4 PERSONAGGI IN CERCA, NON DI AUTORE CHE GIA’ CE L’HANNO, MA DI QUALCOS’ALTRO – di Mirella Calvelli
Alzarsi presto, all’alba, non era mai stato un problema per nessuno di loro. Sopratutto per soddisfare la loro curiosità, la loro passione per la fotografia.
Erano esperti nel scovare le giuste giuste angolazioni, anche se per raggiungerle dovevano arrampicarsi per chilometri su viottoli impervi, calarsi in dirupi , sgominando cespugli e macchie fittissime. Erano abituati.
Amavano, dopo tanta fatica, commentare all’unisono che quello era il posto più bello mai visto, che meritava tutta quella fatica.
L’ultima impresa non annientava la precedente, ma la relegava ad una posizione meno eccellente, per poi essere retrocessa una volta che partivano per una nuova impresa.
Si, perchè di imprese si trattava, portarsi dietro tutto l’equipaggiamento, macchine fotografiche, grandangoli, cavalletti, persino le luci. E nessuno di loro fiatava sugli sforzi o sull’inutilità di tutti quegli attrezzi, perchè non se lo sarebbero mai perdonato, se una volta raggiunta la meta, proprio uno di questi fosse stato lasciato indietro, solo per fatica.
Tommaso, Pietro, Riccardo e Mimmo, questo era il quartetto delle spedizioni.
Si conoscevano dall’infanzia, qualcuno e qualcun’altro dall’adolescenza, per un susseguirsi di vicissitudini che li aveva fatti incontrare, non la scuola o lo sport, ma fratelli, amici comuni, sorelle fidanzate dell’uno o dell’altro, traslochi e disgrazie.
Tommaso, detto Tommy, era il più piccolo di età e anche di statura. Era entrato in contatto con gli altri grazie alla zia Teresa, sorella di sua madre che lavorava nel negozio di frutta e verdura della famiglia di Pietro, detto il Lica. Soprannome che era stato di suo padre e alla sua morte avvenuta, purtroppo prematuramente ed improvvisa era divenuto il suo. Prima era per tutti Pietro il figliolo del Lica, ora Il Lica era lui.
Avevano trovato suo padre una mattina disteso nel retro bottega del negozio di frutta e verdura , all’angolo del paese. Era stata sua madre a vederlo riverso sul pavimento, senza poter fare nulla, che non gridare e correre fuori nella piazza a chiamare aiuto. Un aiuto inutile, purtroppo. Un infarto, repentino di quelli terribili, che ti spaccano il cuore in due!!
Così aveva sentito dire Pietro, così tante volte, da farsi un’idea pressochè scioccante da film horror.
E forse saranno stati questi eventi che Pietro aveva deciso di iscriversi a medicina. Ma il negozio aveva bisogno anche delle sue braccia soprattutto al mattino per andare ai mercati generali.
Mica ci posso andare io Pietro a quell’ora. Diceva sua madre. E così, doveva alzarsi alle 4 per fare questa, commissione, la chiamava così sua madre.
A lui non pareva proprio una commissione, buttarsi giù da letto a quell’ora nefasta. Partire con l’Apino, caricarsi come un mulo da soma e scaricare tutto in negozio.
Poi vestiva i panni dello studente universitario e partiva alla volta di Careggi con la sua vespina 50 bordeaux.
Tutti questi insetti da locomozione, uno da lavoro e l’altro da studio. Chissà quando ne avrebbe avuto uno per tutt’altro. mah!!
Ed era per questo che sua madre aveva cercato altre due braccia per poter aiutare e poi magari sostituire Pietro. Perchè, diceva sua madre, Il mio Pietro studia per fare il dottoreeee.
La signora Teresa che aiutava Agnese la madre di Pietro in negozio, aveva con garbo e timore suggerito il nipote della sorella, Tommaso, Tommy o Tommino.
Un gran bravo ragazzo, diceva la zia, ma la fa penare la mia sorella, non studia e non si sa dove voglia andare a battere il capo!!
Vediamo se alzarsi alle 4 lo rimette un po’ in riga e cominci a dare un senso alla sua vita.
Era piccolo di statura Tommy, una massa di riccioli neri gli incorniciavano il viso. Il fisico minuto, ma atletico, non dovuto ad attività fisica precisa, ma alla sua natura, tutto come suo padre!! Anche per la poca voglia di lavorare.
Si contrapponeva a Pietro, che invece era altissimo e si attorcigliava come un contorsionista, tutte le mattine per entrare nell’Apino.
Anche lui aveva dei bei riccioli, castani, con degli occhi verdi bellissimi. Il naso era un po’ troppo pronunciato e il suo fisico longilineo faceva da contraccolpo a lla sua altezza. Tutto era grande, anzi lungo, in lui. Non aveva parvenza di sportivo, anche se per molti anni aveva giocato nella squadra di basket, proprio grazie alla sua altezza. Era chiaro adesso fra la morte del padre, la bottega e l’università aveva dovuto mollare il pallone e il canestro. L’unico cestino che centrava era quello della carta straccia , mentre ripeteva anatomia patologica ad alta voce ed ogni successo veniva premiato con un canestro!!
Riccardo, detto il Ricca era il più sportivo, era il più tecnologico, era l’ammaliatore della troupe!!
Riccardo sembrava avere tutto, era bello, con un fisico veramente atletico, costruito con tanti anni di sport, palestra, nuoto e jogging giornaliero.
Riccardo da piccolo era bellissimo, ma pacioccone, sicuramente sovrappeso. E questo, deficit, così lo considerava lui, lo aveva costretto una volta presa coscienza a dedicarsi allo sport. Giocando prima a calcio, poi iscrivendosi in piscina ed infine in palestra, dove aveva trovato il suo indirizzo atletico nella disciplina moj thai.
Riusciva bene in questa attività, grazie alla sua prestanza fisica, alla sua altezza e scioltezza. Era bello vederlo slanciare le gambe, girandosi in aria , in un avvitamento su se stesso. Era diventato nel 2017 campione italiano di Moj Thai e aveva dedicato questo titolo a suo nonno materno.
Non era portato per gli studi, sua madre aveva visto i sorci verdi con lui a scuola. Non amava studiare, non amava leggere ed era stato difficile finire il corso di studi.
Poi l’amore per la tecnologia e i vari giochi elettronici, lo avevano avvicinato a questo mondo, scoprendo un po’ alla volta la sua passione e aiutandolo come un terzo braccio o un terzo occhio a completare gli studi da studente serale.
Era stata faticosa questa escalation, ma aveva concluso, o meglio iniziato un cammino, che non lo faceva più sentire a disagio. Non era più quel piccolo che si vergognava e non si spogliava volentieri al mare. L’elefante nella cristalleria con tanto sforzo, presa di sé, si era trasformato in un bel ragazzo, piacente, spiritoso ed informato.
Il nome, Riccardo, glielo aveva scelto sua madre , in primis per la nascita in luglio, e quindi sotto il segno del leone e per la speranza che divenisse un uomo dallo spirito impavido, un Riccardo Cuor di Leone. E questo nome lo calzava a pennello. Era un ragazzo estremamente generoso e premuroso.
Proprio perchè arrivava da un’infanzia e da un’ adolescenza nella quale aveva sofferto, non solo per il suo aspetto fisico e per la fatica a concentrarsi, ma anche a causa della separazione dei suoi e sopratutto dell’abbandono del padre. Non era stato tutto negativo. Si era forgiato e si era reso un ragazzo sicuro ed affidabile, con la voglia di emergere in ogni attività che faceva.
Si era rasato completamente i capelli quando cominciavano a crescere stentati, lasciando parti semi scoperte. In contrapposizione si era fatto crescere una bella barba fluente, ben curata, con sfumature che andavano dal castano dorato al rosso. Era stato un modo per crearsi la sua identità. Piaceva molto alle ragazze , non solo per il suo aspetto, ma per i suoi modi educati e gentili, senza essere effeminati. Era abituato a stare con la madre e la sorella e conosceva bene fino a dove e cosa poteva in loro presenza, ma anche assenza, fare.
Fra le sue prime fiamme c’erano state Carlotta, la sorella minore di Mimmo, ed in seguito Chiara la cugina di Pietro, la sorella che non aveva mai avuto.
L’ultimo, ma solo in ordine di descrizione, Mimmo, ma il suo nome era Domenico, di origine siciliana, palermitana per la precisione.
Era arrivato piccolissimo al paese a seguito dei genitori, di tre fratelli più grandi e due sorelle più piccole. Gli ultimi due , invece, nasceranno al paese, facendo in totale 8 bocche da sfamare. Il padre era muratore e anche al paese continuò la sua professione, la madre ovviamente aveva già un bel daffare a gestire tutto il clan. L’impegno della coppia rese possibile, che tutti i ragazzi e le ragazze, nessuno escluso potessero studiare, se non fino all’università almeno alle superiori.
Comunque la numerosissima famiglia, aveva fatto scalpore al paese già non appena si era trasferita.
Ma tutte le chiacchiere iniziali finirono presto con l’esaurirsi, quando il paesello si accorse che la suddetta coppia faceva gli affari suoi e i suoi ragazzi, nel bene o nel male non creavano motivo di pettegolezzo, anzi dimostravano ognuno con le proprie caratteristiche e qualità di che pasta erano fatti. Mimmo, ad esempio era stato fra tutti quello un po’ più sfortunato, poiché all’età di 10 anni gli era stata scoperta una malattia rara autoimmune che aveva costretto lui e i suoi ad andare ogni mese al Gaslini di Genova per curarsi.
Oltre allo stress, alle spese e alla fatica, quegli anni volarono, e proprio in quel periodo difficile che Riccardo e Mimmo divennero amici, prima delle partenze per l’ospedale fra paura e ansia e poi durante i rientri a casa che lo rendevano fragile e stanco. Ma pian piano Mimmo imparò a condividere il suo tempo con la malattia al suo fianco, inondato dall’amore dei suoi, che anche se avevano altri 7 a cui badare, si sa il più debole e bisognoso assorbiva tutte le attenzioni e preoccupazioni.
Mimmo, amava giocare a calcio e fra una cura e l’altra dedicava tutto il suo tempo a rincorrere il pallone sul tappeto verde. Anche se era gracilino e a volte un po’ emaciato aveva la forza e la grinta di un leoncino . I suoi tratti erano poco meridionali, lunghi capelli biondi e occhi scuri come due more. D’altronde il parco macchine in famiglia era il più arzigogolato, chi era biondo occhi verdi come la madre, chi moro con occhi scuri come il padre, ma c’era anche chi si diversificava tra capelli scuri e occhi azzurri e via via , ognuno con i propri tratti, ma un’unica matrice.
La famiglia aveva imparato a giocare di squadra e tutti erano propensi verso l’altro e l’altro verso tutti in un gioco all’infinito e questo era il loro bello.
Riccardo era a suo agio in quella famiglia, dove tutti sembravano interessati a tutti e tutti a nessuno.
E lui fu accolto, come il n.11.
Mimmo riuscì a superare la fase critica dell’adolescenza e alla fine si ristabilì in maniera eccellente da permettergli non solo di lavorare, diventando un bravo giardiniere e aprendo una sua ditta con tanto di operai, rigorosamente non di famiglia, se non in rari casi in cui lo staff famigliare interveniva se di supporto o di manovalanza c’era bisogno.
E questi sono i 4 ragazzi in cima alla collina, in un mattino di estate con le loro macchine fotografiche a tracolla a fotografare o cercare di fotografare un attimo, un istante che rimarrà nelle loro vite e non solo su un digitale o sulla carta patinata, dove amano trasportare i loro scatti migliori, ma nel profondo delle loro anime dove ognuno di loro vedrà qualcosa di sicuramente diverso dagli altri.