La Scelta – di Vanna Bigazzi

In quella radura, verso un arco di cielo smagliante di luce, due percorsi miravano al tramonto: una strada sterrata senza un principio e chissà, forse senza una fine (avrebbe potuto lentamente esaurirsi nel cielo) ed un binario ormai in disuso che comunque dava l’indizio di una meta, anche se incerta era la sua direzione. Tuttavia l’apparente affidabilità della struttura, aveva indotto i viandanti smarriti a scegliere quel percorso, confidando più nella tecnica che nell’avventura. Che sbaglio non seguire il cuore, cosa può dare la tecnica all’uomo, dalla quale viene posseduto, piuttosto che una scelta diversa? Cosa può dare di più rispetto alla possibilità di prediligere la libertà ovunque conduca, l’opportunità di distinguere, discernere… Offuscati da questo pregiudizio i tre smarriti, senza porsi domande, iniziarono a percorrere il tracciato. Il Professore di Francese aveva freddo, sul far della sera, ed era stanco per il troppo camminare; aveva con sé una coperta di pelle, rivestita in lana, se la buttò sulle spalle. Le sue amiche di viaggio, una altrettanto stanca, l’altra insofferente per la vacuità della meta, procedevano su quel binario ma con la paura di non farcela. L’insofferente iniziò a manifestare i suoi dubbi, non sopportava più quel percorso obbligato e dopo varie discussioni, manifestò il proposito di cambiare direzione, scegliere la strada sterrata. Sentiva che non l’avrebbe tradita. Così gli smarriti si divisero perseguendo le loro dissonanti convinzioni. Il Professore di Francese, con la sua allieva prediletta, proseguirono lungo il binario; l’insofferente raggiunse quasi di corsa la sterrata che ancora si intravedeva. Cammina, cammina, facendosi sempre più scuro, il Professore e la compagna si trovarono, con grande sorpresa, alla conclusione della strada ferrata: i binari, pian piano, si interravano sempre più fino a scomparire. Presi da un’afflizione che odorava di disgrazia, si gettarono a terra piangendo, assaporando un’amara carezza di fine. Si rannicchiarono entrambi sotto quella coperta, stringendosi l’un l’altro con la netta consapevolezza di non poter sopravvivere a quella gelida nottata. Diverso fu il percorso dell’insofferente, corse lungo la strada con una forza che non immaginava di possedere, la forza della disperazione oltre che della prepotente volontà di farcela, anche da sola. La natura la confortava, la macchia profumata faceva presagire il mare. Ormai il sole era tramontato e l’arco luminoso volgeva alla fine. La strada sfociò in una spiaggia selvaggia e ormai scura: delle voci in lontananza, una casa di pescatori. “Sono salva…” esultò l’insofferente con le lacrime agli occhi. Fu accolta, ristorata e ospitata per la notte. Il cellulare ormai scarico da un’infinità di tempo, rimase scarico: nessuno che l’amasse l’attendeva. Trovò in quel nucleo caldo e confortante la sua dimensione e vi rimase.


