Foto con dolore di Nadia

Nakba – di Nadia Peruzzi

foto di Nadia Peruzzi

Donne in nero,   sullo sfondo nero della bandiera palestinese.  In alto,  su uno striscione,  una parola in arabo,   Nakba.  Risuona come maledizione mentre per noi, da questa parte del mondo, se va bene è solo un’inezia che lascia indifferenti. 
Nakba, esodo! Un esodo dal segno incancellabile, tanto più se senza epopea e senza Paul Newmann o Hollywood a cantarne le gesta.  Vissuta o sentita raccontare come spoliazione, cacciata, abbandono di terre e di case amate e abitate mentre una gran parte di mondo voltava la testa da un’altra parte.  Non puoi restare indenne per molto alla rabbia e alla volontà di risposta! Ingiusto pensare di curare una ferita infliggendone ad altri una uguale e contraria. 
Ho attraversato quella manifestazione da turista.  Preparava un evento di cui si è saputo solo molto dopo il nostro rientro.  Andai a ricercare il volantino in inglese che avevo preso allora per avere conferme, dopo che si seppe che era finita male l’impresa della Freedom flotilla per portare a Gaza affamata e stretta nell’embargo israeliano, aiuti e viveri. 
Amo molto questa foto nata allora da puro istinto.  Un colpo d’occhio con poca consapevolezza del contesto particolare .  Eppure testimone diretta di quanto cuori e menti trovino punti comuni al di là dei vestiti che indossano, delle lingue che si parlano.  Non solo tre donne.  La quarta, senza velo, scattava la foto per portarla con sé a chilometri di distanza.  Il cuore sanguinante non meno del loro! 

Viola livido

LIVIDO – di Sandra Conticini

Foto di David Zydd da Pixabay

Anche i lividi hanno un’età, ma nessuno ha la stessa durata.

Eh si, i lividi dei bambini con due lacrimucce e due brontolate guariscono, ma quelli degli adulti sono duri da far sparire! Rimane li sul cuore quella macchia rosa violacea che per anni non puoi toccare perché ti fa troppo male, non ce la fai neppure a parlarne. Quando ti senti meglio pensi che il livido sia sparito, invece ad ogni occasione è li che si fa sentire e pensi che te lo porterai dietro per il resto della vita. Viene  un momento che ti senti liberata e sembra che tutto sia passato, finalmente ci stiamo avvicinando al  giallo!

Foto di Nadia

La vigna d’autunno – di Nadia Peruzzi

Le avevo guardate tante volte in passato.

Le viti sono da anni in quella posizione. A novembre restituiscono agli sguardi di chi passa una gamma che va dal rosso al porpora attraversando il marrone, i gialli, i verdi come se fossero fili di una prigione da cui evadere ,o stadi di una evoluzione da scalare per arrivare a compiere il cammino.

Le costeggia la strada che si fa per andare a Poggio alla croce. Un pugno di case lungo il crinale che separa il Chianti dal Valdarno. La meta era un ristorante di quelli a gestione familiare, dall’atmosfera calda e dal cibo buonissimo. Era d’uso andare li a festeggiare i tre compleanni del periodo. Quello di mia suocera, di mio padre e il mio. Sceglievamo una data intermedia e via.
Nelle giornate di sole lo sguardo si posava sui colori di quei vigneti e ogni volta ne nasceva un impegno.
“Prendo la macchina fotografica e torno uno dei prossimi giorni!”
Ne sono passati fin troppi di prossimi giorni per brutto tempo, per altre cose da fare, per il clima che cambiava, per dimenticanza.
Una delle regole del fotografare è cogliere l’attimo. Ci è voluto un po’ ma quello che era nato come semplice sopralluogo per valutare il da farsi e se ne valesse la pena, è diventato occasione di scatti multipli e incentivo a tornarci il pomeriggio stesso con una amica.
La tavolozza era già cambiata, i frammenti di quello spettacolo della natura già restituivano altro.
L’inclinazione dei raggi del sole e la sua posizione che la mattina faceva rilucere e risaltare di più i verdi e i gialli, nel pomeriggio assicurava un trionfo di rossi.
Il bello è che tornandoci anche la mattina dopo abbiamo potuto verificare un ulteriore cambiamento.
I verdi e i gialli brillavano di meno, i rossi sembravano un po’ più spenti.
La sorpresa iniziale ci aveva forse messo del suo? Erano i nostri occhi ad essere cambiati? 
Forse . D’altra parte è anche vero che tutto scorre, nulla è mai uguale a se stesso tanto più se quello che decide è il punto di vista e l’emozione che ci mette chi scatta una foto.
Milioni di scatti possibili per milioni di occhi che leggono la realtà in modo diverso mentre cercano di fissarla ognuno a suo modo.

La foto di Vanna

Alla ricerca del cielo e del mare – di Vanna Bigazzi


Un altro colore che mi affascina come il viola è il blu intenso che non coincide propriamente con il blu oltremare, comunque stupendo, è simile ma più misterioso. Potrebbe essere un “ ensemble “ fra il blu oltremare ed il blu di Prussia, un blu che esce dagli schemi, la cui profondità entra dentro, in modo assoluto per la sua bellezza e perfezione. Spesso ho pensato che questo colore contenga in sé anche un po’di cobalto. E’ veramente un colore segreto, forse cattura perché irraggiungibile, forse risiede solo nella mia mente. Ho scelto questa foto scattata da me, subito dopo il tramonto, durante una gita al mare, l’ultima della stagione. Ebbene, non è proprio l’azzurro che intendo io, l’irraggiungibile, comunque i colori della foto si avvicinano molto, forse leggermente più scuri.
Sento che nell’immaterialità e purezza del mio colore, è insito un anelito alla perfezione e penso che sia il colore della Felicità, bramata all’infinito e mai raggiunta, nel suo eterno dinamismo, sempre in divenire.

Foto di Cecilia

La mia foto – di Cecilia Trinci

Sembra una tenda di foglie su una finestra immaginaria e dietro, in secondo piano, si vedono altre foglie, ma verdi, perché mi piace guardare il passaggio del tempo. Strati diversi, in sequenza, di foglie che hanno età diverse, alcune fresche, ancora vive e altre più anziane, già arrugginite. E altre sono in terra, non ancora morte, ma diciamo pure esaurite, stanche, alla fine del loro percorso magico. Si vedono anche case, perché ci tengo a raccontare che non sono andata lontano, non c’è bisogno di scappare altrove, ma l’altrove è dove si sta bene, dove si cambia aria, dove le scarpe cantano nei passi leggeri, l’altrove è dietro casa, che vogliamo proteggere senza abbandonare. Nella foto ci sono anche i recinti, le ringhiere di ferro che contengono senza imprigionare, protettive, più che autoritarie.

E poi racconto la forma, quelle foglie dentellate che assomigliano a mani. Mani che accarezzano, che si muovono, che costruiscono storie e immagini appese ai rami, che volano e si lasciano cadere giù, in un volo leggero, allegro anche se l’ultimo. La forma delle foglie secche che ancora non si sbriciolano, ma si impennano nella secchezza delle fibre, si impuntano prima di morire e si raccontano, come rivivendo in un attimo solo, come si dice, tutta la vita passata, nell’ultimo istante.

Colori e ricordi

Viaggio nel magenta – di Mimma Caravaggi

Foto di starbright da Pixabay

Scatole di plastica trasparenti colme di perle dove attingere per formare collane, braccialetti e orecchini da regalare e indossare. La magia creativa di tutte quei piccoli   bijou   in cui affondare le mani alla ricerca di quello giusto per una  collana da costruire. L’orgoglio di vederla poi indossata mi ha aiutata col tempo a superare momenti tristi e a sentirmi in qualche maniera utile. Un colore che è quasi una magia per tutte quelle sfumature che lo rappresentano per me è il magenta. E’ uno dei miei colori preferiti, forse il preferito ma che adopero con parsimonia  per non stancare gli occhi degli altri e anche i miei ma che mi ha sempre dato gioia, spensieratezza, giocosità e anche più inventiva. Nei miei viaggi in Guatemala l’ho riscoperto un po’ dovunque e soprattutto nei tessuti con intrecci di colori a volte assurdi ma con l’onnipresente magenta a dare pennellate di luce ad un tessuto un po’ cupo o anonimo che riacquistava brio e captava gli sguardi di tutti. I mercati erano pieni di tanti colori diversi e brillanti: nelle stoffe grezze era come vedere farfalle variopinte e delicate danzare e spargere nuvolette di colore.

Una volta si raccoglievano grandi mazzi di fiori andando per boschi e si tornava a casa felici pronti a metterli in un bel vaso nel centro del tavolo dove emanavano profumo intenso e rallegravano l’ambiente illuminandolo. Altre  sfumature che donano  gioia le ritrovo nelle peonie in giardino in primavera  quando sono al culmine della stupenda fioritura e   iniziano dal viola fino a degradare in un rosa pallido accompagnate dalle  splendide foglie che dureranno fino all’autunno inoltrato. Infine il magenta scoppia nel rosso, il colore dell’amore per antonomasia e tutta la sua gradazione che puoi trovare in un foulard per ravvivare un esile collo o una giacca, in un paio di guanti o in un mazzo di rose profumate da inviare ad una persona speciale.

Filamenti magenta e indaco

La riparazione – di Laura Galgani

Foto di Arek Socha da Pixabay

Navigava sicura da un tempo non misurabile in quel mare lattiginoso e opaco, denso e tiepido.

Era riuscita senza sforzo a penetrare la barriera protettiva di quel mondo bizzarro, quasi senza luce ma non buio, che sapeva essere la sua meta.

Il chiarore che lei stessa emanava era sufficiente a farsi strada.

Si era appena lasciata passare accanto, senza degnarli di attenzione, come dei

vascelli assolutamente silenziosi, dalla forma affusolata e capiente, carichi di materiali puntiformi. Altri, dalle sembianze di filamenti, la sfioravano appena, senza produrre alcun rumore. Si accorse d’un tratto di essere prossima al centro: un rigonfiamento tondeggiante si sollevava proprio sulla traiettoria del suo viaggio. Era di un bel colore chiaro, luminescente, cangiante a tratti all’azzurro. Si fece avanti decisa, ed entrò senza esitazioni in quello spazio sferico.

Il tuffo fu facile, senza ruvidità. E si trovò davanti ad un sinuoso gigante, morbidamente intrecciato su sé stesso, dai fianchi ondeggianti, ora color magenta ora indaco.

Osservando meglio vide che i due filamenti seguivano un ritmo ben preciso nelle loro fluttuazioni e nel ritmo dell’intreccio. Sapeva però che da qualche parte in quel gigante da sempre c’era una ferita, un vuoto subdolo e pericoloso. Lei doveva trovarlo, o tutto sarebbe stato perso. Diresse la sua luce sui fianchi morbidi e sinuosi del gigante. I due filamenti magenta e indaco danzavano in un intreccio sinuoso e perfetto. Fra un fianco e l’altro delle brevi sporgenze formavano come dei collegamenti fra un filamento e l’altro. Tutto sembrava perfetto.

Ma lei sapeva che non era così, doveva trovare quel punto, quella rottura nell’armonia della danza dei due colori o il suo viaggio sarebbe stato inutile! Si avvicinò ancora un po’di più, poi si fermò. Si lasciò guidare dalla sua forza interiore e dall’amore per quella creatura dentro la quale si trovava. L’intuizione fu immediata, assoluta, lampante. Si diresse verso l’alto, là dove il magenta e l’indaco sfumavano in un morbido abbraccio ma con un’ombra d’incertezza. Si fece piccola, precisa, luminosissima. Si fermò proprio davanti a quell’ombra, a quella irregolarità dell’abbraccio che era all’origine di tutto. Da quella minuscola imperfezione nasceva la malattia di quella giovane donna. Con precisione assoluta si fece scintilla e andò a posarsi su quell’ombra, su quel minuscolo vuoto, e lo riempì. Il DNA era di nuovo perfetto, la malattia sconfitta.

Strade

Strada – di Lucia Bettoni

foto di Lucia Bettoni

Silenzio
            la libertà non fa rumore
                         Silenzio
            qui rinasco ogni volta
                          Silenzio
       ci sono strade che portano ovunque

Incontro virtuale – 10 novembre

di Cecilia Trinci

E così ci siamo incontrati. Non nel parco, ma ognuno a casa propria, pensando di essere insieme veramente. Abbiamo parlato di:

immagini: foto, disegno e pittura

dei messaggi che ci mettiamo dentro nel crearli e cosa ci spinge a condividerli.

La conversazione dei due gruppi è stata molto interessante ed è disponibile registrata in due video distinti. Vale la pena ascoltarli.

Le prossime scintille non partiranno dal blog, dove rimangono le nostre scritture, i commenti e le occasioni di riflessione, ma partiranno dalle videoconferenze, perché solo lo scambio di idee dal vivo può alimentare la nostra creatività. Controllate le connessioni quindi e siate puntuali agli incontri! Altrimenti sarà difficile seguirci e invece abbiamo bisogno della preziosa partecipazione di tutti.

Grazie delle parole

Pausa di riflessione

Occasione per riflettere: il silenzio

foto di Nadia Peruzzi

“…Ogni silenzio è diverso da un altro
Ci sono silenzi di cui non ci accorgiamo
Altri che ci prendono alle spalle e ci imprigionano nel gelo
Silenzi che ci cullano
E altri che ci riempiono di inquietudine
Silenzi che rendono tutto più chiaro, come una vampata di luce
E silenzi oscuri, in cui brancoliamo storditi
Silenzi in cui nasce una bufera di pensieri
E silenzi che generano altri silenzi da cui altro silenzio nasce
Tra una parola e l’altra c’è sempre un breve silenzio
In cui puoi sentire il respiro e il pensiero
E nel concerto, una sola nota e poi silenzio
E il silenzio dopo una nota diventa silenzio prima di qualcosa, silenzio che attende
Blues, urlo, sparo o voce amica
La natura, la notte, la malattia, hanno musiche di silenzio
E così gli sguardi d’amore e la notte prima della battaglia
E ci sono silenzi che parlano
E altri che si chiudono dietro di sé come una porta di acciaio
Il silenzio del malato nel letto
E degli amanti che dormono
Il silenzio del crepuscolo con Nellie
Della mia solitudine vicina e della tua voce lontana.” (Teatro due)

Stefano Benni

Ballerina

“CIKITO NIGHT CLUB” – di Simone Bellini

Foto di StockSnap da Pixabay

Niente!

 Anche per oggi nessuno ha varcato la soglia di quella maledetta porta a vetri.

Nessun marito cornuto o moglie gelosa o spia industriale da controllare.

Sono mesi che nessuno entra a respirare la nebbia fumosa di questa stanza gialla di nicotina.

Spengo la quarantesima sigaretta, chiudo la porta a chiave mentre, come sempre, leggo la scritta sul vetro ”AGENZIA INVESTIGATIVA” ; un sorriso amaro mi sfugge sul viso.

Anche stasera andrò ad affogare la giornata al “Cikito Night Club” ; il mio antro perverso preferito, dove annegare la mia frustrazione per una vita sbagliata.

Vengo accolto fra inchini e sorrisi, come il cliente di vecchia data che sono.

La “tabacchierina” ( come affettuosamente la chiamo io ) mi accompagna al mio solito tavolo; quello proprio sotto al palo.

– Vuoi la solita stecca ? – mi dice piegandosi per mostrarmi tutta la sua mercanzia.

– Certo che si ! – le dico salutandola con la solita pacca di rito, accettata con un sorriso malizioso.

Le luci si spengono!

E’ arrivato il momento !

L’occhio di bue illumina il palo, dove, con mosse sinuose, si avvinghia Lei : “ La Regina della Lap-dance “.

Meravigliosa !

Vengo qui solo per lei !

La sua bellezza esplosiva si fonde con l’armonia sensuale di quella danza.

La musica, le luci, il suo sguardo magnetico, mi inebetiscono, mentre lei si protende verso di me per chiudermi la bocca inconsciamente aperta per lo stupore.

– Ti aspetto nel camerino ! – mi sussurra strizzando l’occhio, per poi riprendere la sua meravigliosa danza.

Nel suo camerino? …Non ci Credo!…Non mi ha mai rivolto parola o sguardo ed ora……….Nel..suo.. camerino !!!!!!!!!!!!

Busso ho il cuore a mille. Mi accoglie con una vestaglietta leggera a coprire la sua marmorea nudità.

– Vieni, Ti aspettavo con ansia! Sei un detective, vero? Sono preoccupata, molto preoccupata. Ho bisogno del tuo aiuto.-

E’ come una secchiata di cubetti di ghiaccio sui miei bollenti spiriti.

Dunque, niente da fare, anche stasera si va in bianco!

– Mio marito è uscito di prigione prima del tempo. Ho paura, è un violento! Ho bisogno di protezione.

Guarda, questo è lui!- e mi pianta sotto gli occhi una foto da un vecchio giornale dove è ritratto nel momento della cattura.

– O merda !!- sbotto….ero stato io a sbatterlo dentro. Non sapevo che fosse suo marito.

– Non posso,non faccio più questo genere di lavori !- Faccio per andarmene quando…

-Ti prego aiutami, chiedimi tutto quello che vuoi … non ho molti soldi ma…

Lasciò cadere quel velo di vestaglia….

Non ricordavo più da quanto tempo non toccavo una donna, una Dea così poi mai, sicuramente mai.

Quella notte fu un’estasi, un vulcano, un’esperienza mistica.

Quando tornai in me, con i piedi per terra, ero fuori dal night con l’ennesima sigaretta in bocca.

– Hei Nick ! Che fai ? Prima mi sbatti dentro e poi ti fai mia moglie ?!-

Mi voltai fulmineo estraendo la pistola.

Due spari esplosero all’unisono

Due corpi si accasciarono al suolo rantolando, mentre il sangue inondava l’asfalto.

La porta si aprì di scatto, ne uscì lei correndo verso di me

– Nick, Mio Dio ! Nick mi dispiace! Mi ha costretta a tenderti questa trappola! Mi ha minacciato ! Voleva la sua vendetta. Nick perdonami. Grazie a te adesso non potrà più nuocermi, sapevo che mi avresti protetta fino all’ultimo !-

Aveva previsto tutto, maledetta !!!

Suo marito era steso lì davanti a me e come me stava esalando gli ultimi respiri, i nostri sguardi s’ incontrarono in un intesa complice.

Due spari all’improvviso, il corpo di lei stramazza a terra, ora la vendetta è completa!

Prima rosa e poi rosso

Rosa tenerezza – di Carla Faggi

Da ragazzina avevo un abito rosa intenso fatto di gale, cucito da una sarta.

Non te lo ciancicare troppo, mi fu detto, che lo sciupi, è di chiffon!

Certo! E contenta di domenica pomeriggio andai a ballare!

Quello che mi piaceva mi chiese di ballare un lento.

Io felice accettai, gli dissi però “ non mi toccare troppo l’abito che me lo sciupi!”

Mi guardò perplesso, finimmo il lento, e non mi chiese mai più di ballare!

Nonostante questo primo inconveniente mi sono comunque vestita tanto di rosa fuxia!

Abiti, orecchini, scarpe, rossetti.

Era un colore che mi donava e andava di moda e io ero modaiola!

Era ed è un colore che ti fa pensare alla giovinezza, alla spensieratezza,al mostrarsi.

Ed io ero giovane, spensierata e audace!

Ma è un colore se usato nei toni più chiari anche che ricorda la dolcezza, la serenità, la femminilità.

Ed io mi sentivo dolce, serena e femminile! E anche femminista!

Troppo dicevano alcuni, ma si sa, era quella l’epoca!

Poi si cambia, ci avviciniamo a colori più stabili, più primari.

Siamo più maturi, possiamo osare con meno trasgressione…osare con meno trasgressione? e allora vai!..forza con le mille sfumature di rosso!

Irlanda

FESTA IRLANDESE – di Anna Meli

Il cielo è pieno di stelle e una falce di luna illumina il breve tragitto che ci separa dalla macchina.
Stiamo tornando a casa a notte inoltrata, camminando stretti l’una all’altro perché, anche se siamo in estate, quassù nelle colline del Chianti fa freddino. Siamo ancora un po’ storditi per questa festa di compleanno diversa, vivace, colorita fatta di musiche, danze e buon cibo oltre al vino e alla simpatica compagnia.
Un invito ricevuto da un nostro amico musicista ci ha proiettato in un mondo diverso dal nostro e più che l’Irlanda ci ha fatto conoscere gli Irlandesi e il loro modo di far festa.
Noi conoscevamo l’Irlanda solo attraverso i documentari ricca di vaste praterie, ripide scogliere, misteriosi castelli e anche il nostro amico ce ne aveva spesso parlato come di un’isola magica dai colori di smeraldo con un clima abbastanza freddo-umido, ma con una popolazione alla quale piaceva far festa con bella musica e buona birra.
Stasera nella sua casa di campagna c’è stata “ LA FESTA” presenti noi, due spagnoli e tre famiglie irlandesi.
Nella grande aia davanti alla casa, in un angolo un fuoco scoppiettante. Concita armeggia rimestando in una grande padella carni e verdure e pesci per la paella mentre Thomas, accompagnandosi con la chitarra, le fa compagnia con un canto. Al centro una damigiana di vino con una canna infilata nel collo offre da bere agli assetati irlandesi giunti con le loro famiglie a festeggiare.
All’inizio ci sentiamo un po’ imbarazzati, le presentazioni non sono semplici per la lingua, ma poi tutto rientra di fronte alla loro naturalezza che ci coinvolge. Si mangia in piedi e parliamo cercando di indovinare, a volte gesticolando a volte sorridendo; comunque ci sembra di capirci e abbiamo voglia di far festa.
Molti di loro hanno uno strumento che suonano meravigliosamente, così violino, arpa, chitarra, percussioni, cucchiai e altri strumenti che non conosco intrecciano le loro note in una musica fatta per ballare. Incominciano le loro danze nelle quali veniamo coinvolti in un girotondo spezzato e ritmato.
Nel frattempo fra cibo, vino, canti e balli il sole scende lentamente tingendo l’aria di rosa. Un momento di pausa per dar modo ad una loro donna di cantare alcune dolci nenie della loro terra che ci trasmettono pace.
Un esplosivo battito di mani e poi di nuovo allegria davanti ad un’immensa torta e a bicchieri di vinsanto per gli auguri.
Si è fatto molto tardi e ci congediamo con abbracci e strette di mano come amici di vecchio tempo.
Riflettendo: se questa è l’Irlanda, viva l’Irlanda e tutti gli irlandesi.

Nuvola fucsia

Una nuvola fucsia intorno al collo – di Nadia Peruzzi

Foto di TiNo Heusinger da Pixabay

Paola aveva il foglio bianco davanti a sé . Faceva una gran fatica a trovare le parole. Scrivere era un mettersi a nudo e non sempre ci riusciva e per quello che doveva fare lo spazio per nascondersi non c’era proprio.

Avrebbe voluto iniziare a scrivere dal magenta. Di come aveva contrassegnato e colorato il suo cambiamento.  Le era sembrato un tema da null ,  di quelli facili facili . Ma,  si disse,   nella vita di facile non si trova granché.  Sfide e ostacoli,  invece,  quanti ne vuoi spesso di più di quanti sei disposta ad accettarne.

Pensare al magenta le fece bene.

Cominciò a riannodare il filo dei suoi anni passati pensando ai colori che li avevano contrassegnati.

I suoi 18 anni avevano conosciuto in prevalenza il nero.  Era stata grassa e cominciava allora a dimagrire. Il nero era la sua coperta di Linus. La sfinava oltre a starle bene al viso,  così ci si nascondeva dentro volentieri.

C’era voluto qualche anno prima che apparissero anche altri colori. Ricordava ancora quella minigonna rossa di jersey scattante che spiccava sul nero non più nascondiglio ma ormai richiamo all’insegna della seduzione.

Il magenta si era materializzato in una giornata di primavera.  Si guardava allo specchio indossando una sciarpa di quel colore,  e decise che il nero non faceva più per lei.

Si trattava di voltare pagina. E non solo nei colori da indossare. Una fase della sua vita era passata. Un amore finito per noia e per eccesso di abitudini consolidate che la facevano sentire in una prigione.

Aveva bisogno di sentire il cuore pulsare di passione.  Si era ripiegata su sé stessa e aveva lasciato che i fili dorati della ragnatela che Carlo le aveva cucito addosso la stringessero fino a farla soffocare.

Era sempre più come la voleva lui,  ma al prezzo di allontanarsi da ciò che voleva essere per sé stessa.

E la libertà ha bisogno di colore.  Il nero non le si attaglia. Deprime,  spegne,  tarpa le ali,  inchioda in uno schema. Lei era stufa di schemi e percorsi prefissati.

Cominciò a riempire la pagina bianca di questo. Le parole uscivano da sole ,  come un fiume in piena che si ingrossava e si traduceva in una scrittura fitta fitta,  tonda ed elegante.

Tornò al momento nel quale aveva definito il suo obbiettivo. Cercare colore in giro per il mondo dopo aver iniziato a trovarlo dentro di sé.

Era davanti alla vetrina di un negozio di fotocamere e aveva appena deciso  di entrare per comprare una reflex. La prima macchina fotografica della sua vita.

Era certa che il nuovo capitolo della sua vita passasse da lì.

Per decidere la meta si affidò alla sorte. Il vecchio mappamondo era ancora su una mensola della sua camera. Mentre scriveva le ritornò in mente il calore che traeva da quella luce soffusa mentre seguiva con dita bambine confini,  linee delle catene dei monti,  il corso dei fiumi e fantasticava su storie millenarie ,  grandi civiltà del passato e usi e costumi diversi dai suoi.

Aveva chiuso gli occhi,  dato un giro al mappamondo e puntato un dito per fermarlo. Era arrivata in Sud America . Sulle Ande,  fra Perù e Bolivia .

Poche cose da mettere in valigia. Il di più stava nel bagaglio interiore. Determinazione,  curiosità,  voglia di conoscere e di imparare dagli altri.

Andava in cerca di colore e si vestì di colore per dar il calcio definitivo a quel passato che le stava ormai strettissimo.

Si avvolse in una nuvola di fucsia a partire dalla fascia che spiccava sui capelli corvini. Aveva scelto quella perché la irradiava di luce e le trasmetteva benessere e voglia di fare. Come la sciarpa calda e morbida che si era stretta al collo mentre dava un ultimo sguardo alla sua casa.  Nessun ripensamento,  nessuna esitazione. Lo sguardo era già oltre ,  verso l’obbiettivo che si era prefissata.

Con la mente già vagava fra le rovine di Macchu Picchu ,  accarezzava con lo sguardo la distesa languida del lago Titicaca,  si nutriva della pace e del silenzio assordante delle vette di quella Cordigliera che teneva per mano da nord a sud un subcontinente.

Pensava agli indios che aveva visto nei reportages di fotografi famosi. Le scorrevano davanti i loro volti scolpiti dall’altitudine e dalle intemperie,  quei  loro occhi grandi,  neri,  vivi che scavavano nelle anime altrui,  le risate sdentate di vecchie che erano sicuramente più giovani di sua madre,  le voci garrule dei bambini che le avrebbero fatto cerchio intorno.

Avrebbe fatto delle foto magnifiche si disse mentre l’aereo decollava.

Stava mordicchiando la penna con cui fissava su carta ricordi,  pensieri,  emozioni provate  e si trovò a confermare. Aveva fatto delle foto bellissime. Non pensava di riuscirci.  Le sembrava un sogno,  ma stava scrivendo proprio l’introduzione al suo libro fotografico.

Era arrivata al punto nel quale ammetteva che la spinta decisiva era il frutto di un evento casuale,  una scintilla che si era accesa.

Tutto era partito dal desiderio di comprarsi quella macchina fotografica!

Quella era stata la molla che le aveva fatto scoprire tutto il resto.

Le era stato di gran conforto potersi osservare con gli occhi degli altri. L’avevano scrutata e messa a nudo più volte ,  si era sentita giudicata,  apprezzata,  talora tollerata il più delle volte accolta senza alcun filtro,  prevenzione o pregiudizio.

Non aveva mai sentito ,  come durante quel viaggio,   così forte il senso di appartenenza alla grande famiglia umana.  Simili nella profondità dell’essere,  nell’interrogarsi sul senso e la direzione della vita.

Mentre poggiava la penna sulla scrivania alla fine della sua fatica si rese conto di quanto il suo cuore si fosse risvegliato. Batteva come lei voleva che battesse. La passione aveva ricominciato a scorrere nelle  vene come linfa vitale.

Sfumature di rosa

Il colore della rinuncia   – di Gigliola Franceschini 

Foto di Orna Wachman da Pixabay

          Arrivò l’ invito e fu una gioia grande. Della festa si parlava da tempo in paese, sarebbe stato il compleanno di una sua compagna di scuola, una dei quartieri alti, in una villa appena fuori l’abitato, un grande giardino, tanti amici e tanta musica, ma dal vivo, non la solita festicciola fatta in casa, la prima festa importante della sua vita. Ma, all’improvviso le venne in mente che lei non era preparata per quella serata, non aveva un abito elegante per fare la sua figura in mezzo a quella gente e l’entusiasmo svanì. Non poteva chiedere ai suoi di fare quella spesa perché la famiglia stava uscendo faticosamente da una brutta crisi finanziaria che aveva raggiunto i limiti della povertà e quando questa è tanta, come scrive Collodi, la capiscono anche i ragazzi. Non poteva mortificare i suoi con una richiesta  che non potevano soddisfare, li avrebbe umiliati! Decise che avrebbe rinunciato. Il padre però era stato gia’ contattato dalla famiglia della festeggiata ed aveva dato il suo consenso, l’imbarazzo era forte. Per prima cosa la nonna apri’ il suo baule verde che teneva ai piedi del letto, dove riponeva tutto quello che avrebbe potuto essere utile. Aveva provato le privazioni di due guerre mondiali e dava valore ad ogni cosa prima di buttarla. C’erano molte spese prioritarie, anche i libri per il prossimo anno scolastico, sempre tanti e costosi. Dallo studio del babbo erano spariti  alcuni quadri della collezione di post- macchiaioli e molti monili, catenine, orecchini e tutto quello che aveva un qualche valore, erano stati impegnati. Era rimasta solo la sua catenina con la medaglietta dell’Angelo Custode; la mamma non l’avrebbe mai privata di quella protezione in cui credeva fermamente. Il baule verde non aiuto’ a risolvere il problema, Anna rinuncio’ e per alcuni giorni della festa non si parlo’ piu’. Una mattina I suoi genitori presero il primo treno e andarono in citta’. Tornarono all’ora di pranzo con uno scatolone legato con un fiocco e lo dettero a lei senza parlare. Un abito di uno straordinario colore usci’ fuori, un rosa fuxia  acceso con leggere sfumature tendenti al viola e un paio di sandali dorati. Ando’ alla festa e fu tutto bellissimo.  Bei vestiti, tanti amici, tanta allegria.  Le ore volavano e verso la mezzanotte I ragazzi si riunirono in un angolo del giardino, seduti sull’erba del prato senza badare all’umidita’ che strapazzava le gonne multicolori. Marco prese la chitarra e cantarono in coro e uno alla volta. Anna scelse Celentano e sugli accordi della via Gluk, si sentirono leggeri, aperti al loro futuro, certi che sarebbe stato bello e possibile. Il padre, come altri, ando’a prenderla che era piu’ mattina che notte. La guardo’ uscire dal gruppo, le mise una mano sulla spalla e si avviarono verso casa. Ad un tratto lui disse: sei diventata proprio grande! Per una persona cosi’ avara di complimenti, voleva dire: sei brava, sei bella e ti voglio bene! Anna lo capi’. Capi’ anche il significato profondo di avere una famiglia unita e complice  in ogni circostanza e il valore morale ed educativo della rinuncia. Sussurro’ un grazie ma forse lo penso’ soltanto. In quella notte tiepida che gia’ si consegnava al nuovo giorno, le parole non erano necessarie.

Tramontare

Vita al tramonto – di Patrizia Fusi

Di fronte a me ci sono diversi alberi di vari colori, che  formano una bella tavolozza dal giallo chiaro al verde al marrone al rosso intenso.

Le foglie rosse sembrano delle fiammelle capovolte, i rami più alti iniziano ad essere spogli e svettano verso il celo come mani giunte in preghiera, sotto si sta formando un soffice tappeto colorato.

Un albero completamente spoglio lascia vedere un nido di uccelli vuoto, ricordo di vita passata e volata via.

Sento dentro di me il peso del momento che sto vivendo, guardo il cielo sperando di vedere un po’ d’azzurro. Guardare il cielo a volte mi apre il cuore e mi sento più leggera, ma oggi non è così, il cielo è grigio, è come mi sento io.

Mi viene incontro un uomo vecchio come sono io, è un volontario di una misericordia, vestito di arancione, bello lui e quello che rappresenta, l’ho sempre saputo, ma ora ancora di più apprezzo quello che fanno queste persone, donano il loro tempo, è un grande regalo che fanno a tutti noi.

La malinconia è dentro di me, sento la mia vita al tramonto, vedo la  vita trascorsa, la vedo mentre passo per la strada dove ho trascorso l’infanzia.

Il piccolo querciolo lungo la strada per andare a scuola ora è diventata una giovane quercia, un ramo si è piegato sopra la strada andandosi a incontrare con l’ulivo del lato opposto, incorniciando la visuale sul monte di Fonte Santa, si vede bene la chiesa di Montisoni, come in un grasso cannocchiale.

Nella casa dove sono nata, e in tanti punti della campagna e dei luoghi che mi circondano, ricordo sprazzi di vita vissuta in quei luoghi, cose, persone che non ci sono più.

E come se mi passasse la  vita davanti agli occhi con sentimenti, amicizie sofferenze, paure, disagi, diversità, odori, paure.

Osare

Le scarpe – di Sandra Conticini

Foto di nihan güzel daştan da Pixabay

Era la fine degli anni 60. Un giorno, girando per negozi vide un paio di scarpe che potevano andare bene per i suoi piedi particolari. Le guardò, le riguardò. Entrò nel negozio, se le provò, le doveva comprare, erano troppo comode con quella punta tonda, quel tacco piuttosto basso ma non troppo, e poi, anche il prezzo era invitante, essendo le ultime rimaste erano praticamente regalate.

Sua figlia, che era abituata a mettersi le sue scarpe per giocare, le adorava e anche suo marito stranamente non le criticò.

Quando si metteva quelle scarpe le sembrava di volare da quanto erano comode e morbide, tanto che un giorno fu fermata per strada da una signora per complimentarsi della scelta e se fosse stato possibile le avrebbe  comprate anche lei.

Erano davvero uniche e insostituibili.

Ma dopo molto tempo che ci volava dentro, in ogni luogo e circostanza, fu costretta ad ammettere che non ne potevano più e che doveva ricomprarle. Si mise in cerca disperatamente. Sapeva che non avrebbe potuto trovare niente di simile. Lei lo sapeva: erano di forma perfetta, comode, eleganti e……quel meraviglioso color fucsia acceso, lo sapeva, non lo avrebbe più ritrovato!