintuitivo, che se uno di due gemelli rimane sulla Terra, e l’altro parte, diciamo, per un viaggio verso una stella, per esempio Sirio, viaggiando quindi ad una velocità molto elevata,  tipo metà della velocità della luce, per quello che è partito il tempo scorre più lentamente rispetto all’altro rimasto sulla terra, quindi, al suo ritorno lui sarà ancora abbastanza giovane..mentre troverà il gemello rimasto sulla terra molto molto più vecchio di lui…

Questa è solo una trasposizione in chiave romantica di quella che potrebbe essere una vicenda vera tra qualche anno…

Alberto Magnolfi quella sera era felice..e lo sapeva..Era cosciente che i suoi piedi quasi non toccavano terra..che la Primavera incipiente sembrava creare solo per lui canti e profumi inebrianti..Quel crepuscolo magico lo accoglieva nelle sue spire avvolgenti ..e lui ci si abbandonava grato..Ma la Primavera non era l’unica ragione che gli faceva volare i piedi..Tra qualche giorno avrebbe finalmente avuto il tanto sospirato brevetto dall’Accademia..e allora..il suo sogno..via verso lo spazio..Marte..le lande di Ganimede..i laghi di metano di Titano…i pianeti transnettuniani..Non oltre, però…lo sapeva bene..Al di là c’era solo il maligno vuoto tra le stelle…solo pochissimi ci si avventuravano..spinti dagli enormi guadagni..pagando un prezzo altissimo..quello di diventare dei Paria senza tempo…

Cancellò quel pensiero  ..e si concentrò sulla “vera” ragione di quel momento di beatitudine..Avrete capito…c’era di mezzo una ragazza (c’è sempre di mezzo una ragazza..)..che finalmente gli aveva detto di sì..ma anche la sua famiglia, nobili col naso sensibile, lo aveva accolto…capirai..una Frescobaldi…ma per lui, innamorato perso, era solo la “sua” Erika…del cognome gliene importava il giusto..tanto tra poco le avrebbe dato il suo…Erika Magnolfi…suonava bene, no?!Una sinfonia..per lui..

Insomma, al tramonto di una bella giornata di Primavera…sulla splendida collina di Monte Beni..con la gioia dei suoi vent’anni..qualcosa lo distrasse..una musica..?! Forse..allungò il passo..dietro un’ansa della strada c’era una piccola osteria…Quella strana musica…proveniva proprio da lì..

Fu un impulso irresistibile quello che lo spinse ad entrare…E sicuramente il destino…o quel che è..in quel momento stava sogghignando in uno dei suoi peggiori momenti..

La luce attenuata e il fumo, non gli permisero di vedere quasi nulla..però, inoltrandosi nel piccolo locale..notò un uomo che suonava un pianoforte che aveva visto tempi migliori, ma da cui quelle mani delicate traevano arcane armonie.

Si sedette ad un tavolino libero, ordinò una birra, e si predispose a farsi cullare da quelle note..

Dal suo posto poteva vedere bene anche il volto del pianista..suonava ad occhi chiusi…su un volto pallidissimo, quasi cereo…ma di una bellezza…mistica?!Greca?! Naso affilato, labbra delicate..capelli biondi e lunghi…un misto di angelico e di demoniaco..come in quella musica..straniante, stregante…in cui  sembravano a volte risuonare le trombe degli Angeli o i tamburi dell’Inferno…ipnotica..e soprattutto, completamente aliena..

Si scosse, accorgendosi di stare per cedere a quella sonnolenta malia…alzandosi si avvicinò al piano..

Finalmente quel singolare pianista lo notò…rivolgendogli uno scintillante sorriso…

“Stasera siamo fortunati…guarda chi è venuto trovarci, Fati…addirittura un cadetto di prima nomina dell’Accademia…Già pronto per il primo imbarco?”

Dall’ombra si avvicinò una donna…doveva essere quella Fati che aveva menzionato..man mano la luce scopriva il suo volto e il corpo…appariva di una bellezza disumana…araba, forse…spagnola…?!

“Sì..Fati è il diminutivo di Fatima..la figlia di Maometto…lo sa che vuol dire :colei che apre?!A me ha aperto l’amore…ad altri..chissà..comunque questa è la mia compagna…fino a che Allah lo permetterà..”

Sembrava gli avesse letto nel pensiero….la bella donna gli fece solo un breve cenno col capo per poi rivolgersi al pianista con aria adorante..”Ti prego Lupo..suona ancora..per me..”

Con quella voce avrebbe potuto provocare il disgelo della Siberia..

Lupo ricominciò a suonare, ma cercando sempre di intrattenerlo..”Mai sentito parlare del Lungo Viaggio?!”

Questa strana domanda, del tutto fuori contesto, ebbe il potere di fargli scorrere un brivido gelato lungo la schiena….Nel suo ambiente era considerato di cattivo gusto anche alludere all’argomento..salvo le lotte all’ultimo sangue per accaparrarsi i ricchissimi prodotti che quelle navi trasportavano…Qualcosa di simile ai vascelli pirati del XVIII e XVII secolo….

La risposta di Alberto fu guardinga..”Certo.., ma…non mi ha mai interessato..”.E  già quell’aggiunta diceva molte cose..

Lupo lo guardò di sottecchi col suo sguardo ipnotico..un accenno di sorriso..”Si guadagna bene, sa?!”

“Sì..ho sentito quel che si dice in giro..chissà se è vero però…”

“E’ vero..è vero..non si preoccupi…”

Con uno scatto felino Lupo si alzò dal sedile del piano..proseguendo..”Ma lei non è interessato, a quanto vedo..”un piccolo silenzio…”E poi non l’avrei voluto io..non saprei che farmene di un bamboccio cullato nell’ovatta..”

Si avvolse in un mantello facendo segno alla compagna di seguirlo..e dal buio del locale risuonò una poderosa e sguiata risata..

Alberto trasalì…e quelli chi erano?! Anche la ciurmaglia…

Rimasto solo, si asciugò la fronte sudata, finì la sua birra ed uscì all’aria aperta..L’aveva scampata bella….Quelle bande di pirati si diceva non avessero molti scrupoli…E quell’indefinibile Capitano..e quell’angelica creatura..Angelica?! A lui faceva più l’effetto di una diavolessa…affascinante, però…

Si fermò sulla cima di un piccolo colle..quel posto e lo spettacolo che offriva l’avevano sempre entusiasmato..

Sì perché da lì si poteva assistere all’incredibile spettacolo che il grandioso spazioporto di Peretola offriva a chi lo guardava dall’alto..

Immaginate una pianura, che riusciva a raggiungere la vicina Pistoia…fino a lambirne la periferia…Completamente illuminata..ma in modo da non recare disturbo al panorama..

In file ordinate, centinaia, migliaia di astronavi..di ogni forma e dimensione…da trasporto, da diporto..da guerra..

Sola, quasi abbandonata in un angolo meno illuminato…era ferma un’astronave…più grande di tutte le altre…intorno alla quale si accalcavano come formiche schiere di meccanici, carpentieri, tecnici…Sembrava un’enorme aquila momentaneamente a riposo ma pronta a irrompere ruggendo spinta dai suoi fantastici motori verso spazi sconosciuti….

Nonostante la paura, Alberto si scoprì affascinato…Una nave del Lungo Viaggio..di sicuro…inconfondibile…chissà quali strani mondi….

Fu l’ultimo suo pensiero cosciente..All’improvviso tutto divenne buio e silenzioso..

Non sapeva, quando potè riaprire gli occhi, quanto tempo fosse passato..non sentiva altro che il dolore lancinante alla testa, provando a muoversi scoprì di essere completamente paralizzato….Era in un automobile ..che correva a velocità folle su strade che lui non conosceva..

Si riappisolò un po’…l’effetto delle droghe..quando riaprì gli occhi, l’auto si era fermata..sotto una gigantesca ombra..un’astronave…immensa..Girò gli occhi per quel poco che poteva, per capire qualcosa di quel posto, quando gli cadde lo sguardo sul cartello  che tutte le navi erano obbligate ad esibire per indicare la partenza l’arrivo…e altre notizie…ma questa volta rilesse la scritta tre…quattro volte…prima che la sua mente rendesse coerente il messaggio…

Già, perché sul cartello c’era scritto, a titoli cubitali: ASTRONAVE BELLEROPHON, in partenza per Merak, Dubhe, Alcor, ed altri scali .

RIVOLGERSI AL COMMISSARIO DI BORDO.

Alberto si sentì morire…Il Lungo Viaggio…quelli erano nomi di stelle…Maledetti..l’avevano rapito..ma ..chi?! Perchè?!

La droga ricominciò a fare effetto e ricadde in un sonno malsano..

Fu una continua vibrazione a svegliarlo, alla fine…incessante, come un gigante che respirasse, profondo, inarrestabile….

Era steso su un lettuccio..in una specie..di che?! Un’infermieria…si sarebbe detto…e di una clinica di lusso..a quel che vedeva..file e file di armadietti scintillanti…un set completo per tutti i tipi di esame…comode poltrone….

Una porta si aprì ed un largo faccione gioviale spinse la testa nel locale…

“E come sta oggi il nostro ingegnere -cadetto..?! Spero non troppo male…”

Alberto non ci vide più..voleva uccidere qualcuno…e quel giovialone andava bene come un altro….”Maledetti..mi avete rapito..mi avete scaraventato nel Lung….”Ma a questo punto la testa gli ricadde sul cuscino…Troppo debole…

Il faccione allegro gli si avvicino’..sentendogli il polso, guardandogli l’occhio …con aria molto professionale..

Non fece il minimo caso al suo sfogo..:”Eh..piano piano…ti rimetterai, presto, ma ..riposo e pazienza..pazienza e riposo…questo è il segreto”.Mentre se ne stava andando si voltò…”Ah..io sono il dottor Asuki..Asu per gli amici…”fece un inchino molto Giapponese..”Per servirla..”

Inutile dilungarsi ancora..Cominciò così per Alberto la sua vita tra le stelle..Divisa tra la sete di vendetta e, suo malgrado, l’ammirazione per i mondi inimmaginabili per un “terragno”..loro lo chiamavano così..

E poi non erano poi tanto una ciurmaglia intenta a far soldi e ad accumulare tesori in vista di quando finalmente si sarebbero fermati…A quel che sapeva avevano già accumulato tante ricchezze da poter vivere due o tre vite da ricconi sfondati..

Invece continuavano..E lui, odiandoli tutti..non li capì fino a quando uno non gli citò proprio il suo poeta preferito..Alla fine di una discussione sull’inutilità del loro proseguire..uno, il secondo in comando..recitò”…Fatti non foste a viver come bruti….”

Detto in quel contesto era più che ridicolo..ma anche commovente..

Fu uno dei momenti più educativi..sulla strada di quell’iniziazione che Alberto non aveva voluto..che odiava con tutte le sue forze..ma che forse avrebbe potuto insegnargli tanto..

Un altro pensiero consolante era che ad ogni scalo, ad ogni sosta lentamente..lentamente ma ogni anno-luce di viaggio lo portava sempre più vicino ad Erika..passava le notti a calcolare quanta differenza di tempo ci sarebbe stata tra di loro al suo atterraggio..sarebbe stata una vecchietta…forse..ma non importava..l’avrebbe amata ancora di più…pensava agli splendidi regali che le avrebbe potuto fare con il ricavato del carico del Bellerophon..una piccola fortuna..e lui l’avrebbe spesa per lei..per loro due…

E si addormentava contento…si fa per dire…

Il comandante non lo vedeva quasi mai..nessuno lo conosceva bene..di sicuro il suo vero nome non era Lupo..dicevano fosse ungherese..reduce della guerra del 2651…

Quindi..avrebbe avuto..quanto?!Dio Santo..trecentoquarant’anni…

Guardava le stelle dai finestrini..con il loro canto abbagliante di  barbarico splendore sembravano ammaestrarlo..confortarlo quasi..Ormai le riconosceva una ad una:Sirio, azzurra e cangiante..la rossa Aldebaran…Canopo la bianca…forse la più bella..

Era un orfano adottato dalle stelle…e questo lo fece sopravvivere..

E finalmente ..finalmente ..rotta sulla Terra o, come la chiamavano i lupi dello spazio Sol III..

Ma comunque fosse..lui era di nuovo felice..Ora sorrideva di nuovo. E scherzava col dottore per le sue manie..col pilota per la sua passione per le antiche icone..

In uno di questi stati di grazia lo sorprese il comandante..”Signor Magnolfi..sono lieto di vederla sorridente….procuri di restare sempre così..”

Che voleva dire?!E poi l’aveva detto con uno sguardo..di pietà…Forse?!

Quando le porte della vecchia nave finalmente si aprirono lasciando entrare la fresca brezza di M.Morello, lui fu il primo a saltar giù…pochi minuti per farsi accreditare il gruzzolo cospicuo che gli spettava…e all’Amministratore che gli diceva arrivederci rispose con una smorfia…arrivederci?!Ma nemmeno per sogno..”Eh, non si sa mai..”fu la sibillina risposta del vecchio astronauta..

Ma appena fu in grado di avere sott’occhio tutto il panorama…il suo entusiasmo non potè che raffreddarsi un po’..nonostante tutto..

Già, perché, ovunque girasse lo sguardo..gli venivano incontro spezzoni anneriti…non poteva dire se case..alberi o altro ancora…

Brulle le colline un tempo smaglianti di verde e di olivi…

L’uomo che gli controllò i documenti nella guardiola al limite dello spazioporto..era simile al paesaggio:barba lunga..vestito logoro..l’aria stanca di chi ne ha viste troppe…”Eh..voi del Lungo Viaggio…sempre lassù. A vagabondare…mentre qui si muore, di fame..per le radiazioni…”

“Ma che è successo..?!”

L’uomo lo guardò stralunato…”Santo Dio..ma quanto tempo è stato lassù..?!La guerra, la guerra, amico mio..nessuno ricorda nemmeno il perché..ma ci ha devastati tutti…anche se è finita da cinquant’anni…la ripresa è lenta e..”..un sussurro…”forse non ci sarà più..”

Si può capire perché Alberto, all’uscita del cancello dello spazioporto, fosse abbastanza abbattuto..ma si riprese..era giovane e sicuramente la sua Erika lo aspettava….Ingenuo…

Saltò su un taxi, all’autista diede il nome “Villa Frescobaldi, per favore..”

Ma l’autista rimase fermo…”Villa che…mi dispiace..questo nome non l’ho mai sentito…”

Non che Alberto ci sperasse..ma fu un discreto colpo..”Ma a M.Beni mi ci può portare..?!”

Questa volta l’autista capì..”Certo..ma…non capisco cosa uno possa andarci a fare..ci sono solo baracche miserabili…”

Un’occhiataccia di Alberto..”Va bene, va bene..la porto subito..”

Man mano che si avvicinavano si potevano rivedere i tratti di quelle che furono le più belle colline del mondo….ma quasi irriconoscibili..

Fece fermare il taxi vicino a dove..a memoria..doveva sorgere la bella villa che lui conosceva tanto bene..Mentre la macchina si allontanava…lui rimase solo..solo davanti ad un enorme cratere..tutto quello che restava dei profumi, dei fiori e dei canti che avevano vivificato quell’angolo di paradiso..

Si riscosse…Erika…Erika…non poteva essere lontana…se lo sentiva dentro..

Fermò una vecchietta carica di legna…”I Frescobaldi..?!Mai sentiti..ma io sono qui da poco..”..chiederò un po’ in  giro..

Ritornò dopo un quarto d’ora..accompagnata da un’altra vecchia signora..ancora peggio in arnese..

“E’ lei che ha chiesto dei Frescobaldi..?!”e lo guardava sospettosa….

“Sì..”

“E perché li cerca..?!”

“Ehm…sono un vecchio amico di famiglia..”

“Così giovane?!”

“Sì…sono stato molto all’estero…”Non sapeva quant’era vicina alla verità quella stupida risposta..

Comunque la vecchia non ci fece caso..”Allora venga con me…ma non ne faccia parola..sa, dopo la rivoluzione questi nobili li cercano..li incolpano di tutto..Io ero al loro servizio..mi occupo della loro ultima discendente…nessuno al mondo ha la loro classe…Va beh..siamo arrivati…”

Apri un usciolo sgangherato…, salì le scale dicendo..”Sono io, contessa..non si preoccupi…”e a lui “Poverina, ha sempre paura di tutto..la tratti con dolcezza…è un po’ svanita, sa…alla sua età..”

La stanza era immersa nella penombra..davanti all’unica finestra una poltrona..e una figura ammantata di nero..

Una voce tremula..”Ah, sei tu Maria..?!Credevo fosse Alberto..mi aveva detto sarebbe tornato presto..ma è un po’ in ritardo..che bel giovanotto il mio figliolo, il giovane Alberto..tutte le giovani del vicinato se lo mangiavano con gli occhi…ma io lo aspetto ancora..”

“Non ci faccia caso signore..non si è mai sposata e nemmeno ha avuto figli..Ma ha sempre mantenuto la sua dignità in mezzo ad un mondo in sfacelo..”

“Chi c’è con te, Maria..?Fallo avvicinare…vorrei vederlo…”

“No..no, meglio che si riposi gli occhi…”e a lui.”.poveretta..è mezza cieca ma non vuole ammetterlo..”

“Hai ragione Maria, hai ragione..ma offri qualcosa al nostro ospite..forse gradirà un Brandy..In questo giorno umido..lo sento nelle ossa…tra poco pioverà..e il giovane Alberto non torna..non torna….”Continuò così come un disco rotto…

E Alberto fuggì..si precipitò giù dalle scale…fermandosi solo per dare alla vecchia manciate e manciate di soldi..

“Basta basta signore..è troppo…”ma lui non si fermava…per lui non avevano più nessun valore..

“Allora grazie..grazie signore..serviranno per far stare un po’ meglio quella poveretta..”

Si allontanò lasciandolo nel buio..

Lui alzò lo sguardo verso il cielo…che brulicava di stelle…”E così avete fatto anche di me il vostro schiavo..e ora sono anch’io un Paria…senza Patria e senza tempo..”

Sentì una goccia bagnargli il naso..poi un’altra..e un’altra ancora…Lei aveva detto che sarebbe piovuto..