Oggetti di Natale: il metro

Il metro di legno della Passamaneria Toscana – di Rossella Gallori

foto di Rossella Gallori: forbici, lunette (aghi speciali) e metro

Cadevi dall’ alto del banco, secco e legnoso sui miei piedi giovani, forse anche troppo, lasciando piccoli segni arcobaleno, a volte ci ridevo a volte mi incazzavo a bestia, altre ti scansavo veloce, con un rapido scatto indietro…e poco importava se c’era la mano scherzosa di un maschio guascone all’ altezza del culo….tanto mi sarei vendicata, prima o poi…o verbalmente o fisicamente…. il nostro tra colleghi è stato sempre  un rapporto alla pari: tu mi sfiori? Io ti pizzico…

E tu eri lì, compagno color miele di castagno, rifinito in oro, ogni tanto le tue punte dondolavano, una corsa in magazzino due martellate e via, tra tessuti pesanti, frange altissime per sipari importanti, linoleum freddi come rigide colonne di plastica…sostituivi le braccia, quando non c’era il tempo di prender lo “scaleino” in un negozio tanto grande, per me che venivo da un anno di sottabiti e bottoni, con un principale che mi chiamava signorina, in un 1965 dove la cinghia dei libri era finita nella pattumiera insieme ai progetti improbabili di poesie, viaggi e studio… Tu lì non c’eri “ METRO DI LEGNO”. Il Galvagni ne aveva uno di cencio, per misurare colli maschili, vendere camice Aramis era roba da maschi.

Mi sei ripiombato, in capo, questa volta, aprendo un armadio incasinato, in un dicembre 2020 dove il presente sa poco di futuro, ho provato lo stesso calore, rivisto, in un flash,  gli stessi colori di quel magico negozio, che mi ha accolta in minigonna,  capelli lunghissimi e  tacchi  vertiginosi e mi ha salutata, con comode décolleté  con zeppa tre e qualche ciocca grigio perla…

Ma ti ho portato con me, con tre o quattro aghi dal nome di “lunette”…e tu fedele amico, con il timbro di un anno scolorito dal tempo che non si legge più, ed i ricordi nascosti in cento centimetri, si, quel ridere che non ritrovo nei miei settanta anni…e mi rivedo majorette  per pochi minuti, dietro uno scaffale, con il povero Mario, collega da sempre e vittima predestinata…  quando maliziosa gli dicevo: “ora, dico io, non ti potevi scansare,  il tuo zigomo si sarebbe salvato…no?

Ti riguardo, METRO MIO sorrido da sola e ti parlo, perché quarantun anni, non sono un giorno, un mese, sono una vita…e lì comincia un rosario  ricco di chicchi, dolci, piccanti, amari….

E quando dicevo: “scusi vado a prendere un metro, se il cliente era bonazzo (magari architetto) per nascondermi, un attimo e sganciare il secondo bottone della “vestaglietta” chi mostra vende, non si sa mai…pensavo.

E quando ne presi tre, li legai insieme e creai  un albero di Natale incollando sul tuo esile corpo magici pon pon rosso ciliegia, li fui redarguita: te lo farei pulir con la lingua questi metri, disse il collega più anziano, il metro va rispettato, bischera!!!!

E quando vanitosa e un po’ sfrontata mi ci misuravo le gambe, le mie gambe che mi avevan dato un lavoro, prima del mio poco inglese, del mio “un po’ di francese” e del mio italiano parlato discretamente, merito di una famiglia benestante, in tempi non miei, tra colleghi che dicevano:  s’eramo  e andonno…Parevo  laureata ad Harvard  a volte, con la terza commerciale fatta controvoglia.

Ma tu eri lì “ METRO MIO”  anche quando ti sbattevo, sul banco dopo un insulto velato, ma non troppo, del cliente nobile solo di cognome…

Tu eri con me quando ti presi per la testa e tagliai la pancia a due o tre balle di kapok, brandendoti come una spada, un po’ Athos e molto Rossella, verde di rabbia con gli occhi pieni di lacrime, in un magazzino freddo in via della Stufa al numero 7…ero scappata dalla porta sul retro, un primo di ottobre….l’ avevo vista entrare quella compagnuccia di scuola, con il kilt  blu ed il golfino paricollo, mi ero uno po’   nascosta, ma non troppo, i suoi genitori con il loden, biondi alti…vivi.

Esordisti così, lo ricordo bene: ahhhhh sei tu, non ti riconoscevoooo, con la divisa….lavori!!! Io faccio il liceoooooo.

Ti salutai composta, sotto gli occhi intelligenti del mio principale, che capiva senza sapere. Ma quanti “ o” aveva quel liceo? E a quanti sogni avevo rinunciato, io,  biascicai un:  No ho smesso di studiare, non mi piaceva più.

E corsi via, le chiavi del “ fondo” in tasca, le espadrillas più veloci di me…..e quel nodo nello stomaco, che a quindici anni ti prende e spesso per ritrovare  poi ad ogni ostacolo,  ma avevo te, sulla spalla, METRO MIO  e scacciavo fantasmi…tra le piume di ripieno per cuscini che mi si appiccicavano alle lacrime…spadaccina per pochi minuti il tempo di urlare a nessuno la risposta che avrei voluto dare: Io lavoro, scema, perché …perché…perché…aiuto la famiglia …hai capito stronza?

Poi tornai in negozio, mi ricomposi, mi rifeci il rigo nero sulle palpebre gonfie…..certa della mezz’ora che avrei fatto in più,  gratis, per ripesare le balle…poco mi importava, io avevo te amico mio.

Ti ho nascosto nel mio sgabugiolo con la scritta: Rossella Gallori …..e dopo 41 anni ti ho portato a casa, ti ho rubato, si, insieme a tre lunette ed alle forbici foderate per non far venir le galle…

Ladra per amore, forse si, non me ne vergogno, certi reati cadono in prescrizione ed io, METRO MIO, ho ancora tanto bisogno di te, anche se nessuno mi domanda più…..più…più…che cosa?