Foto 2 di Stefania (antefatto)

Prima della fuga – di Stefania Bonanni

Dice che i neonati sono tutti belli. Lui fu la dimostrazione che non è vero. Nacque brutto Nicola : la testa quadrata, la faccia schiacciata, il naso grosso, sembrava la testa di un adulto appiccicata su un corpicino estraneo. Ma la caratteristica più impressionante era il colore.  Era tutto bianco, percorso dappertutto da sottilissimi fili rossi, anche nel bianco degli occhi. Questo rosso rendeva il bianco arancione. Un bambino grosso e di colore strano,in un paese dove nascevano quasi tutti neri neri. Quando mise i  capelli, Nicola, li mise rossi.  Rossi chiari, radi riccioli sull”arancione, anche quelli. Quando restava al sole diventava rosso lucido,  si gonfiava e poi si sbucciava. Evitare che questo succedesse fu negli anni l’unico motivo che lo facesse alzare dal posto sulla panchina in piazza. Perché la vita la passava sulla panchina, anzi, per meglio dire, la vedeva passare dalla panchina in piazza. Era andato a scuola, certo, fino alle medie.  Poi basta, le superiori nel paese non c’erano, avrebbe dovuto prendere  l’autobus, alzarsi presto la mattina, tornare tardi a pranzo….troppe seccature. La scuola non gli interessava, parlavano di cose passate, di lingue straniere, di calcoli con numeri con le virgole.  A lui tutto questo non serviva. Lui era figlio unico, e la sua famiglia viveva nella casa piu’ bella del corso,quella gialla con la torretta. Non gli mancava nulla, non aveva nessuna intenzione di faticare. Stava seduto in piazza e quando qualcuno giocava a pallone,qualche tiro lo faceva anche lui, se il pallone gli arrivava sui piedi. Non si muoveva,  mon aveva ragioni sufficienti. Nulla gli interessava davvero, la cosa più importante era non fare nulla. “Spalla tonda” lo chiamavano, e anche peggio,  ma neanche questo lo interessava. Nulla lo turbo’, per anni. Fino ad una domenica, in Chiesa. Nella fila davanti pregava Maria, la compagna di scuola, la bambina con i capelli ribelli e i denti storti, quella che non divideva mai la merenda con nessuno, per nulla simpatica. Non la vedeva da tempo, non passeggiava in piazza lei. Quella domenica aveva un vestito blu di una stoffa lucida e fine che, nel movimento che Maria fece per inginocchiarsi sulla panca davanti, le si incollo’ addosso, alla biancheria, e si accorcio’ sulle cosce mostrando una carne cosi’ bianca e segreta, che Nicola non seppe più levarsi dai pensieri. Si guardava le mani, e pensava come sarebbe stato toccarle le cosce, se fosse possibile affondarci i polpastrelli, se quella carne bianca fosse soda, o morbida e burrosa. E poi fantasticava di fargliele aprire, le cosce, e poi di girarla, di guardarla tutta, e la immaginava bianca, morbida, e sudava, sudava, era diventata una fissazione. Fu costretto ad ammettere che era disposto a fare qualunque cosa, per avvicinare Maria. Non andava più neanche in piazza,  e sua madre si preoccupo’. Lo chiamo’ in cucina, lo fece sedere , e gli chiese cosa gli fosse successo, come mai non usciva piu’. Nicola divento” più rosso ancora, così tanto che la mamma si impauri’, e gli appoggio’ sulla fronte un fazzoletto bagnato, per calmarlo. Lui  parlo’ piano, ma disse tutte di fila una quantita’ di parole che non aveva mai pronunciato, in tale numero. Disse che aveva visto Maria e non riusciva a pensare ad altro. Disse che era sicuro fosse amore e che doveva per forza fare qualcosa, altrimenti sarebbe impazzito. La mamma resto’ in silenzio per un po’, non sapeva da che parte cominciare. Poi si fece coraggio e disse che prima o poi doveva succedere, che sarebbero andati a parlare con i genitori di Maria. “Certo, continuo’, tu Nicola non hai ne’ arte, ne’parte…chissa’ cosa ci diranno”  “Mamma, ma noi abbiamo là casa…tutti sarebbero contenti di vivere nella più bella casa del corso”…”Speriamo, Nicola, speriamo” Andarono a parlare in casa di Maria, e la mamma ebbe per tutto il tempo il terrore che dicessero che era troppo brutto,Nicola. Maria era la loro terza figlia, la piu’ buona e silenziosa. Brava a fare le cose in casa,  giudiziosa e tranquilla. Cantava sempre, era una gioia averla per casa. Sarebbe stata brava anche a scuola,  se non ci fosse stato bisogno di una mano, in casa e nel campo. Sposare le sorelle, dare loro la dote, li aveva lasciati senza risorse.  Maria non aveva dote, non ancora. La mamma di Nicola prese la palla al balzo.  Racconto’ che il figlio era buono come il pane e che aveva bisogno di una brava ragazza che lo aiutasse a farsi una posizione. Che non era un fannullone, erano solo mancate le occasioni. Poi, naturalmente, disse che avrebbe ereditato quel po’po’ di casa con la torretta che era la piu’ bella del corso e che la famiglia che Nicola si fosse fatto sarebbe stata al sicuro per sempre. “Non c’è nulla di meglio del mattone, nella vita. Riparo e  sicurezza, altro che andare a lavorare come schiavi a giro per il mondo!!” L’impressione fu che i genitori di Maria l’avessero gia’ considerata, la casa. Quando il padre parlo”, disse che i giovani si potevano frequentare, per conoscersi. Maria, entrata nella stanza a quel punto dell’incontro, disse che si fidava del giudizio dei genitori, e che avrebbe deciso quando avesse conosciuto meglio Nicola. Poi , quando la mamma di Nicola se ne fu andata, disse di essere indecisa, che il giovanotto era proprio brutto. Il padre e la madre, all’unisono, urlarono che con la bellezza non si mangia, che sono altre le cose che contano. Maria confermo’ che avrebbe conosciuto meglio Nicola. La prima volta che lui la passo’ a prendere, fu per camminarle a fianco mentre si dirigevano verso la piazza. Lui era molto emozionato, rosso da morire, sul punto di commuoversi ogni volta che incrociavano qualcuno. Sembrava uno che viveva un sogno, e Maria si senti’ una fata, in grado di regalargli la felicita’. Fu questo pensiero e la tenerezza che lui le dimostrava, cosi’ lontana dai modi  beceri di altri ragazzi del paese, a far si’ che stesse volentieri in sua compagnia, sempre di piu’.  Lui era premuroso e molto attento . Le teneva la mano come avrebbe tenuto una rosa. Quando finalmente si accarezzarono, e poi si amarono,  fu così dolce e tenero, cosi’ consapevole di aver colto un fiore, che dettero vita ad un momento che avrebbe illuminato la vita di tutti e due, anche al ricordo. Si amarono molto . Lui voleva solo lei.  Lei voleva vivere con lui nella casa gialla, e voleva dei figli,  dal loro amore. Nacque Serena, e Maria non aveva neanche una volta pensato potesse essere di strano colore. Infatti la bambina era bellissima. Quando mise i capelli, fu evidente fossero di un meraviglioso , raro, rosso scuro, tiziano. Crebbe come un fiore,  senza mai causare problemi, vicina a genitori che l’amavano e la curavano come un diamante, in una casa solida e sicura, la più bella del corso. Fu per lei che Maria comincio’ a chiedere a Nicola di pensare, per la figlia, ad una vita diversa,  in una citta’ dove ci fossero scuole ed universita’, dove avrebbe potuto avere molti amici e possibilità. Il progetto prevedeva la vendita della casa, e Nicola rimandava, rimandava. Che furia c’è? Diceva sempre. Non scappa mica, la casa gialla con la torretta che è sempre la piu’ bella del corso.

La foto 2 di Anna

IN CAMMINO – di Anna Meli

            Il sole spunta radioso ad oriente illuminando un binario dove tre viandanti camminano, poco distanti l’uno dall’altro. Procedono in silenzio, la mente altrove. Non hanno bagaglio, i loro volti sono tristi segnati dal vissuto di cose orrende.

            Ogni tanto a turno si voltano indietro ad osservare qualcosa che non c’è, ma che potrebbe apparire ed hanno paura. Si indovina che stanno fuggendo.

            I loro nomi, Karim (generoso), Aisha (viva), Farah (felicità) dovrebbero nascondere, secondo la tradizione siriana, l’impronta del loro destino e ciò li invita ad andare avanti con fiducia.

Non sono diversi da noi nelle sembianze. Lui, di media altezza, ha un viso magro e abbronzato con grandi occhi di un marrone verdastro che brillano di pagliuzze dorate e porta sulla giacca che si intravede appena, una coperta a mo’ di poncho. Le altre due, leggermente più piccole, vista la somiglianza, sembrano essere le sorelle: hanno gli stessi bellissimi occhi e vestono all’europea.

            Sono siriani fuggiti da un campo profughi dove non avevano nessuna speranza per una vita migliore. Arrivati fin lì con passaggi di fortuna, aiutati da persone solidali che li hanno talvolta ospitati, non possiedono niente, non sanno minimamente dove si trovano, aggrappati ad una speranza che si fa sempre più incerta.

            Il binario è la loro salvezza perché seguendolo contano di arrivare in una città qualsiasi, mescolarsi fra la gente, trovare un lavoro e ricostruire la loro vita lontano dalla guerra e dalle rovine dei bombardamenti. Soffrono, sognano, sperano. Il cammino sarà lungo, ma il fatto di essere uniti  nella ricerca di una vita normale li aiuterà a realizzare i propri sogni.

            Il sole illumina il loro cammino e scalda i loro cuori.


Foto 2 di Luca

Misterioso terzetto… – di Luca Di Volo

Dicono che quando ci si sente falliti in qualcosa, la meglio è riprovarci subito..e infatti..

Ora mi dovrei confrontare con la foto numero 2. E  confessare subito che a me, a differenza di tante altre Muse, quella foto non mi comunica quasi nulla..

Oddìo..si vede benissimo che quei tre stanno fuggendo….E da che cosa?!

O non potrebbero essere semplicemente a passeggio?! È vero..camminare affiancati ad una rotaia non è il posto migliore per fare una gita..ma i gusti son gusti…

E poi, visto che la foto è messa lì per provocare, quel binario è reale…o solo il simbolo di una falsa sicurezza; di un percorso che poi non porta a nulla?!La disperante coperta con cui a malapena si copre l’unico (unico?) uomo dell’immagine suggerisce, anzi, quasi “obbliga” a pensare a qualcosa abbandonato in fretta e furia..sotto la minaccia di qualcosa di terribile..Una persecuzione?! Ma..in tal caso costeggiare una linea ferroviaria sarebbe il modo più sicuro per farsi beccare subito..

E poi c’è quel sole abbagliante..alba o tramonto? Siamo noi a decidere..e io invece non riesco a scegliere una risposta..tanto per dire…

Insomma..non mi torna nulla e quella foto rimane un enigma….

E di storie sopra neanche a parlarne…

Chissà..magari dopo un buon sonno mi verrà fuori qualcosa…Per ora mi limito a fare i complimenti alle mie compagne per la fantasia e l’abilità con cui riescono a darle corpo.

Forse un giorno ci riuscirò anch’io..

Foto 1 di Cecilia

L’alba del grifone – di Cecilia Trinci

(stare al gioco)

Aveva fatto fatica a farsi accettare dal gruppo. Una ragazza, secondo gli altri tre,  non può sopportare tutta quella fatica, ore e ore all’aperto, portando macchinari pesanti, senza soste, senza cibo a orari fissi….alla fine sarebbe stata un peso, prima o poi. Ma Elena aveva talmente insistito che alla fine era riuscita a partire con loro. E’ vero, doveva ammettere che non era stata proprio una passeggiata e quel bosco era talmente pieno di rovi come mai aveva visto. Sanguinava, qua e là. Ma stava zitta. Cercava solo di non perdere il contatto con Edoardo. Edo, come tutti lo chiamavano era instancabile, sembrava un camoscio su quelle salite sassose, e sembrava che lo zaino enorme che non posava mai fosse leggerissimo. Eppure Edo era l’unico che le rivolgeva quelle pochissime parole che ogni tanto pronunciava.

“Hai sete?” le disse mentre il sole era già sparito sulla baia

Lei  si limitò a scuotere il capo anche se avrebbe desiderato ardentemente almeno un caffè lungo e dolcissimo. La gamba dove i pantaloni si erano strappati sanguinava ma di certo non si sarebbe fermata.

Il gruppo era diretto sulla cima, senza eccezioni.

Yuri era il primo della fila. Sembrava fosse in preda a una visione, a una passione accecante, non si sapeva per cosa, ancora non aveva neppure spiegato il suo progetto tutto intero, a tratti spariva dalla vista, nel buio che ormai aveva ingoiato la collina. Simone lo seguiva, più lento, massiccio, osservava tutta la scena ogni volta che cambiava o che la luce si faceva diversa. Scriveva veloce su un blocchetto a brevi tratti indecifrabili, senza paura di rimanere indietro si prendeva il tempo necessario per osservare, per imprimere nella memoria tutto quello che vedeva, oppure per controllare il percorso su una mappa accartocciata che teneva in tasca. Aveva al collo la macchina fotografica e un grosso binocolo che ogni tanto si portava agli occhi puntando sempre giù, in basso, verso il mare. Finchè ci fu luce. Poi di colpo il buio li avvolse e il gruppo dovette fermarsi.

Edo propose una sosta per dormire.

Yuri scalpitava, cominciò ad accusare il gruppo di aver camminato troppo lentamente. Così non avrebbero rispettato la tabella di marcia. Dovevano arrivare in cima prima che il sole fosse troppo alto per cogliere quell’unico esemplare di grifone albino così raro.

Edo promise che il giorno dopo, all’alba, avrebbero recuperato.

Simone, intanto, senza ascoltarli, aveva scelto il luogo migliore per accamparsi. C’erano delle piccole vallette nel terreno che li avrebbero riparati. Yuri si calmò quando Simone aveva già steso i sacchi a pelo e recuperato i viveri  dallo zaino. Li distribuì, in parti uguali. Raccolse legna per fare un piccolo fuoco. Non faceva freddo, ma la luce del falò li avrebbe rincuorati. E così fu.

Scelsero ognuno la propria valletta per dormire, nel proprio sacco a pelo.

Forse fu un caso che Edo scelse quella più vicina a Elena, lasciandola all’interno tra lui e un grosso masso che sputava ancora il calore del sole.

Nessuno dormì all’inizio. Le stelle erano troppo vicine e brillavano così tanto da togliere il fiato.

La stanchezza poi piano piano chiuse gli occhi a tutti quasi contemporaneamente. Le parole si spensero sulla brace ancora rossa: calcoli, chilometri, immagini assolutamente inedite da riprendere. Ce l’avrebbero fatta. Yuri non avrebbe mai accettato di tornare a valle senza le foto del grifone.

Appena il cielo schiarì in un azzurro appena appena pallido, le ombre si rimisero in cammino, senza essersi del tutto ripresi dalla fatica del giorno prima.

Elena avrebbe voluto un pettine, una doccia calda, ma si strinse nel giubbotto e cominciò a camminare spedita. Edo la precedeva e dietro saliva Simone, con i suoi passi decisi, le lunghe falcate.

Yuri era sempre avanti a tutti, nervoso, con la macchina pronta a scattare.

“Attenti ragazzi siamo in vista del grifone, non fatevelo scappare e fate piano, non respirate neppure!!!

Ho promesso la foto, deve essere mia”!

I passi procedevano verso il cielo sempre più chiaro, le ali di corvi veleggiavano sulle loro teste chine, squarci di voragini si aprivano improvvise tra le loro scarpe.

Il sole saliva, Yuri si stringeva in un ghigno stanco, incapunito e brusco. Senza preavviso ordinò a Elena di aspettarli lì. Loro avrebbero proseguito più spediti e al ritorno l’avrebbero ripresa nel gruppo. Era troppo lenta e ritardava l’andatura. Senza aspettare repliche Yuri sparì verso la vetta, seguito dai passi sornioni di Simone. Edoardo finse di sistemarsi lo zaino, di allacciarsi le scarpe, si fermò poco più avanti, a fotografare il mare che si apriva in una vasta baia sorridente di luce.

Elena si fermò, smarrita più che incredula e si sentì perduta. Tutta quella fatica inutile e l’abbandono dei suoi compagni sul traguardo. Accarezzò la macchina fotografica appesa al collo più che altro per avere compagnia e si guardò intorno, verso le rocce rosate.

Fu da lì che partì il volo. Un volo improvviso, radente, esplosivo, ali ferme sostenute dal vento della vetta, becco in avanti a ferire l’aria, a puntare un traguardo. Un giovane grifone albino potente, immenso, attraversò l’aria sopra la testa di lei. Sembrò che si fermasse un attimo, sembrò che si mettesse in posa per la foto unica, stupenda che Elena riuscì a rubare alle sue ali tese. Sembrò fermarsi……ma forse era solo il vento che trattenne un attimo il grifone, prima che sparisse giù, nel dirupo, verso il mare blu.